Ecuador, cioccolata sostenibile per salvare le foreste amazzoniche

TO GO WITH AFP STORY BY FRANCISCO JARA A

La tribù indigena dei Waorani ha deciso di rinunciare alla caccia e di convertire la propria economia locale all’agricoltura, coltivando il cacao. I Waorani vivono nella foresta amazzonica dell’Ecuador e hanno preso coscienza del depauperamento della fauna locale e di una selvaggina sempre più difficile da trovare, da qui è nata l’idea di orientare la propria attività verso la coltivazione del cacao, materia prima la cui richiesta è in costante crescita. L’Associazione delle Donne del Waorani dell’Amazzonia ecuadoregna ha sviluppato un programma che offre alberi di cacao alle donne locali se i mariti rinuncino alla caccia. Inizialmente gli uomini delle 70 tribù coinvolte non erano molto favorevoli:

“Gli uomini ci dicevano che non eravamo capaci, ma le donne sono capaci di occuparsi delle casa e di tutto, e ora anche gli uomini hanno capito che è la scelta giusta”, spiega Patricia Nenquihui responsabile del progetto. Oltre a offrire le piante di cacao, l’associazione acquista il raccolto di cacao a 1,25 dollari al chilo – 45 centesimi al di sopra del prezzo di mercato – e lo invia a Quito, capitale dell’Ecuador, dove il cacao viene trasformato in cioccolata sostenibile.

Fonte: Askanews

Ecuador, appello a Brad Pitt: “Non girare il film su Chevron”

L’attore americano dovrebbe girare un film sul disastro ambientale causato dalla compagnia petrolifera, ma il paese sudamericano si sta mobilitando per chiedergli di tornare sui suoi passi

Brad Pitt e sua moglie Angelina Jolie sono impegnati da anni in campagne umanitarie e ambientali. Ora il divo di Fight Club e Seven ha deciso di girare un film sul disastro ambientale causato dalla Texaco – ora appartenente al gruppo Chevron– alle comunità dell’Amazzonia fra il 1964 e il 1990. La dispersione nell’ambiente di circa 680mila barili di greggio ha fatto perdere alla Chevron un lungo processo che dovrebbe costarle 9,5 miliardi di dollari. Si usa il condizionale perché, come spesso accade, la casa petrolifera si è rifiutata di pagare ricorrendo all’arbitrato internazionale e accusando il governo di frode. A preoccupare le associazioni ambientaliste e il governo ecuadoriani non è il film in sé, quanto il punto di vista: la Plan B ha infatti comprato i diritti di La legge della giungla, libro sul quale dovrebbe basarsi la sceneggiatura. Come ha sottolineato lo stesso presidente Rafael Correa, si tratta di un testo pubblicato grazie ai finanziamenti dell’industria petrolifera e sbilanciato in modo da far ricadere le responsabilità sugli ecuadoriani, descritti come selvaggi e corrotti. Il governo ecuadoriano ha deciso di supportare con i suoi account Twitter e con l’hashtag #BradDoTheRightThing una raccolta firme su Change.org per chiedere a Brad Pitt – che nel 2012 aveva visitato l’Ecuador per valutare l’entità dei danni fatti dalla Texaco – di tornare sui suoi passi.

La petizione ha come obiettivo 7500 firme e ne ha finora raccolte oltre 5200

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Fonte:  Change.org

Il segreto della longevità tra i monti di Vilcabamba dove la vecchiaia è d’oro

Sesso, fumo e rum per i centenari del Paese09-IMG_2480_672-458_resize

VILCABAMBA (Ecuador) – C’era un uomo che in 127 anni di vita è stato in ospedale una sola notte, l’ultima, quando è morto. C’è una donna che fa la sarta e, superati i novanta, riesce ancora a infilare il filo nell’ago senza mettersi gli occhiali. E ci sono infine dei baldanzosi vecchietti che non hanno mai smesso di far sesso, se non è leggenda il fatto che uno di loro, nonagenario, ha regalato ben tre figli alla sua giovane sposa. Cose straordinarie che accadono qui a Vilcabamba, più che una città un grande sperduto borgo della Sacra Valle, nel Sud dell’Ecuador, che a 1.500 metri sul livello del mare gode di una perenne primavera con temperatura costante dai 19 ai 25 gradi; e ha come sfondo la scintillante cordigliera delle Ande. È dai primi anni Settanta che, grazie alle ricerche del prof. Alexander Leaf della Harvard University, Vilcabamba incuriosisce il mondo: e insieme a lei altre due località, ugualmente remote e sconosciute (Hunza, arroccata sulla catena del Caucaso, e Ogimi, nell’isola di Okinawa, in Giappone), vengono considerate capoluoghi della longevità, poiché ciascuna delle due annovera tra i propri abitanti una dozzina di persone che hanno superato i cent’anni. Credevo di avere ancora i garretti saldi, alla mia età, fino a quando, l’altro giorno, mi sono imbattuto a Vilcabamba in Timoteo Arboleda Hurtado, 98 anni portati bene: la fronte adombrata dall’ala del cappello, schiacciato in testa, l’occhio furbo, mento e mandibole adornate da un’ispida barbetta bianca. Ogni giorno fa dieci chilometri a piedi: cinque di buon mattino per raggiungere la sua tenuta in montagna e cinque la sera per tornare a casa, in tutto due ore abbondanti di strada. La moglie, racconta, è morta qualche anno fa ma lui non si sente solo, circondato com’è dallo stuolo chiassoso di figli, nipoti e nipotini, cui è legato – dice – dal «filo di ferro dell’affetto». E aggiunge: «Dio permettendo, vorrei restare ancora un poco in questa valle di lacrime». Un po’ meno tosto José Manuel Picoita Rojas, all’incirca 105 anni, che ha 6 figli e molti acciacchi: «Soffro di cuore e di cervello — lamenta — e ho la pressione alta. Mia moglie è volata in cielo tredici anni fa e io abito ora con l’una o l’altro dei nostri ragazzi e le loro famiglie. Quand’ero giovane camminavo molto, partivo il lunedì e tornavo il sabato. Domenica la messa, anche se ero un poco di buono. E mi son pure divertito, señoritas, vino e tabacco. Adesso è come se il mio corpo si fosse addormentato». Quattro passi più in là, le due donne che incontro sono sfuocate come stampe, antiche e quasi non respirano, ciascuna con un secolo alle spalle. Sella Adolphina Parapineda ha un che d’aristocratico e d’autoritario ed è più grigia del muro della sua casa davanti al quale sta rigidamente seduta. Dei 9 figli che ha avuto ne sono rimasti tre. Ha conosciuto la povertà e la solitudine. Qualche evasione? «Sono andata una volta a Quito». Ciò che invece spaventa in Ermelinda Castillo è la pelle del volto e delle braccia, che tiene scoperte: tutta una fitta ragnatela di rughe, nere e profonde, come si vedono negli antichi crateri. In compenso esibisce una mini-palizzata di denti d’oro e gli orecchini. Il marito, morto quattro anni fa, le ha lasciato 6 figli: «Uno di loro — bisbiglia — è sparito dopo il servizio di leva, credo sia stato ammazzato lungo la frontiera col Perù durante una battaglia contro i guerriglieri Farc della Colombia».02-IMG_8993_672-458_resize03-IMG_2381_672-458_resize04-IMG_9022_672-458_resize05-IMG_9070_672-458_resize06-IMG_2364_672-458_resize

Nel 1971, quando Vilcabamba contava solo 819 abitanti (oggi, circa cinquemila), già nove ultracentenari passeggiavano per le sue strade: e alla base della longevità – spiega un medico di Quito – non c’è niente di arcano ma una semplice dieta che consiste in 1.200 calorie al giorno, con basso contenuto di grassi e colesterolo, per ridurre l’insidia delle malattie cardiache. Alla salute della gente contribuiscono l’alimentazione (grande consumo dei prodotti locali) così come l’acqua di sorgente della Sacra Valle, che è «speciale». È fuori strada chi pensa che il buon stato di salute esibito dagli ultracentenari sia da attribuirsi alla morigeratezza dei costumi e del modo di vivere. Niente di più falso. Gli abitanti di Vilcabamba e dintorni – fanno notare i sociologi – sono inclini per indole agli eccessi peggiori: fumano come turchi e bevono come cosacchi naufragando in sbornie colossali, apocalittiche. Il loro tabacco preferito si chiama «Chamico», i cui effetti secondo gli esperti sono anche più gravi di quelli provocati dalla marijuana e dalla cocaina, allucinazioni, perdita della memoria, eccitazione, furia distruttiva. Se poi al fumo si aggiunge l’alcool, tracannando un «puro», un’aguardiente d’alta gradazione simile al rum, allora apriti cielo, non c’è più limite a niente, si entra nel ciclone della follia. Per evitare di esserne coinvolto – è il più ovvio consiglio rivolto al turista straniero – tieniti il più lontano passibile dal «Chamico» come dal «puro». Una piacevole singolarità di Vilcabamba è che la popolazione femminile supera quella maschile: il rapporto è di tre dame per due caballeros. Ma i compilatori dì statistiche avvertono che sono stati sempre gli uomini a superare il limite di oltre 130 anni di età. Contrariamente a quanto avviene nel resto del Pianeta Terra, nella Sacra Valle dell’eterna primavera gli uomini vivono più a lungo delle donne. Però ci sono le eccezioni. È il caso di Maria Josefa Ocampo Rojas, che ha raggiunto i 1O3 anni ed è stata proclamata Madre Centenaria, mentre il marito, Miguel Leon, la precedette nella tomba ad appena cent’anni. Le donne si sono aggiudicate primati eccezionali. Alcune signore avrebbero partorito dopo i 50 e perfino, in rarissimi casi, dopo i 60. Non poteva mancare, affrontando il tema della longevità, la tentazione di attribuirla a poteri magici, come quelli emanati dal Mandango, la montagna degli dei dove s’erano stabiliti gli Incas, che diffondeva ondate di beatitudine. Alla fine, però, sarà necessario rinunciare all’arcano, e seguire, dal ’69 in poi, l’indagine del cardiologo ecuadoriano Miguel Salvador che a Vilcabamba esaminò 338 persone, tra uomini, donne e bambini per scoprire che nessuno di loro non solo non era affetto da arteriosclerosi e disfunzioni cardiache ma neanche dal cancro, dal diabete e dall’Alzheimer. E potè anche constatare, in quella circostanza, che gli uomini sopra i 65 anni erano «straordinariamente sani». Come viene ricordato nel libro «Eterna Juventud», Vilcabamba è ormai entrata a far parte, a pieno merito, dell’Ecoturismo e le sue strade come le verdi balconate oltre i duemila metri sono diventate mete assidue di turisti provenienti da ogni parte del mondo, dall’Europa come dalla Cina, dal Canada come dal Sud America. Non deve quindi sorprendere che, mentre si parla di eterna gioventù si stia lanciando una proposta, anche se vaga: per un Istituto Nazionale di Gerontologia dal momento che gran parte della popolazione è costituita da super-vegliardi. Se è vero quanto si racconta in giro, un distinto signore ultra novantenne si sarebbe spontaneamente sottoposto all’indagine di una giovane scienziata tedesca che voleva accertare se e fine a che punto la libidine degli anziani della regione avrebbe resistito agli assalti del tempo. Per il dottor Wilson Correa, da 25 anni medico condotto a Vilcabamba, non esiste alcun problema di erezione tra i vecchi del contado, se mai occorre spegnere gli erotici furori: come il giorno che si trovò di fronte quell’energumeno di Eulogio Carpio, convolato a nozze, lui novantenne, con Giulia Leon, una «muchacha jovencita», quel che si dice una ragazzina, cui diede tre figli. «Ebbene, dopo aver parlato con lui e con altri come lui — ricorda ora Wilson come fosse ieri — giunsi a questa conclusione: che il sesso dei centenari è frequente e di buona qualità». Mi è capitato spesso di parlare con donne che vengono da me per un consiglio e talvolta mi pregano di dar loro qualcosa, ma invece che per se stesse per i rispettivi mariti che non le lasciano mai in pace, sempre smaniosi di portarsele a letto». Ogni qualvolta ti affacci a una casa, in quel di Vilcabamba, ti offrono una tazza di tè, fatto — assicurano — con erbe miracolose che hanno la facoltà di disinfettare i reni e senti raccontare a lungo la storia dell’eremita Johnny Lovewisdon che fece del villaggio una specie di «Shangri-la», qualcosa di simile a un paradiso himalayano edificato negli anni Trenta dalla fantasia dello scrittore inglese James Hilton nel suo romanzo Orizzonti Perduti. A Vilcabamba, sostiene il Dr. Correa, «la gente mangia sano», cioè fa ricorso a un’alimentazione naturale, con prodotti genuini della terra, frutta e verdure, e in una zona dove gli alberi ossigenano di continuo l’atmosfera e l’aria è limpida e pura: sono proprio tutte queste cose messe insieme ad assicurare la longevità. Ma basta un furgone che passa a velocità sparata nella piazza vomitando ritmi e canzoni a tutto volume che la calma e la serenità agreste vengono spazzate via d’un colpo. Altro che «Shangri-la». Gli stessi repentini mutamenti sarebbero in corso a Hunza, sulla sponda del Mar Morto, in Georgia (ex Unione Sovietica), dove Stalin ebbe i natali e dove il grande Capo Shirali Muslimov mise incinta la moglie quand’era un giovanotto di appena 136 anni e sarebbe poi morto di vecchiaia a 168. Come quella di Vilcabamba, l’acqua di Hunza conterrebbe minerali con effetti antiossidanti che a loro volta agirebbero contro il processo di invecchiamento degli esseri umani: fenomeno che tuttavia non è stato ancora scientificamente accertato. Camminando lungo l’Avenida e nella città dell’eterna giovinezza oltre che dentro il turbine dei tuoi pensieri, la riflessione che subito ti aggredisce è che di eterno non c’è proprio nulla. Ed è penoso chiudere una così bella giornata con uno di quei verdetti dell’Ecclesiaste che grondano amarezza da tutte le parti.

Fonte: corriere della sera

Trivellazioni nel Parco Yasunì: addio al piano per salvare gli ecosistemi dell’Ecuador

L’Ecuador voleva lasciare intatte le sue riserve sotterranee di greggio, in modo da preservare aree protette come il Parco Yasuní, la zona più ricca di biodiversità dell’intero pianeta. Ma dopo avere raccolto in un solo anno 300 milioni di dollari dalla comunità internazionale, cifra richiesta al mondo da Rafael Correa per compensare i mancati introiti petroliferi, il tutto si è bloccato. Il lavoro del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), incaricato di iniziare con il finanziamento di energie verdi, la riforestazione e i progetti per le comunità locali in alternativa alle trivellazioni, infatti, rimarrà solo un bel sogno infranto. La denuncia arriva da Survival, preoccupata per gli effetti di questa scelta sulle tribù incontattate di quelle terre.parco_yasuni

L’iniziativa Yasuni Ishpingo Tambococha Tiputini (ITT) era nata nel 2007 e proponeva di fermare le trivellazioni petrolifere all’interno del parco a condizione che i sostenitori internazionali raccogliessero una somma di denaro pari a metà del valore stimato delle riserve di petrolio dell’area. Una scelta dovuta al fatto che, in soli quattro decenni, l’industria petrolifera aveva portato a livelli di inquinamento e degrado sociale tali da convincere il Paese del Buen Vivir a cambiare rotta, tutelando in particolare la IITT, una delle aree naturalistiche più importanti del pianeta. Situata all’interno del Parque Nacional Yasuní, è un paradiso per insetti, uccelli, mammiferi e anfibi, che in un solo ettaro ospita fino a 655 specie di alberi, lo stesso numero di quelle in Usa e Canada messi insieme. Un gioiello di biodiversità, sotto cui però si nasconde un altro tesoro: 850 milioni di barili di oro nero, il 20% delle riserve nazionali. Dopo avere provato a compensare le mancate entrate chiedendo il contributo della comunità internazionale (3 miliardi e 600 milioni di dollari), da raccogliere nell’arco di 13 anni, lo Stato sudamericano ha cambiato idea: ora nonostante l’opposizione della nazione, il Presidente dell’Ecuador Rafael Correa ha cancellato il progetto ideato per proteggere dalle trivellazioni petrolifere il Parco Nazionale Yasunì. “Il mondo ci ha abbandonato”, ha dichiarato il Presidente Correa. Ma il problema, ora, oltre a quello di un ambiente che verrà consacrato alle trivellazioni petrolifere è che nel Parco Yasuni abitano diversi popoli indigeni, tra cui le tribù incontattate dei Tagaeri e dei Taromenane. “Le tribù non hanno difese immunitarie verso le malattie portate dall’esterno e qualsiasi contatto potrebbe essere fatale. Molte tribù della regione sono già state decimate a seguito del contatto con gli operai petroliferi”, afferma John Wright di Survival International: “Si pensa, inoltre, che il conflitto tra gli Indiani Waorani locali e le tribù incontattate sia dovuto alla crescente pressione esercitata dai taglialegna e dalle compagnie petrolifere che già operano nell’area”. Nelle scorse settimane, centinaia di manifestanti si sono riversati nelle strade della capitale dell’Ecuador per protestare contro la decisione di Correa. Il loro timore è legato in realtà ad una certezza: le compagnie petrolifere metteranno in pericolo le vite delle tribù incontattate, e devasteranno la preziosa biodiversità del parco come hanno già fatto altrove. Ma sappiamo già come andrà a finire: il mondo si dimenticherà ed abbandonerà presto anche loro.

Fonte: il cambiamento

Ecuador, foresta amazzonica in vendita. È per il debito con la Cina?

L’Ecuador vuole cedere 3 milioni di ettari di foresta pluviale – circa un decimo del territorio nazionale – alle compagnie petrolifere. Le più interessate sembrano quelle cinesi, e in molti ricollegano l’affare al debito contratto dal governo di Quito con Pechino. Ma nell’area in questione abitano sette diverse popolazioni indigene che potrebbero vedere distrutto il loro ambiente.proteste_ecuador

Brutta mano per Rafael Correa. Il presidente-eroe che nel 2008 annullò il debito estero illegittimo dell’Ecuador verso le banche statunitensi sembra aver scordato di colpo i rischi che si corrono nel finanziarsi con i prestiti delle nazioni straniere. Così ora si trova a dover svendere una enorme fetta della propria nazione alla Cina, mettendo a rischio la sopravvivenza di varie popolazioni indigene. Almeno questo è ciò che sta avvenendo secondo una delle ipotesi più accreditate. Di certo c’è che il governo di Quito ha messo all’asta 3 milioni di ettari di foresta amazzonica per favorire gli investimenti delle compagnie petrolifere straniere e che tra i clienti più interessati ci sono la China Petrochemical e la China National Offshore Oil. Il 25 marzo un gruppo di politici ecuadoriani ha incontrato alcuni rappresentanti delle compagnie cinesi in un hotel Hilton nel centro di Pechino, per offrire contratti di usufrutto dell’area. In precedenza si erano tenuti altri incontri a Quito, Houston e Parigi. Tre milioni di ettari sono oltre un decimo del territorio dell’intero paese. In essi vivono sette diverse popolazioni indigene che potrebbero vedere la propria terra venduta al miglior offerente, per essere in seguito spianata, trivellata, inquinata, devastata dall’estrazione del petrolio. Per loro il “buen vivir” è a rischio. Il diritto a vivere in un ambiente sano, gli sforzi per utilizzare energie pulite, il diritto alla salute, all’acqua, alla natura sono concetti ampiamente riconosciuti dalla costituzione ecuadoriana approvata nel 2008 – su forte pressione dello stesso Correa – compresi sotto al concetto-cappello del “ben vivere” (“buen vivir”, o “sumak kawsay” in Quechua) ma rischiano di passare in secondo piano di fronte agli interessi economici nazionali. Il buon vivere, vero e proprio pilastro della costituzione – concetto della tradizione sudamericana che consiste nel promuove la vita ed il bilanciamento fra esseri umani ed altri esseri viventi, al fine di una coesistenza armoniosa con la natura – non esisterà più. Le proteste non si sono fatte attendere. “Chiediamo che le compagnie petrolifere pubbliche e private di tutto il mondo non partecipino al processo di gara che viola sistematicamente i diritti dei sette popolazioni indigene, imponendo progetti petroliferi nei loro territori ancestrali,” hanno scritto in una lettera aperta alcuni rappresentanti delle popolazioni indigene ecuadoriane. Dal canto suo, il governo ecuadoriano ha risposto accusando a sua volta. In un’intervista, il segretario agli idrocarburi, Andrés Donoso Fabara, ha accusato i leader indigeni di rappresentare scorrettamente le proprie comunità per raggiungere obiettivi politici. “Questi ragazzi hanno un programma politico, non stanno pensando allo sviluppo o alla lotta contro la povertà”, ha detto, aggiungendo che il governo aveva deciso di non aprire determinate aree del territorio perché mancava il sostegno delle comunità locali. “Siamo autorizzati dalla legge, se volessimo, ad entrare con la forza e fare le nostre attività, anche se sono contro di loro”, ha detto. “Ma non è la nostra politica.” Nel parlare di “programma politico” Fabara allude forse all’appoggio che le popolazioni indigene hanno ottenuto da alcune associazioni umanitarie con base in Usa. In effetti è possibile che gli Stati Uniti cerchino di utilizzare il classico stratagemma della lotta per i diritti umani al fine di ostacolare una serie di accordi fra Ecuador e Cina che potrebbero contribuire a cambiare gli equilibri geopolitici del Sud America. Recentemente la Cina ha dimostrato più di un semplice interesse. Proprio ieri, 2 maggio, il nuovo ambasciatore cinese a Quito ha affermato che si aspetta che la collaborazione fra i due paesi verrà ampliata all’ambito culturale, militare, educativo e scientifico. Geopolitica a parte, resta gravissima l’iniziativa del governo ecuadoriano. Fra gli accusatori dell’esecutivo c’è poi chi è sicuro che l’intera operazione sia legata al debito contratto dall’Ecuador con la Cina. Un debito che ammonta a 7,2 miliardi di dollari, circa il 13 per cento del pil del paese. Adam Zuckerman, attivista ambientale e per i diritti umani di Amazon watch ha dichiarato al Guardian: “La mia percezione è che questo sia essenzialmente un problema di debito; gli ecuadoriani sono così dipendenti dai cinese per finanziare il loro sviluppo che sono disposti a compromessi in altri settori, come quelli sociale e ambientale”. Così, barattata in cambio di qualche miliardo di dollari, un’altra ampia zona del polmone verde del mondo rischia di essere compromessa per sempre, sottraendo ricchezza all’ecosistema e alla biodiversità del pianeta.

Fonte: il cambiamento

Ecuador, il governo mette all’asta la foresta amazzonica

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L’Ecuador sta per mettere all’asta circa tre milioni di ettari di foresta amazzonica, polmone verde della Terra. L’intenzione delle autorità sarebbe quella di venderli alle compagnie petrolifere internazionali, in particolare a quelle cinesi. Il governo di Quito ha infatti organizzato un tour nelle capitali straniere che potrebbero essere maggiormente interessate all’affare. Lunedì a Pechino i rappresentanti dell’Ecuador hanno quindi illustrato le potenzialità energetiche dei terreni in vendita ai manager delle principali aziende petrolifere cinesi, tra cui la China Petrochemical e la China National Offshore Oil. L’intenzione delle autorità dell’Ecuador ha provocato la dura protesta di organizzazioni non governative e leader delle tribù locali, che denunciano una “sistematica violazione dei diritti sulle terre ancestrali”. La vendita della foresta amazzonica aprirebbe infatti la strada a nuove esplorazioni petrolifere e a nuove deportazioni di popolazioni indigene. In particolare, secondo l’organizzazione Amazon Watch, sono sette le popolazioni che rischiano di essere espropriate della loro terra. “Chiediamo che le compagnie petrolifere pubbliche e private di tutto il mondo non partecipino al processo di gara che viola sistematicamente i diritti di sette nazionalità indigene, imponendo progetti petroliferi nei loro territori ancestrali”, ha scritto un gruppo di associazioni indigene dell’Ecuador in una lettera aperta dello scorso autunno. Il ministro ecuadoregno per gli Idrocarburi, Andrés Donoso Fabara, ha replicato all’appello duramente accusando i leader della protesta di non fare gli interessi delle loro popolazioni, ma di inseguire di inseguire degli obiettivi politici. Eppure secondo Amazon Watch, un eventuale acquisto violerebbe anche le linee guida fissate congiuntamente dai ministri cinesi per l’Ambiente e per il Commercio estero. In base al documento approvato il mese scorso, infatti, gli investimenti all’estero dovrebbero avvenire “promuovendo uno sviluppo armonioso dell’economia locale, dell’ambiente e delle comunità”. Nel luglio scorso la Corte interamericana dei diritti umani ha stabilito di vietare sviluppi petroliferi nel Sarayaku, un territorio della foresta pluviale tropicale nel sud dell’Ecuador raggiungibile solo in aereo e in canoa, al fine di preservare il suo ricco patrimonio culturale e della biodiversità. La corte ha inoltre ordinato che i governi ottengono “previo consenso libero e informato” da gruppi indigeni prima di approvare le attività petrolifere sulle loro terre indigene. La foresta amazzonica, ecosistema più ricco al mondo di specie animali e vegetali, è già fortemente minacciata dalla deforestazione che tra l’agosto del 2012 e il febbraio del 2013 è aumentata del 26,6%. Secondo i dati raccolti dal sistema di rilevamento satellitare Deter, del National Space Research Institute (Inpe), soltanto in quell’arco di tempo sono andati distrutti 1.695 kmq di foresta, una superficie più grande di quella di San Paolo, la città più grande del Sud America. Nello stesso periodo dell’anno precedente erano andati distrutti, invece, 1.339 kmq di foresta.

Fonte: il cambiamento

L'uomo che Piantava gli Alberi

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Ecuador: foresta pluviale a rischio per gli appetiti energetici della Cina

Dopo aver rinunciato all’estrazione di petrolio nella zona di Yasuni in cambio di aiuti internazionali, l’Ecuador sta ora cercando di vendere altre concessioni petrolifere alla Cina, mettendo a rishio 30000 km² di foresta ricchi di biodiversità e di popoli indigeni

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La foresta amazzonica rappresenta circa la metà del territorio dell’Ecuador (ciò che i locali chiamano El Oriente), circa 130000 km². E’ una zona straordinaria per la sua biodiversità, testimoniata dal parco di Yasuni, mostrato nella foto in alto e nella gallery.

Nel 2007 il governo di Rafael Correa lanciò l’idea rivoluzionaria di rinunciare allo sfruttamento del petrolio (riserve stimate in 800 Mb) nella zona di Yasuni in cambio di un adeguato aiuto economico da parte della comunità internazionale.

Il progetto, noto come ITT, ha preso l’avvio nel 2010 dopo aver raccolto oltre 100 milioni di $ dai donatori. Nella mappa in fondo al post la regione di Yasuni è quella marcata come “zona intangible”.

Le cose però purtroppo stano cambiando. Avendo accumulato un debito di oltre 7 miliardi di $ con la Cina, l’Ecuador le sta ora offrendo concessioni petrolifere su un’area vasta quasi 30 000 km².

La Confederation de nacionalidades indigenas de la amazonia ecuatoriana   (CONFENIAE), si oppone fermamente al progetto di concessione petrolifera in quanto violazione dei diritti collettivi delle sette nazioni indigeni che risiedono su questi territori da migliaia di anni.

Afferma il leader indigeno Humberto Cholango: «Il petrolio è stato estratto per 40 anni ed ha solo portato povertà, devastazione ambientale, malattie e genocidio». Come dargli torto? Potremmo aggiungere che non ne vale nemmeno la pena, visto che l’Ecuador possiede solo lo 04% delle riserve mondiali.

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fonte: ecoblog

Grecia ed Ecuador: due crisi, due soluzioni

Alcuni anni fa l’Ecuador ha attraversato un crisi del debito analoga a quella in cui si trova oggi la Grecia. Le contromisure adottate all’epoca dal paese sudamericano rappresentano uno spunto determinante per trovare una soluzione anche in Europa.

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La Grecia e l’Ecuador condividono un’esperienza assai tormentata nell’ostico campo della finanza globale e, soprattutto, delle conseguenze che l’operato delle banche e degli speculatori comporta sulla popolazione. Ciò che differenzia i due paesi è il modo in cui hanno affrontato, o stanno affrontando, questa difficile sfida. Grecia ed Ecuador hanno anche un altro elemento in comune. Anzi, una persona. Si tratta dell’economista e politologo belga Eric Toussaint. In che modo Toussaint unisce i destini di questi due paesi? Nel 2007 ha partecipato, in qualità di membro straniero, alla Commissione Presidenziale di Audizione Integrale sul Debito istituita dal Presidente ecuadoriano Rafael Correa appena dopo aver vinto le elezioni di fine 2006. E oggi, come fondatore e presidente del Comitato per l’Abolizione del Debito del Terzo Mondo (CADTM), è impegnato in una volenterosa campagna volta a promuovere un analogo percorso in anche nel paese ellenico. L’accademico, membro del consiglio scientifico di Attac France, ha partecipato alla Commissione che fra il 2007 e il 2008 ha analizzato la posizione finanziaria dell’Ecuador e ha fornito al Governo di Correa gli strumenti per rinegoziare il proprio debito, che alla fine del 2006 superava i 10 miliardi di dollari. L’obiettivo fondamentale che ha ispirato il lavoro della Commissione, formata da dodici membri interni, sei esterni e da delegazioni delle istituzioni ecuadoriane, era dimostrare che il debito contratto era illegittimo e, in quanto tale, poteva non essere rimborsato. Tale illegittimità è sancita da tre caratteristiche fondamentali: il debito è stato contratto senza il consenso della nazione, il suo ammontare è stato speso contro gli interessi della nazione, colui che l’ha creato è a conoscenza dei primi due punti. Nonostante l’ostracismo di alcuni settori della finanza internazionale e delle lobby nazionali, dopo quattordici mesi di lavoro, seguiti da un processo decisionale governativo durato due mesi, l’Ecuador ha scelto di cancellare il 65% del proprio debito, dichiarandolo illegittimo e sospendendo i pagamenti dei bond. Successivamente, nel giugno del 2011, il paese ha ricomprato la quasi totalità dei propri titoli pagandoli il 35% del loro valore.

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Questa decisione naturalmente ha comportato una netta rottura con il Fondo Monetario Internazionale, con il sistema bancario privato e, in generale, con i mercati finanziari globali. Al tempo stesso, ha permesso al Governo di Correa di consolidare la situazione socio-economica dell’Ecuador: la spesa sociale è cresciuta fino a raggiungere il 10% del PIL, la percentuale di popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà è passata dal 37,6% del 2006 al 28,6% del 2011, sempre nel 2011 la sua economia è cresciuta del 7,8% e il debito estero si è ridotto di 4 miliardi di dollari. Oggi il partner finanziario privilegiato del paese sudamericano è la Cina, dalla quale – va detto – Correa ha ricevuto finanziamenti per più di 7 miliardi di euro a un tasso di interesse molto elevato (7,5%).
Veniamo ora alla Grecia. Come in quasi tutto l’Occidente, anche nel paese ellenico l’indebitamento privato è riconducibile alla disinvoltura con cui le banche hanno concesso prestiti ai cittadini nel corso degli ultimi anni. Contraendo debiti, i greci – come del resto anche noi – hanno vissuto al di sopra della soglia che le loro risorse economiche consentivano e questa pratica distruttiva è stata addirittura incrementata negli anni della crisi dei mutui americana: l’indebitamento privato è passato dagli 80 miliardi di euro del dicembre 2005 ai 160 del luglio 2008. Più di un quarto di esso è in mano a banche private francesi e un’altra buona fetta (circa il 50%) è detenuta da istituti di credito di Germania, Italia e Benelux. Anche una parte consistente del debito pubblico – a proposito dell’illegittimità di cui si parlava prima – è stato contratto in maniera discutibile. Una percentuale di esso è un’eredità del regime dei colonnelli, che ha inaugurato una pratica costosa e riprovevole che fa della Grecia il detentore di un triste primato: quello delle spese militari, che nel paese ellenico ammontano al 4% del PIL, il dato più elevato d’Europa. A cavallo fra gli anni novanta e i duemila, un’altra bella botta l’hanno data le Olimpiadi: il loro costo è stato quantificato il 14 miliardi di euro, ma stime ufficiose parlano di cifre anche più elevate. Inoltre, scandali ed episodi di corruzione hanno contribuito in maniera decisiva ad aggravare la situazione. Il più clamoroso è il caso Siemens: il colosso tedesco dell’elettronica ha infilato cospicue mazzette nelle tasche di politici e dirigenti statali greci per agevolare l’acquisto di costosi sistemi e attrezzature da impiegare nei settori della sanità, delle telecomunicazioni, della difesa e dei trasporti. Questa situazione ha portato la Grecia al collasso e l’ha resa vulnerabile all’attacco della Troika – Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Banca Mondiale – che, attraverso l’ormai famoso Memorandum, giunto alla terza edizione, sta imponendo durissime misure di austerity al popolo greco. Aumento dell’IVA (passata dal 19 al 21 e quindi al 23%), licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici con contratti a termine, riduzione dei sussidi di disoccupazione, abbattimento dei salari del 30% e così via. Si potrebbe proseguire per pagine e pagine.

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I due casi sono paragonabili? Come sottolinea anche Touissant, le differenze in realtà sono numerose. La struttura del debito ecuadoriano era non solo più complessa e composta da molti contratti diversi, ma anche più ostica da analizzare, a partire dalla logistica – c’è stato addirittura un caso di trafugamento di importanti documenti del Ministero delle Finanze dalle stanze dei membri della Commissione. Inoltre, le economie dei due paesi sono profondamente diverse. L’Ecuador può contare sugli enormi introiti garantiti dall’esportazione del petrolio, settore in cui infatti sono stati posti paletti molto restrittivi per le compagnie private. Naturalmente conta molto anche il contesto geopolitico: se in America Latina i partner con cui percorrere la strada dell’illegittimità del debito sono diversi – non solo Argentina, Venezuela, Bolivia, ma anche soggetti esterni come la Cina –, nel nostro continente l’Unione Europea ha puntato il piede un po’ in tutti i paesi per tenere le porte aperte ai mercati della finanza internazionale e divincolarsi non è facile. Tuttavia, al di là delle diversità oggettive, esiste qualcosa di meno tangibile ma altrettanto importante di cui tenere conto. Si tratta, molto semplicemente, dell’atteggiamento culturale nei confronti del sistema economico globale, fondato sull’ultraliberismo, sulla crescita infinita come necessità vitale, sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali e umane, sul consumo sfrenato, sul denaro virtuale e sul sistema del debito. Rifiutare questi meccanismi e contrapporre loro un’economia reale che tenga conto prima di tutto del benessere dei cittadini e dell’ambiente è già un passo avanti notevole a cui possono seguire misure concrete capaci di intervenire con efficacia sulla realtà. Lo stesso Eric Touissant racconta di un colloquio intercorso fra George Papandreou e Rafael Correa, in cui l’ex Primo Ministro greco ha chiesto al Presidente ecuadoriano un consiglio su come risolvere la crisi, all’epoca ancora in fase di incubazione. Correa gli avrebbe detto che esistevano due misure, una da adottare e una da evitare assolutamente. La prima era l’istituzione di una commissione che analizzasse il debito pubblico e ne decretasse l’eventuale illegittimità. La seconda era la richiesta d’aiuto al Fondo Monetario Internazionale. Purtroppo per i greci, il Governo ellenico ha fatto l’esatto contrario di ciò che consigliava Correa.

Fonte: il cambiamento