Nuove trivellazioni di petrolio: a rischio tutta l’Italia

Il rischio di nuove trivellazioni di petrolio è nazionale: non solo il Mar Ionio, ma anche l’Adriatico centro meridionale ed il canale di Sicilia sono sotto attacco dalle compagnie petrolifere. È quanto denuncia Legambiente in merito al dibattito di questi giorni sulle autorizzazioni alle prospezioni petrolifere nel mar Ionio da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. “Questa strada è sbagliata: il Governo abbandoni le fonti fossili”.

“Il rischio di nuove trivellazioni di petrolio è nazionale: non è solo il Mar Ionio ad essere sotto attacco delle compagnie petrolifere, anche l’Adriatico centro meridionale e il canale di Sicilia sono oggetto di richieste di prospezione e ricerca di petrolio nei fondali marini. Dal Governo di M5S e Lega che insieme a noi hanno sostenuto il Sì alla campagna referendaria del 17 aprile 2016 contro le trivellazioni di petrolio ci aspettiamo 5 atti concreti: lo stop immediato a nuove trivellazioni in mare e a terra a partire dalle 96 richieste di prospezione, ricerca e coltivazione in attesa di via libera; il taglio dei 16 miliardi di euro di sussidi annuali alle fonti fossili; la legge che vieta l’uso dell’airgun per le prospezioni, per cui il M5S si era tanto battuto durante la discussione parlamentare dell’allora disegno di legge sugli ecoreati; un piano energetico nazionale per il clima e l’energia che definisca un percorso concreto per la decarbonizzazione dell’economia; la riconversione delle attività di Eni, società a prevalente capitale pubblico, dalle fonti fossili all’efficienza energetica e alle rinnovabili”. È questo il commento di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente sulle polemiche di questi giorni sulle autorizzazioni alle prospezioni petrolifere nel mar Ionio da parte del Ministero dello Sviluppo Economico.
L’Italia, infatti, continua la sua insensata corsa all’oro nero. A confermarlo gli ultimi dati aggiornati da Legambiente che fotografano la situazione attuale: ad oggi su 16.821 kmq sono ben 197 le concessioni di coltivazione, tra mare (67) e terra (130), alle quali si potrebbero aggiungere ben 12 istanze di concessione di coltivazione (7 in mare e 5 a terra).  E poi su un totale di 30.569 kmq sono attivi 80 permessi di ricerca, ai quali si potrebbero aggiungere 79 istanze di permessi di ricerca su un totale di 26.674 kmq, e 5 istanze di prospezione a mare su un totale di 68.335 kmq.

L’associazione ambientalista da questo Governo si aspetta più coerenza e fatti concreti sulla lotta ai cambiamenti climatici e contro le trivellazioni di petrolio, sui quali soprattutto il Movimento 5 Stelle si è tanto speso in campagna elettorale e anche nella scorsa legislatura quando era all’opposizione. Per arrestare i cambiamenti climatici, ma anche per ridurre e combattere l’inquinamento atmosferico e migliorare la qualità di vita dei cittadini è di fondamentale importanza uscire dalla dittatura delle fonti fossili, ancora oggi al centro del sistema energetico del nostro Paese. Per questo l’Esecutivo deve avere il coraggio di imprimere una svolta alla politica energetica nazionale, perché quello che serve all’Italia è un efficace e ambizioso Piano per il clima e l’energia che punti alla decarbonizzazione dell’economia per un futuro più rinnovabile e libero dalle fonti fossili che vengono sussidiate dallo Stato (16 miliardi di euro all’anno per le fossili). (In media tra il 2017 e i primi mesi del 2018 il 30% del gas estratto in Italia e il 10% del petrolio è stato esentasse  Elaborazione Legambiente su dati Mise).  

“Dovremo ridurre sensibilmente – aggiunge Ciafani – i consumi di gas nel settore elettrico e civile, attraverso una generazione sempre più distribuita e rinnovabile. Così come dovremo ridurre quelli di petrolio nei trasporti. Una prospettiva che si scontra anche con le attività del più grande gruppo industriale italiano, ENI, che continua a fare scelte e investimenti nella direzione opposta e rischia di diventare uno dei campioni delle fonti fossili e tra i nemici numero uno della lotta ai cambiamenti climatici. Stiamo parlando di un’azienda energetica, di proprietà anche dello Stato, che dovrebbe a pieno titolo entrare nell’agenda di governo dopo Ilva.

Nel 2018, dopo che il mondo ha deciso di prendere la strada della decarbonizzazione dell’economia, ENI continua a trivellare per estrarre petrolio e gas, in Italia e nel resto del mondo. Da noi lo fa in Val d’Agri, in Basilicata, nel più grande giacimento petrolifero a terra di tutta Europa, con non pochi problemi ambientali. Lo fa nei mari che circondano il Belpaese, da sola o in partnership con altre aziende, come nel caso della piattaforma Vega con Edison nel canale di Sicilia, di cui è stato presentato il progetto di raddoppio, bocciato dalla Commissione Via del Ministero dell’ambiente, ma mai ufficialmente ritirato. Lo fa in paesi in tutto il mondo, dal Portogallo all’Egitto, dalla Nigeria all’Artico. Noi pensiamo – conclude Ciafani – che questa strada sia sbagliata e chiediamo al governo italiano di essere coerente con gli impegni sottoscritti a livello internazionale, indirizzando l’attività futura di Eni verso le tecnologie pulite che non hanno nulla a che fare con gas e petrolio”.

Contro i sussidi alle fonti fossili e le trivellazioni in mare, Legambiente invita a firmare la petizione
#NoOil – Stop alle trivellazioni in mare: fermiamo il business del petrolio!”

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/01/nuove-trivellazioni-di-petrolio-a-rischio-tutta-italia/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

“L’Eni continua a rilanciare le fonti fossili”: le associazioni scrivono a Di Maio

“Sempre più impegnata nel rilancio di fonti fossili in tutto il mondo a fronte di investimenti minimi nelle rinnovabili, in conflitto con gli impegni presi dall’Italia sul clima”. Legambiente, Greenpeace e Wwf contestano le scelte di Eni e scrivono al vicepremier Di Maio affinché si definiscano all’interno del Piano Nazionale energia e clima gli indirizzi strategici per l’azienda controllata dallo Stato. 

“Serve una profonda riconversione del sistema energetico e industriale italiano, se vogliamo raggiungere gli obiettivi firmati con l’Accordo di Parigi sul Clima, a partire dalle imprese direttamente controllate dal Governo. Per questo chiediamo al Ministro Di Maio di chiarire al più presto le scelte e gli investimenti da parte di Eni. L’azienda controllata dallo Stato è, infatti, sempre più impegnata nel rilancio di estrazioni petrolifere e ampliamento dei giacimenti di idrocarburi in tutto il Mondo, a fronte di investimenti minimi nelle fonti rinnovabili. Scelte in evidente conflitto con gli impegni presi dall’Italia per combattere i cambiamenti climatici. Dal Governo ci aspettiamo un impegno concreto per aiutare il nostro Paese e il suo sistema di imprese ad accelerare nella direzione dell’innovazione e del cambiamento”.

È l’appello che Legambiente, Greenpeace e Wwf lanciano al Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio affinché si definisca all’interno del Piano Nazionale energia e clima – che dovrà essere trasmesso alla Commissione europea entro la fine di dicembre – gli indirizzi strategici per l’azienda, perché possa passare dall’essere un ostacolo sulla strada degli impegni sul Clima a diventare una leva e uno strumento virtuoso nella complessa sfida climatica. Nella lettera inviata oggi al vicepresidente del Consiglio – a firma di Stefano Ciafani (presidente di Legambiente), Giuseppe Onufrio(Direttore Esecutivo Greenpeace Italia) e Donatella Bianchi (presidente Wwf Italia) – si sottolinea che gli investimenti dell’azienda “riguardano direttamente le scelte politico-istituzionali sul piano interno e internazionale del nostro Paese, perché possono contribuire ad accelerare la transizione attraverso investimenti in innovazione e ricerca oppure ritardarla ulteriormente”.  

Un impegno da parte del Governo anche alla luce della discussione in corso a Katowice (in Polonia) dove si sta svolgendo la Conferenza sul Clima, un appuntamento di grande importanza per il futuro dell’Accordo di Parigi. Il recente rapporto IPCC ha infatti fornito solide prove sulla necessità e l’urgenza di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1.5°C per poter vincere la sfida climatica e contenere in maniera significativa i danni climatici non solo per i paesi più poveri e vulnerabili, ma anche per l’Europa.

“Il successo della COP24 dipenderà dall’Europa, ma anche dagli impegni degli dagli Stati – scrivono le tre associazioni – In questo scenario diventa determinante che le scelte portate avanti dai Governi e dalle imprese controllate siano coerenti con questa direzione strategica”. A oggi, invece, le attività di Eni sono arrivate ad interessare 71 Paesi, movimentando nel 2017 migliaia di barili/giorno di idrocarburi (gas e petrolio) con esplorazioni che stanno andando a interessare sempre più aree del mondo, tra l’altro assai delicate da un punto di vista ambientale: dal circolo polare artico ai tanti pozzi già produttivi  o di cui è prevista l’entrata in produzione in varie aree nel Mediterraneo, passando per il Golfo del Messico e l’Oceano Indiano, il Mar Caspio e quello di Barents, la foresta amazzonica e le coste africane. È preoccupante inoltre che pure i minimi investimenti nelle fonti rinnovabili portati avanti da Eni, sottolineano ancora Greenpeace, Legambiente e Wwf, “coinvolgono anche l’uso di materie prime come l’olio di palma, che deriva da attività spesso connesse alla deforestazione e che contribuiscono in maniera rilevante alle emissioni di gas serra”. Così come “non è più possibile accettare acriticamente le ripetute dichiarazioni sulla ‘sostenibilità climatica’ del gas naturale, sui cui tanto Eni afferma di puntare. Numerosi rapporti confermano infatti che il computo complessivo delle emissioni di gas clima-alteranti connesse alle produzioni di gas naturale sono, e sono state, ampiamente sottostimate. Se l’utilizzo del gas è un elemento degli scenari di transizione energetica, la scala del proposto sviluppo di una ulteriore dipendenza dal gas naturale della nostra economia è contraria a ogni ipotesi ragionevole di tutela del clima e di indipendenza energetica”.
  Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2018/12/eni-continua-rilanciare-fonti-fossili-associazioni-di-maio/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Un polmone verde in città: il primo bosco abitabile tra le vie di Torino

“25 Verde” è il nome del progetto dell’architetto Luciano Pia, ideato nel 2007 e concluso nel 2012 che rappresenta un innovativo progetto di verde urbano in città, configurandosi come il primo esperimento di bioarchitettura ecosostenibile a Torino. L’intervento si presenta come un vero e proprio “bosco abitabile”, volto a coniugare ed integrare natura ed architettura urbana. Inquinamento, smog ed antropizzazione sono solo alcuni degli aspetti critici con cui ci troviamo a convivere quotidianamente, che rappresentano un campanello d’allarme che non si può più ignorare. La crescente antropizzazione ha portato nel tempo ad un progressivo abbassamento degli standard di qualità ambientale e di vivibilità, con cui ci troviamo a fare i conti tutti i giorni. In tale ottica, molte città si stanno muovendo verso una nuova direzione che, fondandosi su una maggior consapevolezza e coscienza ambientale, mira a proporre nuovi modelli di sviluppo che diffondano una cultura basata sulla sostenibilità e su un maggior benessere, ricercando quella originaria connessione con la natura che in parte è stata persa e in parte dimenticata. Tra le diverse pratiche in atto, il verde urbano risponde proprio a questa volontà e rappresenta un elemento fondamentale e necessario per la nostra vita nelle città, declinandosi in una molteplicità di forme: dai parchi e giardini, agli orti urbani, ai giardini pensili. Tutti questi esempi hanno la capacità e peculiarità di aiutare ad attenuare gli squilibri ambientali della città contemporanea e ricreare nuovi equilibri sul territorio in vista di una maggior vivibilità. bosco-abitabile-torino-polmone-verde-in-citta-1519901539

Torino negli ultimi anni ha dato vita a sperimentazioni innovative che indirizzano ad una maggior attenzione proprio verso la cultura del verde. In particolare, un esempio curioso che di recente ha destato l’interesse e l’attenzione di molti residenti della zona, passanti e turisti, è il cosiddetto “Bosco abitabile” di via Chiabrera.  Tale progetto si configura in un complesso residenziale dal nome “25 Verde”, localizzato in via Chiabrera 25, non molto lontano dal Parco del Valentino. Giungendo in sua prossimità, si può notare come l’intervento occupi un isolato, la cui vegetazione cresce rigogliosa su tutti i fronti del complesso che si affacciano sulle diverse vie.  Nello specifico, l’idea è stata quella di dare vita ad un vero e proprio progetto di riforestazione metropolitana che combini ed integri elementi naturali in un contesto architettonico. Il progetto architettonico è stato realizzato da Luciano Pia, in collaborazione con lo Studio Lineeverdi che si è occupato del progetto paesaggistico. La stretta relazione ed integrazione tra la componente architettonico-progettuale e quella paesaggistica si traduce in un esempio pionieristico volto a generare una nuova commistione tra forme urbane e naturali. L’intervento si sviluppa su una superficie abitabile di 7500 mq che conta 63 appartamenti ed offre 4000 mq di terrazzi e tetti verdi, che includono circa 200 alberi e grandi arbusti. Con la sua densa vegetazione, il complesso ha la capacità di emergere in termini visivi rispetto agli edifici circostanti, integrandosi in modo armonico e naturale col tessuto urbano che lo circonda.  L’aspetto innovativo del progetto si focalizza sull’utilizzo di specifiche tecnologie e tecniche costruttive che permettono di unire il comfort abitativo con l’aspetto ambientale, energetico ed architettonico.  Nello specifico, dal punto di vista ambientale, la presenza dell’alto numero di alberi apporta consistenti benefici, in quanto riduce e filtra le polveri sottili provocate dalle autovetture, assorbe l’anidride carbonica e protegge dall’inquinamento acustico. Inoltre la consistente presenza di piante di diversa specie vegetale distribuite lungo le facciate e sui tetti, favorisce e tutela la biodiversità, dando vita ad un ecosistema in continua evoluzione e trasformazione. Sotto il profilo energetico, sono le piante stesse a creare un microclima ideale all’interno dell’edificio, mitigando gli sbalzi di temperatura in estate ed in inverno. Tra diverse varietà arboree, sono state favorite le specie decidue, poiché permettono un maggior irraggiamento solare nel periodo invernale.
La massima efficienza energetica, inoltre, è stata garantita affinché nulla vada sprecato: si riscontra nel complesso un totale recupero dell’energia ed un riutilizzo del calore nel sistema edificio-impianto, così come la raccolta delle acque piovane, lo stoccaggio ed il riutilizzo per l’irrigazione del verde.  Infine, dal punto di vista architettonico, il progetto si focalizza sulla forte integrazione delle forme e dei materiali con la componente naturale e vegetativa che lo caratterizza: gli elementi strutturali sono stati infatti realizzati in acciaio Corten che, con le loro forme, ricordano gli alberi della foresta, ed inoltre l’edificio è stato rivestito con scandole di legno, al fine di evocare la corteccia degli alberi.bosco-abitabile-torino-polmone-verde-in-citta-1519901120

La sperimentazione di nuove pratiche che valorizzano il verde nelle architetture risulta vincente all’interno degli ambiti urbani, in quanto la vegetazione, grazie alla sua versatilità, è capace di inserirsi in un contesto antropico plasmandolo e rinnovandolo col passare del tempo e delle stagioni, modificando la percezione della città stessa.
L’insieme di tutti questi elementi mostra nel complesso una forte attenzione verso pratiche urbane innovative che rispondono a degli ormai necessari bisogni della città e che rivolgono lo sguardo verso nuove forme dell’abitare in cui la natura rivendica e ritrova i suoi spazi. Grazie alla stretta integrazione dell’architettura con la vegetazione, la città scopre nuove forme, si sviluppa in verticale e si trasforma costantemente, dando vita a nuove forme urbane, e ancora più importante, a nuove forme di consapevolezza verso l’importanza che le tematiche ambientali rivestono.

Foto copertina

Autore: Studio LineeVerdi

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/bosco-abitabile-torino-polmone-verde-in-citta/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Energia: stop al carbone dal 2025

Stop al carbone dal 2025. È quanto prevede la nuova Strategia Energetica Nazionale. Per il WWF si tratta di una prima vittoria per il clima e la salute dei cittadini. La scelta del Governo di fissare “l’obiettivo politico” dell’uscita dell’Italia dal Carbone nel 2025 con la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN) rappresenta una prima vittoria per il clima e per la salute dei cittadini e corona anni di battaglie, proposte e richieste che il WWF ha ribadito anche nelle osservazioni presentate al documento in fase di consultazione.  Il fatto che finalmente un documento governativo ufficiale dichiari questo obiettivo, per quanto definendolo ambiguamente “obiettivo politico”, rappresenta un importantissimo passo avanti verso un più ampio processo di decarbonizzazione, assolutamente indispensabile, secondo la comunità scientifica internazionale, per tentare di contrastare i più gravi effetti dei cambiamenti climatici in atto.2364_FotoGaleria_179698_0

Ora, però, è necessario che alla dichiarazione della SEN seguano provvedimenti e politiche: come tutti gli obiettivi, infatti, anche quello del phase out dal carbone, necessita di azioni concrete e operative oppure rischia di rimanere sulla carta: per questa ragione da domani il WWF chiederà al governo di dar corso alle norme attuative, tenendo conto delle indicazioni contenute nel rapporto “Politiche e misure per accelerare la transizione energetica e l’uscita dall’uso del carbone nel settore elettrico”, in cui si dimostra  come l’introduzione di adeguate regole finanziarie e meccanismi fiscali non solo possa facilitare l’uscita dal carbone, ma possa tradursi in un vantaggio economico per il nostro Paese.  Altro aspetto certamente positivo della SEN, è rappresentato dall’aver accolto l’obiettivo 55% di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2030, che costituisce un punto imprescindibile non solo verso la decarbonizzazione ma anche verso una maggiore sicurezza negli approvvigionamenti energetici visto che le fonti di energia rinnovabile (FER) non devono dipendere da  importazione esterne.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/11/energia-stop-carbone-2025/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Clima ed energia: Roma fa sul serio

Lo scorso 14 novembre l’Assemblea Capitolina ha approvato l’adesione di Roma al Patto dei Sindaci per il Clima e l’Energia, la principale iniziativa a livello europeo che coinvolge le città nella lotta al cambiamento climatico.9696-10471

Dopo un passaggio in Giunta Comunale (memoria numero 62 del 9 ottobre) e l’approvazione in Commissione Ambiente (3 novembre), l’atto è stato sancito ufficialmente dall’Assemblea Capitolina, terminando quindi il suo iter procedurale. Ora ci si concentrerà nella redazione del Piano di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (PAESC), lo strumento operativo che dovrà dimostrare, in pratica, come la città di Roma intende raggiungere gli obiettivi che si è prefissata con l’adesione al Patto dei Sindaci per il Clima e l’Energia e ben sapendo che l’obiettivo minimo da raggiungere è una riduzione del 40% delle emissioni di gas climalteranti sul territorio della città entro il 2030. Oltre alla riduzione delle emissioni (mitigazione), il PAESC dovrà contenere anche una valutazione preliminare di resilienza, propedeutica ad una vera e propria Strategia per l’Adattamento. La Commissione Europea concede due anni dalla data di adesione, quindi Roma dovrà presentare il proprio PAESC entro il 14 novembre 2019. Ricordiamo che Roma aveva già aderito al Patto dei Sindaci nel 2009 e il Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (PAES) che fu adottato nel 2013, in realtà non fu mai attuato e le azioni in esso contenute furono presto dimenticate. Le Amministrazioni che si sono succedute tra il 2009 e il 2015, evidentemente, non hanno creduto nell’importanza di questo percorso. La Giunta Raggi, presa visione della situazione e del ritardo accumulato dalle precedenti Amministrazioni, ha deciso di proporre la revoca del precedente PAES, consapevole che ciò che non fu fatto in 10-12 anni non avrebbe potuto farsi in 3-4 (tanti ne rimanevano al 2020, orizzonte temporale per il PAES). La revoca è stata necessaria anche per un’altra ragione, prettamente politica, è cioè il fatto che il precedente PAES non rispondeva alla visione di città sostenibile che la nuova Amministrazione intendeva portare avanti. Nel nuovo PAESC, che ha un orizzonte temporale al 2030 in quanto si riferisce alle città che hanno aderito al Patto dei Sindaci dopo il 2015, confluiranno le visioni e le strategie settoriali già in atto con la nuova Amministrazione, a cominciare dal Piano per la gestione dei Materiali Post-Consumo (PMPC) che sarà di supporto al fine di calcolare la riduzione delle emissioni, con la nuova politica, nell’ambito del ciclo dei rifiuti; tema quello dei rifiuti che era stato escluso nel precedente PAES. Inoltre, il Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile (PUMS) che contribuirà nel PAESC per quanto riguarda il settore dei trasporti e un pacchetto di azioni sono state già identificate. Ancora, le Linee di indirizzo per Smart City che daranno un contributo importante al PAESC al fine di rendere la nostra città più vivibile e inclusiva. Questi e altri piani di settore strategici comporranno il PAESC che darà una fotografia omogenea e olistica della città al 2030, ma partendo da adesso, con azioni che sono già in campo. Ridurre le emissioni di gas climalteranti significa risparmiare energia, soprattutto quella da fonte fossile. Risparmiare energia significa liberare risorse economiche che possono essere utilizzate per altri scopi. Le azioni che saranno inserite nei Piani settoriali e, in ultima analisi, nel PAESC, saranno azioni credibili e fattibili, con un piano economico-finanziario ben delineato. La sfida è enorme, Roma ha una superficie che è dieci volte Parigi e diversi Municipi sono più grandi e popolati di città come Genova, Reggio Emilia e tante altre città italiane. Per questo si lavorerà tutti insieme: Roma Capitale, Municipi, Cittadini, Associazioni di categoria ed imprese con un unico obiettivo: rendere Roma una città sostenibile e resiliente.

 

Fonte: ilcambiamento.it

«In assoluto silenzio, arriva una nuova centrale Edison a Marghera»

«Alla Centrale Edison di Marghera Levante si stanno approntando lavori enormi, di cui nessuno in città ha mai discusso né saputo nulla». È la denuncia che arriva nella lettera aperta che Michele Boato, Franco Rigosi e Carlo Giacomini, per Ecoistituto del Veneto e Medicina Democratica, hanno inviato al Comune di Venezia, alla Giunta regionale del Veneto e al ministero dell’ambiente.9700-10475

«Si tratta della costruzione di un nuovo gruppo a Turbogas da 775 Mega Watt, con l’eliminazione di 2 turbogas vecchi e con il terzo tenuto in “riserva fredda”, cioè fermo e fatto funzionare solo in caso di manutenzione del nuovo – si legge nella lettera aperta – La potenza prodotta non cambia di molto (da 740 a 775 MWe di potenza netta),  ma la nuova la macchina sarà migliore, per cui le NOx emesse dovrebbero ridursi del 20 % rispetto alle attuali, si dovrebbe usare il 15 % di acqua in meno, e ridurre la CO2 emessa (ma non è chiaro di quanto). Inoltre, il rendimento dovrebbe passare dal 50 al 61,5 %. Dal punto di vista tecnico, quindi, nulla da dire. Ma dal punto di vista gestionale e politico sì : scopriamo per vie traverse che in commissione VIA nazionale stanno discutendo un progetto Edison per Marghera, di cui la città è del tutto all’oscuro. Come mai nessuno parla di una nuova centrale che rimarrà a Marghera per i prossimi 30 anni e oltre? Una centrale che continua l’attuale scelta di produzione elettrica a Marghera ? Quando è stata presentata al pubblico e dove, come tassativamente previsto dalla legge sulla Valutazione di Impatto Ambientale? La nuova centrale migliora gli standard emissivi; ma ci va bene continuare ad averla?».

«Non è il caso che le autorità locali chiedano di porre almeno due prescrizioni alla centrale, se approvata e cioè:
1. Subordinare il suo funzionamento al rispetto dei limiti dell’aria urbana: se si superano i limiti ammissibili, come succede ora in inverno, la centrale deve fermarsi.

  1. Imporre ai 47.200 mc/ora acque calde scaricate in laguna un utilizzo per teleriscaldamento, acquacultura, serre, o altro, da far gestire dalla Edison stessa, come una minima compensazione dell’impatto ambientale provocato dall’impianto».

Per contattare Michele Boato QUI

Fonte: ilcambiamento.it

Energia, ENEA: aumentano consumi finali e produzione elettrica ma anche emissioni di CO2

387809_1

È uno scenario complesso quello delineato da ENEA per i primi tre mesi del 2017, con un sensibile peggioramento dell’indice ISPRED che misura la transizione del sistema energetico nazionale sulla base di sicurezza, prezzi e andamento della CO2. Segnali di ripresa per il sistema energetico nazionale con l’aumento di consumi finali di energia (+1,7%) e produzione elettrica (+6,4%) ma, allo stesso tempo, criticità emergenti sul fronte della sicurezza, dei prezzi e delle emissioni di anidride carbonica. È uno scenario complesso quello delineato dall’Analisi Trimestrale ENEA relativa ai primi tre mesi del 2017, con un sensibile peggioramento (-10% su base annua) dell’indice ISPRED che misura la transizione del sistema energetico nazionale sulla base di sicurezza, prezzi e andamento della CO2.

“L’inverno 2016/2017 – spiega Francesco Gracceva, l’esperto ENEA che ha coordinato l’Analisi – ha fatto emergere alcune fragilità del nostro sistema energetico che negli ultimi anni erano state sottovalutate e mostrato come la transizione energetica continui a presentare aspetti problematici. Le nostre simulazioni così come quelle di ENTSO-E, l’Associazione europea dei gestori delle reti elettriche, evidenziano che nel corso dell’estate potrebbero verificarsi problemi di adeguatezza, in particolare nel Centro-Nord, qualora si verificasse un mix di condizioni estreme con alte temperature, bassa produzione da fonti rinnovabili non programmabili e bassa idraulicità”.

Ma non solo. Il forte aumento della produzione interna di elettricità e la ripresa della domanda di gas per usi finali hanno determinato il secondo incremento trimestrale consecutivo delle emissioni di CO2  (+2,8%), che quest’anno potrebbero raggiungere livelli simili a quelli del 2013. Nello specifico, dall’Analisi emerge che nel primo trimestre 2017, i consumi di energia primaria sono tornati a crescere (+0,9%), trainati dal forte aumento dell’utilizzo di gas (+9%), mentre i consumi finali sono aumentati dell’1,7%, con un +3% nel civile, per effetto delle condizioni climatiche e un +2% nell’industria per la ripresa della produzione. In crescita anche la produzione elettrica nazionale (+6,4%) con una quota di termoelettrico pari al 73% del totale (con punte del 77% a gennaio), un livello che non si registrava da un decennio. In sensibile calo l’import di elettricità (-29%) anche se in misura minore rispetto al -60% del IV trimestre 2016. Questo insieme di elementi ha determinato un periodo transitorio di forti rialzi dei prezzi sulla borsa elettrica, fino a 94 euro/MWh di media giornaliera nella zona Nord a gennaio. Una dinamica simile ha coinvolto il sistema gas, dove i picchi di domanda vicini ai massimi storici (425 Mm3) hanno indotto i decisori a raccomandare un aumento delle importazioni con un impatto sui prezzi che, sempre a gennaio, sul mercato all’ingrosso italiano sono stati di quasi 4€/MWh più alti rispetto al resto d’Europa. Di fatto, nel caso in cui non fossero completamente disponibili tutti i punti di entrata nella rete nazionale, la copertura di picchi eccezionali di domanda potrebbe risultare problematica. Tre fattori hanno determinato questo scenario: il forte calo delle importazioni di elettricità (con un picco di -68% a gennaio) per il fermo temporaneo di parte degli impianti nucleari francesi tra fine 2016 e inizio 2017; la scarsa idraulicità che ha determinato una diminuzione della produzione idroelettrica che prosegue ormai da due anni; la progressiva sostituzione del carbone con gas, un trend iniziato nel 2016. Questi tre elementi hanno spinto la ripresa del ruolo del gas che nel I trimestre 2017 ha segnato + 18% dopo il +27% del IV trimestre 2016.

“Nel breve-medio periodo sarà importante capire in che misura i fattori congiunturali che hanno determinato le criticità degli ultimi mesi possano divenire strutturali. Le prospettive incerte del parco nucleare francese, la possibilità che i cambiamenti climatici già in atto abbiano effetti di lungo termine sull’idraulicità come anche sui picchi di caldo estivo, la possibilità che si verifichino nuovamente punte invernali della domanda di gas vicine ai massimi storici costituiscono altrettante ragioni per ritenere che la seconda eventualità non possa essere esclusa a priori”, conclude Gracceva. Il nuovo numero dell’Analisi Trimestrale ENEA contiene anche una valutazione della dinamica del peso dell’energia sui costi dell’industria italiana, da cui emerge, tra le altre cose, che la crisi economica sembra aver portato a un peggioramento della posizione relativa dell’industria italiana energy intensive.

Per l’Analisi Trimestrale completa clicca qui

Fonte: ecodallecitta.it

 

Energia, trasporti e clima, IEA: senza un cambiamento forte non c’è futuro

Secondo la International Energy Agency solo veicoli elettrici, accumulo energetico, fotovoltaico ed eolico crescono al ritmo giusto per limitare i cambiamenti climatici.http _media.ecoblog.it_0_0f0_energia-clima-trasporti-iea

L’ultimo report Energy Technology Perspectives 2017 della IEA, la International Energy Agency, fa il punto sullo sviluppo delle tecnologie green che ci dovrebbero permettere di limitare fortemente l’aumento della temperatura globale e i conseguenti cambiamenti climatici. Secondo l’agenzia solo in tre aree su 26 in totale il mondo è sufficientemente avanti, sia nella tecnologia che nell’implementazione pratica, per evitare che si superino i 2 gradi centigradi di aumento delle temperature globali entro il 2025. Queste tre aree sono: auto elettriche, energy storage (cioè l’accumulo di energia, in batterie di vario tipo) e l’area formata dalla coppia di energie rinnovabili elettriche del solare fotovoltaico e dell’eolico on shore.

Tutto il resto è preoccupantemente indietro, come mostra l’infografica IEA:http _media.ecoblog.it_a_a6c_iea-aree-sviluppo-tecnologie-verdi

Si nota facilmente che le bioenergie, il solare a concentrazione, l’energia dalle onde marine e quella geotermica sono nettamente indietro rispetto agli obiettivi. Stessa cosa vale per il risparmio energetico negli edifici, nella cattura e stoccaggio della CO2, nella diminuzione delle centrali a carbone, nell’efficienza delle spedizioni internazionali, nelle rinnovabili termiche e nei biocarburanti per i trasporti. Per quanto riguarda le auto elettriche, secondo la IEA, i veicoli verdi circolanti nel 2016 sono saliti a 2 milioni nel mondo. Il trend di crescita è positivo, ma il totale dei veicoli elettrici è ancora troppo basso. Con i ritmi di crescita attuali le auto elettriche aumenteranno di numero di 28 volte entro il 2030, se verranno rispettati gli impegni di Parigi sul clima. Per restare entro i 2 gradi di aumento delle temperature serviranno 160 milioni di veicoli elettrici, per scendere sotto i 2 gradi ne serviranno 200 milioni fino ad arrivare al 90% di auto elettriche entro il 2060. La IEA non perde l’occasione per ribadire che per raggiungere questi obiettivi saranno necessari enormi investimenti in tecnologia e infrastrutture (basti pensare alla diffusione delle colonnine elettriche super veloci) e un chiaro e duraturo impegno politico, che punti anche sul trasporto pubblico collettivo.

Credit foto: IEA

Fonte: ecoblog.it

Nelle Marche il primo passo verso un ecovillaggio sostenibile e autosufficiente

Un ecovillaggio completamente autosufficiente dal punto di vista energetico ed economico situato nello splendido contesto delle colline marchigiane, tra mare e montagna. Nasce dall’impresa sociale Montefauno, azienda agricola di prodotti biologici, il progetto dell’ecovillaggio “La Magione”, un esempio concreto di un nuovo modo di abitare e vivere su questo pianeta. L’impresa sociale Monte Fauno è un’azienda agricola marchigiana che produce prodotti biologici certificati, “con l’intento di racchiudere in un vasetto” – si legge sul sito – tutti gli odori e i sapori della migliore cucina italiana”. Nata su iniziativa di Luigi Quarato, la Montefauno è il primo passo per un progetto molto più ampio che sta poco a poco prendendo vita, quello di costruire l’ecovillaggio “La Magione”  nel Maceratese, presso il comune di Montefano.la-magione2

“Per arrivare alla fase esecutiva di un ecovillaggio in linea con la nostra filosofia abbiamo seguito un percorso diverso dal solito”, spiega Luigi, “e prima di trovare il gruppo con cui condividere questa esperienza abbiamo voluto verificare la fattibilità del progetto”. “La Magione” sarà un ecovillaggio completamente autosufficiente economicamente, vi si stabiliranno 40 famiglie e in ciascuna di esse uno dei membri potrà lavorare a una delle diverse attività che nasceranno.la-magione

L’azienda agricola Montefauno farà parte dell’ecovillaggio e oltre alla consueta produzione di ortaggi (prevalentemente), è prevista la costruzione di un piccolo capannone per la trasformazione dei prodotti. Sorgeranno poi un’azienda per la lavorazione di piante officinali per l’estrazione di oli essenziali e pigmenti naturali, una struttura turistica dotata di sette camere e una cooperativa sociale per le attività di assistenza e formazione professionale (bioedilizia, agricoltura, gestione dei fondi comunitari ecc…). Le unità abitative, circa 40, saranno tutte autocostruite in paglia e terra cruda e verrà garantita una qualità eccellente, anche grazie alla convenzione instaurata con l’Università Politecnica delle Marche di Ancona, per cui ogni abitazione sarà ecocompatibile, ecosostenibile e autosufficiente. L’ecovillaggio che verrà (l’inizio dei lavori è previsto per la primavera 2018 e avranno durata di circa un anno), vuole rivedere nel complesso il modo di vivere odierno fornendo un’alternativa concreta e diventando esempio di sostenibilità dal punto di vista abitativo e alimentare, per la creazione di posti di lavoro etici e integrati nel contesto socio-economico locale, per le attività socio-culturali e – infine – per un nuovo modo di abitare e costruire.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/05/marche-ecovillaggio-sostenibile-autosufficiente/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

Energia: le previsioni al 2030 dell’Unione Petrolifera

Secondo l’associazione italiana dei petrolieri andremo incontro ad una forte crescita delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica. Ma i consumi non torneranno ai livelli ante-crisi.energia-previsioni-2030-unione-petrolifera

L’Unione Petrolifera italiana ha da poco rilasciato la sua ultima previsione sul futuro, da qui al 2030, dei consumi e della produzione di energia nel nostro paese. Il documento prende in considerazione sia la produzione e i consumi di energia elettrica, che quelli per usi termici e di autotrazione. Non potendosi basare su una Strategia Energetica Nazionale ben definita, visto che nessun Governo italiano ne ha ancora prodotto una credibile e completa, l’Unione Petrolifera si è basata sui vincoli europei attualmente vigenti anche per l’Italia.  In particolare ha fatto riferimento agli obiettivi EUCO 27, che prevedono il completo rispetto al 2030 degli obiettivi del Pacchetto Clima-Energia: riduzione delle emissioni di CO2 del 40% rispetto al 1990, minima del 27% di energia rinnovabile sul totale della domanda di energia primaria, miglioramento dell’efficienza energetica di almeno il 27%. Con queste premesse, partendo dagli scenari economici al momento più credibili, l’Unione Petrolifera ha ipotizzato quale sarà la ripartizione della produzione di energia al 2030 tra fonti fossili e fonti rinnovabili. Le previsioni economiche, va detto, non sono affatto rosee visto che l’UP prende in considerazione crescite del PIL di poco superiori all’1% annuo per tutto il periodo di riferimento.

Previsioni al 2030 sulla produzione di energia elettrica

Questo mancato sviluppo economico, unito all’aumento dell’efficienza energetica imposto dall’Europa, farà sì che i consumi di energia (in particolar modo energia elettrica) non torneranno mai ai livelli precedenti alla crisi economica: 322 TWh nel 2020, 329 TWh nel 2025 e 331 TWh nel 2030. Neanche i consumi di gas naturale torneranno ai livelli pre crisi, a causa del miglioramento dell’efficienza delle centrali elettriche e dello sviluppo delle fonti rinnovabili: a fronte di un consumo pari a 83 miliardi di metri cubi di gas nel 2010, infatti, chiuderemo il 2017 con 70,8 miliardi di mc consumati per poi passare a 74 miliardi nel 2020, 73 nel 2025 e 68,2 nel 2030. A crescere, almeno se l’Italia rispetterà gli obiettivi EUCO 27, saranno solo le energie rinnovabili.

tabella-energia-previsioni-2030-unione-petrolifera

In particolare si nota come le biomasse passeranno dagli attuali 18 mila GWh di energia elettrica prodotti annualmente a 35 mila, l’eolico dai 16 mila ai 35 mila e il fotovoltaico da 24 mila a 45 mila GWh.

Previsioni al 2030 sul parco autovetture

Il parco auto circolante in Italia rappresenta una buona fetta dei consumi energetici del paese. L’Unione Petrolifera prevede una crescita del numero di veicoli circolanti, fino a 2018-22 (34,2 milioni di autovetture effettivamente circolanti), per poi ridimensionarsi nel corso del decennio successivo. Lo scenario preso in considerazione, questa volta, prevede il vincolo di 95 grammi di CO2 emessi per chilometro dalle automobili. I veicoli a gasolio cresceranno fino al 2020 fino a 15,3 milioni di unità, per poi scendere dopo il 2025 e tornare a 13 milioni nel 2030. Crescono GPL e metano, grazie soprattutto alla direttiva 2014/94/UE del Parlamento europeo (la cosiddetta Direttiva DAFI), che imporrà lo sviluppo di stazioni di rifornimento di carburanti alternativi a benzina e gasolio. Secondo l’Unione Petrolifera, invece, non sfonderanno le auto elettriche: dai 5 mila veicoli del 2016 a soli 300 mila nel 2030. Una goccia nel mare dei 13 milioni di veicoli effettivamente circolanti a quella data. Meglio andranno le auto ibride, previste in crescita da 106 mila a 3 milioni e buona anche la crescita delle ibride plug in, specialmente a benzina: da duemila a 400 mila. In pratica, secondo l’UP, nel 2030 in Italia circoleranno più auto ibride plug in che auto elettriche pure.

Credit foto: Flickr

Fonte: ecoblog.it