È davvero ora di cambiare, anche nel rapporto fra esseri umani e animali

Sara De Santi e Sonia Signorini si occupano di relazioni tra animali umani e tra l’essere umano e altre specie e collaborano nell’ambito del progetto “Col resto di due”. In questa serie di articoli condivideranno con noi alcune riflessioni su questo macrotema. Nella prima uscita analizzano la situazione attuale, sottolineando la necessità di cambiare paradigma e scardinare il rapporto asimmetrico – oggi ampiamente diffuso – fra il cane e la sua figura umana di riferimento. Nell’ultimo anno sono cambiate molte cose. Sono cambiate abitudini e certezze, è cambiato il modo in cui guardiamo al futuro e anche quello in cui consideriamo il passato. Ciò che definivamo “normalità” è risultato essere un concetto labile e volatile. Ne sentivamo parlare dei cambiamenti in atto, in relazione al clima, alle evoluzioni sociali, alle necessità di specie e ambienti, eppure restavano voci di nicchia, fino a quando una pandemia ci ha coinvolti tutti.

Stanno avvenendo anche cambiamenti culturali importanti: diamo più rilevanza alle emozioni in svariati ambienti, al benessere interiore, alla meditazione, si parla di relazione in più modalità. La connessione tra la responsabilità e la consapevolezza di sé e dell’altro, nell’ambiente in cui si vive, inizia a divenire evidente. La comunicazione tra l’essere umano, il mondo animale e quello vegetale ci mostra l’importanza di un cambiamento nei modelli di interscambio e di relazione. Per questo io e la mia amica e collega Sonia abbiamo ideato il progetto “Col resto di due”, attualmente attivo come pagina social, dove condividiamo osservazioni e considerazioni nate dalla nostra esperienza sul campo e dai nostri studi. Il nostro intento è quello di spostare l’attenzione dal pensiero lineare e utilitaristico a quello divergente e collaborativo, in particolare nella relazione con la diversità. Ci occupiamo di relazioni tra animali umani e tra l’essere umano e altre specie. In questo ambito, che ha visto una fortissima evoluzione negli ultimi anni, c’è un’urgenza che diventa sempre più chiara: la necessità di cambiare paradigma. È da questa necessità che nel primo di questi articoli a due voci che andremo a scrivere, oggi vogliamo partire: la necessità di cambiare paradigma o forse semplicemente di non averne affatto, convinte che sia questa la strada da intraprendere per ritrovare la nostra vena animale e poter riconoscere quella altrui.

Ma cosa significa “cambiare paradigma”? Il paradigma è un modello di riferimento a cui ci affidiamo quando parliamo di un determinato argomento, è un termine di paragone. Ad oggi in ambito animale sono innumerevoli i paradigmi a cui ci affidiamo e di cui abbiamo bisogno. Ci servono per decodificare comportamenti, per dare spiegazioni, finanche per creare proiezioni. La necessità di circoscrivere, di mettere etichette che in qualche misura ci rassicurano, ci fanno riconoscere un legame e sentire in sintonia con altre specie. È questo il primo passo verso la gabbia mentale in cui non solo releghiamo gli altri animali, ma in cui releghiamo anche noi stessi, le nostre
emozioni, il nostro ruolo. Ed è proprio il ruolo che assume un’importanza non secondaria nel nostro modo di relazionarci con gli animali non umani. La cinofilia è un esempio illuminante di come la ricerca del ruolo determini il modo di vivere il cane. Addentrandoci, neanche troppo, in questo mondo si può arrivare a pensare che il cane esista grazie a noi, dimenticandoci invece che sulla terra la maggior parte dei cani vive liberi, senza una figura umana di riferimento.

Se guardiamo i dati da questa prospettiva c’è da domandarsi se davvero siano i cani ad avere bisogno di noi o se, al contrario, siamo noi ad avere la necessità di riconoscerci nella figura che il cane ci dà l’opportunità di esprimere: padre-padrone, guida, leader, coach, capobranco, madre e così via. Una figura di cui ci appropriamo con la forza e che lascia l’altro senza possibilità di reale rifiuto perché il rifiuto diventa automaticamente ai nostri occhi un problema – aggressività, fobia, iperattività o altro – da risolvere in fretta, possibilmente da altri, da smontare e in ultima istanza da allontanare, andando ad alimentare tutta quella mal gestione e quel mercato infame del più becero volontariato che alimenta cani viaggianti su e giù per l’Italia e riempie i canili. E allora, forse, la sfida più grande e più urgente diventa distruggere vecchi paradigmi, che hanno la colpa di ricondurci a modelli di riferimento troppo vicini alle abitudini di un’epoca che ha perso contatto con la propria animalità. Riconoscere e accettare quello che è sotto ai nostri occhi senza averne timore, senza incatenarlo ai nostri bisogni, affiancandolo invece, alla scoperta dell’altro e di noi stessi, in una convivenza che si contamina ed evolve senza violenze fisiche ed emozionali.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/cambiare-rapporto-esseri-umani-animali/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Food ReLOVution, il film. Cosa mangiamo e cosa si nasconde dietro a ciò che mangiamo

“Food reLOVution” è il nuovo film del regista Thomas Torelli. Il filo logico che percorre questo lavoro è la parola “connessione”. Ed è proprio un pensiero di connessione che manca alla maggior parte di noi. Connessione con il pianeta che ci ospita: con la terra, il mare, l’aria che respiriamo, gli altri esseri umani, gli animali, le piante.9508-10264

E la connessione manca perché troppi sono ormai i passaggi tra noi e ciò che mangiamo. Abbiamo perso i profumi, le forme, il contatto con ciò che mettiamo nel piatto. Non siamo più in grado di capire di cosa ci nutriamo tanto è trattato, trasformato, reso appetibile e “buono” in modo artificiale, spesso irriconoscibile. Food Relovution è un’opera di perfetto equilibrio che riesce a parlare delle verità nascoste dietro il consumo di carne senza sembrare un prodotto da crociata vegana, che riesce a porre la questione della produzione e del consumo del cibo a livello mondiale evidenziandone le mostruosità senza usare la facile leva della sola emotività momentanea e superficiale. Il consumo di carne negli ultimi anni è cresciuto in modo esponenziale ed è andato di pari passo con l’aumento delle malattie cardiovascolari, dell’obesità, del diabete, del cancro. Il consumo di carne, però, non significa solo questo. E’, appunto, connesso anche allo sfruttamento senza limiti e senza sosta delle risorse naturali, all’emissione di gas serra così pericolosi per l’equilibrio ambientale e climatico e a un approccio profondamente disumano nei confronti degli animali.locandina-foodrelovution_a3_print300

Ma non basta ancora: la produzione di carne ha costi elevatissimi anche per un enorme numero di persone costrette a morire di fame. La fame è un fenomeno talmente lontano da noi che pensiamo non ci riguardi affatto e di cui, soprattutto, non percepiamo una responsabilità diretta. Tutto, invece,  è strettamente collegato. Pochissimi di noi riescono a vedere in una bistecca o in un bicchiere di latte, l’allevamento intensivo dal quale proviene: allevamenti neppure degni di questo nome ma vere e proprie industrie il cui scopo non è nutrire ma guadagnare. E’ difficile riuscire a capire che dietro la nostra richiesta sempre maggiore di carne ci debba essere una ricerca continua di terra da disboscare e poi coltivare a cereali per nutrire gli animali che mangiamo. La maggior parte dei cereali coltivati nel mondo non viene, infatti, usata per nutrire le persone ma per quegli animali destinati alle nostre tavole. La fame da una parte, lo spreco di cibo dall’altra (che arriva al 50 per cento, globalmente), l’obesità e la malnutrizione che si presentano spesso insieme nei nostri malati dando origine a degli obesi denutriti, l’enorme aumento delle malattie degenerative e l’aspettativa di vita, per la prima volta in calo in alcuni paesi occidentali sono facce dello stesso fenomeno. Si tratta di un sistema che si regge su un’economia basata sullo sfruttamento senza limiti di altri esseri viventi e sulla distruzione sistematica delle risorse. Un’economia che, nonostante le informazioni false, fuorvianti e ingannevoli che ci arrivano attraverso la  pubblicità che invade ogni spazio della nostra vita, non può che avere i giorni contati. Thomas Torelli fa parlare medici, scienziati ed esperti di fama mondiale: Franco Berrino, Colin e Thomas Campbell, Marilù Mengoni, Vandana Shiva, Frances Moore Lappé, Carlo Petrini, Peter Singer, James Wildman. Attraverso la loro testimonianza e le splendide illustrazioni animate di Michele Bernardi (il tratto e i colori sono perfetti), le bellissime musiche di Giulio del Prato, l’autore accompagna chi guarda senza giudizi di sorta, con l’unico intento di offrire elementi che facciano scattare quella “connessione” nello spettatore. Venire a conoscenza delle conseguenze di ogni nostra, anche minima, scelta alimentare è il punto nodale del film: scoprire cosa si cela dietro il cibo che compriamo ogni giorno può renderci persone finalmente consapevoli, farci pensare con attenzione, responsabilità e amore a ciò che vogliamo essere e diventare. Per noi stessi, per i nostri figli, per il pianeta, per ogni essere vivente. Intervenire criticamente attraverso le nostre scelte quotidiane significa crescere in consapevolezza. E la consapevolezza, si sa, è il primo passo per il cambiamento.

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Fonte: ilcambiamento.it

 

“Gli esseri umani tornino a essere il fine”. Intervista a Maurizio Pallante

Crisi economica ed energetica, sprechi e decrescita, futuro e possibilità di cambiamento. Olivier Turquet ha incontrato e intervistato Maurizio Pallante in occasione di una conferenza di divulgazione della Decrescita Felice tenuta dal fondatore del movimento a Fosdinovo. maurizio_pallante2_

“Nella crisi che stiamo vivendo confluiscono molte crisi: quella economica e occupazionale, quella ambientale, quella energetica, quella internazionale, quella morale, quella della politica”

Ho incontrato Maurizio Pallante a Fosdinovo durante una delle sue conferenze di divulgazione della Decrescita Felice. Instancabile, preciso, chiaro. Abbiamo fatto due chiacchiere e deciso di costruire quest’intervista insieme; cercando di non partire, come al solito, dall’inizio ma di approfondire alcune tematiche care a tutti e due.

Maurizio, ci sono segnali e si alzano voci, da varie parti, che dicono che l’attuale sistema economico ed energetico sia vicino a un punto di rottura, tu cosa ne pensi?

Preferisco riportare alcuni dati:

– dal 1987 la specie umana consuma prima del 31 dicembre una quantità di risorse rinnovabili pari a quelle rigenerate annualmente dal pianeta e, da allora, si avvicina di anno in anno la data del loro esaurimento: è stata il 21 ottobre nel 1993, il 22 settembre nel 2003, il 20 agosto nel 2013;

– nel settore petrolifero il rapporto tra l’energia consumata per ricavare energia e l’energia ricavata (eroei: energy returned on energy invested) tra il 1940 e il 1984 (data dell’ultima rilevazione pubblicata da una rivista scientifica internazionale), è sceso da 1 a 100 a 1 a 8; dal 1990 ogni anno si consuma una quantità di barili di petrolio molto superiore a quanta se ne trovi in nuovi giacimenti: 29,9 miliardi di barili a fronte mediamente di meno di 10 miliardi (dato 2011);

– le emissioni di anidride carbonica eccedono in misura sempre maggiore la capacità dell’ecosistema terrestre di metabolizzarle con la fotosintesi clorofilliana, per cui se ne accumulano quantità sempre maggiori in atmosfera: sono state 270 parti per milione negli ultimi 650 mila anni, sono diventate 380 nel corso del XX secolo, nel mese di maggio del 2013 hanno raggiunto il valore di 400, lo stesso del Pliocene, circa 3 milioni di anni fa, quando la specie umana non era ancora comparsa, la temperatura media del pianeta era più calda dell’attuale di 2 – 3 °C, il livello dei mari era più alto di 25 metri; in conseguenza dell’aumento delle concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera, nel secolo scorso la temperatura media della terra è aumentata di 0,74 °C e, secondo l’Unione Europea, se si riuscirà a ridurre le emissioni del 20 per cento entro il 2020, obbiettivo pressoché impossibile da raggiungere, l’aumento della temperatura terrestre in questo secolo potrà essere contenuto entro i 2 °C, quasi il triplo del secolo scorso;

– negli oceani Atlantico e Pacifico galleggiano enormi ammassi di frammenti di plastica, con una densità di 3,34 x 10 6 frammenti al km², estesi come gli Stati Uniti;

– la fertilità dei suoli agricoli si è drasticamente ridotta e la biodiversità diminuisce di anno in anno.

Mi pare che questi dati documentino in modo inequivocabile che siamo molto vicini al punto di non ritorno. Nonostante tutto è ancora possibile invertire questa tendenza. Le tecnologie per ridurre gli sprechi di risorse ed energia ci sono. Occorre applicarle. Questo è il compito della politica, ma molto si può fare anche attraverso gli stili di vita individuali. Gandhi diceva: Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.energia4

“I nostri consumi di fonti fossili si suddividono in tre grandi voci, ognuna delle quali ne assorbe circa un terzo: riscaldamento degli edifici, produzione di energia elettrica e autotrasporto”

Tu ti occupi specialmente di energia e sottolinei, nelle tue conferenze, come ci sia uno spreco energetico molto consistente, potresti fare qualche esempio?

I nostri consumi di fonti fossili si suddividono in tre grandi voci, ognuna delle quali ne assorbe circa un terzo: riscaldamento degli edifici, produzione di energia elettrica e autotrasporto.

Riscaldamento degli edifici. La media dei consumi italiani è di 20 litri di gasolio o 20 metri cubi di metano al metro quadrato all’anno. In Germania e, in Italia in Alto Adige, non è consentito superare un consumo di 7 litri / metri cubi al metro quadrato all’anno, ma gli edifici migliori si limitano a 1,5 litri / metri cubi. Come minimo in Italia, a causa della scarsa coibentazione degli edifici, si sprecano 2/3 dell’energia utilizzata per il riscaldamento. Se il raffronto si fa con gli edifici più efficienti, se ne sprecano più di 9 /10.

Produzione di energia termoelettrica. Il rendimento delle centrali tradizionali è di circa il 33 per cento. Ciò vuol dire che nel processo entrano 100 unità di energia chimica sotto forma olio combustibile ed escono 33 unità di energia elettrica, mentre 67 si disperdono, sotto forma di calore a bassa temperatura, nell’aria o nell’acqua di un fiume, a seconda del sistema di raffreddamento utilizzato. Nelle centrali a ciclo combinato il rendimento sale al 55 per cento. Se si utilizzassero impianti di cogenerazione, il calore a bassa temperatura che oggi viene disperso verrebbe riutilizzato per riscaldare degli edifici, per cui sommando il rendimento in energia elettrica e il rendimento in calore, il potenziale energetico del combustibile si utilizzerebbe al 95 per cento.

Autotrasporto. Le automobili trasformano prima in energia meccanica e poi cinetica non più del 15 per cento dell’energia chimica contenuta nel carburante. A questa inefficienza tecnologica occorre aggiungere l’inefficienza comportamentale perché in ogni automobile che può portare almeno 4 persone ne viaggia quasi sempre una sola.

Lo spreco totale di energia nel nostro paese è quindi superiore al 70 per cento.petrolio_barili3

“La prospettiva di durata del petrolio non la sa nessuno con ragionevole precisione e può variare sensibilmente se si riducono gli sprechi e si sviluppano le fonti rinnovabili”

Tu sei uno dei pochi che va in giro e parla di petrolio estraibile, nel senso del petrolio che per estrarne un barile si consuma meno di un barile. Come sta andando la curva dell’energia necessaria ad estrarre petrolio? Quali sono le prospettive di durata del petrolio?

Ho già risposto in parte più sopra. Comunque la prospettiva di durata del petrolio non la sa nessuno con ragionevole precisione e può variare sensibilmente se si riducono gli sprechi e si sviluppano le fonti rinnovabili. Quello che conta non è fare previsioni più o meno approssimate, ma sviluppare le tecnologie più efficienti e adottare comportamenti consapevoli.

Tu proponi un’azione di base, a partire da ognuno di noi per decrescere dallo spreco e dall’insensatezza e crescere nella qualità della vita e dei rapporti umani: dalla nascita del MDF a ora quali sono stati i risultati più significativi?

MDF ha cercato di dare una sistemazione organica dal punto di vista teorico e una struttura organizzativa a un movimento variegato, sparso su tutto il territorio nazionale, composto di gruppi autonomi impegnati in vari settori. Mi sembra che l’esperienza più significativa sia quella dei gruppi d’acquisto solidale, che si sono moltiplicati in questi anni. Per quanto riguarda MDF, il nostro movimento conta ormai una trentina di circoli regolarmente costituiti mentre altrettanti si stanno costituendo. La fascia d’età più rappresentata è quella tra i 25 e i 30 anni. Inoltre abbiamo gruppi di lavoro tematici nazionali: Decrescita e salute, Decrescita e agricoltura, Decrescita e insediamenti umani, Decrescita e tecnologie, ecc. L’obiettivo di questi gruppi è organizzare seminari nazionali d’approfondimento su questi temi per dare un contributo all’elaborazione di un paradigma culturale alternativo a quello sviluppato dalle società della crescita. Tutto questo mi fa dire che qualche risultato l’abbiamo ottenuto. Meno di quanto sarebbe necessario, ma comunque non insignificante.

Se qualcuno del MDF fosse al governo da qualche parte tu cosa gli suggeriresti di fare?

Suggerirei di impostare una politica economica e industriale finalizzata a ridurre gli sprechi di energia: si creerebbe un’occupazione utile e numerosa, il costo delle retribuzioni sarebbe pagato dai risparmi economici conseguenti ai risparmi energetici, si svilupperebbero innovazioni tecnologiche importanti, si ridurrebbero le emissioni di CO2 e l’effetto serra, si ridurrebbero le tensioni internazionali per il controllo delle fonti fossili.crisi_finanziaria4

“Se chi governa l’economia e la politica mondiale e delle singole nazioni continuerà a pensare che la crisi è solo economica e le misure tradizionali di politica economica finalizzate a superarla prima o poi ci riusciranno, andremo dritti verso il cro

L’economia umanista denuncia fortemente la speculazione finanziaria e dà valore alla produzione dei beni utili alla società e alla proprietà compartecipata delle aziende: tu cosa pensi di questi temi?

Sono completamente d’accordo, sia sulla necessità di contrastare la speculazione finanziaria con opportune misure, per esempio la Tobin Tax, sia sulla necessità di far ripartire la produzione incentivando la produzione di beni utili, sia sul coinvolgimento dei dipendenti in forme di condivisione della proprietà delle aziende in cui lavorano. È importante per gli esseri umani ed è importante per aumentare la redditività delle aziende.

Crisi come possibilità di cambiamento: come ti immagini il futuro?

Io penso che siamo alla fine dell’epoca storica iniziata 250 anni fa con la rivoluzione industriale. Lo penso perché nella crisi che stiamo vivendo confluiscono molte crisi: quella economica e occupazionale, quella ambientale, quella energetica, quella internazionale, quella morale, quella della politica. Quando un’epoca storica finisce ci sono due possibilità: o il crollo, come è accaduto con l’Impero romano, o una faticosa e anche drammatica evoluzione verso una fase storica più evoluta. Se chi governa l’economia e la politica mondiale e delle singole nazioni continuerà a pensare che la crisi è solo economica e le misure tradizionali di politica economica finalizzate a superarla prima o poi ci riusciranno, andremo dritti verso il crollo. Se invece si capirà che occorre costruire un’economia e una società diverse da quella attuale, in cui gli esseri umani non siano più il mezzo e la crescita economica il fine, ma gli esseri umani tornino a essere il fine e l’economia il mezzo di cui si servono per soddisfare le loro esigenze materiali, allora la crisi sarà stata il punto di svolta e l’inizio di un cammino verso una società più giusta e più umana.

La bibliografia tratta dal sito ufficiale

Articolo tratto da Pressenza