Pesci della barriera corallina minacciati: il lato oscuro dietro il commercio ittico

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Vale 1 miliardo di dollari l’anno, il Live ReefFish for FoodTrade (LRFFT), la pesca di pesce vivo per il commercio alimentare. In questo contesto,i pesci della barriera corallina costituiscono una prelibatezza. Secondo un recente studio, pubblicato dallo Swire Institute of Marine Sciences dell’Università di Hong Kong (HKU) e dalla ADM Capital Foundation, il commercio ittico di specie come cernie, trote coralline e pesci napoleone sta minacciando il futuro dei mari.

Scopriamo insieme cosa si nasconde dietro questo sfruttamento.

Pesci della barriera corallina un mercato da 1 miliardo di dollari

L’LRFFT è il commercio alimentare ittico in cui i pesci della barriera corallina diventano prelibatezze da servire soprattutto in occasioni formali come banchetti matrimoniali. In Hong Kong, questo tipo di commercio fattura oltre 1 miliardo di dollari. Un mercato che ha conseguenze importanti per l’ecosistema marino della barriera corallina.

In gran parte, infatti, questo tipo di commercio ittico non è dichiarato, né regolamentato. Un disastro per la salvaguardia delle specie vulnerabili e per la sicurezza alimentare.

Una situazione disastrosa che mette a repentaglio l’ecosistema marittimo

Secondo i ricercatori dello Swire Institute of Marine Sciences che hanno condotto lo studio, se non si agisce immediatamente per arginare questo commercio illegale, presto le nostre tavole potrebbero rimanere vuote.

«La velocità con cui stiamo catturando i pesci della barriera corallina nei nostri oceani, compresi gli esemplari giovani, semplicemente non è sostenibile», afferma il dottor Yvonne Sadovy, professore di scienze biologiche presso l’HKU e principale autore del rapporto. Le specie ittiche vive, affermano i ricercatori, fanno parte della tradizione culinaria della Cina Meridionale. La maggior parte del pescato proviene dai mari del Sud-Est asiatico. La richiesta di pesci della barriera corallina, sempre più rari e particolari, proviene in larga parte da banchetti di eventi, come i matrimoni, in cui l’ostentazione di ricchezza è cresciuta con l’espansione economica della Cina.

Un commercio che vale oro

Sebbene il commercio non sia ampio, è sproporzionato nel prezzo. Nel polo commerciale di Hong Kong ha un valore stimato intorno al miliardo di dollari. Valore in cui non sono inclusi i ricavati provenienti dal commercio illegale.

L’LRFFT fornisce un mercato di pesci di lusso con specie di altissimo valore commerciale, come il pesce Napoleone che supera i 600 dollari al kg. I volumi dell’LRFF importati a Hong Kong sono sottostimati, forse addirittura del 50%. La cattura dei pesci della barriera corallina, infatti, non è monitorata adeguatamente. Soprattutto nelle importazioni via mare.

Il problema del mercato nero e la vulnerabilità dei pesci della barriera corallina

I commercianti, i trasportatori e gli operatori sfruttano un vuoto legislativo lasciato da provvedimenti inadeguati e obsoleti.

«È probabile che i governi non traggano vantaggio da questo prezioso commercio a causa della cultura dell’evasione fiscale intenzionale, della cattiva governance e della mancanza di trasparenza nella commercializzazione e nel trasporto di pesci vivi», afferma la co-autrice del rapporto Sophie Le Clue. Secondo il rapporto, da 15 a 20 specie di pesci della barriera corallina, in gran parte cernie, riforniscono l’LRFFT. Sono sia pesci selvatici che provengono dagli oceani, che pesci allevati principalmente in Indonesia, Filippine, Thailandia, Malesia e, in misura minore, Australia. Purtroppo, comunque, le preferenze dei consumatori continuano a essere per il pesce selvatico. Sia perché alcune specie, come la trota corallina, non possono essere riprodotte in allevamento, sia perché il pesce proveniente dal mare aperto è considerato più economico e pregiato.

Molte di queste specie catturate sono biologicamente vulnerabili. Perché si tratta di pesci longevi, che si riproducono lentamente. L’eccesso di sfruttamento della pesca supera i tassi di riproduzione di 2,5 volte e, in alcuni casi anche di sei. Dati che minacciano irrimediabilmente l’esistenza di queste specie.

Cosa fare

È possibile riuscire a intervenire prima che sia troppo tardi, fanno sapere gli studiosi. È però essenziale che le autorità di Hong Kong intervengano fermamente per ostacolare il commercio illegale dei pesci della barriera corallina. Deve essere stabilito un sistema di monitoraggio rigido ed efficace. Dal punto di vista dei commercianti, è invece essenziale la tracciabilità dei prodotti venduti, per garantire un approvvigionamento sostenibile. I consumatori, dal canto loro, invece, dovrebbero ripensare alla necessità di portare sulla propria tavola piatti con un peso ambientale così grande. Purtroppo, mentre le campagne contro lo sharkfinning hanno raggiunto un certo successo, è difficile sensibilizzare in questo modo le persone su queste specie, nonostante il ruolo cruciale che svolgono nel sostenere gli ecosistemi delle barriere coralline.

Fonte: ambientebio.it

Le creme solari distruggono l’ecosistema marino

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Abbiamo più volte visto come, per poter riuscire ad avere una tintarella senza rischi, sia necessario proteggere la propria pelle. Tra i consigli dati dagli esperti per prevenire malattie e tumori della pelle, soprattutto nei mesi estivi, c’è sia un’attenta e graduale esposizione al sole, che l’utilizzo di creme protettive, scelte in base al proprio fototipo di appartenenza. Eppure, c’è chi accusa proprio le creme solari di essere tra i maggiori agenti inquinanti, capaci di creare danni all’ecosistema marino. L’allarme è stato lanciato da una recente ricerca pubblicata sulla rivista dell’American Chemical Society. Lo studio è stato realizzato, tra gli altri, dal Dipartimento di Global Change Research, dell’Istituto Mediterraneo di Studi Avanzati (IMEDEA). Il problema riguarderebbe alcuni ingredienti, presenti generalmente in molte creme protettive, che finiscono in acqua quando ci facciamo il bagno. Questi ingredienti possono diventare tossici per il fitoplancton, alla base della catena alimentare degli ecosistemi marini. Gli ingredienti responsabili di tale disastro sarebbero le nanoparticelle di biossido di titanio e di ossido di zinco che, reagendo con i raggi ultravioletti del sole, si trasformano in nuovi composti, come il perossido di idrogeno, nocivi per la fauna acquatica.protezioni-solari

Per accertarsi della pericolosità dei prodotti, e soprattutto dell’impatto negativo che i bagnanti possono avere sulla vita marina, gli studiosi hanno esaminato dei campioni prelevati nella Palmira beach di Maiorca, affollata da 10mila dei 200 milioni di turisti che ogni estate si riversano sulle coste del Mediterraneo. In base ai risultati ottenuti dai test di laboratorio, ed effettuati su campionamenti di acqua e dati turistici, gli esperti hanno tratto la conclusione che il biossido di titanio delle creme solari sia tra i maggiori responsabili dell’aumento dei livelli di perossido di idrogeno nelle acque costiere. La ricerca non è però nuova. I due esperti a capo dello studio, Antonio Tovar-Sanchez e David Sanchez-Quiles, avevano già indagato l’effetto negativo che le creme solari possono avere nel sistema marino, in un lavoro pubblicato sulla rivista Plos One il 5 giugno del 2013. Quest’ulteriore analisi conferma la precedente tesi. Naturalmente, la colpa della distruzione dell’ecosistema marino non è da attribuirsi esclusivamente ai solari. Il catalogo dei prodotti cosmetici e non che, attraverso gli scarichi domestici, finisce in mare è enorme. Pensiamo ad esempio agli esfolianti che contengono microsfere di polietilene che, attraversando lo scarico, assorbono pesticidi e altre sostanze chimiche. Una volta finite in mare, queste microsfere vengono scambiate dai pesci per plancton e mangiate. In questo modo, ritornano a noi attraverso la catena alimentare. Bisogna sempre ricordare che ogni nostra scelta, per quanto innocua ci possa apparire, influisce sempre sull’ambiente che ci circonda. Non stiamo dicendo ovviamente di rinunciare a proteggere la propria salute e la pelle, facendo completamente a meno delle creme solari. Basta farlo con attenzione. Evitando di esagerare nelle quantità e cercando di scegliere sempre prodotti che diano il minore impatto possibile sull’ambiente.

(Foto in evidenza: amcrc.com; foto interna: kimberlysnyder)

Fonte: ambientebio.it/