Scuola parentale: come, con chi e perché? Facciamo chiarezza!

Con la pedagogista Cecilia Fazioli e l’avvocato Gabriele Bordoni ci addentriamo nel mondo della scuola parentale, provando a dare una risposta ai dubbi e agli aspetti meno conosciuti di questa scelta educativa. Parallelamente, cerchiamo di capire cos’è che non funziona nella scuola pubblica e quali sono i margini di miglioramento.

Cecilia Fazioli – pedagogista, counselor, formatrice – e l’avvocato Gabriele Bordoni, esperto di tematiche legali associate alla scuola parentale, hanno approfondito – ospiti di ATuxTu condotto dal nostro Paolo Cignini – il grande tema delle proposte alternative alla scuola convenzionale.

Cecilia Fazioli

Cecilia ha pubblicato per Terra Nuova Edizioni il libro “La scuola parentale: Come farla diventare una vera opportunità formativa per bambini e ragazzi”. Si tratta di una guida pratica per capire come strutturare, passo dopo passo, una proposta alternativa alla scuola statale, un approccio che ponga al centro i bisogni dei ragazzi. Il libro nasce per colmare un vuoto in questo ambito ancora poco conosciuto e per risolvere la confusione creatasi attorno all’argomento. L’autrice ha lavorato nella scuola pubblica, si occupa di sostegno alla genitorialità ed è co-fondatrice di una scuola parentale. Partendo dalla riflessione che la scuola pubblica italiana risulta essere debole e insufficiente nell’affrontare i cambiamenti sociali e culturali, è lecito chiedersi quali sono le possibilità di scelta di un’educazione “alternativa”. Cecilia risponde partendo dalla definizione di scuola parentale, descrivendola come «un gruppo di famiglie che inizia un progetto educativo in comune, in collaborazione anche con educatori esterni, in cui si vive una dimensione collettiva, di comunità».

La scuola parentale può essere una valida alternativa, ma bisogna sapere come fare: «Chi vuole percorre questa strada – prosegue – deve affrontarla con i giusti strumenti e un’adeguata formazione. Altrimenti si rischia, pur avendo le migliori intenzioni, di non ottenere il risultato sperato. È una scelta di responsabilità del genitore che deve essere fatta in modo consapevole, a partire da una profonda indagine personale».cecilia fazioli

Ma quali sono gli ingredienti necessari per avviare una scuola parentale? Si parte prima di tutto dall’identità del progetto che deve essere «chiara e condivisa da tutti i genitori coinvolti, perché inevitabilmente la dimensione del desiderio individuale si intreccia e si scontra con la dimensione collettiva. Nelle mie consulenze parto proprio da qui e non è semplice perché si mettono in gioco le identità e i valori dei singoli genitori. Questa fase richiede tanta volontà di ascoltarsi, di interagire con gli altri, di essere aperti all’incontro con l’altro e nutrire il pensiero del gruppo, attraverso il confronto. Le famiglie sono tanti microcosmi che si uniscono e interagiscono per dare vita a una identità collettiva».

Un altro ingrediente fondamentale è la responsabilità. «Questo approccio all’educazione – sottolinea Cecilia in proposito – non si basa sulla delega. La scuola parentale non può vivere, resistere e crescere se non c’è un atteggiamento partecipativo. Tutti i componenti devono contribuire in modo attivo. Ogni giorno la scuola prevede attività, mansioni e non esistono figure come il bidello, l’insegnante o il dirigente. Tutti sono coinvolti e responsabili nel portare avanti la struttura».

Il modello della scuola pubblica è rimasto granitico. Non si è evoluto con le esigenze delle persone. Nella scuola si predispone un protocollo che deve andare bene per tutti, ma è evidente che qualcuno rimarrà fuori. «Chi non è conforme non è sbagliato, anche se passa questa idea. Siamo noi che abbiamo creato un ambiente che non è in grado di gestire la pluralità», spiega la Fazioli. «La scuola parentale invece offre l’opportunità di guardare il bambino per come è fatto e si muove per trovare un modo per cui si possa esprimere secondo i suoi talenti».

«Da qui è importante saper coltivare il dubbio nel suo significato di stare dentro i processi, interrogarsi e indagare. Il dubbio dovrebbe essere presente in tutti gli ambiti della vita e in particolare nell’ambito educativo perché implica muoversi verso l’altro, vederlo, mettendo in discussione le proprie certezze e riconoscendo gli eventuali errori». Un dialogo e un continuo confronto da coltivare anche verso l’esterno con le realtà del territorio, con altre scuole e con le istituzioni, poiché è importante per i bambini non rimanere chiusi dentro la propria situazione, per evitare anche di essere percepiti come elitari. Anche gli aspetti pratici sono centrali e da pianificare con attenzione: scegliere un luogo idoneo, darsi delle regole e una forma giuridica chiara e ordinata. A tal proposito interviene l’avvocato Gabriele Bordoni, curatore di un capitolo del libro proprio dedicato alle questioni legali: «La costituzione contiene delle norme che prevedono la libertà di istruzione e di educazione dei figli nel rispetto di alcuni parametri fondamentali per la crescita dei ragazzi. Esiste una gamma molto estesa di forme giuridiche che può assumere la scuola parentale. Viene definito un ambito spaziale in cui si va ad operare con delle caratteristiche di sicurezza, di igiene e pensato per evitare l’esposizione al rischio. In base alle dimensioni del progetto e alle intenzioni, si decide quale strada prendere, ad esempio creando un’associazione, una società di persone o una cooperativa sociale. Le possibilità sono tante, da esperienze ristrette ad altre molto più strutturate. L’intento è di proteggere l’asse educativo sia dall’interno che dall’esterno».

Oltre agli obblighi esistono anche agevolazioni fiscali. L’importante è avere consapevolezza di cosa si sta facendo: lasciare al caso o essere superficiali è dannoso perché si rischia di essere poi dequalificati, perdere di credibilità anche come realtà alternativa di scuola parentale. È un’esperienza complessa e gli aspetti pedagogici si intrecciano con quelli giuridici: «Tengo a dire – prosegue il legale – che non si tratta di una competizione tra scuola pubblica e scuola parentale. Ci vorrebbero collaborazione, confronto e contaminazione tra le due strutture così da avere un arricchimento e un miglioramento reciproco. Credo sia fondamentale recuperare l’aspetto umanistico dell’educazione. La scarsa capacità di confrontarsi, di aiutarsi, dello scambio di idee, di collaborare ha sicuramente una responsabilità nella scuola che non ha la capacità di indirizzare e arginare questa deriva pessima che si riscontra nel mondo giovanile».

Il quadro sembra dunque delinearsi più chiaramente e ulteriori dubbi sono fugati dalla riflessione conclusiva di Cecilia: «Bisogna capire il senso educativo più in profondità, ragionare su domande che hanno a che fare con la nostra esistenza, il tempo di oggi ce lo sta chiedendo. La scuola pubblica non riesce a dare queste risposte, non si pone nemmeno le domande. La scuola parentale può essere portatrice di un pensiero rinnovato con un’attenzione agli aspetti umanistici, che oggi purtroppo sono lasciati da parte».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/scuola-parentale-facciamo-chiarezza/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Attenzione rallentare: qui i bambini giocano ancora per la strada!

Gli stimoli per una riflessione si possono trovare ovunque, anche in un cartello stradale. È quanto mi è accaduto durante una passeggiata, così è nato questo articolo che vuole essere unicamente un invito a far trascorrere ai nostri bimbi più tempo all’aria aperta, per favorirne una crescita più equilibrata. Durante una passeggiata sulle colline di Borgosesia, cittadina di circa 12.000 abitanti alle porte della Valsesia, mi sono imbattuta in uno straordinario cartello recante la seguente scritta: “Attenzione – Rallentare. In questo paese i bambini giocano ancora per la strada.” Sono i residenti della Frazione Pianaccia che invitano a prestare attenzione alle esigenze dei più piccoli e ai loro diritti. Stimolata anche dall’immagine gioiosa di bimbi all’aria aperta riportata dal cartello, la mia mente in un attimo ha ritrovato istanti felici di molti anni fa, quando correre sui prati o giocare per la strada rientrava nella quotidianità, quando solo il cattivo tempo era nemico dell’attività ludica all’aria aperta. Fa sorridere ripensare alle mamme che, puntualmente alle 16,30, ci chiamavano per la merenda e non ricevendo attenzione, rassegnate, ci trascinavano a lavarci le mani tentando di ingolosirci con il miraggio della merenda preferita. Ed era una fetta di torta o un panino imbottito che in pochi minuti sparivano per lasciare nuovamente il posto al pallone, o alla corda per saltare, o a vari giochi di abilità. Parecchi erano i compagni di gioco che formavano quell’allegra brigata, a volte resa ancor più schiamazzante dalla presenza di amici a quattro zampe.

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Ho definito “straordinario” questo cartello perché non è facile incontrarne di simili, e perché è un richiamo a una norma che dovrebbe essere prioritaria in una società attenta al proprio futuro: la formazione equilibrata di bimbi che saranno gli uomini e le donne di domani. Con l’avvento di una tecnologia orientata più al business che non alle effettive esigenze dell’essere umano, anche i bambini sono stati coinvolti in realtà troppo spesso virtuali e prive di fantasia e rapporti umani. È sempre più frequente infatti vedere ragazzini e adolescenti persi nei propri tablet o smartphone, piuttosto che in chiacchiere e risate con i coetanei. Con questo non intendo demonizzare la tecnologia che si rivela preziosa in molte altre situazioni, ma evidenziare come una vita sempre più frenetica non ci consente di trascorrere il giusto tempo con i nostri figli, trascurando così aspetti fondamentali della loro educazione. Troppo spesso questi dispositivi elettronici diventano il surrogato dei genitori, togliendo ai più piccoli la capacità di sviluppare la fantasia e facendo loro perdere importanti esperienze della vita.

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Le conseguenze sono preoccupanti: uno psicologo americano, il Dott. Peter Gray, autore di un saggio intitolato “Lasciateli giocare”, ha infatti dimostrato, in uno studio condotto tra il 1985 e il 2008, che le nuove generazioni, avvezze all’uso di internet e con più amici virtuali che non reali,  hanno perso l’85% della creatività rispetto a quelle precedenti. Trascorrere troppo tempo davanti a uno schermo può avere effetti deleteri anche sulla saluta fisica, esponendo i ragazzi a un maggior rischio, in età adulta, di sviluppare malattie cardiovascolari e obesità.

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È attraverso il gioco che il bambino impara e diventa consapevole del mondo che lo circonda e le sue attività ludiche si modificano e crescono di pari passo al suo sviluppo psicologico e intellettivo. Grazie al gioco il bambino sviluppa le proprie potenzialità, impara e sperimenta la creatività e le proprie capacità cognitive fino a strutturare l’intera personalità. Dovrebbe essere spronato a giocare all’aria aperta, a stretto contatto con la natura, in giardino, in un parco o in un bosco per imparare a  conoscere e a rispettare il mondo vegetale e animale e perché vivere all’aperto fa bene anche alla salute, contribuisce a sviluppare il sistema immunitario, fornisce al bambino vitamina D utile per le ossa e migliora il tono dell’umore. Si tratta forse di una mia elucubrazione, che vuole essere scevra da giudizi, ma facendo un parallelismo tra il comportamento degli odierni genitori rispetto a quelli di qualche decennio fa, si notano inoltre atteggiamenti maggiormente protettivi, ovviamente giustificati da aumentati pericoli, ma anche la propensione a indirizzare i figli verso sport organizzati e orientati alla competizione, piuttosto che lasciarli giocare liberamente dando loro la possibilità di esprimere i propri naturali talenti.

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Friedrich Schiller, noto poeta e filosofo tedesco, ci ha lasciato questa indicazione: «Bisognerà quindi educare l’uomo al sentimento della bellezza facendo rivivere in lui l’antico ideale pedagogico greco del bello e del buono. Il gioco è un’attività ineliminabile nella natura umana che non persegue alcun fine esterno a se stessa, né esso è ispirato da un preciso scopo razionale, ma è un atto dove sensibilità e razionalità convivono nell’azione ludica rendendo l’uomo libero. In questa armonia di forma e materia si realizza la bellezza e l’essenza umana per cui l’uomo è completamente uomo solo quando gioca».

Occorre trovare il giusto compromesso, evitare la sovraesposizione ai dispositivi elettronici senza criminalizzare la tecnologia, evitando magari di utilizzare lo smartphone durante i pasti e non usufruirne per ipnotizzare i figli davanti a un cartone animato. Sarebbe auspicabile per questi dispositivi un uso intelligente e non un abuso, limitando il tempo dedicato alla tecnologia a favore di attività fisica all’aria aperta, evitando così anche l’insorgere di possibili problematiche comportamentali, incentivando altresì la creazione di spazi e infrastrutture che soddisfino le esigenze ludiche e di socializzazione dei bambini.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/01/attenzione-rallentare-qui-bambini-giocano-ancora-strada/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Una scuola a rischio chiusura rinasce e diventa Eco School

A rischio chiusura per mancanza di utenza, una scuola di una piccola frazione di Sondrio è rinata all’insegna dell’educazione ambientale e delle buone pratiche. Nell’Eco School di Triangia oggi i bambini trascorrono all’aperto la maggior parte del tempo, mangiano cibo sano, allenano la creatività e coltivano un orto dove imparano attraverso l’esperienza attiva anche i contenuti disciplinari. Affinché la società possa cambiare in meglio è cruciale porre la massima attenzione sulle nuove generazioni ed è per questo che Italia Che Cambia ha sempre cercato di intercettare e documentare il lento ma inesorabile cambiamento in atto anche in ambito scolastico. L’intervista all’Eco School Triangia nella piccola frazione della città di Sondrio, è stata una ventata d’aria fresca e non soltanto per il fatto che grazie all’ambiente naturale in cui è immersa ci fosse molto più fresco che in città, ma perché qui tutto è pensato per favorire un approccio più consapevole da parte dei bambini e del personale che lavora nella scuola verso l’ambiente circostante e più in generale, verso la natura.

Appena arrivata, sono stata accolta nel bel giardino alberato della scuola dal corpo insegnanti e dagli alunni che si trovavano a fare la ricreazione all’aperto, con tanto di enorme zuppiera piena di spicchi di arancia da cui i bambini attingevano per lo spuntino di metà mattina. Chiedo alla coordinatrice del progetto Eco-School, Meri Tognela, da cosa nasce il progetto: «Il progetto di Eco-School è nato nell’anno scolastico 2013-2014 quando la scuola di Triangia era considerata una scuola a rischio chiusura, come molte piccole scuole del nostro territorio che sono state chiuse per mancanza di utenza. Quindi nel 2013, in collaborazione con l’amministrazione comunale dell’epoca e con degli esperti che già collaboravano sulle tematiche dell’educazione ambientale, abbiamo cercato un modo per caratterizzare la scuola. La proposta del programma Eco-School ci è sembrata fatta ad-hoc per noi, considerato il tipo di ambiente nel quale siamo inseriti e così abbiamo implementato il protocollo che viene effettuato dalle scuole che sono interessate ad ottenere la certificazione di Eco-School. È una certificazione internazionale: nella rete ci sono tantissime scuole sparse in tutto il mondo e viene proposta alle scuole dall’associazione internazionale FEE (Foundation for Environmetal Education, ndr.) che lavora con il patrocinio dell’UE. Grazie al programma (non solo hanno salvato la scuola, ndr.) abbiamo sperimentato un modo di lavorare che ha permesso di portare dentro la scuola un’innovazione didattica attraverso metodologie che vanno oltre la lezione frontale, ma più laboratoriali, più cooperative e più significative per i bambini».

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In seguito mi mostrano la scuola al suo interno, tutta adornata con i bei lavori creativi dei bambini, e la loro aula in cui, come mi spiega la maestra di matematica e scienze, Alessia Schiappadini: «I banchi sono disposti a piccoli gruppi per favorire il lavoro cooperativo e di gruppo, perché lavorando insieme ai suoi pari il bambino è più motivato ad assumere un ruolo attivo in cui aiuterà o spiegherà lui stesso, rendendo la lezione molto proficua». 

Nel vedere i piccoli studenti così incuriositi dalla mia presenza, ne approfitto subito per coinvolgerli e chiedo loro di raccontarmi cosa fanno a scuola. Mi mostrano così alcuni dei loro lavori, come il “dìDiario dell’orto” o il “Taccuino della scoperta del mondo”, poi parlando uno alla volta, diligentemente e per alzata di mano, mi raccontano con grande entusiasmo del bosco che si trova dietro alla scuola, del loro giardino alberato, dell’orto (dove ci trasferiremo subito dopo) e in definitiva del fatto che adorano passare all’aria aperta buona parte del tempo e non dover stare sempre sui libri. Come non capirli! Le maestre mi raccontano anche di aver preso parte alle varie mobilitazioni dei Fridays For Future, come lo scorso 15 marzo e quella del 24 maggio in cui mi dicono di aver fatto un flash mob e aver scritto dei messaggi per poter coinvolgere ed ispirare la cittadinanza, disseminando il paese di Triangia e la città di Sondrio di messaggi ecologici. Ci spostiamo poi nuovamente fuori per raggiungere il piccolo orto che hanno allestito dentro il giardino, dietro l’edificio scolastico e la maestra Alessia mi spiega che il progetto è uno dei tanti rientra nella didattica esperienziale, perché i bambini in questo modo imparano meglio e l’esperienza attiva le competenze; la lezione del giorno ad esempio verterà sull’individuazione del perimetro e dell’aerea, ma nel concreto, ovvero sulle particelle ortive.

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L’orto ve lo faccio raccontare direttamente dalle parole di Meri: «Siamo nell’orto didattico dell’Eco School di Triangia, che è uno spazio molto frequentato dai bambini in tutte le stagioni e che viene utilizzato come strumento di apprendimento dei contenuti disciplinari. Quindi la finalità di questo progetto non è rappresentata esclusivamente dall’apprendere le modalità di coltivazione ma viene spalmata all’interno degli apprendimenti disciplinari. In questo momento i bambini stanno svolgendo un’attività di geometria, in altri momenti abbiamo utilizzato l’orto per esempio per scrivere un diario delle attività, per produrre dei testi descrittivi, narrativi o anche regolativi, proprio perché quello che ci interessa è di dare un senso all’apprendimento, quindi cerchiamo sempre di legarlo all’esperienza che poi viene ricostruita in classe. Viene rielaborata per arrivare poi alla sistematizzazione dei contenuti delle varie discipline e questo ovviamente ha un impatto molto forte sull’apprendimento dei nostri alunni, i quali apprendono attraverso una modalità molto significativa per loro e contribuisce ad attivare le competenze andando a superare il modello di apprendimento nozionistico e meccanico a memoria». 

«Il progetto orto – continua Meri – si chiama “Cresciamo nell’orto” e questo riassume nel titolo il valore aggiunto di questa attività ed è strettamente legato a un altro progetto che abbiamo che si chiama “Rifioriamo la terra” e che ci ha consentito di riportare nella frazione di Triangia la coltivazione del grano saraceno e della segale che, purtroppo in tutta la Valtellina, è stata abbandonata da qualche decennio, nonostante la gastronomia valtellinese, compresi i piatti principe come i pizzoccheri e gli shatt, siano fatti utilizzando farina di grano saraceno, nelle botteghe si venda il pane di segale etc.; per questo oggi tutta la materia prima viene importata dall’estero.

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Ecco perché ci interessa lavorare sul bagaglio delle memorie storiche e delle tradizioni: perché pensiamo che sia importante conoscere le radici del territorio in cui viviamo per costruire la nostra identità e quella dei nostri alunni. Abbiamo fatto anche il collegamento con il significato di filiera corta, di km 0, agricoltura biologica, sostenibilità del territorio e biodiversità. Per questo motivo coltiviamo ortaggi al di fuori dalle specie comuni e quest’anno siamo diventati anche “custodi di semi” e facciamo libero scambio di semi anche col resto della cittadinanza a Sondrio». 

«Come fine ultimo di questo tipo di educazione che stiamo portando avanti con loro, oltre ad augurarci che possa portare un cambiamento nell’immediato, cerchiamo di pensare anche al loro futuro; nell’immediato poiché essendo portatori di buone prassi dentro le loro famiglie e i loro contesti sociali, già contaminano molto il modo di pensare, ma pensiamo anche al domani e ai futuri cittadini che avranno una sensibilità e una consapevolezza più sviluppate. Loro sanno di essere bambini, ma sanno anche che sia oggi che in futuro possono contribuire anche loro al cambiamento». 

1. È stato in quest’ultima occasione infatti che ho potuto assistere di persona alla creazione dei messaggi e alla loro collocazione nella piazzetta principale della frazione di Triangia.

 Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/08/scuola-rischio-chiusura-rinasce-diventa-eco-school/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Quando libertà e non violenza entrano a scuola.

Un connubio originale tra Maria Montessori e Marshall Rosemberg per portare nelle aule un approccio educativo fondato sulla libertà e la comunicazione non violenta. È la direzione scelta dall’associazione Parlare Pace che a Bargecchia, in provincia di Lucca, ha avviato l’esperienza pedagogica di “A scuola in libertà”.

“Maria Montessori diceva che realtà e fantasia non vanno divise, bisogna che vadano a braccetto perché la fantasia è quella che ti permette di sviluppare l’intelligenza, e l’intelligenza porta al cambiamento”. Queste sono alcune delle parole che Paola Francesconi, presidente dell’Associazione Parlare Pace, ha condiviso con noi quando, in una calda giornata di giugno, ci siamo inerpicati con il nostro mitico camper, su per le colline del comune di Massarosa. Direzione la sede di “A scuola in libertà”, a Bargecchia, in provincia di Lucca.

Queste prime parole raccontano già tanto di questo progetto: la capacità di osservare la realtà e con creatività individuare nuove linee di azione e cambiamento, partendo da ciò che piace, interessa, appassiona. Il mondo si può cambiare partendo da qualsiasi punto. Come nei Sette Sentieri di Italia che Cambia, non è importante tanto da dove si parte, quanto dove le nostre strade confluiscono e si incontrano. Parlare Pace Onlus nasce nell’ottobre 2012 da un’idea di Paola, studi in Scienze della Pace e numerose esperienze nel sud del mondo, e non solo, con bambini e adolescenti, e suo marito. In comune il desiderio di dare il proprio supporto al cambiamento. Per farlo hanno pensato di dedicarsi ad un progetto che mettesse le famiglie al centro, chiedendosi prima di tutto se questo fosse un desiderio condiviso da altri, se ci fossero altre persone che avessero i loro stessi interessi e che volessero un cambiamento sociale effettivo. Una comunione di intenti e modalità di operare essenziale per poter costituire una vera associazione. Così è nato un primo spazio “in cui i bambini potessero crescere felici”, racconta Paola, “siamo partiti con due bambini, mia figlia e un bimbo polacco, in un appartamento in una fattoria. Lì siamo rimasti finché il numero dei bambini non è arrivato a dodici. Ci siamo inventate la nostra quotidianità, e abbiamo approfondito l’approccio Montessori, grazie a Prisca Melucco presidente di Montessori in pratica”.

Parlare Pace segue infatti due filoni, uno legato alla pedagogia di Maria Montessori e uno legato alla comunicazione non violenta di Marshall Rosemberg. Un approccio che si realizza nella quotidianità di “A scuola in libertà” che da settembre 2017 si è insediata nella ex scuola elementare di Bargecchia. Un edificio comunale inutilizzato da tempo che l’associazione ha in gestione dall’agosto 2017, dopo aver vinto un bando di gara. Oggi sono 22 le famiglie coinvolte e 35 i bambini che frequentano la scuola: c’è la casa dei bambini dai 3 ai 6 anni e la parte dedicata ai bambini della scuola primaria, dalla prima alla quarta, tutti insieme. Quest’anno per la prima volta c’è anche la quinta elementare.

“A scuola in libertà” è una scuola parentale ma, ci dice Paola, “quando si parla di progetto di educazione parentale spesso si fraintende, si pensa che la mamma e il papà siano presenti nella didattica del figlio, in classe. Per noi il progetto necessita di una sua entità ed identità nell’approccio, quindi ci vogliono persone formate” per accompagnare i bambini nel loro processo formativo. “Poi ci vuole la parte dei genitori, senza la quale non è possibile andare avanti, sono due facce della stessa medaglia. Ci riuniamo ogni 15 giorni per condividere e progettare. C’è una grande partecipazione. I genitori si organizzano autonomamente in gruppi, per svolgere ciò che esula dai compiti dell’educatore: c’è chi si occupa delle pubbliche relazioni, chi organizza gli eventi, chi pensa all’organizzazione delle gite ed altri hanno aiutato con i permessi comunali e nei lavori di restauro della scuola”.

La ristrutturazione della scuola, che si estende su due piani per 500 metri quadrati, non è stata semplice, i lavori sono stati molti e importanti, e non sono conclusi. Un investimento necessario perché questo “vuole essere un progetto a lungo termine”. 

“Sono andata a scuola proprio qui – prosegue Paola – qui ho fatto le elementari e le mie insegnanti mi hanno trasmesso l’amore per il sapere, il conoscere, l’interessarsi agli altri”. Oggi Paola osserva tra le stesse mura, bambini interessati alla cultura, al sapere, curiosi, grazie all’approccio educativo, connubio originale tra Montessori e Rosemberg. Nella scuola questo si riflette “in ogni cosa che viene detta e fatta. Maria Montessori mette al centro il bambino nella sua interezza, cioè quello che può essere, l’uomo futuro, il potenziale che ha dentro. L’approccio alla comunicazione di Rosemberg mette in risalto quello che io sento e quello che io desidero, che sono cose distinte. Qui abbiamo questo tipo di comunicazione, anche nel gestire i pochi conflitti che accadono. Ci preoccupiamo di cosa è vivo nell’altro e in me”.

Quella di Bargecchia è una scuola libertaria, la quale si basa sulla convinzione che ogni bambino è competente. Il compito della scuola è quindi mettere ogni studente in condizione di scegliere secondo i propri interessi. Non si tratta di un insieme di regole da rispettare e neppure della libertà assoluta dei bambini. Questa scuola opera per incoraggiare il loro apprendimento e le loro capacità pratiche ed intellettuali in modo armonico e integrale. Tutto ciò viene fatto per permettere ad ogni essere di diventare ciò che è e che desidera diventare. Altri concetti di base di questo approccio educativo sono: la politica del bene comune, che viene stimolato attraverso attività pratiche che conducano i bambini/cittadini a riflettere sul senso di appartenenza alla comunità in cui si trovano, al senso di responsabilità verso le proprie azioni e ad agire secondo le proprie vocazioni. E l’importanza del contatto con la natura e con gli animali: la scuola è immersa nel verde, e c’è un grande spazio all’aperto dove poter fare molte attività e interagire con gli animali. 

“Se penso a un sogno è rendere possibile quello che per tanti è un’utopia, è metterlo in pratica. I bambini cambieranno il mondo”. 

Intervista: Daniela Bartolini e Daniel Tarozzi
Riprese: Daniel Tarozzi
Montaggio: Paolo Cignini Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/11/liberta-non-violenza-entrano-scuola-io-faccio-cosi-232/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Be Kind: “Vi raccontiamo la bellezza delle diversità”

Essere diversi non costituisce un limite alla felicità ma, al contrario, può rappresentare un valore aggiunto ed un’opportunità di trasformazione positiva. Lo testimoniano Sabrina Paravicini, attrice e scrittrice, e suo figlio Nino Monteleone, tredicenne con diagnosi di autismo, che insieme hanno dato vita al progetto e al documentario “Be Kind”, un viaggio gentile nel mondo della diversità.

“Un giorno mia mamma mi ha proposto di fare un progetto per il cinema e io ho accettato!”. Con queste parole Nino, che ha tredici anni appena compiuti, inizia a parlarci di Be Kind, un film autoprodotto che racconta con gentilezza il mondo delle diversità attraverso varie interviste che il ragazzino, in cappotto e cravatta rossa, rivolge con delicatezza, ironia e spontaneità a persone “rare”. Perché, come dice Nino, “essere diversi è come un elefante con la proboscide corta, una rarità”.

Il film rappresenta la tappa di un viaggio familiare iniziato dieci anni fa, un percorso che ha portato Nino Monteleone, al quale all’età di due anni e mezzo è stato diagnosticato l’autismo, e la sua famiglia a trasformare una situazione difficile e potenzialmente tragica in una opportunità ed una coraggiosa avventura.

“Dopo la diagnosi abbiamo vissuto un momento di rabbia e profonda sofferenza. In seguito, con coraggio, abbiamo reagito, dando a Nino tempo e totale fiducia. Non ho affrontato la diversità di mio figlio come un problema ma piuttosto come una ricchezza. Tutto ciò ha portato Nino a fare dei progressi che i neuropsichiatri hanno definito eccezionali: ha risolto i suoi problemi relazionali, acquisito autonomia e imparato a leggere e scrivere, ha scritto anche dei romanzi, ad oggi cinque! Adesso il suo viene considerato un autismo ad altissimo funzionamento, molto vicino alla Sindrome di Asperger”, ci racconta l’attrice e scrittrice Sabrina Paravicini, mamma di Nino e regista di “Be Kind, un viaggio gentile nel mondo della diversità”.

“Ho pensato di raccontare tutto questo non in modo biografico ma attraverso lo sguardo e le persone che avevamo incontrato, persone che hanno fatto della diversità un valore aggiunto. Volevo che Nino percepisse l’importanza dell’autonomia e comprendesse che essere diversi non è un limite. In questo viaggio, infatti, abbiamo incontrato molte persone che ‘sulla carta’ o per l’idea comune che si ha del disabile fisico o psichico potevano non avere autonomia e invece la hanno raggiunta eccome. Volevo mostrare, in particolare a Nino, che tutti siamo diversi, tutti siamo unici e quindi, in qualche modo, tutti siamo uguali”.SELFI-SET-1024x768

La realizzazione di “Be Kind” ha rappresentato per Nino un’avventura avvincente, lo si percepisce dall’entusiasmo con cui ci racconta le storie delle persone che ha incontrato. “Valerio, un judoka esperto e non vedente, Giulia, che ha una fidanzata omosessuale, Sara, un’attrice musulmana che si è tolta il velo, Jonis, un compositore afroitaliano, Gianluca, l’inventore di un’app pensata per ridurre i problemi comunicativi delle persone che hanno avuto una lesione cerebrale, Laura, che dipinge con la bocca perché non ha l’uso delle mani”.

Nino ha intervistato anche l’astronauta Samantha Cristoforetti, prima donna italiana andata nello spazio, l’attore Fortunato Cerlino, che aiuta un giovane attore con autismo a preparare la scena madre di Robert De Niro in Taxi Driver, e il giornalista Roberto Saviano, che vive sotto scorta. “Con Saviano ho parlato delle chiavi della felicità, partendo dalla teoria del filosofo Epicuro. Gli ho spiegato come essere felice”, racconta Nino ricordando quell’incontro. “Perché Nino è una persona felice – sottolinea Sabrina – ed è proprio questo che volevo far capire attraverso il documentario”.

La felicità, infatti, è uno dei concetti principali di questo film. “In Be Kind si vede la felicità delle persone che hanno trovato una chiave di lettura della propria vita e hanno fatto della diversità un punto di forza. Tutte le persone che si raccontano nel film sono partite da una situazione che era in qualche modo senza speranza ma tramite la volontà e un’attitudine a cercare la felicità hanno dato una svolta alla loro esistenza. Chi ha fatto della propria diversità una forza ha una vita molto felice. Nino parla molto di felicità e io lavoro tantissimo affinché lui sia una persona felice, una persona con una solida autostima ed una grande gioia di vivere. E questi, ho notato, sono elementi comuni alle persone che abbiamo incontrato”.ìbe-kind-2

Nel film il tema della felicità va di pari passo con la gentilezza. “Il titolo ‘Be Kind’ nasce dal fatto che io e Nino siamo delle persone gentili. Nino in particolare è gentilissimo, come lo sono anche le persone che abbiamo incontrato in questo viaggio. Soprattutto, però, l’obiettivo di Be Kind è legato alla gentilezza: desideriamo infatti creare una rete di gentilezza intorno alla diversità”.

“La gentilezza – continua Sabrina – viene spesso scambiata per debolezza ma al contrario è qualcosa di molto potente. Non ha a che fare con la compassione, è un’indole ma anche un atto coraggioso e una scelta cosciente che può portare a grandi risultati, ad esempio nella risoluzione di un conflitto”.

“Vorrei – afferma Sabrina – che Be Kind diventasse un’etichetta di gentilezza, qualcosa che possa fare da catalizzatore per le persone e diffondere messaggi positivi, in questo periodo storico in particolare. A differenza di quello che spesso emerge dai media, io sono convinta che la maggior parte delle persone sia perbene, sebbene ci siano episodi negativi che giustamente vengono denunciati e malgrado i cattivi esempi di chi dovrebbe rappresentarci. In passato la situazione era peggiore ma se ne parlava meno. Pensiamo ad esempio alla scuola che una volta era molto meno inclusiva di oggi. Il problema è che la gentilezza, come le belle notizie, non fa notizia! Ma la gentilezza, ne sono convinta, trionferà. Le cose cambiano, bisogna avere fiducia e dare tanta fiducia ai propri figli”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/11/io-faccio-cosi-230-be-kind-bellezza-diversita/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

L’Oasi di Scacco e Hope: nuova vita per i cavalli

La storia di Coretta Spalla e Fabio Ronchetti e della loro Oasi di Scacco e Hope, un luogo in provincia di Biella che si pone l’obiettivo di recuperare e rispettare cavalli vittime di abbandono o di trattamenti violenti. In relazione con l’uomo.oasi-di-scacco-e-hope-nuova-vita-cavalli

Un’oasi di 40000 metri quadrati dove recuperare cavalli destinati al macello o vittime di maltrattamenti. In provincia di Biella, a Mongrando, ha sede l’Oasi di Scacco e Hope, un progetto di Coretta Spalla (Istruttrice internazionale di Centered Riding®) e Fabio Ronchetti, che a partire dal 2006 hanno dato vita al proprio sogno: quello di vivere a stretto contatto con i cavalli. L’Oasi di Scacco e Hope non è solamente una scuderia: tutto nasce dall’arrivo di Scacco, un cavallo donato a Coretta allo scopo di metterlo a riposo, dopo lunghi anni passati in maneggio.oasi-di-scacco-e-hope-nuova-vita-cavalli-1538643080

“Da allora è nata una sperimentazione che ha coinvolto molti altri cavalli, giunti qui nel corso degli anni” ci racconta Coretta “e recuperati da situazioni di abbandono, maltrattamento e macello. Non è stata una vera e propria scelta, siamo partiti quasi condizionati dal fato e ci siamo fatti assorbire da questa attività.”
L’obiettivo, oltre al recupero, è quello di provare a instaurare un rapporto diverso con il cavallo, considerando ogni esemplare per la propria specificità: “Il problema fondamentale è che noi uomini tendiamo ad antropomorfizzare l’animale, lo umanizziamo. I cavalli, in questa maniera, perdono la loro essenza e il nostro obiettivo è farli tornare ad essere cavalli. Abbiamo assistito all’arrivo di esemplari completamente chiusi, immobili, distaccati da loro stessi e dal circondario”.

Il primo passo è caratterizzato dunque da un periodo di transizione per l’animale, che impara
a scaricare la rabbia e a superare gli shock subiti, per poi tentare (se l’animale lo permette) un approccio e un percorso volto al contatto con l’essere umano. Per mettere in pratica questo desiderio, la scuola di equitazione all’interno dell’Oasi di Scacco e Hope si caratterizza per una modalità relazionale di rispetto reciproco tra l’essere umano e l’animale. Nata quattro anni fa come laboratorio (chiamato “I nostri amici cavalli”) con cadenza settimanale e riservato ai bambini dai cinque anni in sù, è per stessa ammissione di Coretta una scuola più impegnativa rispetto alle tradizionali scuole di equitazione, “perchè oltre ad imparare le andature e le tecniche per montare, si lavora con l’aspetto relazionale tra il bambino e il cavallo. Ogni singolo esemplare possiede una sua specificità e particolarità, e nel rapporto con l’uomo si differenzia rispetto ad un cavallo allo stato brado, così come l’essere umano esce trasformato dal rapporto con l’animale”. Questa sperimentazione è divenuta nel corso degli anni un modello di lavoro funzionante, e con l’istruttore F.I.S.E. Christian Grasso è nata una collaborazione, che ha dato vita ad una vera e propria Scuola di Equitazione: “Un percorso annuale che unisce la mia esperienza, fatta in questi anni di laboratorio, con l’equitazione classica”.oasi-di-scacco-e-hope-nuova-vita-cavalli-1538643035

L’area recuperata
La sede dell’Oasi di Scacco e Hope è un grande prato con un bosco. Nei dintorni si trova anche l’appartamento di Coretta e Fabio: “lo abbiamo lasciato volutamente piccolo, non volevano togliere spazi importanti ai nostri cavalli e alle persone che visitano l’Oasi”. In passato non c’era nulla e nel corso degli anni Fabio e Coretta hanno recuperato la casa e organizzato gli spazi dell’area: “tutti i lavori sono stati realizzati in autocostruzione, grazie a materiali di recupero di ogni tipo. Abbiamo allestito una biblioteca, dove le persone possono venire e consultare dei libri, e abbiamo ospitato laboratori di vario tipo, dalle costruzioni in terracotta alla pittura. È uno spazio nell’Oasi che è a disposizione della comunità”.
Per quanto riguarda la parte strutturale riservata ai cavalli, Fabio e Coretta stanno cercando di ultimare l’area con il completamento dell’infermeria e la costruzione di una zona lavaggio per i cavalli, della selleria e del fienile.” Se volete aiutarli, trovate tutte le informazioni necessarie qui.

Foto copertina
Didascalia: Oasi si Scacco e Hope
Autore: Oasi si Scacco e Hope

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Scuola per Via: camminare nella natura come pratica educativa

Camminare nella natura è la metodologia educativa proposta dall’Associazione di Promozione Sociale “Scuola per Via”, alla riscoperta del legame tra l’essere umano e l’ambiente e verso una profonda riflessione sul ruolo dell’uomo e di ciò che lo circonda. L’interazione con l’ambiente è stata da sempre parte integrante della vita dell’essere umano e della sua evoluzione, in un rapporto fatto di complessità, reciprocità e profonda interconnessione. L’ambiente rappresenta la nostra casa, è la dimensione con cui ci interfacciamo quotidianamente e, insito nella nostra identità e memoria collettiva, è parte fondante del nostro essere. Il rapporto biunivoco uomo-ambiente, approfondito sin dal passato all’interno di molteplici discipline quali la filosofia, la sociologia, la geografia o la psicologia, è riproposto da una realtà che opera sul territorio piemontese, quale l’Associazione di Promozione Sociale “Scuola per Via”. Il metodo di insegnamento che essa utilizza è sviluppato nell’ambito IN.F.E.A – Informazione Formazione Educazione Ambientale ed è volto a garantire un apprendimento che tenga conto delle componenti emozionali ed etiche dell’allievo, oltre che dell’apprendimento induttivo e del suo coinvolgimento fisico-mentale. Tramite una costante attività sui territori della bassa Val Susa, l’Associazione avvia percorsi ed esperienze didattiche e culturali che offrono un metodo di apprendimento e di conoscenza di temi quali la natura, l’ambiente, l’ecologia ed il paesaggio, utilizzando come espediente la “pratica” del cammino.scuola-per-via-camminare-in-natura-pratica-educativa-1535614902

Il cammino rappresenta uno strumento col quale entrare in contatto diretto con l’ambiente, attraverso il quale osservare, percepire e comprendere ciò che ci circonda e dal quale avviare una profonda riflessione sulle nostre interazioni con la natura.

“Scuola per Via”, ancor prima che Associazione, è un metodo di osservazione dell’ambiente che nasce grazie al lavoro e alla passione di esperti impegnati sul territorio nel campo della sostenibilità, dirigendo le diverse conoscenze verso un obiettivo comune. Tra questi spiccano accompagnatori naturalistici, educatori e ricercatori nel campo delle energie alternative e bibliotecari nell’ambito della microeconomia locale sostenibile, i quali, in data 22 ottobre 2010, hanno dato vita all’Associazione che attualmente opera con sede legale a Grugliasco e sede operativa ad Avigliana. I percorsi individuati per lo svolgimento delle iniziative sorgono sui territori dell’Anfiteatro morenico di Rivoli-Avigliana, alle porte della bassa Val di Susa e rappresentano i luoghi di una vera e propria narrazione intorno a diversi temi ambientali. La pratica del cammino, stimolata da tali narrazioni, acquisisce una connotazione a volte dinamica, a volte meditativa, a volte contemplativa, oltre che di esplorazione e conoscenza. La metodologia prevista per lo svolgimento delle attività include tre livelli di insegnamento che corrispondono rispettivamente a tre “osservatori” lungo i percorsi, tramite i quali vengono analizzati e raccontati i diversi ecosistemi e le relazioni che ne scaturiscono. Essi sono rispettivamente: l’osservatorio naturalistico, tramite il quale si studiano le relazioni ecologiche negli ecosistemi; l’osservatorio antropico, il quale esamina le attività umane in funzione del loro grado di insostenibilità; l’osservatorio del deserto, nel quale si dialoga sulla costruzione dell’unità fra sé e il mondo. I diversi livelli di lettura del territorio sono connessi a rispettivi livelli di comprensione del mondo, in cui hanno un ruolo centrale il momento esperienziale ed il coinvolgimento emotivo dell’individuo. La modalità di insegnamento prevista include momenti di informazione, confronto e pratiche unitarie rivolte ai partecipanti, volte a facilitare la trasformazione delle conoscenze acquisite in comportamenti sostenibili ed eco-compatibili e ad attivare una riflessione sulla condizione dell’ambiente e sul contributo che ognuno può dare attraverso le proprie azioni individuali. Ne sono esempio la sensibilizzazione al cammino come forma di mobilità o la pratica del compostaggio di qualità agraria per ottenere alimenti che nel ciclo di produzione contribuiscono a ricostituire l’humus del suolo. Le attività proposte dall’Associazione, nel complesso, si declinano in svariate esperienze collettive e partecipate quali le escursioni, pensate per gruppi di adulti e famiglie, i laboratori didattici per le scuole, le attività teatrali all’aperto, le conferenze e le serate dedicate alle letture su un tema predefinito.scuola-per-via-camminare-in-natura-pratica-educativa-1535614666

Tra le più recenti emerge il “Centro estivo nel bosco” che ha avuto luogo presso il Parco Naturale dei Laghi di Avigliana ed indirizzato ai bambini tra i 5 e gli 11 anni. L’esperienza ha favorito lo svolgimento di attività nella natura quali laboratori sensoriali, pittura coi colori naturali, la costruzione di una capanna e la manipolazione dell’argilla. Un secondo evento che ha avuto luogo recentemente, è rappresentato da “Le Domeniche del Paesaggio”, connesse alla “Scuola Alternativa Itinerante”, le quali costituiscono delle passeggiate tematiche fondate sulla lettura del paesaggio e sull’approfondimento di svariati argomenti quali l’apicultura, la biodiversità, la sacralità dei sensi, l’impermanenza. Guidate da un accompagnatore naturalistico e da esperti in materia, conducono i partecipanti alla riscoperta della natura, talvolta tramite passeggiate notturne ed attività pratiche lungo i sentieri. Uno degli obiettivi dell’associazione è proprio quello di costruire unità con il vivente, attraverso un atteggiamento di cura e rispetto, come dimostrano le attuali progettualità sul tema della biodiversità, quali la costruzione di un giardino delle api ed un orto sinergico. Le esperienze che “Scuola per Via” propone, offrono nel complesso una visione multidisciplinare e sistemica che stimola la conoscenza di ciò che ci circonda ed allo stesso tempo permette di confrontarsi con se stessi. È una “scuola” fatta di passeggiate nel verde, riconnessione con la natura ed esaltazione dei sensi, dove poter riscoprire il territorio che ci ospita ed in cui “l’obiettivo è spogliare l’uomo del ruolo di culmine dell’evoluzione, guardandolo alla luce dei molteplici legami che lo ancorano all’ambiente e vestendo i panni degli altri esseri che popolano la Terra”.

Foto copertina
Didascalia: Nel bosco con Scuola per Via
Autore: Pagina Fb Scuola per Via

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MAcA: il primo museo in Europa dedicato all’ambiente

Non si finisce mai di imparare e di scoprire, a qualsiasi età. Questo il principio ispiratore del primo museo in Europa interamente dedicato alle tematiche ambientali. Nato a Torino dal riciclo architettonico di una fabbrica dismessa, il MAcA – Museo A come Ambiente offre un concentrato di esperienze per promuovere conoscenza e consapevolezza intorno a quattro tematiche principali: acqua, energia, rifiuti e riciclo, alimentazione. A Torino sorge un museo interamente dedicato all’ambiente che incrocia in qualche modo arte, cultura e scienza. Può sembrar poca cosa, ma è il primo in Europa e tra i primi nel mondo! Eppure in pochi lo sanno. Anzi, ancora oggi, quando si parla di Italia si sottolinea come i musei siano vetusti, arretrati, poco multimediali.

Per fortuna non è sempre così. Per saperne di più su questo importante strumento di divulgazione e formazione, siamo andati a visitare il MAcA – Museo A come Ambiente e abbiamo intervistato il Direttore Paolo Legato che ha avviato un processo di rinnovamento e aggiornamento dei percorsi e del posizionamento culturale del MAcA.

“In questi edifici prima sorgeva una fabbrica della Michelin – ci spiega Paolo – Siamo l’esempio vivente del riciclo architettonico. Non credo che sia un caso che il primo museo europeo dedicato all’ambiente sia sorto nel capoluogo piemontese. Torino, infatti, è sempre stata ed è una realtà particolare: tante delle novità che caratterizzano il nostro Paese partono da Torino. Qui ribollono molte iniziative”. Gli chiedo di spiegarci cosa contraddistingua questo museo. Non ha dubbi. “Non è un luogo di collezione, ma un concentrato di esperienze. Si inserisce in un filone europeo dei musei di scienza, i cosiddetti ‘science center’, sia dal punto di vista dei contenuti che da quello pratico. Non a caso facciamo parte della rete ECSITE”.museo-a-come-ambiente

Al momento il museo si occupa di quattro grandi aree tematiche, a cui presto si aggiungerà il tema dei trasporti: acqua, energia, rifiuti e riciclo, alimentazione. Per promuovere conoscenze e consapevolezza in questi ‘mondi’ vengono usate postazioni interattive attraverso le quali il visitatore può giocare con i contenuti imparando qualcosa. L’obiettivo è creare un ponte cognitivo attraverso l’approccio pratico.

“Questo approccio nasce a San Francisco, con l’Exploratorium – continua Legato – Il fenomeno e la conoscenza sono mediate dall’oggetto stesso. Noi non interroghiamo il visitatore, ma rispondiamo ai suoi dubbi o ne creiamo”.

Tra gli obiettivi del Museo vi è la valorizzazione delle buone prassi. I giovani frequentatori, inoltre, vengono stimolati nel proporre le loro idee. Ci sono offerte per tutte le età, dai bambini molto piccoli ai diciottenni, ma anche gli adulti non sembrano disdegnare! Per raggiungere pubblici così diversi, il contenuto viene ‘modulato’. Un ruolo fondamentale è svolto dai laboratori, della durata di 90 minuti, caratterizzati da un apprendimento non formale e guidati da circa una decina di animatori. Nel museo, inoltre, vengono svolti ogni anno circa 30-35 eventi eventi tematici. L’anno poi è caratterizzato dalle visite delle scuole e dai turisti di passaggio, nonché dai laboratori didattici.

“Abbiamo 17 obiettivi da raggiungere entro il 2030 – spiega Paolo Legato riferendosi all’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile dell’Onu – li ho stampati in italiano e messi su un muro simbolico che alla fine dei laboratori viene abbattuto”.museo-a-come-ambiente-4

Gli chiedo quali siano i loro di obiettivi per il prossimo triennio. “Proporremo mostre temporanee. A maggio inauguriamo il ‘padiglione guscio’. Queste mostre temporanee dovrebbero attirare chi è già venuto e vuole tornare per visitare qualcosa di nuovo”.

Ma non è tutto! Stanno nascendo anche collaborazioni internazionali! “Attualmente il museo è stato inserito in un progetto in Etiopia. Una onlus italiana – CIFA – ci ha chiamato per fare formazione sulla plastica in Etiopia. A questo progetto si interessano anche Francia e Germania. Questo vuol dire che quando un progetto è fatto bene e con il cuore può diventare un modello. E magari pian piano verrà finanziato”.

Come si può diffondere un approccio come questo? “Rubare le idee è fondamentale! Il corpo insegnanti è molto sensibile ed è il nostro pubblico di acquisto. Quando vengono ricordano e riportano nelle classi quanto appreso. Molte aziende usano una visita da noi come premio. E il passa parola è a carico dei bambini e delle bambine, che sono sensibili ma hanno bisogno di essere formati. Il tema ambientale nei programmi scolastici è tema di discussione ma non è detto che si abbia le competenze e gli strumenti per affrontarlo. Per questo ho anche fatto abbassato il prezzo del biglietto”.maca-museo-a-come-ambiente-2

Chiudiamo riflettendo sul nostro Paese: “Nessuno sa che l’Italia è al vertice per quanto riguarda le energie rinnovabili e che più in generale le aziende green sono più resilienti e economicamente solide”.  Un altro insegnamento che ci viene dalla Natura. Tutto comincia con imparare le basi, l’alfabeto, la lettera A. A come Ambiente.

Intervista: Daniel Tarozzi e Lorena di Maria
Realizzazione video: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/06/io-faccio-cosi-215-maca-primo-museo-europa-dedicato-ambiente/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

E se la scuola fosse divertente?

Le emozioni giocano un ruolo fondamentale nei processi di apprendimento e la scienza dimostra che si impara meglio quando ci si diverte. Perché allora nelle scuole di oggi viene lasciato così poco spazio al gioco, alle risate e al movimento?

“Nelle nostre scuole si ride troppo poco”, diceva Gianni Rodari e – nonostante sia passato qualche lustro – questa affermazione rimane tristemente attuale. Purtroppo la scuola, oggi, è un posto in cui i bambini vanno malvolentieri, in cui si sta per ore seduti sui banchi, con una disposizione degli studenti (che ci portiamo dietro da più di un secolo) che non permette la cooperazione e il movimento. La convinzione alla base dello stato dei fatti è che apprendimento non fa rima con divertimento. A scuola non esistono momenti legati al gioco e alle risate, che sono in realtà alleati e potenti catalizzatori dei processi educativi. Ma le cose devono e possono cambiare.school_its_way_more_boring_than_when_you_were_there-1

Nel video cito uno studio molto interessante che è stato condotto dalla psicologa Jennifer Delgado sull’apprendimento osservativo con bambini di 18 mesi. I risultati sono incredibili e dimostrano come apprendere divertendosi è immediato e, naturalmente, più piacevole. La scienza ha evidenziato quanto le emozioni giochino un ruolo fondamentale nei processi d’apprendimento. La paura dell’errore, l’ansia per la competizione, il senso di inadeguatezza sono le emozioni più frequenti tra i banchi di scuola: questo vuol dire che stiamo ancorando i concetti e le abilità – per sempre e con grandissima fatica – a emozioni negative. Vogliamo una scuola in cui ci sia spazio per le risate, per il movimento, per il gioco. I miseri 10 minuti di ricreazione (spesso passati in aula) sembrano una beffa alla natura dei bambini, che potrebbero dare il meglio di loro se gli insegnanti avessero a disposizione tempo e modi differenti per svolgere le lezioni.

C’è un grande bisogno di chiare direttive dall’alto e di una formazione che cambi direzione in maniera decisa! C’è bisogno di rassicurare gli insegnanti, già fortemente stressati. Quando comincio a parlare loro della possibilità di integrare le lezioni con giochi e risate percepisco la loro paura (di perdere autorità sulla classe, di non riuscire a portare a termine gli impegni presi col ministero, di far perdere il controllo ai bambini). Sanno che imparare facendo, mentre il corpo si muove, gioca e si diverte è utile e benefico, ma non hanno gli strumenti necessari per metterlo in pratica e nessuna direttiva chiara da parte del Ministero.bambini

Daniela Lucangeli, ordinario di psicologia all’Università di Padova nonché membro dell’Accademia Internazionale delle Scienze, scrive:

“A scuola si vivono delle esperienze significative della propria fase di crescita e le figure più importanti sono gli insegnanti e i compagni. Le ricerche dimostrano come le emozioni accompagnino ogni esperienza di apprendimento, quindi se noi impariamo provando paura tutte le volte che riprendiamo dalla nostra memoria quello che abbiamo appreso, riportiamo con noi anche la paura. Se apprendiamo con ansia, riprendiamo l’ansia. Quindi le scienze cognitive che sono più esposte verso  l’educazione ci avvertono e ci dicono ‘Se volete che i bambini apprendano ottenendo il meglio da loro stessi bisogna ritornare a far apprendere con il sorriso […]‘. Si parla di warm cognition, ovvero apprendimento caldo, con le emozioni migliori. Che tipo di atteggiamento educativo ha l’adulto verso il bambino? Quello che deve scegliere e decidere se essere alleato dell’errore contro il bambino è un insegnante giudice ‘Io giudico te non capace di fare, di agire, di apprendere. Sono dalla parte del compito e tutti e due siamo alleati contro chi non lo sta seguendo’. Se invece io sono alleato del bambino contro l’errore, ‘io sono dalla tua parte, ti aiuto a risolverlo, non sono un giudice, sono chi ti aiuta’”.HappyChildren

Vi consiglio due letture che potrebbero darvi una visione nuova del mestiere di insegnare, con la speranza che presto si raggiunga la massa critica di persone consapevole di questa necessità impellente: la scuola può e dovrebbe essere divertente!

“L’umorismo nella didattica – Schede operative per insegnare e imparare divertendosi” di Elena Falaschi, Alfredo Pierotti

Pensato per insegnanti della scuola primaria e secondaria di primo grado, insegnanti di sostegno e studenti di Scienze della formazione e dell’educazione, il libro è un utile strumento che consente di sperimentare metodologie di insegnamento divertenti ed efficaci.

“Educare alla Felicità”, di Lucia Suriano

“Questo lavoro è una proposta, un tentativo concreto di portare nelle scuole, attraverso un ampio e articolato supporto metodologico, pratiche di educazione alla felicità. Praticare la risata vuol dire spezzare gli schemi negativi. Quando pensiamo a una situazione in chiave positiva diventiamo capaci di prendere decisioni migliori e influenzare il nostro corpo e il nostro comportamento. Così non solo cambiamo noi stessi, ma in fondo trasmettiamo un’energia positiva che cambia il mondo. E non è queste la missione della scuola?”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/03/se-scuola-fosse-divertente/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Orto in Condotta di Slow Food: l’esempio della Scuola primaria Nino Costa a Torino

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Orto in Condotta è un progetto di educazione alimentare e ambientale di Slow Food dedicato alle scuole. Coinvolge genitori, produttori locali, insegnanti e nonni, uniti nell’obiettivo di condurre e accompagnare i bambini alla scoperta della vita e del piacere del cibo. L’esempio della Scuola primaria “Nino Costa – I.c. San Mauro Torinese” di Torino. Il progetto Orto in Condotta di Slow Flood prende avvio in Italia nel 2004 e nel corso degli anni è diventato lo strumento principale dell’Organizzazione per le attività di educazione ambientale e alimentare nelle scuole. Ispirato al primo school garden di Berkeley, California, coinvolge genitori, nonni, insegnanti, bambini e produttori locali in numerosi percorsi volti a creare una comunità dell’apprendimento, per la trasmissione alle giovani generazioni dei saperi legati alla cultura del cibo e alla salvaguardia dell’ambiente.orto-in-condotta-slow-food-torino-1518510315

La rete italiana delle scuole aderenti al programma è ormai vastissima, con oltre cinquecento orti realizzati in tutta Italia. Una delle scuole aderenti al programma è la Scuola primaria “Nino Costa – I.c. San Mauro Torinese” di Torino, che ha aderito al progetto Orto in Condotta con una particolare iniziativa: la scuola, con l’obiettivo di rafforzare la coscienza co-produttiva dei bambini, ha infatti aderito ad alcune feste locali e tra i banchetti dei produttori locali c’erano anche i prodotti dell’orto realizzato dagli alunni a scuola: i prodotti sono andati letteralmente a ruba, per la gioia dei piccoli produttori.  All’interno dell’Istituto gli insegnanti hanno deciso di lavorare sodo per fare in modo che i bambini conoscano attivamente il mondo del cibo, degli orti e della natura, grazie anche alla preziosa collaborazione dei nonni dei bambini che collaborano affinchè essi possano rastrellare, seminare, innaffiare e alla fine raccogliere i prodotti.
Le piantagioni sono in parte coltivate all’aperto (le numerose erbe aromatiche, i piselli, i fagiolini, rucola, insalata, ravanelli) e in parte in serra. I piccoli studenti hanno inoltre costruito dei semenzai, organizzato dei laboratori del gusto con i prodotti dell’orto e si sono presi cura di una piantina ciascuno, seguendone la crescita.
Uno degli obiettivi che si pone la scuola è quello di coltivare e recuperare alberi da frutto dimenticati come il giuggiolo, l’azzeruolo e il sorbo, così come alcuni fiori.orto-in-condotta-slow-food-torino-1518510340

Per quanto riguarda la regione Piemonte, sono attualmente settantatrè gli istituti che hanno deciso di collaborare al programma Orto in Condotta, e le varie attività delle scuole si pongono tutte l’obiettivo comune di condurre e accompagnare i piccoli studenti alla scoperta della vita, del piacere del cibo, del rispetto della natura e di chi la coltiva.

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Autore: Slow Food Italia

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