Una legge per ecovillaggi, cohousing e comunità intenzionali

Una rete di associazioni ha presentato una proposta di legge per introdurre un testo che inquadri e sostenga dal punto di vista normativo forme di vita comunitaria oggi sempre più diffuse e importanti. Allo stato attuale infatti, le comunità intenzionali devono aggrapparsi ad appigli burocratici inadatti allo scopo, rinunciando spesso a interessanti possibilità di incidere positivamente sul territorio. In risposta a una società sempre più parcellizzata, nella quale dilagano solitudine e senso di impotenza rispetto alle grandi sfide dei nostri tempi – economiche, sociali e ambientali –, sono molte le persone che si stanno avvicinando all’esperienza delle Comunità Intenzionali, riconoscendone il valore e le potenzialità. Ecovillaggi e cohousing, dunque, ma anche condomini solidali e altre forme dell’abitare collaborativo, tutte accomunate dalla scelta di condividere gli spazi di vita e di progettarli insieme, ispirati da principi di solidarietà e sostenibilità – relazionale, sociale, economica e ambientale. Fino a oggi questi preziosi laboratori sociali sono nati, si sono moltiplicati e hanno prosperato pur senza un riconoscimento legale, attingendo a forme giuridiche spesso variegate e intrecciate fra di loro. Emblematico, fra i tanti, il caso dell’Ecovillaggio Lumen, dove l’essere comunità intenzionale è espresso in ben cinque forme organizzative, ognuna con un suo costo e una sua complessità.

«Abbiamo una cooperativa di lavoro per le attività lavorative comuni. Una cooperativa di abitazione per gestire gli immobili in proprietà indivisa. Un’associazione di promozione sociale per gestire le attività no profit e di utilità sociale. Poi un’associazione non riconosciuta per gestire la condivisione delle automobili. E, per non farci mancare niente, un condominio per la condivisione di bollette e altre spese comuni», ha spiegato Federico Palla, membro dell’Ecovillaggio Lumen. Costellazioni di forme giuridiche, queste, che se da una parte comportano uno sforzo da parte di chi vive o vorrebbe vivere in una comunità intenzionale, dall’altra possono generare confusione nelle Pubbliche Amministrazioni.

Per superare queste difficoltà, semplificando ma anche per aprire nuovi orizzonti all’esperienza delle Comunità Intenzionali in Italia, la Rete Italiana dei Villaggi Ecologici, la Rete Italiana Cohousing, Rete Europea SALUS, e CONACREIS, negli ultimi anni hanno elaborato una proposta di legge per il riconoscimento delle Comunità Intenzionali, che grazie all’iniziativa dei deputati Alberto Zolezzi, Federica Daga, Salvatore Micillo, Patrizia Terzoni e Stefano Vignaroli è stata depositata in Commissione Affari Costituzionali il 22 ottobre 2020. Dal 2013 raccontiamo, mappiamo e mettiamo in rete chi si attiva per cambiare l’Italia, in una direzione di maggiore sostenibilità ed equità economica, sociale, ambientale e culturale. Lo facciamo grazie al contributo dei nostri lettori. Se ritieni che il nostro lavoro sia importante, aiutaci a costruire e diffondere un’informazione sempre più approfondita. Fra i punti interessanti che emergono dalla proposta di legge c’è la possibilità per le Pubbliche Amministrazioni di concedere alle Comunità Intenzionali la disponibilità e l’uso di immobili e beni pubblici, come anche i beni confiscati alla mafia. «In Italia il patrimonio immobiliare abbandonato è vastissimo», ha spiegato Federico Palla. «Le assegnazioni, attualmente, già esistono per Associazioni, Cooperative Sociali, Fondazioni… Ora quest’opzione potrebbe aprirsi anche alle Comunità Intenzionali, che oltre a recuperare gli spazi sottraendoli all’abbandono potrebbero ravvivarli abitandoli e renderli disponibili alla comunità locale».

A questo si aggiunge la possibilità per le Comunità Intenzionali, ispirate a principi di ecoreversibilità e sostenibilità energetica e ambientale, di partecipare a procedimenti amministrativi di gestione e riciclo dei rifiuti prodotti e di riparazione. E siccome oneri e onori vanno insieme, la proposta di legge chiede in cambio alle Comunità Intenzionali che vorranno avvalersi di questa opzione di calcolare la propria impronta ecologica, in un’operazione di trasparenza.

Segue poi l’istituzione di un Osservatorio Nazionale sulle Comunità Intenzionali, presieduto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e composto anche da ANCI e ISPRA, chiamato a definire gli indicatori per la misurazione dell’impronta ambientale delle Comunità Intenzionali, a rappresentare gli interessi delle Comunità Intenzionali nei rapporti con gli organi istituzionali e a redigere un rapporto annuale sul fenomeno. «Sarebbe interessante, nel corso dei lavori, individuare anche i possibili legami fra le Comunità Intenzionali e le Comunità Energetiche che, detta semplice, sono gruppi di persone che decidono di condividere la produzione e il consumo di energia», ha aggiunto Federico Palla.

L’approvazione della proposta di legge per il riconoscimento delle Comunità Intenzionali potrebbe aprire una nuova stagione per coloro che già sperimentano da tempo l’abitare collaborativo, per chi vuole intraprendere per questo percorso, per la cittadinanza nel suo complesso e diventare un prezioso precedente anche per altri paesi europei. Il viaggio verso l’approvazione, tuttavia, è ancora lungo. «Attualmente la proposta di legge è depositata in Commissione Affari Costituzionali, dove inizia l’iter. Ma, depositata, è come se fosse in un cassetto. Il primo passo importante sarà la calendarizzazione – vale a dire la messa all’ordine del giorno – e la discussione della proposta per verificare se ci sono profili di incostituzionalità o problemi di incoerenza con altre leggi dello Stato».

«A questo seguiranno gli esami delle altre Commissioni interessate. Siccome la proposta di legge è molto ampia, perché l’esperienza delle Comunità Intenzionali riguarda tanti aspetti diversi della vita, le Commissioni a dover esaminare la proposta e a valutarla saranno sette, ognuna delle quali potrà intervenire con delle modifiche. Si tratta dunque di esame ampio e solo una volta concluso tutto l’iter la legge potrà essere votata, eventualmente approvata, e diventare infine legge dello Stato», ci ha spiegato Federico Palla. Le reti promotrici, per evitare che la proposta di legge per il riconoscimento delle Comunità Intenzionali resti “nel cassetto”, si stanno già mobilitando per chiedere supporto alla cittadinanza. Nei prossimi mesi, dunque, si susseguiranno eventi online di presentazione della proposta di legge, ai quali prenderanno parte i deputati promotori della legge e le realtà promotrici della proposta e con il sostegno di volontari verranno prodotti e diffusi materiali informativi per raccontare la proposta e le sue finalità. Chi volesse contribuire a dare forza alla proposta di legge sulle Comunità Intenzionali può esprimere il proprio sostegno firmando questa petizione, diffondendola o ancora scrivendo, in qualità di cittadini e/o di organizzazioni, a deputati e senatori mettendoli a conoscenza della proposta e stimolando il loro interesse. «Serve sensibilizzare le forze politiche, perché sono loro che potranno portare avanti l’iter», ha concluso Federico Palla.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/legge-ecovillaggi-cohousing-comunita-intenzionali/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La nuova vita di una famiglia in una Casetta Ben Nascosta nel bosco

Stanchi dello stress causato dal lavoro, Jyothi e Daniele hanno deciso di cambiare radicalmente e di andare a vivere con i figli sulle pendici del Monte Cimino in un casale di campagna che hanno ristrutturato e ribattezzato La Casetta ben Nascosta del Bosco. Qui sperimentano un vivere sostenibile fatto di autoproduzione, riciclo creativo, contemplazione e riscoperta delle relazioni e della comunità.

 “Dimmi, piccolina, se ne usciamo vivi, che cosa ti farebbe veramente piacere?

“Ritrovare Ernest – disse subito Celestine. – E tornare con lui nella casetta ben nascosta nel bosco”

Da questo passo del libro Ernest e Celestine, scritto da Pennac, Jyothi e Daniele hanno preso spunto per battezzare la loro casa-laboratorio per una vita sostenibile con il nome La Casetta ben Nascosta nel Bosco. La coppia fino a qualche anno fa conduceva insieme ai tre figli una delle tipiche vite che comunemente si ritengono essere di successo. Dagli Stati Uniti, dove allora abitavano, hanno iniziato tuttavia ad osservare ciò che oggi è diventato evidente anche in Europa, ovvero “come la società ci fa correre, non ci consente di essere presenti e di coltivare le relazioni per poi riempirci di stupidaggini così da sopperire al fatto di essere come un criceto sulla ruota”.

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La Casetta ben Nascosta nel Bosco

«I bambini – ci ha raccontato Daniele – vengono sempre più spesso cresciuti da dispositivi elettronici, mentre gli algoritmi decidono sempre di più le nostre vite».

Lasciato il lavoro nel settore hi-tech, dunque, Daniele e la sua famiglia, hanno deciso di tornare in Europa e, successivamente, in Italia. Visti una decina di casali in campagna fra Lazio, Umbria e Toscana, Jyothi e Daniele hanno trovato “in uno di quei posti che ci arrivi solo se lo sai, o se ti perdi” quella che sarebbe diventata La Casetta ben Nascosta nel Bosco, a Soriano nel Cimino. La casetta anni ‘50 è circondata da ulivi e noccioli, qualche castagno e noce, meli, ciliegie e fichi. I primi mesi nella nuova casa sono stati dedicati a rendere agibili un paio di stanze, mentre oggi la vecchia stalla è diventata un bagno. Poco lontano c’è una yurta e tutt’intorno alla casetta che è stata ristrutturata ci sono i pannelli solari, un orto, una piccola serra e un pollaio.

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Nella casa-laboratorio per una vita sostenibile, Jyothi e Daniele coltivano e producono il proprio cibo: un atto rivoluzionario in un mondo che spinge le persone a mangiare cibo sempre più scadente e alterato. Gli oggetti di scarto, invece, diventano lavori artistici e divertenti, come i vecchi copertoni diventati un gioco per bambini o le lattine e le vecchie scatole di alluminio che diventano strumenti musicali. Questa scelta di vita ha consentito a Jyothi e Daniele di avere più tempo da dedicare a loro stessi, alle relazioni o anche, più semplicemente, alla contemplazione. «Il bombardamento di informazioni e di stimoli cui siamo sottoposti quotidianamente – osserva Daniele – non ci consente né di riflettere né di metabolizzare esperienze ed emozioni, e questo contribuisce a farci ammalare».
Jyothi e Daniele, dunque, intendono continuare a «lavorare il giusto per ottenere il giusto, senza strafare» e si augurano che sempre più persone prendano una decisione simile. «C’è tanta campagna che sta andando in malora, in un’incuria totale. In Olanda – paese da cui proviene Jyothi – le piccole botteghe di stampo familiare sono già state smantellate 25 anni fa senza che neppure le persone se ne accorgessero. In Italia, invece, questo smantellamento è più recente e la società civile inserita in un contesto di borghi e di paesi può essere ancora salvaguardata e ricostruita».

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Dal tornare ad abitare le campagne al fare comunità il passo è breve: ne è un esempio la Comunità Rurale Diffusa nata dalla collaborazione fra i piccoli coltivatori e le famiglie – compresa quella di Jyothi e Daniele – prossimi alla Casetta ben Nascosta nel bosco. Non solo ecovillaggi dunque: secondo Daniele se le persone ripopolassero borghi e paesi le comunità si creerebbero spontaneamente. Si potrebbe ricominciare ad andare a piedi, incontrarsi sulla piazza e raccontarsi quello che succede.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/12/nuova-famiglia-casetta-ben-nascosta-bosco/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Sarà in Italia il raduno europeo 2019 degli ecovillaggi

Approda in Italia, nel prossimo mese di luglio, la Conferenza Europea degli Ecovillaggi (GEN eu) per il 2019. L’appuntamento è alla Comune di Bagnaia, comunità attiva da tempo in Toscana.

L’edizione del 2019 della Conferenza Europea degli ecovillaggi (GEN eu) si terrà in Italia e per la precisione alla Comune di Bagnaia, comunità da tempo attiva in Toscana.

Si tratta del raduno annuale aperto a chi vive in ecovillaggio, a chi sogna di viverci e anche a chi sente affinità con il movimento e per il ritrovo i partecipanti provengono da tutta Europa e da tutto il mondo.

Dopo alcune edizioni in svariate nazioni del mondo, l’importante momento di confronto e condivisione delle esperienze torna quindi nel nostro paese, facendo cadere la scelta su un luogo particolarmente significativo per la realtà dell’abitare condiviso. La Comune di Bagnaia ONLUS è una comunità intenzionale attiva da molto tempo in Toscana e «non ha mancato di ispirare nel tempo numerosi ecovillaggisti, fautori del cambiamento, ricercatori e cittadini del mondo da tutta Europa e oltre con le soluzioni innovative sperimentate giornalmente» spiegano dalla Rive, la Rete Italiana degli Ecovillaggi.

Fondata nel 1979, gli obiettivi principali di Bagnaia sono vivere in modo autosufficiente, avere cura dell’ambiente e sostenere trasformazioni sociali positive attraverso la pace e la giustizia sociale.

«Guidati da questi valori, il raduno del 2019 porrà l’attenzione sulla partecipazione attiva, l’azione e la solidarietà, così che possiamo restare uniti di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, rafforzati dalla nostra coesione nella diversità» spiegano ancora dalla Rive.

E ancora: «Nutrendo l’azione concreta attraverso un apprendimento pratico, la partecipazione e la creazione di reti, intendiamo generare una reazione a catena che vada oltre il raduno stesso, e che contribuisca alla costruzione di comunità e a una più ampia guarigione, così da favorire l’avvento di quel mondo ideale a cui tutti noi aspiriamo».

«La Conferenza Europea degli Ecovillaggi è un evento realmente co-creato – spiegano i promotori –  il nostro programma attinge dalla saggezza di tutte le reti di comunità associate e da tutti i movimenti collegati al GEN d’Europa e del mondo.  Coloro che parleranno e che terranno laboratori durante la conferenza offrono le loro capacità in dono, per la creazione di quel mondo ideale a cui tutti noi aspiriamo. Le tematiche che si intrecceranno nel programma di quest’anno rappresentano tre valori particolarmente cari alla Comune di Bagnaia Onlus: la pace, l’ecologia e la giustizia sociale. Il programma metterà in mostra progetti, soluzioni e conoscenze che possano ispirare un’azione concreta e un cambiamento duraturo in queste tre aree di applicazione, sia all’interno degli ecovillaggi che nel mondo esterno».

PACE

La Comune di Bagnaia Onlus ha una lunga tradizione di attività per la costruzione della pace. «Verranno messe in gioco le esperienze di coloro che hanno dedicato le loro vite a questa causa e insieme ideeremo delle strategie per creare una cultura globale di pace» spiegano i promotori.

ECOLOGIA

«La conferenza cercherà di onorare la Madre Terra e quel meraviglioso e misterioso universo che ci sostiene e provvede per noi attraverso rituali, celebrazioni, pratiche spirituali, insegnamenti e azioni concrete».

GIUSTIZIA SOCIALE

«Attraverso il nostro impegno per la solidarietà internazionale, cercheremo di porci interrogativi profondi sul nostro movimento e di diffondere trasformazioni sociali positive che abbiano la giustizia sociale come base».

QUI il sito dell’evento

Qui per le prenotazioni

Fonte: ilcambiamento.it

Ecovillaggio a pedali: il cantiere-scuola che ha dato vita a una comunità

Vivere insieme a contatto con la natura ricercando l’autosufficienza alimentare, energetica ed economica. Questo il sogno di un gruppo di amici che in Umbria hanno dato vita all’ecovillaggio a pedali: un progetto di comunità intenzionale, ecologica e solidale. Situato ad Avigliano Umbro, in provincia di Terni, l’ecovillaggio a pedali nasce dall’idea di un gruppo di amici con un sogno in comune: vivere in una comunità ecologica a 360°. Parliamo di ecologia profonda, ovvero del senso di appartenenza ad un sistema ecologico globale che riscopre il valore delle relazioni con se stessi, con gli altri e con il pianeta. La natura dentro e attorno a sé, insomma, e la voglia di una vita semplice e genuina. Abbiamo incontrato Laura Raduta, 33 anni, co-fondatrice della comunità, che ci ha raccontato la nascita e l’evoluzione di questo progetto.laura-ecovillaggio-a-pedali

Laura Raduta, cofondatrice dell’ecovillaggio a pedali


Come nasce l’idea?

Nel 2013 insieme ad alcuni amici affittammo un casale, rimanendo ognuno a vivere a casa propria, per sperimentare, per condividere intere settimane, per acquisire strumenti di autosufficienza, per conoscerci e capire meglio le esigenze reali di ognuno. Man mano le persone passavano e frequentavano il casale: chi per un corso, chi per una cena, chi per costruire il forno in terra cruda o solo per curiosità. Tante idee, confronti e domande: diventare una comunità intenzionale? Cosa mettere in comune? Quanto condividere? Quest’esperienza è durata tre anni, finché due di noi, io e mio marito, abbiamo comprato un terreno con una casa da ristrutturare nella bassa Umbria e il progetto si è trasferito lì.

Vi siete occupati della progettazione e della ristrutturazione del luogo. Qual è il vostro percorso di formazione?
Entrambi siamo ingegneri e questo ci ha dato una base strutturale, poi il corso di permacultura ci ha aperto alla progettazione sistemica, allo sguardo d’insieme, alla complessità. In seguito abbiamo frequentato tanti corsi, tenuti da permacultori, sulle varie tecniche di progettazione e sull’uso di diversi materiali. Questo ci ha permesso di approfondire e mettere a sistema i vari elementi che avevamo a disposizione. A chiudere il cerchio molta letteratura inglese e molta pratica: sbagli e impari.

Avete messo in piedi un cantiere-scuola?

Sì, a partire dalla fase di progettazione fino a quella di ristrutturazione. La cosa bella, infatti, è che chiunque passi da qui e abbia voglia di imparare, contribuire o solo curiosare partecipa alla costruzione del sogno. È così che la comunità si allarga e diventa diffusa. L’edificio, costruito con i canoni classici, viene rimodellato con i principi di bioarchitettura e l’uso dei materiali naturali e locali. Stiamo scegliendo la terra cruda, dalle tante proprietà ottimali, la paglia, ottimo isolante termico e acustico, la calce e il legno.ecovillaggio-pedali-forno

State ristrutturando questo posto in modo sostenibile. Cosa vuol dire più precisamente?

Abbiamo scelto di ristrutturare, dove possibile, piuttosto che costruire da zero. Abbiamo inoltre scelto di utilizzare materiali il più possibile naturali, di provenienza locale: il legno, la paglia per isolare, la terra cruda per intonacare e per i pavimenti, la calce per i bagni idrorepellenti. Lavorare con materiali naturali e locali permette di avere un impatto molto basso sull’ambiente e spesso, se realizzati in proprio, di abbassare i costi dei lavori. L’utilizzo di materiali naturali permette peraltro di raggiungere un comfort abitativo incredibile. La paglia è un eccellente materiale isolante, facilmente reperibile, rinnovabile e non inquinante. La terra cruda è a metri zero, gli intonaci permettono di regolare l’umidità interna, di diminuire i campi elettromagnetici e di gestire il livello delle tossine nell’aria. I materiali naturali, infine, ci permettono di utilizzare il cantiere come scuola per chi, vuole trascorrere delle giornate insieme a noi per con conoscere I possibili usi di terra cruda, paglia e calce.ecovillaggio-pedali

Il vostro ecovillaggio è autosufficiente dal punto di vista energetico, alimentare ed economico?

Una cucina a norma ci permette di proporre una piccola ristorazione, di trasformare i cibi, di ospitare eventi e corsi. Un laboratorio-falegnameria per i lavori artigianali, l’orto e una foodforest incrementano l’autosufficienza ma diamo anche grande valore allo scambio del surplus, che ottimizza le energie e crea comunità con il territorio locale.  Seguiamo una dieta vegetariana e vegana che, tra le altre cose, permette con più facilità l’autoproduzione. Volendo, qui attorno, si possono prendere in comodato dei boschi per la legna, le castagne, le nocciole, etc. Ci sono tante possibilità, insomma.

La casa inoltre diventerà energicamente passiva grazie al fotovoltaico, al solare termico, al cappotto esterno in balle di paglia e alla serra bioclimatica. La raccolta dell’acqua piovana in cisterne di accumulo ridurrà molto la richiesta idrica esterna. La struttura può garantirci delle entrate economiche per le piccole spese fisse, soprattutto tasse e spostamenti e quindi aiutarci a raggiungere l’autosufficienza economica. La ristrutturazione della struttura, infine, sta diventando una opportunità lavorativa. Le competenze maturate in edilizia sostenibile, in progettazione in permacultura e nell’uso di materiali naturali ci permette infatti di divulgare la nostra esperienza e contemporaneamente ci restituisce un reddito.ecovillaggio-pedali-1

Perché si chiama ecovillaggio a pedali?

Tempo fa in un ecovillaggio ho visto una lavatrice a pedali e ne sono rimasta affascinata per diversi motivi: uso delle gambe e non corrente elettrica, leggerezza ambientale, autonomia di riparazione, senso di semplicità e indipendenza, etc. Quindi abbiamo deciso di chiamare così il nostro ecovillaggio per trasmettare quell’idea di semplicità, lentezza e sostenibilità.

Il sogno continua?

Si, ci piace sognare. Non ho mai avuto dubbi che questa fosse la cosa giusta, per lasciare la propria impronta positiva al mondo e che fosse veramente realizzabile.  Quando tutte le stanze saranno abitabili vorrei che la nostra comunità includesse diverse generazioni, dai giovani agli anziani: si sta meglio tutti e ci si aiuta economicamente. E vorrei che fosse una comunità accogliente per poter aiutare bambini in difficoltà, migranti e altri. Man mano che arriveranno nuove competenze apriremo nuovi capitoli. Esistono tante possibilità per condurre una vita più semplice e a contatto con la natura.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/05/ecovillaggio-a-pedali-cantiere-scuola-ha-dato-vita-comunita/

Ghirolandia, una comunità vegana sull’Appennino parmense

Dopo un radicale cambio vita e una separazione, Fabio si ritrova da solo con il suo grande amore per gli animali e un casale nascosto in un bosco fra i castelli della Val Ceno, in provincia di Parma. Oggi questo posto si appresta ad ospitare una comunità antispecista e decrescente. È nato quasi 3 anni fa sull’Appennino emiliano ma, dopo un inizio pieno di difficoltà, soltanto da qualche mese si prepara al suo lancio definitivo. Stiamo parlando di Ghirolandia Vegan House, un progetto di comunità antispecista basato sul rispetto della natura e degli animali. E già, perché Fabio – un artigiano milanese che si diletta anche nella cucina vegana – mai avrebbe pensato che l’acquisto di quel casale seminascosto in un bosco incantato del comune di Solignano, in provincia di Parma, avrebbe cambiato la sua vita anche nella parte che gli stava più a cuore conservare. Ma partiamo dal principio.Il-casale-immerso-nel-bosco.jpg

Dopo 20 anni di lavoro nella propria ditta artigianale di isolanti termoacustici e altrettanti di attivismo per i diritti degli animali, Fabio e sua moglie, impiegata, decidono che la grigia e inquinata aria della provincia di Milano non è quella che merita di respirare la loro piccola, appena venuta al mondo. E così Fabio accende un mutuo, chiude la ditta e prende in affitto con riscatto un terreno di 17 ettari di bosco e prato nella splendida Val Ceno, con incluso un casale di 420 mq su 3 livelli col tetto abitato da un incredibile numero di piccoli ghiri. L’idea è di sperimentare uno stile di vita decrescente e, in prospettiva, comunitario. La famigliola dovrebbe sistemarsi al piano terra, uno spazio di 130 mq già abitabili, mentre il primo piano e la cantina andranno ristrutturati.Panorama-da-Ghirolandia.jpg

Panorama da Ghirolandia

Tuttavia, la moglie di Fabio capisce presto di non essere pronta per una cesura così netto rispetto alla vita urbana. Questo cambio repentino di vedute porta ben presto alla separazione della coppia e all’affido condiviso della bambina. Non sopportando l’idea di stare troppo lontano da sua figlia, Fabio opta per una doppia vita. Resta a Milano e dedica al casale solo i weekend per lavorare alla sua ristrutturazione e fare rete con gli altri abitanti della Val Ceno nella speranza di mantenere vivo il suo sogno. È proprio durante uno di questi weekend, in una vigna abbandonata, che conosce Matteo. Matteo è un educatore e panificatore della provincia di Como, anch’egli vegano, che 7 anni prima si è trasferito nella Val Ceno, prima facendo WWOOF in un agriturismo e poi arrangiandosi di qua e di là con lavoretti in cambio di vitto e alloggio. Fabio e Matteo lavorano fianco a fianco per rimettere a frutto quella vigna abbandonata e, prima ancora della vendemmia, non soltanto diventano amici, ma si accorgono anche di essere l’uno la soluzione ai problemi dell’altro.Il-tetto-la-dimora-dei-ghiri

Il tetto, dimora dei ghiri

Dopo poche settimane, Matteo si trasferisce nel casale dei ghiri e inizia a lavorare anch’egli alla sua ristrutturazione. La cosa da un lato permette a Fabio di gestire con maggiore tranquillità la sua doppia vita – stretta fra gli impegni familiari a Milano e la necessità di proseguire con i lavori – ma soprattutto, con una persona fissa in loco, di aprire le porte del casale a chi vuole dare una mano o aggregarsi al progetto. Nasce così la pagina Facebook Ecovillaggio Ghirolandia Vegan House, alla quale scriverà Alice. Dall’agosto 2016, difatti, il passaparola ha cominciato a correre e diverse persone hanno trascorso periodi più o meno brevi al casale, senza però decidere di mettersi completamente in gioco. Fabio non ha dubbi in proposito: “Questi progetti attraggono molte persone che vedono in essi un’ancora di salvezza rispetto alle contraddizioni della vita in città, ma altrettante rinunciano; il motivo è che la vita comunitaria rende difficile fuggire dai conflitti personali irrisolti e non tutti sono pronti ad affrontarli.” Invece Alice, una grafica e sarta della provincia di Treviso, è evidentemente pronta, e ora – sebbene non risieda costantemente in loco – è a tutti gli effetti parte di Ghirolandia.Prodotti-dellorto

I primi prodotti dell’orto

Fabio, Matteo e Alice sono ora impegnati a sviluppare Ghirolandia come una comunità basata sulla promozione del pensiero antispecista, inteso come rifiuto di contribuire alla sofferenza e alla morte di individui di altre specie senzienti utilizzando prodotti di origine animale. Per questo il loro progetto è aperto ad altre persone che si riconoscono negli stessi valori e che vogliono unirsi a loro per completare la ristrutturazione del casale e aiutarli a far partire le tante attività possibili attraverso cui finanziare le restanti rate del mutuo: frutticultura e orticultura naturali, eventi, i laboratori di cucito e serigrafia di Alice, quelli di Fabio e Matteo sulla falegnameria e cucina vegana, ecc. Lo spazio c’è, visto che a fine lavori sono previste 8 camere – destinate in parte a residenti e in parte all’ospitalità – e un piccolo rifugio per animali all’esterno. Chi condivide i valori di Ghirolandia Vegan House ma non ha la possibilità trasferirsi in loco, può dare una mano collegandosi alla pagina di crowdfunding  del progetto, tramite la quale chiunque può inviare un contributo in denaro, magari in cambio di conserve autoprodotte, cesti di ortaggi oppure weekend di ospitalità per visitare le bellezze della Val Ceno e i suoi castelli.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/01/ghirolandia-comunita-vegana-appennino-parmense/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Jamadda, l’ecovillaggio in Giamaica nato dal sogno di un’italiana

Capitata per caso in un paesino sulla costa giamaicana, Ramona vi ha fondato un ecovillaggio in permacultura nel quale visitatori e comunità locale si scambiano esperienze e know-how. Dopo tre anni di iniziative per preservare la cultura locale dal colonialismo economico, Jamadda è diventato una delle più rilevanti avanguardie del cambiamento di tutta l’isola, al punto che è stato scelto dall’ONU per rappresentare la Giamaica alla prossima Conferenza Mondiale del Turismo Sostenibile.

GLI INVERNI AL CALDO

In seguito alla crisi economica del 2008, che aveva causato la riduzione del suo impegno come formatrice e consulente aziendale in Italia, Ramona Bavassano – ligure di nascita e salernitana di adozione – inizia a dedicare i suoi inverni al volontariato in giro per il mondo, supportando progetti etici e rientrando in Italia solo con l’inizio della primavera. Dopo anni di impegno per il Corporate Social Forum in Brasile, per gli zapatisti in Messico, per le donne imprenditrici in India, per un progetto di permacultura in Thailandia e per il SAELAO project in Laos, nel 2012 decide di concedersi una vacanza pura, ossia un viaggio senza scopi ulteriori. Ma il suo incontenibile spirito d’iniziativa avrebbe finito per avere la meglio anche stavolta. È il novembre 2012 e Ramona si trova in Honduras in attesa di attraversare il Mar dei Caraibi in barca a vela. Il giorno prima della partenza, il proprietario della barca che avrebbe dovuto portarla in Colombia tramite il couchsailing viene abbandonato da sua moglie e decide di rinunciare al viaggio. Non avendo altre possibilità di raggiungere la sua meta da lì, Ramona cambia i suoi piani e approfitta dell’unica barca in partenza in quei giorni da quel porto, destinazione Giamaica.

IL PRIMO STEP: WELCOMING VIBES

Arrivata in Giamaica, accetta su couchsurfing l’offerta di ospitalità di Paul, un pescatore di Treasure Beach – sulla costa sud dell’isola – che vorrebbe arrotondare le sue entrate affittando parte della sua casa ai turisti. Appena Ramona lo raggiunge, si rende subito conto delle grandi potenzialità di quel luogo. Decide quindi di affrontare apertamente lo scetticismo dei giamaicani nei confronti delle donne alle prese col lavoro fisico: “se trasformo la tua casa in una guest-house, facciamo diventare il tuo rudere abusivo sulla collina un centro eco-turistico?” Dopo due settimane di ritinteggiature, decorazioni, rifiniture e ammodernamenti in totale autocostruzione (di cui Ramona è un’esperta fin da quando ha ristrutturato un casale in provincia di Salerno facendolo diventare la sua base per 15 anni), la casa nel villaggio è pronta per accogliere i primi tedeschi in visita e lo stupefatto Paul a riconoscerla come socia.

L’inverno successivo Ramona torna in Giamaica determinata a investire parte dei suoi risparmi e sfidare ancora la cultura maschilista del posto. Si diverte quindi a gareggiare con i muratori – che nel frattempo stanno ristrutturando il rudere in collina – nell’uso della motosega e nell’intonacatura. Così, tanto “per dare un’immagine delle donne diversa da quella cui sono abituati”. Poi realizza il primo laboratorio di falegnameria al femminile dell’isola, scambiando la formazione professionale alle donne del villaggio con i mobili da loro stesse realizzati per arredare la casa ormai pronta. Infine, inizia a organizzare cene sociali, corsi di cucina e altri eventi culturali che in breve tempo consacrano quella dimora in collina come il luogo più vivo di Treasure Beach. Nasce così Welcoming Vibes.20160302_103643

JOHN IL RASTA

Man mano che passa il tempo, però, Ramona si rende conto di quanto l’immagine di europea venuta a svernare e a far business nel terzo mondo le stia stretta. E così, fomentata dalla constatazione che, come tutte le colonie economiche statunitensi, la Giamaica abbia perso quasi tutta la sua capacità produttiva per ricorrere all’importazione di qualsiasi tipo di merce, inclusi prodotti alimentari freschi che potrebbero essere coltivati in loco, decide di guardarsi intorno alla ricerca di energie nuove e di progetti con un impatto sociale e ambientale più forte. Ormai diventata celebre nel villaggio, un giorno riceve l’invito a pranzo di John, un architetto collezionista d’antichità laureatosi a New York e tornato poi nel suo paese natio per diventare una sorta di maestro spirituale della cultura rasta. John vive in una zona piuttosto isolata e sta creando nel suo terreno pietroso una piccola riserva botanica con specie vegetali autoctone e una mini-galleria d’arte sulla storia della Giamaica. Incuriosita, Ramona accetta di recarsi a quello che, a tutt’oggi, resta il pranzo più lungo della sua vita. Uscirà da casa di John, difatti, solo 48 ore dopo. Con due novità: un nuovo partner e il sogno di un ecovillaggio nel luogo più bello di Treasure Beach.

IL PROGETTO DI ECOVILLAGGIO

Secondo la migliore tradizione rasta, John è un uomo abituato a misurare il tempo in numeri di boccate a uno spinello d’erba, pratica che – com’è noto – tende però a dilatarlo oltremisura. Tuttavia pare che, alla proposta di Ramona di far sorgere in quel luogo un parco dedicato alla permacultura e al recupero delle tradizioni produttive locali aperto ai visitatori da tutto il mondo, John non abbia avuto bisogno di più di due o tre boccate e di altrettante domande. Tornata alla base, negozia un accordo con Paul. Appena lei avrà formato due ragazze del posto a sostituirla nel lavoro di accoglienza turistica, lui le intesterà un terreno agricolo come buonuscita per il lavoro su Welcoming Vibes. Qualche settimana dopo, Ramona si trasferisce nella casa in cui John vive col più giovane dei suoi cinque figli, pronta per iniziare la sua nuova avventura. Un’avventura tutt’altro che semplice, considerato che la strada per arrivare al terreno di John è praticamente inesistente e realizzarla richiederebbe uno sforzo economico improponibile. In pieno spirito di progettazione permaculturale, Ramona ha però l’idea di trasformare quella minaccia in opportunità. Inizia a decorare il sentiero di piccole farfalle colorate di legno (riciclato dai materiali di scarto per la realizzazione del salone per le attività) e pianta fiori in grado di attrarre le bellissime farfalle endemiche di quel luogo. Quel percorso è ora il “Sentiero delle farfalle”, trekking artistico obbligatorio per chi visita l’ecovillaggio.IMG_0032.jpg

JAMADDA PERMACULTURAL PARK

Tre anni dopo, nonostante il terreno pietroso, la mancanza dei più elementari materiali per l’edilizia, il clima secco e le piogge tutte concentrate in poche settimane l’anno, il Jamadda Permcultural Park è una realtà. Oltre al sentiero di accesso, Ramona e John – con l’aiuto dei volontari che sono passati da lì e il lavoro di manovali locali formati così alla bioedilizia – hanno rimodernato con le loro mani la galleria d’arte e il cottage già esistenti, adeguato la “villa” per l’accoglienza degli ospiti, allestito una sala attività e un laboratorio di artigianato, avviato un sistema di raccolta dell’acqua piovana sui tetti (in un paese in cui perfino le grondaie sono un lusso per pochi) e realizzato le prime aiuole in permacultura a scopo didattico. Dulcis in fundo, hanno creato un sentiero ad hoc per il birdwatching completo di rifugi per volatili, lungo il quale vengono a soggiornare il Doctor Bird – il colibrì con la coda lunga simbolo della Giamaica – e altri uccelli multicolore. Ma non è finita qui. Dal prossimo novembre, il ritorno di Ramona in Giamaica coinciderà con la semina di una piantagione di moringa, pianta tropicale edibile dalle innumerevoli proprietà, la promozione di un Presidio Slow Food per preservare le piante di pimento e ackee dalla sparizione e l’attivazione di una banca dei semi per proteggere la biodiversità e ovviare alla carenza di semi autoctoni. La stragrande maggioranza dei prodotti agricoli consumati in loco, infatti, è importata dagli USA e la residua produzione proviene da semi OGM sterili che costringono i pochi contadini rimasti a costi di produzione elevatissimi (un fascio di lattuga arriva a costare come da noi il formaggio) per coltivare specie che non hanno nulla a che vedere con le tradizioni locali.the-amazing-jamadda-team

Il team di Jamadda


GUERRIGLIA CULTURALE

A questo proposito, Ramona non usa mezzi termini. Lei ha già dichiarato guerra all’imbarbarimento culturale dell’isola. Poiché le ragazze del luogo non possono andare in spiaggia senza essere considerate facili, ogni anno organizza un laboratorio di costruzione di lettini da sole, permettendo alle partecipanti di accedere alla spiaggia per ragioni “lecite”. Per non parlare della raccolta di documentari per far partire l’unico cinema di tutta la Giamaica che ha lo scopo di sensibilizzare alla possibilità del cambiamento; del mercatino per artisti e artigiani della provincia; dei laboratori per l’autoproduzione di sciroppi, frutta essiccata, erbe e aromi, che lancerà il prossimo inverno con lo scopo di favorire la nascita di microimprese in grado di sostituire con leccornie locali i costosi prodotti industriali importati. Per continuare a promuovere e ispirare il cambiamento, fondamentali sono anche le partnership che Ramona e John stanno innescando. Insieme con altre tre fattorie biologiche da poco sorte ai quattro lati dell’isola – anch’esse su iniziativa di forestieri che hanno cambiato vita e di giamaicani di ritorno – Jamadda ha infatti promosso la nascita di una rete degli agricoltori naturali giamaicani che avrà il compito di promuovere la permacultura in tutto il Paese. È inoltre in dirittura d’arrivo l’accordo per l’attivazione, presso l’ecovillaggio, di un campo annuale della nota Rumundu Summer school per innovatori sociali.20160306_140759

IL RICONOSCIMENTO INTERNAZIONALE

Insomma, c’è ancora molta strada da fare, spesso in salita, ma il lavoro compiuto sta già portando diversi frutti. Il progetto inizia a essere non soltanto conosciuto, ma anche riconosciuto come modello replicabile in altre zone del Paese e, più in generale, del terzo mondo. È di pochi giorni fa, infatti, la notizia che Ramona Bavassano rappresenterà la Giamaica alla prossima Conferenza Mondiale del Turismo Sostenibile (UNWTO Conference), che si svolgerà dal 27 al 29 novembre 2017 a Montego Bay. La candidatura di Jamadda è stata accettata dall’ONU in quanto propone soluzioni per creare lavoro nelle regioni rurali attraverso l’avvio di uno spazio internazionale di co-working, co-living e fab-lab dove i viaggiatori dei paesi sviluppati possono scambiare l’esperienza di una vacanza residenziale in luoghi ameni con la divulgazione di esperienze professionali e know-how maturati nel primo mondo (con un approccio peer2peer invece della classica mediazione post-colonialista). Lo scopo è di offrire ai visitatori la possibilità di una vacanza intelligente e davvero utile per il paese ospitante (o addirittura una possibilità per mollare tutto e cambiare vita) e proporre alle comunità locali un’occasione di crescita culturale e imprenditoriale nella direzione di una maggiore indipendenza economica e della promozione di progetti in grado di contribuire al raggiungimento dei 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile  promossi dall’ONU.

Volontari e persone in cambiamento, sempre benvenuti a Jamadda, possono contattare Ramona scrivendo a jamadda.jamaica@gmail.com.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/09/jamadda-ecovillaggio-giamaica-sogno-italiana/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Ecovillaggio San Cresci: diventare grandi e ritornare alla terra!

Dall’idea di un’imprenditrice milanese, che ha deciso di cambiare vita, è nato il progetto dell’ecovillaggio San Cresci, nel comune di Borgo San Lorenzo, poco distante da Firenze. L’obiettivo? Creare un nuovo modello di comunità, dove lo stile di vita è sano e di alta qualità, sostenuto dai valori di solidarietà, condivisione, rispetto per l’ambiente e ogni forma di vita.

Non è da tutti prendere tutti i risparmi di una vita e metterli nella realizzazione di un sogno di alti valori, rivoluzionario e controcorrente; come non è da tutti, dopo una vita di successo imprenditoriale ed economico, rendersi conto che si è solo una pedina di uno scenario fatto apposta per distruggerti. Forse ci si arriva quando si ha quella sensazione di poter avere materialmente di più, ma qualsiasi roba verghiana tu possa accumulare non ti appaga lasciandoti affamato dentro.Tenuta-strada-e-villa

Nel Mugello, 35 chilometri fuori Firenze, presso Borgo San Lorenzo, si sviluppa il progetto San Cresci

Allora benvivere diventa la parola d’ordine. Appassionata da sempre di filosofia antroposofica steineriana, l’imprenditrice milanese Roberta Zivoli decide di vendere tutto e fondare il più grande eco-villaggio d’Italia con la missione principale di mettere al centro l’uomo. È mentre guarda Obama che parla di sostenibilità in televisione che ha un’illuminazione, e pensa: «Ma guarda questi americani che vengono a parlarci di sostenibilità quando qui da noi è dal 1800 che siamo ecosostenibili».

«Ho capito tante cose», dice Roberta, «ho lavorato tutta la vita venti ore al giorno per avere la casa al mare, in montagna e poter frequentare certi ambienti e non mi sono accorta che qui in città siamo topi. Beviamo diossina, respiriamo polveri sottili cardiotossiche e mangiamo roba coltivata male e piena di chimica. Quando ho compreso che noi che viviamo nelle città facciamo il gioco di qualcuno che ci vuole distruggere sono stata male. Sono andata da mio marito e gli ho detto: “Ho capito cosa faremo da grandi”».

E Bruno Dei, il compagno di una vita insieme, non poté che darle ragione e seguirla anche in questa nuova avventura. Partecipano a un bando d’asta dell’università di Firenze e si aggiudicano la tenuta San Cresci, un territorio incontaminato di 657 ettari nel comune di Borgo San Lorenzo a 30 chilometri a nord della capitale toscana, con boschi, terreni coltivabili, una ventina di sorgenti d’acqua potabile e una vena termale di acqua sulfurea, una villa medicea con la sua fattoria e otto case coloniche.

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Il Centro San Cresci è il progetto pilota, ma già in cantiere c’è in programma di recuperare altri borghi abbandonati nei dintorni

Diventerà il futuro Centro San Cresci, un modello di comunità con circa quattrocento residenti dove lo stile di vita è sano e di alta qualità, come dovrebbe essere in ogni angolo del mondo: sostenuto da solidarietà e alti valori, rispetto per l’ambiente e ogni forma di vita, condivisione, riciclo, riuso, energie rinnovabili, agricoltura biologica, senza sprechi né inquinamento. Il progetto San Cresci prevede una rivisitazione evolutiva di ogni fase del ciclo della vita dalla nascita al distacco dal corpo. Ci sarà una casa della nascita naturale per non vivere più il parto come una malattia; una casa della salute naturale dove si applicheranno tutte le forme più avanzate di medicina non convenzionale; un albergo termale; una scuola all’avanguardia e, a conclusione di una vita attiva, una casa della migliore età dove gli anziani potranno essere amati e rispettati come archivi storici di cultura e saggezza e non come suppellettili inutili da rottamare in una RSA. Ogni neonato riceverà in eredità un ettaro di terreno per diritto di nascita, perché possa essere d’incentivo a ritornare alla cultura dell’agricoltura e della terra, e a questo proposito Roberta lancia un allettante invito: «Venite a ben vivere in un mondo rurale. La campagna chiama, se no ci portano via la vita. Ci autodistruggiamo senza accorgercene alimentando quel mostro che sono le città». Il progetto non è per niente utopistico: ad oggi la maggior parte delle abitazioni sono state assegnate e le famiglie residenti arrivano da tutta Italia: Milano, Piacenza, Napoli, Vasto, Firenze, Roma.

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«Siamo i ripopolatori di San Cresci», scoppietta orgogliosa Roberta, «la mia missione è di lasciare alle generazioni future una possibilità di vita sana. Non lasciamo in eredità ai nipoti né appartamenti né conti in banca. Non vogliamo essere corresponsabili della loro autodistruzione. C’è il libero arbitrio e loro possono fare quello che vogliono ma noi offriamo loro un’alternativa di valori più alti».

Hanno pensato a tutto: all’acqua, alle terme, all’energia, che verrà autoprodotta con pannelli solari e biomassa prodotta dai boschi. La villa La Quiete sarà il centro culturale di accoglienza per i visitatori esterni con un ristorante che servirà menù vegetariano, vegano e tradizionale del Mugello e sarà rifornito da colture autoprodotte e frutti dell’orto cresciuti in permacultura e con tecniche biodinamiche. La cappelletta diverrà un centro conferenze per la diffusione di saperi all’avanguardia, e il resto lo offre già la natura: i tre tigli secolari della villa regalano ombra profumata in un’aria che è davvero un piacere respirare, la vista è impagabile e inconfondibilmente toscana, col suo susseguirsi di morbidi seni su cui un gigante pagherebbe per riposarsi; e il succo di fiori di sambuco autoctono, con cui mi danno il benvenuto i volontari Filippo e Andrea, assegnati a catalogare tutte le erbe spontanee, è un’ambrosia dai poteri straordinari che risveglia sensi sopiti da un tempo ormai perso dalla nostra memoria. Ti fermi al ciglio della strada e tutto ciò che vedi intorno fa parte del podere San Cresci. Questo riserva un raro privilegio ai San Cresciani che potranno dire con orgoglio: “Tutto ciò che vedi un giorno sarà tuo!”, ma solo se saprai difenderlo come Roberta e il suo team stanno dimostrando oggi. Il Centro San Cresci è il progetto pilota, ma già in cantiere c’è in programma di recuperare altri borghi abbandonati nei dintorni per dare la possibilità a chi vive in città di tornare in campagna per un buon vivere, perché Grandi, in tutti i sensi, e secondo la filosofia di Roberta, lo si possa diventare tutti. Il progetto San Cresci è finanziato dalla Fondazione Europea Cammino Futuro Onlus www.fecf.eu , alla quale è possibile devolvere il proprio 5 per mille, senza che costi nulla e investendo sul futuro.

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/05/ecovillaggio-san-cresci-diventare-grandi-ritornare-terra/

La rete Rive e gli ecovillaggi in Italia

Abitare il proprio “luogo” e non un posto qualsiasi è una scelta fondamentale per l’affermazione della propria personalità, in relazione a se stessi e agli altri. Vivere in un ecovillaggio è la scelta che molti compiono per abitare seguendo i principi della sostenibilità, del consumo responsabile e soprattutto della condivisione. In Italia 23 degli ecovillaggi presenti sul territorio sono riuniti nell’Associazione RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici) – un coordinamento di comunità, ecovillaggi e singole persone interessate ad esperienze di vita comunitaria – che raccoglie esperienze molto diverse tra loro ma che non è inclusiva di tutte le realtà di questo tipo presenti nel nostro paese.

RIVE è nata nel 1996 con lo scopo di tenere in contatto le diverse esperienze che si erano consolidate fino a quel momento e per fornire supporto a quelle che sarebbero nate in futuro. All’epoca il nucleo operativo era composto solo da quattro realtà: Torre Superiore, Comune di Bagnaia, Damanhur e Popolo degli Elfi. A metà degli anni ’90 in Italia non si parlava quasi per niente di ecovillaggi e le uniche esperienze simili, quelle delle comuni, erano spesso naufragate senza successo.rive-1

Mimmo Tringale – oltre ad essere direttore della rivista AMM Terra nuova – è stato fondatore e presidente della rete per oltre dieci anni, ne ha seguito lo sviluppo e ha visto unirsi e incontrarsi numerose esperienze anche tanto diverse tra loro. Oggi la RIVE è il più importante punto di riferimento per gli ecovillaggi italiani e la sua ricchezza sta proprio nella capacità di unire in un’unica rete anche scelte molto differenti tra loro. Alcune hanno un taglio politico molto marcato, altre si basano su una profonda spiritualità, ma per tutti quello che conta di più è la volontà di condivisione di una scelta mirata ad andare oltre il “vivere” tradizionalmente inteso. È chiaro che le difficoltà esistono, soprattutto all’inizio, ci vuole tempo per abbandonare la tipica dinamica dello scontro e passare ad una fase più operativa fondata sul confronto. E quello che offre la rete è proprio questo: la facilitazione degli incontri per i nuovi membri che si stanno cimentando nella ricerca o nella fondazione di un ecovillaggio, riunioni e seminari aperti a tutti i “curiosi” che vorrebbero avere maggiori informazioni su questo tipo di scelta, e un contatto diretto con il movimento internazionale degli ecovillaggi tramite la partecipazione alla GEN- Europe (Global Ecovillage Network) per essere sempre aperti ai nuovi spunti che possono arricchire le esperienze in corso.MG_2917

Francesca Guidotti, attuale presidente della RIVE, chiarisce che non ci si può approcciare al tema dell’ecovillaggio in maniera semplicistica. Trovare quello adatto a se stessi è come trovare un “luogo dell’anima”, bisogna prima di tutto visitarlo e poi viverlo il tempo necessario per capire qual è lo stile di vita e se si conforma alla nostra personalità. La rete RIVE supporta anche altre realtà che promuovono un abitare sostenibile, come l’Associazione culturale Senape che sta lavorando alla proposta di un progetto di recupero e ristrutturazione delle ex caserme del comune di Imperia per uso pubblico e sociale, o le varie esperienze di cohousing sociale – “coabitazione”, in italiano. Si tratta di una forma particolare di vicinato, dove viene preservata la privacy degli spazi abitativi ma vengono condivisi molti spazi relativi ai servizi comuni.riv3

È una scelta che permette di superare l’isolamento tipico dei condomini rispondendo ad una serie di questioni pratiche del vivere con una sorta di “welfare” personalizzato, ma è una struttura che rimane molto diversa rispetto a quella degli ecovillaggi. La prima esperienza di cohousing è sorta nel 1972 in Danimarca, negli anni successivi si è propagata nei vicini stati scandinavi e negli anni ’80 gli enti pubblici hanno riconosciuto questa esperienza a livello ufficiale. Oggi si contano migliaia di esperienze in tutto il mondo e anche in Italia sono registrate nella rete otto realtà, di cui due in grandi città come Torino e Milano. Come puntualizza Mimmo Tringale, quali che siano le proprie esigenze relative all’abitare, “per cambiare il mondo è importante saper vivere conciliando le diversità, perché proprio la diversità è ricchezza”.

 

fonte: italiachecambia.org

Ecovillaggi, cohousing, comunità, ecovicinato: come affrontare la conflittualità con successo

Costruire il cambiamento attraverso la facilitazione, il consenso e la risoluzione dei conflitti. In partenza due corsi di formazione diretti da Beatrice Briggs e organizzati dall’Associazione Paea: dal 13 al 19 ottobre al Parco delle Energie Rinnovabili in Umbria e dal 22 al 26 ottobre all’Ecovillaggio Torri Superiore in Liguria.bea_briggs

Quando si inizia un progetto assieme agli altri, normalmente si pensa che il maggior problema da affrontare è quello relativo ai soldi, cioè come procurarseli per realizzare ciò che si pianifica. Pare invece che ci sia un problema maggiore che è causa di molti fallimenti. Per chi si occupa di progetti assieme ad altri sa bene che una delle cause maggiori di conflittualità sono i rapporti relazionali e spesso ci si divide o si interrompono attività collettive molto interessanti e dalle grandi potenzialità, perché le persone non vanno d’accordo. E non può che essere così, se mettiamo assieme una serie di fattori: un sistema come quello attuale ci spinge ad un individualismo esasperato, quindi le persone non sono abituate nel cercare di trovare collettivamente delle soluzioni; la tecnologia e la virtualizzazione ci fanno pensare che tanto risolveremo tutto facilmente, magari con un click o attraverso qualche sito dedicato, quando poi accade esattamente il contrario e siamo sempre più deboli e incapaci di affrontare anche problemi semplici. In Italia, poi, siamo esasperatamente campanilistici fino ad arrivare ad esserlo individualmente nel senso che spesso si pensa di avere ragione assoluta e difficilmente si mette in discussione  ciò che si ritiene assodato. Infine, si ascolta sempre meno l’altro.
Con questi presupposti è assai facile che ci si organizzi con fatica e si impieghi molto tempo ed energia per tentare di risolvere problemi relazionali e che lo si faccia con modalità sbagliate o poco efficaci. Ma basterebbe impostare una metodologia efficace sia nella programmazione dei lavori, sia nella facilitazione del dialogo per diminuire sensibilmente le conflittualità, impostando sistemi decisionali che coinvolgano realmente le persone, dove  tutti si sentano ascoltati e importanti. Basta con le riunioni disorganizzate, senza capo né coda dove ci si parla addosso, non ci si ascolta e alla fine ci si sente sfiniti senza avere raggiunto particolari risultati. Basta con i capi e capetti o i soliti che parlano e gli altri ad eseguire.  E’  possibile un altro modo di comunicare, di decidere, di risolvere le conflittualità. Attraverso le metodologie della facilitazione, di una efficace organizzazione e con metodi decisionali quanto più condivisi, si possono ottenere dei risultati molto importanti e affrontare molto meglio le problematiche relazionali. Come Associazione Paea riteniamo che lavorare con queste metodologie sia di fondamentale importanza e per questo motivo assieme al PER (Parco delle Energie Rinnovabili) e all’Ecovillaggio Torri Superiore abbiamo invitato nuovamente in Italia Beatrice Briggs, che è una delle massime esponenti  della facilitazione a livello internazionale.  Con lei organizzeremo due corsi di formazione a costi accessibili: dal 13 al 19 ottobre al PER e dal 22 al 26 ottobre a Torri Superiore.  Si tratteranno le tematiche di cui sopra e ci si renderà conto di quante soluzioni semplici ed efficaci ci sono per poter risolvere problemi  e conflittualità apparentemente insanabili . Anche per chi vuole intraprendere un qualsiasi progetto collettivo è una grande occasione per partire con il piede giusto.

Fonte: ilcambiamento.it

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Stati Generali del Lavoro, proposte di transizione e cambiamento

“Una parata di proposte tanto ampia da coprire quasi tutto il pensabile, o meglio il trasformabile”. Ricco di spunti pragmatici l’esito degli Stati generali del Lavoro svoltosi a fine settembre in Val di Susa. Proposta simbolo della tre giorni, l’istituzione di un Centro Studi sulla Transizione e il Cambiamento.statigeneralilavoro

Eleonora Ponte, l’ispiratrice degli Stati Generali del Lavoro, aveva dichiarato che a Vaie ci sarebbe stata la bomba atomica, intendendo con ciò un’esplosione di idee nuove e dirompenti che sarebbero scaturite dall’impegno dei partecipanti. Promessa mantenuta: la seduta plenaria di domenica 28 settembre, quella in cui gli 8 tavoli hanno presentato quanto concluso il giorno prima, è stata una parata di proposte tanto ampia da coprire quasi tutto il pensabile, o meglio il trasformabile – dalle nuove idee in materia di risparmio energetico agli ecovillaggi, dalle banche e monete alternative alla ristrutturazione del tempo di vita e di lavoro, dall’educazione al consumo ai “luoghi dove si impara con diletto” -, che chi vuole potrà scoprire nei dettagli sulla apposita pagina del sito. Qui credo sia invece il caso di soffermarsi sul denominatore comune di tutto questo: appunto, l’idea di cambiamento. Tra i tanti slogan ormai insopportabilmente privi di significato che ci investono da tutti i mezzi della cosiddetta informazione non si sente blaterare che di riforme, ma chi riesca ancora a far mente locale per percepire il vero significato di quel che si vuol dire vi scoprirà dei messaggi in cui di nuovo non c’è nulla: alleggerire la Costituzione, spazzare via un altro po’ di diritti, adeguarsi ulteriormente, ammesso che sia umanamente possibile, a quel che vogliono i mercati. Reazione pura, purtroppo vecchia come il mondo. A Vaie abbiamo invece respirato una boccata di aria fresca, abbiamo sentito che le persone devono venire prima del profitto, che è la solidarietà e non la concorrenza che fa produrre meglio e di più, che solo perché viene più o meno retribuita un’attività non può automaticamente aspirare alla nobile definizione di lavoro. Ma, ancora più importante, abbiamo notato come tutti, ma proprio tutti, i tavoli fossero giunti alla stessa conclusione riguardo alla fatica principale di questa transizione: lasciarsi alle spalle le vecchie abitudini mentali, preconcetti che sono gabbie, ma nei quali la maggior parte delle persone è ancora comodamente rannicchiata perché pensare costa fatica, paura di perdere i propri punti di riferimento, opposizione da parte della maggioranza silenziosa e adeguata. Soprattutto richiede un grande sforzo in prima persona, in un mondo in cui gli inviti a delegare e a trovare soggetti da incolpare al posto della propria passività sono infiniti. Direi che la rivoluzione da tanti invocata parte da qui, dal rinnovare se stessi, le proprie idee, le proprie azioni. Nulla di eclatante, magari non all’inizio: ogni aspetto dell’esistenza può essere occasione di riflessione privata e meglio ancora pubblica, di ogni nostro gesto dovremmo chiederci perché lo compiamo in un certo modo, non fosse che per giungere alla conclusione che non si può fare diversamente, ma che perlomeno si sono esplorate altre possibilità. Ecco perché la proposta simbolo degli Stati Generali del Lavoro è la creazione di un Centro Studi sulla Transizione e il Cambiamento che funga da propulsore dell’auto-programmazione degli individui e delle comunità: perché questa è la strada per affrontare positivamente la crisi, che forse è tanto vituperata proprio perché ci sta mostrando che non possiamo proseguire a essere più o meno consapevolmente complici del sistema che ci sta conducendo sull’orlo dello sfascio generale. E soprattutto perché, come dice il documento conclusivo del tavolo dedicato al tema, in caso contrario “la transizione avverrà comunque, ma con esiti tragici e con l’imposizione di enormi e diffuse sofferenze”.

A noi la scelta.

Fonte: il cambiamento