Dimore Montane: l’albergo rigenerato che fa bene al territorio

Possono il coraggio imprenditoriale e la lungimiranza riparare ai danni causati da anni di decisioni politiche sbagliate e soldi pubblici buttati? A volte sì. È il caso di Dimore Montane, un albergo che porta avanti un progetto di turismo responsabile nato dalle ceneri di un vecchio edificio pubblico abbandonato nel cuore del Parco Nazionale della Maiella, in Abruzzo.

Immaginate la classica “storia all’italiana” in cui amministratori furbetti o incapaci – o magari sia l’una che l’altra – si mettono in testa di realizzare un progetto utopistico che rimarrà solamente un cumulo di freddi mattoni in una delle zone più suggestive del Paese, un totem eretto a imperitura memoria dell’italica negligenza.

La storia che vi raccontiamo comincia così, ma un intraprendente gruppo di ragazzi del posto – ci troviamo sulla montagna abruzzese, nel Parco Nazionale della Maiella – ne ha cambiato radicalmente il finale. «Siamo Simone, Lisa, Manuela e Fabio e abbiamo fondato il progetto Dimore Montane», si presentano. «Siamo innamorati dell’Abruzzo, la nostra terra, e ci siamo dati come obiettivo quello di creare un luogo dove ospitare turisti e accompagnarli nella scoperta di una regione stupenda e delle sue tradizioni. Vogliamo contribuire, nel nostro piccolo, alla riqualificazione del territorio abruzzese, dove abbiamo cuore e radici. Ci impegniamo a promuovere un turismo responsabile ed ecosostenibile, nel rispetto dell’ambiente e della comunità locale».

Possono il coraggio imprenditoriale e la lungimiranza riparare ai danni causati da anni di decisioni politiche sbagliate e soldi pubblici buttati? A volte sì. È il caso di Dimore Montane, un albergo che porta avanti un progetto di turismo responsabile nato dalle ceneri di un vecchio edificio pubblico abbandonato nel cuore del Parco Nazionale della Maiella, in Abruzzo.

Immaginate la classica “storia all’italiana” in cui amministratori furbetti o incapaci – o magari sia l’una che l’altra – si mettono in testa di realizzare un progetto utopistico che rimarrà solamente un cumulo di freddi mattoni in una delle zone più suggestive del Paese, un totem eretto a imperitura memoria dell’italica negligenza.

La storia che vi raccontiamo comincia così, ma un intraprendente gruppo di ragazzi del posto – ci troviamo sulla montagna abruzzese, nel Parco Nazionale della Maiella – ne ha cambiato radicalmente il finale. «Siamo Simone, Lisa, Manuela e Fabio e abbiamo fondato il progetto Dimore Montane», si presentano. «Siamo innamorati dell’Abruzzo, la nostra terra, e ci siamo dati come obiettivo quello di creare un luogo dove ospitare turisti e accompagnarli nella scoperta di una regione stupenda e delle sue tradizioni. Vogliamo contribuire, nel nostro piccolo, alla riqualificazione del territorio abruzzese, dove abbiamo cuore e radici. Ci impegniamo a promuovere un turismo responsabile ed ecosostenibile, nel rispetto dell’ambiente e della comunità locale».

Il team di Dimore Montane

Partiamo dall’inizio: qual è la storia della struttura che volete rilanciare e quali sono le cause che ne hanno determinato l’abbandono?

La struttura è di proprietà del Comune di Roccamorice. Ricostruire la storia è stato difficile e ci siamo riusciti solo a tratti. Sappiamo che il progetto è nato negli anni ottanta, che l’immobile è stato costruito con fondi pubblici e che non fu mai aperto. Per quale motivo non lo abbiamo saputo. Intorno al 2005 furono investiti altri soldi pubblici per la ristrutturazione e la gestione fu affidata a una società. Dopo pochi mesi ci fu un contenzioso tra il Comune e la società e da allora la struttura è rimasta abbandonata. Le notizie più recenti e certe che abbiamo sono che negli ultimi anni l’amministrazione ha cercato di risolvere questo problema. Qualche anno fa fu emesso un bando che andò deserto perché la struttura e tutto il bosco erano in un grave stato di degrado e i lavori per sistemarli erano ingenti. Poi l’anno scorso abbiamo presentato il nostro progetto di rivalutazione e ristrutturazione e abbiamo vinto il nuovo bando per la gestione del campeggio.

Cosa vi ha ispirati di questa storia?

Ci siamo sempre focalizzati sugli attori “positivi” di questa storia: per prima cosa, su come l’attuale Sindaco e i suoi collaboratori stanno lavorando per rivalutare il territorio. E poi sui cittadini di Roccamorice: ci vengono a salutare, ci fanno i complimenti, ci hanno accolto con affetto e tutti ci ripetono ogni giorno di quanto siano contenti di vedere che finalmente questo luogo che per decenni è stato simbolo di sperpero, incuria e malagestione, ora prende vita.

Il team di Dimore Montane

Partiamo dall’inizio: qual è la storia della struttura che volete rilanciare e quali sono le cause che ne hanno determinato l’abbandono?

La struttura è di proprietà del Comune di Roccamorice. Ricostruire la storia è stato difficile e ci siamo riusciti solo a tratti. Sappiamo che il progetto è nato negli anni ottanta, che l’immobile è stato costruito con fondi pubblici e che non fu mai aperto. Per quale motivo non lo abbiamo saputo. Intorno al 2005 furono investiti altri soldi pubblici per la ristrutturazione e la gestione fu affidata a una società. Dopo pochi mesi ci fu un contenzioso tra il Comune e la società e da allora la struttura è rimasta abbandonata. Le notizie più recenti e certe che abbiamo sono che negli ultimi anni l’amministrazione ha cercato di risolvere questo problema. Qualche anno fa fu emesso un bando che andò deserto perché la struttura e tutto il bosco erano in un grave stato di degrado e i lavori per sistemarli erano ingenti. Poi l’anno scorso abbiamo presentato il nostro progetto di rivalutazione e ristrutturazione e abbiamo vinto il nuovo bando per la gestione del campeggio.

Cosa vi ha ispirati di questa storia?

Ci siamo sempre focalizzati sugli attori “positivi” di questa storia: per prima cosa, su come l’attuale Sindaco e i suoi collaboratori stanno lavorando per rivalutare il territorio. E poi sui cittadini di Roccamorice: ci vengono a salutare, ci fanno i complimenti, ci hanno accolto con affetto e tutti ci ripetono ogni giorno di quanto siano contenti di vedere che finalmente questo luogo che per decenni è stato simbolo di sperpero, incuria e malagestione, ora prende vita.

Passiamo agli obiettivi del vostro progetto: intendete creare un circuito di turismo responsabile?

Parlare di ecosostenibilità e turismo responsabile oggi è diventata una moda e spesso non è chiaro il significato. Noi pensiamo che una gestione responsabile sia fatta di piccole e grandi scelte, di coerenza, perseveranza e a volte di rinunce. Ecco qualche esempio pratico di quello che stiamo facendo, con la consapevolezza che c’è sempre spazio per crescere e migliorarsi – e per migliorarci intendo ridurre il nostro impatto ambientale! Abbiamo scelto di utilizzare energia proveniente al 100% da fonti rinnovabili, che nel nostro caso vuol dire pagare delle bollette più alte, perché questo tipo di energia costa di più. Abbiamo deciso di utilizzare solo carta riciclata, abbiamo sostituito le bottigliette di plastica dei set cortesia con dei dispenser che si possono riempire, ovviamente facciamo solo raccolta differenziata, non vendiamo acqua in bottiglie di plastica, preferiamo il vetro alle lattine, incoraggiamo i nostri ospiti a bere acqua di fonte, a cambiare lenzuola e asciugamani solo quando serve – ma questo ormai lo propongono un po’ tutti per fortuna –, selezioniamo prodotti biodegradabili e non aggressivi… Tutto questo motivando le nostre scelte ai nostri ospiti. Abbiamo utilizzato materiale da recupero per costruire alcuni degli arredi o alberi caduti per realizzare alcune decorazioni. La selezione dei nostri fornitori predilige il chilometro zero, realtà locali e aziende che condividono i nostri valori. Ci troviamo all’interno del Parco Nazionale della Maiella, organizziamo tour ed escursioni. Le nostre guide hanno la possibilità di trascorrere diverse ore con i turisti, promuovendo quelle pratiche di “turismo responsabile” che si riassumono molto bene nelle frasi “lascia dietro di te solo le tue orme, porta con te solo foto e memorie”.

Passiamo agli obiettivi del vostro progetto: intendete creare un circuito di turismo responsabile?

Parlare di ecosostenibilità e turismo responsabile oggi è diventata una moda e spesso non è chiaro il significato. Noi pensiamo che una gestione responsabile sia fatta di piccole e grandi scelte, di coerenza, perseveranza e a volte di rinunce. Ecco qualche esempio pratico di quello che stiamo facendo, con la consapevolezza che c’è sempre spazio per crescere e migliorarsi – e per migliorarci intendo ridurre il nostro impatto ambientale! Abbiamo scelto di utilizzare energia proveniente al 100% da fonti rinnovabili, che nel nostro caso vuol dire pagare delle bollette più alte, perché questo tipo di energia costa di più. Abbiamo deciso di utilizzare solo carta riciclata, abbiamo sostituito le bottigliette di plastica dei set cortesia con dei dispenser che si possono riempire, ovviamente facciamo solo raccolta differenziata, non vendiamo acqua in bottiglie di plastica, preferiamo il vetro alle lattine, incoraggiamo i nostri ospiti a bere acqua di fonte, a cambiare lenzuola e asciugamani solo quando serve – ma questo ormai lo propongono un po’ tutti per fortuna –, selezioniamo prodotti biodegradabili e non aggressivi… Tutto questo motivando le nostre scelte ai nostri ospiti. Abbiamo utilizzato materiale da recupero per costruire alcuni degli arredi o alberi caduti per realizzare alcune decorazioni. La selezione dei nostri fornitori predilige il chilometro zero, realtà locali e aziende che condividono i nostri valori. Ci troviamo all’interno del Parco Nazionale della Maiella, organizziamo tour ed escursioni. Le nostre guide hanno la possibilità di trascorrere diverse ore con i turisti, promuovendo quelle pratiche di “turismo responsabile” che si riassumono molto bene nelle frasi “lascia dietro di te solo le tue orme, porta con te solo foto e memorie”.

Quali realtà del territorio vorreste coinvolgere?

Il nostro sogno è quello di creare sinergie con tutte le attività dei dintorni. Il successo di ogni ristorante, bar, museo, b&b della zona è il successo di tutti. Per citare alcune realtà direi l’associazione che gestisce l’Eremo di Santo Spirito, le guide e le associazioni che organizzano escursioni diverse da quelle che proponiamo noi, tour in mountain bike, arrampicata sportiva, il Parco nazionale della Maiella che sta promuovendo in queste settimane – tra numerose e bellissime iniziative – il Cammino di Celestino.

Come raccontereste il percorso e l’impegno concreto necessari per recuperare questo bene e dargli nuova vita?

Stiamo lavorando senza sosta da più di un anno. Ci siamo affidati a delle imprese per i grandi lavori. Abbiamo progettato, pianificato, ci siamo “sporcati le mani”, abbiamo immaginato, sognato e ora ha preso tutto forma. Il bosco dove è nato il campeggio un anno fa era una giungla. Adesso è un’oasi di pace e non vediamo l’ora di condividerlo con i nostri ospiti.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/dimore-montane-albergo-rigenerato-fa-bene-al-territorio/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

A Torino nasce il quartiere “Abbasso Impatto”, dove i locali della movida diventano ecosostenibili

A Torino i locali del quartiere di San Salvario diventano… ecosostenibili! Partecipando al progetto di economia collaborativa “Abbasso Impatto” l’intero quartiere ha deciso di scommettere sulla riduzione degli impatti ambientali, offrendo prodotti e servizi economicamente ed ambientalmente ecosostenibili e contribuendo a favorire l’inclusione sociale di persone in difficoltà con iniziative finanziate dal progetto. Carta ecologica, detersivi sfusi, energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili e gas naturale CO2 free. Si chiamano “locali abbasso impatto” e rappresentano una piccola rivoluzione urbana improntata alla sostenibilità e destinata a diffondersi con entusiasmo sul territorio.

Il quartiere di San Salvario a Torino diventa promotore dell’ambiente con l’iniziativa dal nome “Abbasso Impatto”, un progetto di economia collaborativa sviluppato sul modello dei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) che offre agli esercizi di ristorazione e ospitalità prodotti e servizi ecosostenibili sia da un punto di vista ambientale che economico.
Sono locali serali, b&b, hotel e ristoranti che decidono di aderire al progetto e di scommettere sulla sostenibilità per una ricaduta positiva sul territorio.

Finanziato da AxTO – Azioni per le Periferie Torinesi, il progetto ha come obiettivo “mitigare” gli effetti della movida grazie all’adozione di prodotti e servizi poco impattanti, oltre che, ancor più importante, diffondere una nuova cultura basata sulla progressiva riduzione dei rifiuti e di una sensibilizzazione che faccia nascere nuove consapevolezze sia per i consumatori che per le stesse attività commerciali. Perché diventare un locale “abbasso impatto”? Innanzitutto per lasciare un’impronta positiva sull’ambiente, ma anche per ottenere forniture di prodotti e servizi ecosostenibili a prezzi ridotti tramite acquisti di gruppo e favorire l’inclusione sociale di persone in difficoltà con iniziative finanziate dal progetto. Tramite l’Agenzia per lo Sviluppo di San Salvario onlus, infatti, parte del ricavato delle attività andrà a finanziare progetti sociali della Casa del Quartiere di San Salvario.

Il progetto è un’idea di Verdessenza Soc. Coop, realtà torinese che ha fatto della sostenibilità il suo credo, portando avanti da anni progetti per la riduzione dei consumi, operando nell’ambito della sostenibilità ambientale attraverso la promozione e lo sviluppo di stili di vita ecologicamente compatibili. Insomma, si tratta di un laboratorio sperimentale pensato per scambiare informazioni e sollecitare le persone a tenere conto dell’impatto ambientale e culturale delle nostre decisioni.

“Dopo aver somministrato un questionario a un campione di esercizi pubblici del quartiere per verificare le loro esigenze, abbiamo deciso di cominciare la sperimentazione proponendo tre categorie: detersivi alla spina con tensioattivi di origine vegetale, carta certificata Ecolabel europeo e FSC Recycled (dai tovagliolini agli strofinacci) ed energia elettrica da fonti rinnovabili affiancata al gas naturale CO2 free”, spiegano i responsabili del progetto.

Fornitori e prodotti sono selezionati sulla base di criteri minimi ambientali redatti attraverso parametri che garantiscono un processo produttivo più attento alla sostenibilità socio-ambientale.

“I detersivi sono di Colenghi srl, un’azienda locale che usa tensioattivi di origine vegetale e che pratica il vuoto a rendere sulle taniche, evitando la produzione di rifiuti in plastica – spiega Cosimo Biasi di Verdessenza Soc. Coop -.

L’energia arriva da Dolomiti Energia, un’azienda che produce energia elettrica 100% rinnovabile ed esclusivamente italiana in impianti idroelettrici certificati EMAS.  La carta-tessuto proviene invece dalla Cartiera Lucart, è al 100% riciclata grazie a un modello di economia circolare che recupera tutti i componenti degli imballaggi in tetrapak, da cui si ricavano le materie seconde per produrre carta tessuto e dispenser in alluminio”.

Accanto a questi, nei prossimi mesi si affiancheranno altre referenze in grado di rendere più eco i consumi dei locali del quartiere. “Una volta aderito al progetto, i gestori degli esercizi pubblici ci inviano il loro ordine e entro 5 giorni lavorativi viene fatta la consegna direttamente nel locale”.

Sono tre i “locali pilota” che per primi hanno preso parte al progetto, quali “Il Camaleonte Piola”, “Si Vu Ple” e “Tomato”, a cui ne seguiranno altri, per un quartiere fatto di sempre più esempi virtuosi.

“L’Agenzia per lo Sviluppo di San Salvario onlus, nostro partner insieme a Colenghi srl, contribuirà a diffondere il progetto. I contratti di luce e gas realizzati in convenzione con Dolomiti Energia consentiranno di sostenere borse di studio e attività nella Casa del Quartiere per i meno abbienti. In più abbiamo anche predisposto la figura dell’Ambasciatore, persona che diffonde il progetto tra i suoi locali del cuore, facendoli diventare più ‘verdi’”.

Foto copertina
Didascalia: Vita nel quartiere
Autore: Casa del Quartiere San Salvario
Licenza: Pagina fb Casa del Quartiere San Salvario

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/torino-nasce-quartiere-abbasso-impatto-dove-locali-movida-diventano-ecosostenibili/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

In Abruzzo nasce il co-working della ruralità

L’idea è venuta all’associazione Movimento Zoè, che creerà la prima piattaforma onlineabruzzese di co-working “neo-rurale”.

Si tratta di una piattaforma volta alla riattivazione delle comunità rurali e alla rivilitalizzazione dei Paesi inseriti all’interno di contesti agricoli e montani d’Abruzzo. «Un “luogo” in cui far convogliare informazioni,dove  incontrare domanda e offerta per accogliere i bisogni di un mondo in costante e rapido cambiamento – spiega l’associazione che promuove il progetto – Attraverso una precisa calendarizzazione di eventi annuali con particolare impegno nell’organizzazione di un evento forte che sarà contemporaneamente punto di partenza e arrivo di quanto svolto dalla retedurante l’anno, la Fiera della NeoRuralità».

«NeoRurale è unaparola, un “suono” che include chi aderisce ad un modello di ecosostenibilità legato al mondo agricolo – proseguono da Movimento Zoè – e cerca contatti e offerte a misura delle sue esigenze, chi continua a presidiare i territori rurali o chi ci torna , chi vive grazie alla Terra offrendo servizi e prodotti di qualità nell’ottica di uno sviluppo locale cosciente e consapevole.Coniugando memoria e innovazione e valorizzando i concetti di cura e di rispetto. L’ Abruzzo è un’isola tra le montagne, con una densità di popolazione, nella provincia dell’Aquila, pari ad 1,5 abitanti x Kmq. Un’arcipelago di piccole e integre Comunità rurali che ancora, in parte, si sostengono con l’agricoltura e la pastorizia. Una terra di immenso splendore e tradizioni e “pesante” storia: terra che trema, gente che trema…gente bella!Forti e gentili . Qui la gentilezza è di casa e la Natura selvatica la “strada”per arrivare al benvivere».

«In più di 10 anni abbiamo incontrato e stretto legami e reti con agricoltori che presidiano terre fertili, animatori territoriali che sostengono modelli di educazione attiva e diffondono buone pratiche al fine di veicolare cultura e migliorare la qualità della vita di chi lavora e vive nelle Comunità – continua l’associazione -Abbiamo incontrato architetti che adoperano tecniche di bioedilizia nel rispetto dell’ambiente e delle tradizioni locali. Agriturismi che con naturalezza declinano entrambe le fasi dell’accoglienza, accogliere ed essere accolti, per farti sentire a casa e offrire occasioni di autentico turismo esperienziale . Fattorie didattiche e sociali che, in un tempo in cui si da priorità ad istruire piuttosto che ad ed-ucare e ad assistere piuttosto che integrare, si impegnano per creare “luoghi di cura” per se stessi e perl’altro. Ma soprattutto persone semplici, che vogliono vivere meglio, con un’altra qualità ed altri tempi . Davvero tante, troppo spesso sole per riuscire a promuoversi al meglio, troppe per non “mettersi in ascolto”».

Questa Rete NeroRurale d’Abruzzo esiste da tempo ed è consolidata nei valori. Il “salto” è ora diventare rete riconosciuta. Più visibile e incisiva. Più organizzata e produttiva.

 E’ questo che con il loro progetto hanno intenzione di fare.

E per farlo chiedono l’aiuto di quanti potranno dare un contributo: QUI per partecipare al crowdfunding

Fonte: ilcambiamento.it

La battaglia di due amici disabili in difesa del pianeta

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Wenji e Haxia sono disabili, ma hanno deciso di non arrendersi. Hanno unito le forze e piantato oltre 10.000 alberi in un’area devastata dall’inquinamento atmosferico, dove flora e fauna continuavano a morire. Hanno trovato la ragione della propria esistenza nel prendersi cura del pianeta.

«Anche se abbiamo delle limitazioni nel corpo, i nostri spiriti sono senza limiti». Sono le parole di Wenji Jia, uomo semplice ma dai grandi ideali. Viene dalla contea di Jingxing, nella provincia di Hebei, in Cina. Ha 54 anni e, all’età di 3, ha perso entrambe le braccia in un incidente: fulminato dai cavi dell’alta tensione. Malgrado ciò, ha deciso di dare un senso alla propria vita e salvare il Pianeta. E ha deciso di farlo insieme al suo amico di infanzia, Haxia Jia, 55 anni, che ha perso la vista nel 2000 per un incidente in miniera. Insieme, hanno già piantato più di 10mila alberi in 10 anni.10000-alberi-1

«Tu sarai le mie braccia, io sarò i tuoi occhi: insieme salveremo il Pianeta»

Haxia racconta che lui e Wenji sono amici fin dall’infanzia. Le loro famiglie sono molto unite: i loro padri sono a loro volta grandi amici. Quando dopo l’incidente il medico gli comunica che ha perso la vista e che non l’avrebbe più recuperata, cade nella disperazione: non ha più senso vivere e comincia a pensare anche al suicidio.

«Se fossi nato con questa disabilità, forse sarebbe stato diverso, me ne sarei fatto una ragione», ammette. «Ma io era abituato a guardare da molto lontano e a leggere il giornale tutte le volte che volevo».

Poco dopo l’incidente, Wenji torna nel suo Paese natio, da dove era partito diversi anni prima. Fino ad allora aveva lavorato in una compagnia di artisti disabili, finché suo padre non si era ammalato. È quindi ‘costretto’ a lasciare il lavoro per prendersi cura del genitore.10000-alberi-7

Appena tornato in paese, si rende conto dello stato di depressione di Haxia. Mosso a compassione, decide di offrirgli la sua “manica”. Un giorno, mentre sono insieme gli fa una proposta: «Io sarò i tuoi occhi, se tu sarai le mie braccia».10000-alberi-2

«Vivere significa avere uno scopo»

A causa della loro disabilità, non hanno molta scelta. Le opportunità di lavoro sono scarse, ma i due amici decidono di non arrendersi. Non vogliono essere un peso per la società e pensano che l’esistenza di ciascuno abbia senso solo grazie a uno scopo. Si sono così chiesti come possono dare un contributo alla comunità che li ha accolti e cresciuti. La risposta è arrivata in maniera semplice: «Piantiamo alberi», si sono detti. Di lì a poco, si ritroveranno a salvare il pianeta. Wenji e Haxia sanno molto bene che gli uccelli si stanno estinguendo: ne scompaiono circa tre specie ogni anno. La causa? L’inquinamento atmosferico causato dal lavoro nelle cave. In passato la loro regione era florida: sulle montagne c’erano prati e alberi, ma da quando è iniziata l’attività estrattiva, tutto si è trasformato in una landa incolta. Una triste riproduzione, in piccolo, di quanto sta succedendo al Pianeta: tutto peggiora a causa di attività economiche senza scrupoli.10000-alberi-5

Nella regione in cui vivono, ogni volta che si alza il vento, le polveri provenienti dalle miniere si diffondono nell’aria e si riversano nel fiume.10000-alberi-6

Questo danneggia gravemente l’ecosistema, perché le polveri uccidono i pesci, i gamberi, le tartarughe e qualsiasi altro essere vivente, provocandone l’estinzione. L’aria diventa via via irrespirabile. Piantare alberi è necessario per salvare la loro terra.

«Dove va l’acqua, lì andremo noi»

Durante il loro primo autunno insieme riescono a piantare circa 800 alberi. In primavera però, quando tornano per controllare il frutto del proprio lavoro, ricevono un grande choc. Degli 800 alberi piantati, ne sono sopravvissuti solo due. I due amici credevano che si trattasse di un lavoro più semplice. Pensavano bastasse piantare dei rami nel terreno per veder crescere alberi alti e forti. Ma la mano dell’uomo si è spinta troppo oltre nella sua furia distruttrice: il terreno è troppo arido e non permette la sopravvivenza di piante, alberi e fiori. Haxia oggi ammette che davanti a quella visione catastrofica è preso dallo sconforto: vuole mollare. Ma Wenji è mentalmente più forte di lui: ha passato una vita intera ad affrontare sfide durissime, a causa della sua disabilità. Convince l’amico a resistere e suggerisce una strategia ancora più drastica: «Deviamo il corso del fiume: così potremo piantare gli alberi vicino all’acqua».10000-alberi-8

«Se si lavora insieme, si può raggiungere qualsiasi risultato»

All’inizio della loro avventura non hanno semi o alberelli da piantare, perché non hanno soldi per acquistarli. Decidono così di utilizzare i rami, tagliandoli dagli alberi. Non molte persone usano questa tecnica, perché molto scomoda e ardua. A maggior ragione è difficile per loro che hanno oggettive difficoltà ad arrampicarsi. Ma la forza della disperazione li spinge a tentare.10000-alberi-9

Dopo qualche tempo, si rendono conto che alcuni rami avevano messo radici: iniziano finalmente a crescere i primi germogli. Così, ormai da 10 anni, i due amici continuano nel loro folle progetto di salvare la loro terra e tutto il pianeta dalla distruzione.10000-alberi-10

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In questo lasso di tempo, hanno piantato più di 10.000 alberi, trasformando terreni incolti in un’area boschiva. Il loro progetto arriva presto anche al comitato di villaggio, che concede loro un’area di oltre 100 acri sulle colline per proseguire l’opera di rimboschimento.10000-alberi-12-681x387

«Speriamo di poter inspirare e motivare le persone. Se si lavora insieme e per gli stessi valori, possiamo fare qualsiasi cosa. Se ciascuno di noi piantasse uno o due alberi ogni anno, immaginate la differenza che potrebbe fare per il pianeta. Vorremmo che le generazioni future vedano ciò che due disabili sono riusciti a realizzare. Dopo la nostra morte, potranno vedere che un cieco e un uomo senza braccia hanno lasciato in eredità una foresta».10000-alberi-14

Fonti: periodismo.com, GoPro

Buone pratiche e sostenibilità: le opportunità per i giovani

Corsi online gratuiti, corsi residenziali sulle buone pratiche, progetti Erasmus per incubatori di comunità sostenibili: crescono le opportunità per i giovani che vogliono guardare oltre il sistema attuale e cambiare paradigma.buone_pratiche_corsi_giovani

“Crediamo che i giovani sappiano che il sistema attuale non funziona e che sono necessarie alternative sostenibili – spiega Genny Carraro della Rive – crediamo anche che abbiano l’energia ed il potenziale per portare avanti i cambiamenti necessari, rispetto alle relazioni umane e al rapporto con la nostra casa: il pianeta Terra. I giovani chiedono un rafforzamento delle proprie abilità, competenze e conoscenze spendibili nei differenti ambiti della sostenibilità. Abbiamo quindi promosso un corso di formazione online gratuito, il cui obiettivo è di fornire a giovani leader ed educatori una serie di strumenti utili per coinvolgere altri giovani in iniziative comunitarie sostenibili. Il nostro target è quello degli youth workers, ovvero giovani impegnati nel lavoro con gruppi di ragazzi e in generale con il pubblico giovanile, con l’idea che possano incoraggiarli e responsabilizzarli per realizzare il loro pieno potenziale e per essere attori protagonisti di una società olisticamente sostenibile”.< Il corso verrà lanciato nell’autunno 2016.
“Al momento organizziamo un corso di formazione, per giovani ed educatori, con l’idea di verificare il grado di apprezzamento del contenuto del programma online. Si svolge all’ecovillaggio di Sieben Linden, in Germania, dal 4 al 6 dicembre”. Qui il progetto.  Potete inoltre consultare le opportunità di volontariato e per rimanere aggiornati iscrivervi alla mailing list. Di recente invece ventuno rappresentanti di nove reti nazionali di ecovillaggi si sono incontrati a Torri Superiore (Ventimiglia) per iniziare a delineare un programma chiamato “l’incubatore” e rivolto ad ecovillaggi ed iniziative sostenibili in via di realizzazione. Si tratta di un progetto biennale Erasmus+ finanziato dalla UE dal titolo “Sustainable Community Incubator Partnership Programme” (SCIPP), che offrirà un programma di sostegno per le fasi più delicate dello sviluppo di un progetto. La nascita e la crescita delle comunità sostenibili attraversano sfide e fasi cruciali, e la maggior parte delle iniziative si esaurisce nel giro di pochi anni. Il programma SCIPP affronta il problema dei fallimenti dei progetti collettivi “con un approccio innovativo e basandosi sulle esperienze delle comunità europee già consolidate”. Un manuale essenziale di circa 40 pagine delineerà le soluzioni chiave per i problemi più rilevanti che sorgono all’interno delle comunità nascenti o di iniziative collettive, offrendo strumenti di autovalutazione e un elenco di esperti competenti sulle varie tematiche trattate. Il quadro del programma è analogo al telaio di una bicicletta, in cui le parti mobili (come le ruote, che rappresentano simbolicamente i metodi e le strategie esistenti) sono già noti, mentre il telaio (l’inquadramento concettuale) deve ancora essere definito. L’incubatore fornirà un ambiente controllato per consentire ai gruppi di passare da una fase iniziale più vulnerabile a una successiva di maggiore stabilità. Gli ideatori del Sustainable Communities Incubator Framework ritengono che il ruolo svolto dalle comunità nella transizione verso una società globale più giusta e sostenibile non debba essere sottovalutato. Come cita un popolare proverbio africano: “Se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano vai insieme”.

 

Fonte: ilcambiamento.it

 

Ambiente Urbano, il rapporto dell’Istat sull’ ecosostenibilità delle città italiane | Documento

Secondo l’analisi Istat sull’ambiente urbano ben 81 comuni su 116 hanno aderito al Patto dei Sindaci. Passi avanti nella gestione dei rifiuti e della mobilità smart, ma ancora indietro l’erogazione dell’acqua potabile381286

L’Istat ha pubblicato il rapporto “Ambiente urbano: gestione eco compatibile e smartness” relativa ai capoluoghi di provincia e riferita all’anno 2013. Ecco i dati principali:

In tema di strumenti innovatori di programmazione eco compatibile, sono 81 su 116 i capoluoghi che al 31 dicembre 2013 hanno aderito al Patto dei sindaci, (impegnandosi a ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 20% entro il 2020) e 50 hanno già approvato il Piano di azione per l’energia sostenibile.
A favore della gestione eco sostenibile dei rifiuti, la raccolta porta a porta nel 2013 è attiva in 101 capoluoghi, il ritiro su chiamata degli ingombranti in 111 (in 79 esteso anche ad altre tipologie di rifiuto). 105 comuni hanno isole ecologiche e 38 stazioni mobili per il conferimento diretto da parte dei cittadini, 97 hanno attivato interventi programmati di raccolta dei rifiuti abbandonati. Permangono inefficienze nell’erogazione dell’acqua potabile: nel 2012 le dispersioni delle reti di distribuzione comunali sono pari al 34%. Il settore della mobilità è tra i più dinamici per l’applicazione di tecnologie innovative da parte dei comuni. Nel 2013, Genova e Bologna hanno l’offerta più completa di servizi di infomobilità; quasi la metà dei comuni dispone di pannelli a messaggio variabile su strada (56), offre informazioni via web sul trasporto pubblico (52), dispone di paline elettroniche alle fermate (50). Più di un terzo delle città utilizza “semafori intelligenti” e poco meno permette la ricarica dei veicoli elettrici in aree pubbliche. Diffusi gli investimenti “smart” di efficientamento dell’illuminazione pubblica: nel 2013 il 14,6% dei punti luce ha un sistema di regolazione del flusso luminoso; il 4,8% utilizza lampade a LED e una piccola quota in forte crescita è fotovoltaica (0,7‰; +44,6% in un anno). Nel campo delle fonti rinnovabili e dell’uso efficiente dell’energia, 105 comuni producono in proprio energia solare fotovoltaica, 6 comuni quella idroelettrica, 3 energia eolica e altrettanti la geotermica. Il teleriscaldamento è presente in 34 capoluoghi; 78 città dispongono di propri impianti solari termici, 20 a biomasse e/o biogas e 24 pompe di calore ad alta efficienza.
Le “Zone 30” sono presenti in 63 capoluoghi nel 2013 (9 in più rispetto al 2012), i servizi di bike sharing in 58 città (10 in più in un biennio) con oltre 1.000 punti di prelievo (+42%) e quasi 10 mila biciclette (+62%). Il car sharing è attivo nel 2013 in 22 città, con circa 1.000 veicoli (il 23% elettrici) e oltre 25 mila abbonati (+36% in un biennio).
Per favorire gli utenti e la trasparenza dei processi sono diffusi i servizi on line: nel 2013, 51 capoluoghi ne hanno attivato almeno 3 di tipo anagrafico; 38 offrono la possibilità di prenotare appuntamenti con referenti degli uffici comunali; 39 consentono il pagamento per almeno due tipi di servizi o tributi.

 

Ambiente Urbao, Istat [0,64 MB]

Fonte: ecodallecitta.it

Sei mosse per ridurre il consumo di acqua

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Avete mai pensato a quanta acqua si risparmierebbe chiudendo il rubinetto ogni volta che ci si lavano i denti? Se non lo avete mai fatto questo è il momento giusto. Secondo una ricerca pubblicata su Nature Geoscience, un utilizzo più parsimonioso nel consumo domestico di acqua, unitamente ad altre “piccole” accortezze, permetterebbe di soddisfare il bisogno idrico globale entro il 2050. Sì, ma come?

La scarsità d’acqua non è un problema che riguarda solo i Paesi in via di sviluppo. In California, per esempio, si sta proponendo un piano di emergenza per il rifornimento idrico di ben 7,5 miliardi di dollari e negli Stati Uniti lo scorso anno i funzionari federali hanno avvertito la popolazione dell’Arizona e del Nevada che entro il 2016 sarà necessario affrontare dei tagli nel rifornimento idrico proveniente dal fiume Colorado. Alla radice del problema, apparentemente insormontabile, non ci sono solo le abitudini domestiche, ma anche le moderne tecniche di irrigazione, l’utilizzo di risorse idriche da parte degli impianti industriali nonché i cambiamenti climatici del pianeta. Lo stress idrico a cui sono sottoposte molte aree è dovuto allo sfruttamento dell’acqua dei fiumi, soprattutto in zone in cui oltre il 40% di tale acqua è già utilizzato; una situazione questa che riguarda circa un terzo della popolazione mondiale e che entro la fine del secolo potrebbe colpirne più della metà, se lo sfruttamento di risorse idriche continuerà a questo ritmo. Per ridurre lo stress idrico, gli autori dello studio hanno quindi individuato sei strategie. Fra le misure “soft” l’introduzione di nuove tecniche di coltura, unitamente ad una maggiore efficienza dei nutrienti agricoli; il miglioramento delle infrastrutture idriche, tramite il passaggio a sistemi di irrigazione a interruttore; l’utilizzo più parsimonioso del consumo di acqua domestica e industriale e, persino, una limitazione nel tasso di crescita della popolazione (da mantenere entro il 2050 al disotto degli 8,5 miliardi), potrebbero diminuire considerevolmente l’utilizzo d’acqua a livello mondiale. Ma i ricercatori hanno individuato anche delle soluzioni “hard” fra cui la possibilità di aumentare lo stoccaggio di acqua nei serbatoi e la desalinizzazione dell’acqua di mare. “Non esiste un unico metodo per affrontare il problema in tutto il mondo”, sostiene Tom Gleeson del Dipartimento di Ingegneria Civile del McGill e fra gli autori dello studio. “Ma, guardando il problema su scala globale, abbiamo calcolato che se quattro di queste strategie sono applicate allo stesso tempo è effettivamente possibile stabilizzare il numero di persone che nel mondo hanno problemi di stress idrico, piuttosto che continuare a consentire a questo numero di crescere, che è ciò che accadrà se continuiamo con il modello di business attuale”. “Riduzioni significative di stress idrico sono possibili entro il 2050”, aggiunge il co-autoreYoshihide Wada del Dipartimento di Geografia fisica dell’Università di Utrecht “ma un forte impegno e sforzi strategici sono necessari perché ciò accada.”

Riferimenti: Nature Geoscience Doi: 10.1038/ngeo2241

Credits immagine: Ian Sane/Flickr

Fonte: galileonet.it

Filosofia e pratica del cappotto

Risparmio energetico, vantaggi economici e confort abitativo: come e perché scegliere il cappotto ecologico per la propria abitazione.10

Ripararsi dal caldo, ripararsi dal freddo. In entrambi i casi ci si deve coprire. Coprire e non scoprire. Sembra strano ma è così. Pensiamo agli eschimesi che per far fronte a temperature che arrivano a -30, si devono coprire con indumenti fatti prevalentemente di pelli, ma anche ai Tuareg, popolazione nomade del Sahara, che si coprono di lana per proteggersi dalle elevate temperature del deserto. Per ovviare al mancato comfort, quando le condizioni ambientali non sono tra le più miti e piacevoli, risulta utile creare una sorta di filtro con l’esterno che migliora la percezione del nostro benessere. Questo filtro deve avere delle caratteristiche ben studiate, sia che si parli di un abito sia che si parli di un isolante per la casa. Facciamo un esempio parlando della lana, anche se i miei amici vegani, a ragion veduta, non sarebbero contenti. Ma questo ci consente di ragionare introducendo anche altre questioni, ossia l’importanza dell’approvvigionamento del materiale. La lana è un materiale di origine animale dalle grandi qualità, ha la straordinaria virtù di tenere caldo in inverno e fresco in estate. Il segreto della lana sta nella naturale arricciatura delle fibre non trattate, che permette la creazione di micro spazi pieni d’aria che agiscono come isolanti nei cambiamenti di temperatura. Le fibre hanno la singolare caratteristica di assorbire fino al 18/25% del loro peso in umidità, garantiscono una forte protezione termica, sono elastiche, resistenti all’usura e alla fiamma. Il contenuto di lanolina, le rende inoltre antibatteriche e autopulenti. Ecco perché gli indumenti dei Tuareg sono di lana. Molte delle caratteristiche della lana sono presenti in altri materiali isolanti per coibentare la casa e la stessa lana naturale di pecora è sempre stata ed è ancora considerata un eccellente  materiale per l’isolamento termico, unendo disponibilità e praticità, leggerezza e resistenza all’acqua. Aggiungo che in particolare la lana, a mio giudizio, ha senso usarla in edilizia solo in economie di piccola scala e non attraverso produzioni industriali che arrecano danno e sofferenza agli animali. Anche il sughero è un materiale isolante e insonorizzante molto buono che però comporta, a causa di un lentissimo ripristino della sua corteccia,  un utilizzo limitato a certe zone e a produzioni locali e controllate.

Il “filtro” cappotto

Per produrre calore l’organismo brucia gli zuccheri come una casa brucia, per esempio, metano, entrambi combustibili. Se non vogliamo intaccare le riserve energetiche, dobbiamo “filtrare” la differenza di temperatura tra l’esterno e l’interno. Ecco che entrambi, il corpo e la casa, ovviano al problema indossando un bel cappotto! In edilizia il “cappotto” consiste in una coibentazione esterna delle pareti verticali mediante materiale isolante di diverso genere, rasato da uno strato sottile di intonaco per esterni. In questa sede ci limitiamo a parlare di coibentazione dall’esterno perché essa offre maggiori vantaggi rispetto a quella interna. Il cappotto fornisce in pratica, con il suo inscindibile pacchetto, sia l’isolamento sia la finitura. Si tratta di un vero e proprio “sistema a cappotto” usato in Europa ormai da una cinquantina d’anni per la coibentazione degli edifici nuovi o già esistenti e il recupero di immobili storici e di pregio, residenziali, commerciali, industriali. Si parla di “sistema” in quanto esiste una certificazione di realizzazione e posa del cappotto da parte di alcune ditte specializzate riunite in Italia in un Consorzio (www.cortexa.it) che lo garantiscono una decina di anni, e inoltre, tutti i componenti e materiali sono marchiati e certificati e devono essere posati a regola d’arte. Vengono usati il collante-rasante per l’incollaggio dei pannelli isolanti alla struttura di supporto e per la formazione del primo strato di intonaco rinforzato con una rete in fibra di vetro o materiali naturali, eventualmente un primer quale prima protezione dell’intonaco rinforzato e a completare, la mano di finitura con rivestimento continuo sottile a protezione dell’intero sistema dagli agenti atmosferici.  Spesso i pannelli, oltre a essere incollati al supporto, vengono tassellati alla struttura, si utilizzano profili metallici

“Il cappotto permette di isolare senza discontinuità gli ambienti riscaldati (abitati) dal freddo e dal caldo, migliorando sensibilmente il comfort abitativo” Shutterstock: Copyright: Jakub Krechowicz

o plastici leggeri per le modanature verticali od orizzontali e sigillanti per i giunti degli infissi. È necessario, inoltre, utilizzare elementi speciali di polipropilene con struttura alveolare o in schiuma poliuretanica per evitare ponti termici e danni al cappotto per il fissaggio di veneziane e persiane, balconi, arcarecci di tettoie ecc. L’installazione del sistema richiede molta attenzione alle istruzioni della sequenza di montaggio che si possono trovare esposte nelle schede tecniche e di applicazione dei diversi produttori di materiali, oppure nel manuale per l’applicazione del sistema a cappotto a cura del Consorzio citato. Le attrezzature necessarie sono quelle usualmente richieste per l’applicazione degli intonaci tradizionali. Si tratta di studiare in fase di progettazione i dettagli tecnici esecutivi per risolvere particolari nodi costruttivi e di privilegiare sistemi di isolamento caratterizzati da parametri ecologici in linea con una costruzione compatibile nel rispetto dei princìpi di ecosostenibilità.11

La scelta del materiale

Il tipo di sistema da utilizzare dipende da tanti fattori e come sempre non esiste una sola ricetta. Tenendo presente quanto si è consigliato nella scelta di materie prime riciclabili e a basso impatto ambientale, è possibile scegliere tra una vasta gamma di soluzioni che prevedono sostanzialmente due tipi di lavorazioni: la posa di pannelli e il riempimento di intercapedini. I pannelli in fibra di legno godono di un’alta inerzia termica a differenza di altri materiali artificiali, cioè cambiano lentamente la temperatura in risposta alla variazione della temperatura esterna o interna e, di conseguenza, hanno uno sfasamento maggiore (il tempo impiegato dall’onda termica per arrivare all’interno dell’edificio). La fibra di legno è consigliabile quindi anche dove fa caldo e come coibentazione del tetto. Ci sono anche pannelli a base di idrati di silicato di calcio che uniscono le caratteristiche ecologiche ai vantaggi di un isolante massiccio completamente minerale. Nel caso di intercapedini da riempire, un ottimo materiale riciclato risulta essere la fibra di cellulosa proveniente da carta di giornale selezionata e trattata con sali di boro.

Perché isolare con il cappotto?

Gli obiettivi sono molteplici: risparmio energetico e vantaggi economici, termici, strutturali e di durata nel tempo. Il cappotto permette di isolare senza discontinuità gli ambienti riscaldati (abitati) dal freddo e dal caldo, migliorando sensibilmente il comfort abitativo, protegge le facciate e quindi la struttura degli edifici dagli agenti atmosferici. Il sistema a “cappotto” serve per isolare in modo sicuro e continuo pareti costituite anche da materiali diversi, la cui diversità può riguardare il comportamento alle sollecitazioni termiche, le caratteristiche meccaniche, la conformazione superficiale; pensiamo ad esempio alle strutture in cemento armato e laterizio. La muratura protetta dal cappotto viene posta in condizioni termiche e igrometriche stazionarie, nonostante grandi differenze di temperatura e/o umidità tra l’esterno e l’interno abitativo ed è possibile eliminare la causa di crepe, infiltrazioni, muffe, fastidiosi moti convettivi interni ai locali e di conseguenza anche i ponti termici, attraverso i quali parte del calore viene disperso. Con l’installazione del sistema a “cappotto” tutti questi fenomeni vengono annullati o comunque fortemente attenuati. Inoltre le stesse murature non dissipando più il calore all’esterno, svolgendo l’importante funzione di volano termico, ovvero di una massa temperata uniforme nelle diverse stagioni e condizioni atmosferiche. A questo proposito si tenga presente che il12

sistema a cappotto lavora in maniera unitaria sull’involucro dell’edificio e sul concetto di riscaldare le superfici piuttosto che l’aria. La continuità della coibentazione dovrebbe riguardare anche la qualità e la corretta posa degli infissi, nonché l’isolamento delle superfici orizzontali, quali solaio e tetto. Altra funzione fondamentale del cappotto è che esso permette di razionalizzare l’uso del combustibile liquido, solido o gassoso che sia, riducendone l’impiego. Il conseguente risparmio in bolletta aumenta indirettamente le finanze familiari disponibili e, non da ultimo, permette di ridurre le immissioni inquinanti nell’atmosfera. Per fare un esempio, un’abitazione tipo non isolata, disperde circa l’80% di calore attraverso le diverse superfici non coibentate: è come se a fronte  di una spesa annuale per il riscaldamento di 3000 euro annui, disperdessimo 2400 euro!

Marta Dina Renata Carugati Architetto, collabora con l’Associazione PAEA – Progetti Alternativi per l’Energia e l’Ambiente (paea.it).

fonte: viviconsapevole

Filosofia e pratica del cappotto

Risparmio energetico, vantaggi economici e confort abitativo: come e perché scegliere il cappotto ecologico per la propria abitazione 10

che lo garantiscono una decina di anni, e inoltre, tutti i componenti e materiali sono marchiati e certificati e devono essere posati a regola d’arte. Vengono usati il collante-rasante per l’incollaggio dei pannelli isolanti alla struttura di supporto e per la formazione del primo strato di intonaco rinforzato con una rete in fibra di vetro o materiali naturali, eventualmente un primer quale prima protezione dell’intonaco rinforzato e a completare, la mano di finitura con rivestimento continuo sottile a protezione dell’intero sistema dagli agenti atmosferici. Spesso i pannelli, oltre a essere incollati al supporto, vengono tassellati alla struttura, si utilizzano profili metallici

“Il cappotto permette di isolare senza discontinuità gli ambienti riscaldati (abitati) dal freddo e dal caldo, migliorando sensibilmente il comfort abitativo” Shutterstock: Copyright: Jakub Krechowicz

o plastici leggeri per le modanature verticali od orizzontali e sigillanti per i giunti degli infissi. È necessario, inoltre, utilizzare elementi speciali di polipropilene con struttura alveolare o in schiuma poliuretanica per evitare ponti termici e danni al cappotto per il fissaggio di veneziane e persiane, balconi, arcarecci di tettoie ecc. L’installazione del sistema richiede molta attenzione alle istruzioni della sequenza di montaggio che si possono trovare esposte nelle schede tecniche e di applicazione dei diversi produttori di materiali, oppure nel manuale per l’applicazione del sistema a cappotto a cura del Consorzio citato. Le attrezzature necessarie sono quelle usualmente richieste per l’applicazione degli intonaci tradizionali. Si tratta di studiare in fase di progettazione i dettagli tecnici esecutivi per risolvere particolari nodi costruttivi e di privilegiare sistemi di isolamento caratterizzati da parametri ecologici in linea con una costruzione compatibile nel rispetto dei princìpi di ecosostenibilità. 11

La scelta del materiale

Il tipo di sistema da utilizzare dipende da tanti fattori e come sempre non esiste una sola ricetta. Tenendo presente quanto si è consigliato nella scelta di materie prime riciclabili e a basso impatto ambientale, è possibile scegliere tra una vasta gamma di soluzioni che prevedono sostanzialmente due tipi di lavorazioni: la posa di pannelli e il riempimento di intercapedini. I pannelli in fibra di legno godono di un’alta inerzia termica a differenza di altri materiali artificiali, cioè cambiano lentamente la temperatura in risposta alla variazione della temperatura esterna o interna e, di conseguenza, hanno uno sfasamento maggiore (il tempo impiegato dall’onda termica per arrivare all’interno dell’edificio). La fibra di legno è consigliabile quindi anche dove fa caldo e come coibentazione del tetto. Ci sono anche pannelli a base di idrati di silicato di calcio che uniscono le caratteristiche ecologiche ai vantaggi di un isolante massiccio completamente minerale. Nel caso di intercapedini da riempire, un ottimo materiale riciclato risulta essere la fibra di cellulosa proveniente da carta di giornale selezionata e trattata con sali di boro.

Perché isolare con il cappotto?

Gli obiettivi sono molteplici: risparmio energetico e vantaggi economici, termici, strutturali e di durata nel tempo. Il cappotto permette di isolare senza discontinuità gli ambienti riscaldati (abitati) dal freddo e dal caldo, migliorando sensibilmente il comfort abitativo, protegge le facciate e quindi la struttura degli edifici dagli agenti atmosferici. Il sistema a “cappotto” serve per isolare in modo sicuro e continuo pareti costituite anche da materiali diversi, la cui diversità può riguardare il comportamento alle sollecitazioni termiche, le caratteristiche meccaniche, la conformazione superficiale; pensiamo ad esempio alle strutture in cemento armato e laterizio. La muratura protetta dal cappotto viene posta in condizioni termiche e igrometriche stazionarie, nonostante grandi differenze di temperatura e/o umidità tra l’esterno e  l’interno abitativo ed è possibile eliminare la causa  di crepe, infiltrazioni, muffe, fastidiosi moti convettivi interni ai locali e di conseguenza anche i ponti termici, attraverso i quali parte del calore viene disperso. Con l’installazione del sistema a “cappotto” tutti questi fenomeni vengono annullati o comunque fortemente attenuati. Inoltre le stesse murature non dissipando più il calore all’esterno, svolgendo l’importante funzione di volano termico, ovvero di una massa temperata uniforme nelle diverse stagioni e condizioni atmosferiche. A questo proposito si tenga presente che il12

sistema a cappotto lavora in maniera unitaria sull’involucro dell’edificio e sul concetto di riscaldare le superfici piuttosto che l’aria.  La continuità della coibentazione dovrebbe riguardare anche la qualità e la corretta posa degli infissi, nonché l’isolamento delle superfici orizzontali, quali solaio e tetto. Altra funzione fondamentale del cappotto è che esso permette di razionalizzare l’uso del combustibile liquido, solido o gassoso che sia, riducendone l’impiego. Il conseguente risparmio in bolletta aumenta indirettamente le finanze familiari disponibili e, non da ultimo, permette di ridurre le immissioni inquinanti nell’atmosfera. Per fare un esempio, un’abitazione  tipo non isolata, disperde circa l’80% di calore attraverso le diverse superfici non coibentate: è come se a fronte  di una spesa annuale per il riscaldamento di 3000 euro annui, disperdessimo 2400 euro!

Marta Dina Renata Carugati: Architetto, collabora con l’Associazione PAEA – Progetti Alternativi per l’Energia e l’Ambiente (paea.it).

fonte: viviconsapevole

Inquinamento atmosferico, la Cina chiede aiuto all’Unione Europea

Tajani e Potocnik sull’SOS inquinamento in Cina: firmato un accordo per la collaborazione tra PMI. E a Pechino l’aria è sempre più irrespirabile160422250-586x388

Non solo Pechino, ma tutte le grandi città cinesi sono, in particolar modo negli ultimi mesi, letteralmente schiave di una vera e propria emergenza inquinamento: l’aria irrespirabile, la potabilità delle acque che in alcune zone della capitale è stata persino revocata (viene invece concessa a singhiozzo nel resto della megalopoli), si stanno lentamente trasformando in una vera e propria emergenza ambientale e sanitaria. La gravità della situazione, che ha “costretto” le autorità di Pechino ad ammettere, per la prima volta nella storia della Repubblica Popolare, l’esistenza di un problema di inquinamento (contrastato con divieti grotteschi, come per le fritture o i barbecue che affollano le strade), ha spinto il governo di Pechino a rivolgersi all’estero per ottenere aiuto su come fronteggiare l’emergenza. La Cina, stando e agli ultimi investimenti sulle fonti energetiche non fossili e alle necessità sanitarie in città, ha dunque lanciato un vero e proprio SOS internazionale, cui l’Unione Europea ha immediatamente risposto “presente”. Una vera e propria “missione per la crescita verde”, il primo evento di matchmaking tra Asia ed Europa (una sorta di speed-date tra imprese) dal valore di 233 miliardi di euro: 355 incontri, 60 aziende europee pronte a lanciarsi nel mercato cinese dell’ecosostenibilità ambientale.

“Il vicepremier Ma Kai è stato chiaro: vogliamo lavorare sull’economia verde. […] La Cina vuole cooperare con noi, lavorare con noi che abbiamo il know how”

ha spiegato Antonio Tajani (che è anche Commissario europeo all’industria) al via di questa due giorni pechinese interamente proiettata ad una “rivoluzione verde” in Cina: l’esperienza europea in tal senso, relativa sopratutto al know how ed alle tecnologie verdi delle PMI del Vecchio Continente, è dunque il trampolino di lancio ufficiale per la creazione di nuove partnership a cavallo tra i due continenti. Il governo di Pechino parrebbe avere tutta l’intenzione di rifondare, con una completa ristrutturazione, l’intero panorama impiantistico del paese, rivolgendosi in particolare proprio alle industrie ed ai poli industriali più inquinanti e passare dai circa 17mila veicoli elettrici circolanti nel 2012 ai 5 milioni entro il 2020. La praticità cinese ci ha insegnato a non sottovalutare mai la determinazione di questo popolo, che tuttavia in materia di green technologies parte decisamente arretrata rispetto all’Europa.

“Che si parli di ‘civilizzazione ecologica’, come dicono qui, oppure di ‘crescita verde’, come la chiamiamo nell’Ue, il succo è lo stesso. […] In Cina sta crescendo la preoccupazione per l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e per i rifiuti, ed è chiaro che la nuova leadership cinese sta ponendo questo tema fra le sue priorità. Questa missione prepara la strada per il prossimo summit Ue-Cina di novembre, che avrà come tema portante proprio l’economia verde”

ha detto il Commissario europeo all’ambiente Janez Potocnik. La concorrenza sul tema è spietata, in particolare da parte di Giappone e Stati Uniti, ma l’Europa può contare su un’industria del riciclo e della gestione di acqua e rifiuti assolutamente avanzata sul piano internazionale.

 

Fonte: ecoblog