‘L’economia del futuro deve essere decarbonizzata altrimenti non ha prospettive’, intervista ad Edo Ronchi | 1° parte

In occasione degli Stati Generali della Green Economy in programma il 3 e 4 novembre in versione digitale causa Covid, abbiamo raggiunto Eco Ronchi per sapere quali saranno le riflessioni condivise sull’economia verde ai tempi della pandemia. Cosa dobbiamo aspettarci dall’edizione 2020 degli Stati Generali della green economy 2020? Quali saranno le riflessioni condivise, in modalità digitale, il 3 e il 4 novembre da esperti del settore e politici, tra cui 5 ministri, che offriranno un focus sull’economia verde ai tempi del Covid-19? Molto atteso il confronto sul Green deal e su come investire in Italia i 209 miliardi del Recovery fund. Ne abbiamo parlato con il padrone di casa, l’ex Ministro dell’ambiente e presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Edo Ronchi.  

La diffusione del Covid ci sta presentando un conto salato non solo in termini di vite umane. La pandemia ha messo a nudo la fragilità del nostro sistema economico-sociale oltre alla nostra incapacità di proteggere l’ambiente in cui viviamo. Ne verremo fuori imparando la lezione? 

La diffusione del virus, che ci obbliga a una versione degli Stati Generali a distanza, crea un po’ di problemi determinando un quadro fortemente cambiato rispetto al 2019. La prima riflessione riguarda proprio la lezione che dobbiamo imparare da questa pandemia. Ovviamente adesso siamo impegnati nell’ emergenza a rispettare le norme sanitarie e a sostenere le misure di compensazione economica e sociale. Ma contemporaneamente bisogna pensare al futuro in modo da uscire da questa pandemia migliori di come eravamo quando ci siamo entrati. Tra le lezioni da imparare da questa situazione c’è indubbiamente anche quella sulla sostenibilità ecologica. Abbiamo capito a nostre spese quanto siamo vulnerabili di fronte alla natura. È bastato un micro organismo per sconvolgere le nostre sicurezze e la nostra potenza tecnologica ed economica.  Quando si danneggia la natura certe conseguenze sono inevitabili. Aver trattato con superficialità altre specie e aver devastato habitat naturali provocando, come già accaduto, passaggi di virus da animali all’uomo, in questo caso ha determinato questa pandemia disastrosa. 

Qual è la strategia vincente suggerita da Gli Stati Generali della Green Economy per uscire dalla pandemia senza danneggiare ulteriormente la natura?

Bisogna cambiare il modo di pensare. Bisogna adottare verso la natura un principio di cautela e di precauzione, non avere questi atteggiamenti superficiali verso gli habitat naturali e le altre specie generando conseguenze come quelle he stiamo verificando. Pensando alla strategia, cioè anche al futuro e non solo all’emergenza durante la crisi, vogliamo sottolineare come la green economy possa essere una leva fondamentale di rilancio sociale ed economico dell’Italia per una serie di motivi non astratti. Intanto lo sviluppo non è durevole se non è sostenibile. L’economia ormai del futuro deve essere decarbonizzata altrimenti non ha prospettive. Un paese manifatturiero come il nostro non può che puntare alla conversione dell’economia tradizionale in circolare. La neutralità climatica proposta dall’Unione europea è una strategia ambiziosa, necessaria, ricca di grandi cambiamenti e di forti potenzialità. Nulla come una green economy circolare e decarbonizzata può alimentare innovazione, nuovi investimenti e nuova e buona occupazione. Queste sono un po’ le chiavi dell’impostazione di questi Stati Generali.

Come interpreta i segnali che arrivano dall’Unione europea? 

Prendiamo atto che a livello europeo c’è una svolta green. E vogliamo sottolineare la portata innovativa di questa svolta che non è solo la qualificazione del Recovery fund centrato sul Green Deal. Ma si tratta di una serie di misure che accompagnano il Next Generation fund che hanno questa connotazione come l’individuazione di una tassonomia sugli investimenti sostenibili, la Farm to fork e i nuovi target di neutralità climatica che entreranno in vigore entro il 2021 con l’obiettivo del 50% al 2030. C’è la nuova strategia industriale, c’è il secondo piano di azione per l’economia circolare con una serie di misure e indicazioni molto importanti. C’è l’accelerazione delle scelte verso la mobilità sostenibile e decarbonizzata. Un pacchetto complessivo di svolte green europee con le quali vogliamo dialogare da una posizione avanzata. Non da freno. L’Italia deve essere parte dei paesi europei green e avanzati. E quindi presenteremo la piattaforma nazionale avanzata approvata dal Consiglio nazionale della Green economy che comprende 69 organizzazioni di imprese, che non è una struttura poco influente, che indica una serie di obiettivi e misure sia di investimenti che di riforme da attuare nell’impiego dei fondi di Next Generation e di questi famosi 209 miliardi da destinare all’Italia. 

Il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 ci pone obiettivi, anche intermedi, talmente sfidanti da rischiare di passare come proclami di difficile attuazione.  

Noi con “Italy Climate Network” abbiamo già cominciato a lavorare su una road map per studiare come si traducono questi obiettivi nei vari settori, non solo nella politica energetica delle rinnovabili e dell’efficienza ma in tutti i settori. Abbiamo visto che sono target impegnativi da raggiungere entro il 2030. Ma si possono realizzare e stimolano cambiamenti importanti, investimenti e innovazione. Quindi sì, sono sfidanti, ma chiedono impegno e soprattutto sono un’occasione importante come leva di Green deal. Cioè l’innovazione tecnologica di nuovi investimenti e occupazione. Per due motivi sostanziali. Perché c’è una maturazione delle tecnologie green e che possono stare sul mercato ed essere accessibili anche economicamente. C’è anche una crescita di consapevolezza dei consumi e un’attenzione dei cittadini che sono disposti a premiare i diritti green. Oggi se vuoi essere un’economia avanzata non puoi non puntare sulla decarbonizzazione e costringere i paesi e i settori più arretrati a inseguirli.

Non abbiamo scelta quindi? 

Io penso che sia una scelta da fare più che non abbiamo scelta. É una scelta necessaria ma anche utile. É il momento buono per farla questa svolta climatica. É un’occasione per il Green deal, una leva formidabile di nuovo sviluppo, di nuova innovazione tecnologica, investimenti e occupazione. Non c’è nulla come questo mix in grado di cambiare e trainare un nuovo tipo di sviluppo. 

Avete individuato quali sono le priorità che l’Italia dovrebbe finanziare? Ci sono dei settori che proprio non possiamo non coinvolgere in questo cambiamento?

Bisogna seguire questa road map e dare seguito agli investimenti per l’efficienza energetica. Per esempio l’ecobonus deve essere gestito in maniera efficiente con un po’ di supporto perché le pratiche sono complicate. Se si riesce a semplificarle è meglio.  Ma soprattutto bisogna dargli continuità, non basta un anno. Entro il 2020 ormi si potrà fare qualche lavoro di adeguamento e ristrutturazione. Dovrebbero avere carattere pluriennale questo tipo di interventi. Con una seria attenzione alla saturazione energetica degli edifici pubblici che deve essere seguita in materia più puntuale. Invece ci si basa solo sugli edifici privati. 

Il cambiamento climatico ci mostra la fragilità delle nostre città. Quali azioni concrete nei contesti urbani?

Occorre collegare la ristrutturazione alla rigenerazione urbana tenendo conto dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Le alluvioni hanno provocato tanti danni e dunque non è sufficiente strutturare gli edifici. Bisogna preoccuparsi anche dei territori con l’adeguamento ai piani di adattamento climatico. Se ne è parlato con l’ondata delle alluvioni e il dissesto idrogeologico. Si tratta di adattamento al cambiamento climatico che richiede politiche più attive di gestione del territorio. Sì, anche l’adattamento climatico è una priorità. Significa che bisogna creare delle aree di espansione delle acque, impermeabilizzazione. Fermare il consumo di suolo nuovo, moltiplicare le infrastrutture verdi, creare aree verdi periurbane nelle cinture delle città per assorbire le cosiddette bombe d’acqua. É un lavoro importante la rigenerazione urbana ed è un’occasione di rilancio della qualità delle città. 

Fonte: ecodallecitta.it

Editoriale 1. Rendere più verde la nostra economia

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La maggior parte delle persone ricorderà il 2011 come un anno di turbolenze finanziarie, ricorderà il terremoto, lo tsunami e il disastro nucleare in Giappone, i salvataggi finanziari in Europa, le proteste di massa della Primavera araba, il movimento Occupy Wall Street e gli Indignados spagnoli. Pochi ricorderanno che è stato anche l’anno in cui gli scienziati hanno scoperto oltre 18.000 nuove specie sul nostro pianeta. Ancora meno sono in grado di menzionare una specie dichiarata estinta. A prima vista, il destino delle specie minacciate sembrerebbe un mondo lontano dall’economia. Tuttavia, ad un’analisi più attenta, le connessioni tra i due sono più evidenti. La «buona salute» dei sistemi naturali è una condizione necessaria per la «buona salute» dei nostri sistemi sociali ed economici. Si può affermare che la società prospera se è esposta all’inquinamento atmosferico e idrico e ai relativi problemi di salute? Allo stesso modo, può una società «funzionare» se un’ampia parte di essa non ha un lavoro o non riesce ad arrivare a fine mese? Nonostante le lacune e le incertezze nella nostra comprensione, è chiaro che il mondo sta cambiando. Dopo 10.000 anni di relativa stabilità, la temperatura media globale è in aumento. Anche se le emissioni di gas serra dell’Unione europea sono in diminuzione, i combustibili fossili rilasciano più gas serra nell’atmosfera di quanti la terra o gli oceani ne possano assorbire. Alcune regioni sono più vulnerabili ai potenziali impatti del cambiamento climatico e spesso si tratta dei paesi meno preparati ad adattarsi alle nuove condizioni climatiche. Con oltre sette miliardi di persone sul pianeta, gli uomini svolgono chiaramente un ruolo importante nella conduzione e nell’accelerazione di tale cambiamento. Infatti, i nostri livelli attuali di consumo e produzione possono danneggiare l’ambiente al punto tale che rischiamo di rendere la nostra casa inabitabile per molte specie, inclusa la nostra. Molte persone, nei paesi in via di sviluppo, aspirano a stili di vita simili a quelli dei paesi sviluppati, il che potrebbe sottoporre i nostri sistemi naturali a ulteriori pressioni. Stiamo perdendo la biodiversità globale a un tasso mai visto prima. I tassi di estinzione potrebbero essere 1.000 volte maggiori dei tassi registrati in passato. La distruzione degli habitat costituisce una delle cause principali. Anche se negli ultimi decenni la superficie forestale totale in Europa è aumentata, a livello globale la situazione è differente. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura stima che ogni anno circa 13 milioni di ettari delle foreste mondiali (corrispondenti grosso modo alle dimensioni della Grecia) vengono abbattuti e il suolo viene convertito ad altri utilizzi, quali i pascoli per i bovini, le attività minerarie e agropastorali o lo sviluppo urbano. Ma le foreste non sono gli unici ecosistemi  minacciati. Esistono molti altri habitat naturali a rischio a causa delle attività umane.

Prospettive per il futuro: un’economia verde inclusiva

Poiché la principale preoccupazione quotidiana di miliardi di persone è quella di mettere del cibo sulla tavola e mandare

i figli a scuola nella speranza di un futuro migliore, per molti è pressoché impossibile evitare di adottare soluzioni a breve

termine. A meno che non vengano offerte loro altre soluzioni migliori…È evidente che le nostre attività economiche necessitano di risorse naturali. Ma ciò che può essere percepito come un dilemma (la scelta tra la tutela dell’ambiente e lo sviluppo dell’economia) è di fatto fuorviante. Nel lungo termine, lo sviluppo sociale ed economico necessita di una gestione sostenibile delle risorse naturali. Alla fine del 2011 nell’Unione europea una persona su dieci era disoccupata. Il rapporto corrisponde a più di uno su cinque per quanto riguarda i giovani. La disoccupazione mette a dura prova le persone, le famiglie e la società nel loro complesso. Nel 2010, circa un quarto della popolazione dell’Unione europea (UE) era a rischio povertà o esclusione sociale. I tassi di povertà globale sono anche più alti. I nostri attuali modelli economici non sono in grado di dimostrare i numerosi benefici di un ambiente sano. Il prodotto interno lordo (PIL), l’indicatore economico usato più comunemente per esprimere il livello di sviluppo di un paese, lo standard di vita e la condizione rispetto agli altri paesi, si basa sul valore della produzione economica. Non include il prezzo sociale e umano che paghiamo per gli effetti collaterali dell’attività economica, come l’inquinamento atmosferico. Al contrario, i servizi sanitari forniti a coloro che sono affetti da malattie respiratorie sono considerati un contributo positivo al PIL. La sfida consiste nello scoprire come è possibile ridisegnare i nostri modelli economici, così da che generare crescita e migliorare la qualità della vita nel mondo senza danneggiare l’ambiente e proteggendo, al contempo, anche gli interessi delle generazioni future. La soluzione si chiama «economia verde». Anche se sembra un concetto semplice, tradurre l’idea nella realtà è ben più complicato. Chiaramente, sarà necessaria un’innovazione della tecnologia. Ma saranno necessari anche molti altri cambiamenti, legati al modo in cui organizziamo le aziende, progettiamo le città, spostiamo le persone e le merci; in una parola, al modo in cui viviamo. Se si dovesse porre la questione in termini imprenditoriali, sarebbe necessario garantire la sostenibilità a lungo termine in tutti i settori connessi alla creazione di ricchezza: capitale naturale, capitale umano, capitale sociale, capitale industriale nonché capitale finanziario. Il concetto di economia verde può essere spiegato anche tramite questi capitali distinti, sebbene interconnessi. Nel valutare i costi e i benefici delle nostre decisioni, è necessario osservare gli impatti su tutto il capitale azionario. Gli investimenti nelle strade e nelle fabbriche  possono aumentare il nostro capitale artificiale, ma possono di fatto mettere a repentaglio la nostra ricchezza generale se comportano la distruzione delle nostre foreste (parte del nostro capitale naturale) o il danneggiamento della sanità pubblica (parte del capitale umano).

Opportunità future

Cambiare il nostro modo di vivere, di produrre e di consumare apre di fatto un nuovo mondo di opportunità. Segnali  ambientali 2012 vi offrirà una panoramica del punto in cui siamo oggi, esattamente vent’anni dopo il vertice della terra di Rio del 1992, in Brasile. Verrà esaminato il modo in cui l’economia e l’ambiente sono connessi e i motivi per i quali abbiamo bisogno di un’economia «verde». Verrà inoltre fornito uno sguardo sull’ampia varietà di opportunità a disposizione. Non esiste un’unica soluzione che contribuisca ad un rapido cambiamento o che si adatti a tutto. Oltre agli obiettivi generali comuni relativi alla gestione efficace dei rifiuti, la gestione dei rifiuti in Groenlandia potrebbe dover affrontare una realtà completamente diversa rispetto a quella del Lussemburgo. La tempistica svolge un ruolo fondamentale. Oggi abbiamo bisogno di soluzioni che affrontino i problemi ambientali con la tecnologia odierna, tenendo presente che le nostre politiche e le nostre decisioni imprenditoriali dovranno essere costantemente migliorate e adattate per stare al passo con la nostra crescente comprensione dell’ambiente e con gli sviluppi tecnologici. Tuttavia, abbiamo già a disposizione molte soluzioni, e molte altre sono in fase di preparazione.

Una questione di scelte

In ultima analisi, sarà di una questione di scelte, scelte politiche, imprenditoriali e di consumo. Ma come possiamo scegliere l’opzione migliore? Disponiamo delle informazioni e degli strumenti necessari per sviluppare politiche appropriate? Stiamo affrontando la questione nel modo «giusto»? Disponiamo degli incentivi o dei segnali di mercato «giusti» per investire nelle energie rinnovabili? Disponiamo delle informazioni o delle etichette «giuste» sulle merci che acquistiamo così da poter optare per un’alternativa più verde? Ciò che sappiamo e il momento in cui acquisiamo tale conoscenza sarà strumentale ad aiutare diverse comunità a effettuare le scelte «giuste». In ultima analisi, la conoscenza ci metterà nella condizione di proporre nuove soluzioni e creare nuove opportunità, condividendole con altri.

Prof.ssa Jacqueline McGlade

Direttrice esecutiva

Fonte: AEA (agenzia europea ambiente)

 

Energie rinnovabili in crescita negli Stati Uniti

Nel primo semestre 2013 le fonti rinnovabili hanno coperto il 14% del fabbisogno energetico complessivoInInghilterraleolicocostatroppo

Continua a crescere il “peso” delle fonti rinnovabili nella produzione energetica degli Stati Uniti. Sebbene le fonti fossili siano ancora nettamente preponderanti, la quota percentuale soddisfatta dalle energie pulite cresce e a dirlo è l’ultimo rapporto dell’Eia (Energy Information Administration), l’Agenzia americana per l’energia che ha spiegato come nel primo semestre 2013 le fonti rinnovabili abbiano superato il 14% dell’intera generazione elettrica statunitense. Una dato che rappresenta una crescita rispetto al 13,5% dello stesso semestre dell’anno precedente. A trainare la crescita sono le fonti alternative diverse dall’idroelettrico come eolico, solare, biomasse e geotermia: le nuove energie alternative rappresentano il 6,7% della produzione netta, mentre l’idroelettrico pesa per il 7,5%; domina incontrastato l’eolico (4,6% del totale), mentre le biomasse sono all’1,4%, la geotermia allo 0,4% e il solare allo 0,19%. Fra le fonti fossili resta prioritario il carbone che copre il 39% della produzione totale, seguito dal gas che è sceso al 26,4% (nel 2012 era al 40%) e dal nucleare, fermo al 19,5%. Il boom dell’eolico – con installazioni per un totale di 13 GW – è stato generato dal timore che venissero cancellati gli sgravi fiscali che sono poi stati prorogati dalla Casa Bianca. I forti investimenti nel settore hanno permesso agli States di superare la Cina, diventando il primo Paese al mondo per investimenti nell’economia verde.

Fonte: Eia

Premio Innovazione Amica dell’Ambiente 2013: aperto il bando di concorso per la XIII edizione

“Sostenibilità, intelligenza, bellezza” La via italiana all’economia verde è il tema del Premio all’Innovazione Amica dell’Ambiente 2013. Aperte le iscrizioni al XIII bando del primo e più partecipato premio alle eco-innovazioni “Made in Italy”375835

Il Premio all’Innovazione Amica dell’Ambiente chiama a raccolta per l’edizione 2013 aziende grandi e piccole, pubbliche amministrazioni, spin off universitari o istituti di ricerca, intraprendenti professionisti. Se avete una realizzazione -anche in versione dimostrativa- pronta allo sviluppo industriale o alla commercializzazione iscrivetevi online su www.premioinnovazione.legambiente.org/

Il Premio è l’occasione per presentare all’attenzione pubblica e al mercato le più interessanti innovazioni orientate alla sostenibilità: grazie ai vincitori, la XIII edizione del Premio sarà la prima anticipazione del 2014, anno europeo della Green Economy. Gli innovatori che il Premio vuole intercettare sono quelli che stanno costruendo la via italiana all’economia verde: quella che cura e mette a sistema l’immenso patrimonio italiano di bellezza, è quella che genera ecoquartieri in città e paesi intelligenti, bioeconomia, sistemi alimentari sani, improntati ad un’elevata qualità per tutti, in un’alleanza continua tra mondo rurale e urbano. Nelle politiche urbane, l’approccio intelligente -smart-, è in grado di coniugare sostenibilità ed efficienza, nuove tecnologie e partecipazione. La sostenibilità che il premio vuole evidenziare non si limita alla costruzione o alla ristrutturazione di case ecologiche, ma trasforma radicalmente la forma urbana, le infrastrutture, i servizi e gli stili di vita dei cittadini e fa prosperare ecoquartieri. Lo sviluppo di Smart Cities in Italia è l’opportunità per immaginare e delineare un modello urbano che assicuri elevati standard di qualità della vita per la crescita personale e sociale delle persone, delle comunità e delle imprese. Green economy è anche approccio intelligente alle politiche agricole, in grado di garantire cioè di assicurare elevata qualità degli alimenti, ridotti prelievi di risorse, tracciabilità delle filiere, diminuzione degli sprechi e accessibilità a cibi sani da parte di tutti. “L’anno scorso – spiega Andrea Poggio, vice direttore di Legambiente Onlus – è stata la volta del settore dell’edilizia. Abbiamo premiato –tra le altre- realtà come Laboratorio di Architetture Brennone, capaci di portare a consumo energetico “quasi zero” un edificio storico grazie a interventi conservativi, e quelli di Lelli e Magazé che dal un recupero di un’area industriale isolata hanno costruito un piccolo eco-villaggio. Abbiamo scoperto e premiato materiali innovativi come i sistemi isolanti della Manifatture Maiano ricavati dal recupero dei filati e stracci e start up di giovani ciclo/programmatori di Bikedistrict, piattaforma web partecipata ed evolutiva di proposta di percorsi urbani in bicicletta. Casi all’avanguardia, non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa. Sono questi gli innovatori che il premio cerca”. Il Premio Innovazione Amica dell’Ambiente è il riconoscimento nazionale rivolto all’innovazione di impresa in campo ambientale. Ideato da Legambiente, nel 2000 il Premio ha avuto negli anni il sostegno e la promozione di enti, associazioni e soggetti istituzionali di prestigio, uniti dalla comune volontà di diffondere soluzioni innovative di prodotto, di processo e di sistema che partano dalla ricerca di nuovi modelli in grado di preservare il capitale naturale, di cura per valorizzare i territori italiani, nel rispetto dell’ambiente e della legalità. La partecipazione al bando è gratuita aperta a imprese, amministrazioni pubbliche, istituti di ricerca, liberi professionisti ed associazioni di cittadini. I vincitori del premio hanno diritto per la durata di un anno all’uso del logo “Innovazione Amica dell’Ambiente”, la lampadina dalla foglia verde affiancata al simbolo del cigno di Legambiente, sulla comunicazione legata all’innovazione premiata.  Sul sito è possibile consultare le schede tecniche degli oltre 1800 progetti candidati nelle passate edizioni. Al bando si aderisce da  www.premioinnovazione.legambiente.orgLe iscrizioni sono aperte fino al 24 ottobre 2013.

Fonte: eco dalle città

Petizione on line per salvare l’IPLA: “E’ un Istituto strategico per lo sviluppo dell’economia verde in Piemonte”

E’ stata lanciata on line una petizione per salvare dalla chiusura l’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente con sede a Torino: “Non si tratta di salvare una sigla o una ragione sociale ma di individuare come valorizzare il lavoro ultratrentennale che l’Istituto ha svolto in ambito ambientale e sulla green economy”375819

“Noi sottoscritti rivolgiamo un pressante appello al Presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, affinché le competenze di elevato valore scientifico, intellettuale e operativo, residenti oggi in IPLA SpA vengano mantenute al servizio della Regione e dei suoi cittadini”. E’ questo l’appello dei promotori di una petizione lanciata attraverso il sito Change.org per salvare l’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente con sede a Torino. “Non si tratta di salvare una sigla o una ragione sociale ma di individuare come valorizzare il lavoro ultratrentennale che l’Istituto ha svolto in ambito ambientale e sulla green economy. Il futuro dell’economia regionale, nazionale ed europea da più parti è individuata nella cosiddetta economia verde. L’IPLA in questi anni ha garantito il rilevamento e la gestione di una mole enorme di dati su foreste, biodiversità, rifiuti, suoli, patologie ambientali (lotta alle zanzare) e tartufi e gestisce le banche dati naturalistica e pedologica della Regione. La pianificazione in ambito agrario ed ambientale utilizza giornalmente le elaborazioni e i progetti che IPLA ha nel tempo realizzato”.

“Disperdere questo patrimonio di conoscenze -è il monito dei firmatari al presidente della Regione Piemonte Roberto Cota- riteniamo sia una scelta poco lungimirante. Per questo Le chiediamo un intervento che possa costruire un percorso verso il futuro anche in considerazione del fatto che la recente sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la parte della legge sulla Spending Review che imponeva l’alienazione e/o la liquidazione delle società partecipate regionali. L’IPLA del futuro potrà e dovrà supportare concretamente la realizzazione di adeguati investimenti sull’ambiente e sulle produzioni sostenibili e i possibili ritorni in termini di sviluppo economico del territorio rurale”.

Fonte: eco dalle città

Politiche ambientali, i 130 grandi obiettivi europei

Sono 130 gli obiettivi ambientali per i paesi Ue nel quarantennio 2010-2050: presentato il rapporto “Verso un’economia verde in Europa”173810960-586x373

E’ stato pubblicato quest’oggi il rapporto “Verso un economia verde in Europa” della Commissione ambiente dell’Ue, che rappresenta una panoramica dettagliata degli obiettivi fondamentali in ​​materia di politica ambientale normativa dei paesi Ue per il periodo 2010-2050. La necessità di implementare ed allargare il settore della “green economy”, sia sotto il profilo ambientale che economico e finanziario, spinge quotidianamente la Commissione europea per l’Ambiente ad effettuare studi, a porsi obiettivi (anche ambiziosi) al fine di consegnare ai posteri un futuro che sia migliore del presente che viviamo. Ma il concetto di green-economy, e sopratutto il come arrivare a quest’idea di sviluppo, come nasce e come vive oggi, nelle politiche ambientali dei paesi Ue? Il rapporto cerca proprio di analizzare questo, concentrandosi in particolar modo su determinati settori ambientali ed energetici: energia, gas (GHG) a effetto serra e più in generale sostanze che riducono l’ozono, la qualità dell’aria e l’inquinamento atmosferico, le emissioni, del settore dei trasporti, di gas serra e di inquinanti atmosferici, rifiuti, acqua, consumo e produzione sostenibili (SCP), chimica, biodiversità e uso del territorio. Questioni antiche come la rivoluzione industriale ma mai analiticamente poste come problematica lungo la strada dello sviluppo degli ultimi 200 anni, un po’ per scarsa consapevolezza un po’ proprio per mentalità indotta proprio da queste mancanze. Basti pensare che in Italia fino a pochi anni fa, 20 o 30, l’inquinamento dell’aria, del suolo, delle acque non era visto minimamente come un problema da risolvere in sede penale, ma come un semplice malcostume, cosa questa che ha ritardato non di poco la creazione di un impianto legislativo ed amministrativo, portando al punto di non ritorno in cui ci troviamo oggi in Italia. Entro  la fine dell’anno l’Unione avrebbe snocciolato e certificato gli obiettivi energetici per i paesi membri della Comunità; una prima risposta sta proprio nella relazione pubblicata quest’oggi:

“Questa relazione mostra che, mentre siamo riusciti a concordare una vasta gamma di politiche per la protezione dell’ambiente, l’attuazione di queste politiche rimane una sfida. Stiamo facendo alcuni progressi verso l’obiettivo dell’UE di creare un’economia verde, ma abbiamo bisogno di mantenere la pressione alta fino al 2020 e oltre.”

ha spiegato Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’Agenzia europea per l’ambiente; la relazione individua nello specifico 63 obiettivi giuridicamente vincolanti e 68 non vincolanti: tra quelli vincolanti la quasi totalità, 62, scadono improrogabilmente al 2020.

Se la maggior parte di questi obiettivi può essere definita solo un passo intermedio verso una direzione già tracciata, l’abbattimento delle emissioni entro limiti giudicati sostenibili e l’autarchia energetica europea entro il 2050 basata sulla green-economy. Il modello economico verde è dunque, oggi ne abbiamo la certezza almeno su carta, il modello scelto dall’Ue per aumentare prosperità e benessere all’interno della stessa Unione utilizzando in modo responsabile e consapevole le risorse, mantenendo e migliorando la resilienza dei sistemi naturali che sostengono la società. La prima analisi intrapresa in tal senso dall’Unione Europea mostra chiaramente fino ad oggi ci sia occupati molto di rendere efficiente lo sfruttamento delle risorse e meno per la tutela ambientale. Una tendenza che deve andare, invece, di pari passo. Ridurre il consumo di energia oltre il 20% entro il 2020 è il primo obiettivo non vincolante dell’Ue, reso tale proprio dalla difficoltà riscontrata, dal 1990 ad oggi, a livello normativo nei singoli paesi di costituire un impianto normativo comune. Incrementare le “strategie di adattamento” (politiche, comunitarie ed ambientali) per incentivare così i paesi membri ad adottare linee strategiche globali (nel 2013 sono solo 16 i paesi europei che hanno raggiunto questo obiettivo, un “club” nel quale purtroppo l’Italia non figura). Perpetrare la rotta intrapresa dal 2010 relativamente alla riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera, incrementando gli sforzi in particolare nella lotta alle polveri sottili e le nanopolveri accelerando gli sforzi per una sensibile riduzione entro il 2020. Abbattere considerevolmente la produzione di rifiuti pro-capite (obiettivo non vincolante e, per questo motivo, fortemente a rischio per quanto riguarda l’Italia, abilissimo Gattopardo fermo al palo sul tema rifiuti negli ultimi 30 anni) e, sopratutto, portare vicino allo zero la quantità di rifiuti smaltiti in discarica: in questo senso, scrive nel rapporto l’Agenzia europea per l’Ambiente, già ridurre dai 179kg pro-capite l’anno ai 114kg pro-capite la produzione di rifiuti annuale entro il 2020 mostrerebbe sensibili miglioramenti sul tema discariche. Cambiamenti radicali che prevedono necessariamente anche radicali modifiche alla propria mentalità: un obiettivo, questo, vincolante a domani mattina.

Fonte: ecoblog

Inquinamento atmosferico, la Cina chiede aiuto all’Unione Europea

Tajani e Potocnik sull’SOS inquinamento in Cina: firmato un accordo per la collaborazione tra PMI. E a Pechino l’aria è sempre più irrespirabile160422250-586x388

Non solo Pechino, ma tutte le grandi città cinesi sono, in particolar modo negli ultimi mesi, letteralmente schiave di una vera e propria emergenza inquinamento: l’aria irrespirabile, la potabilità delle acque che in alcune zone della capitale è stata persino revocata (viene invece concessa a singhiozzo nel resto della megalopoli), si stanno lentamente trasformando in una vera e propria emergenza ambientale e sanitaria. La gravità della situazione, che ha “costretto” le autorità di Pechino ad ammettere, per la prima volta nella storia della Repubblica Popolare, l’esistenza di un problema di inquinamento (contrastato con divieti grotteschi, come per le fritture o i barbecue che affollano le strade), ha spinto il governo di Pechino a rivolgersi all’estero per ottenere aiuto su come fronteggiare l’emergenza. La Cina, stando e agli ultimi investimenti sulle fonti energetiche non fossili e alle necessità sanitarie in città, ha dunque lanciato un vero e proprio SOS internazionale, cui l’Unione Europea ha immediatamente risposto “presente”. Una vera e propria “missione per la crescita verde”, il primo evento di matchmaking tra Asia ed Europa (una sorta di speed-date tra imprese) dal valore di 233 miliardi di euro: 355 incontri, 60 aziende europee pronte a lanciarsi nel mercato cinese dell’ecosostenibilità ambientale.

“Il vicepremier Ma Kai è stato chiaro: vogliamo lavorare sull’economia verde. […] La Cina vuole cooperare con noi, lavorare con noi che abbiamo il know how”

ha spiegato Antonio Tajani (che è anche Commissario europeo all’industria) al via di questa due giorni pechinese interamente proiettata ad una “rivoluzione verde” in Cina: l’esperienza europea in tal senso, relativa sopratutto al know how ed alle tecnologie verdi delle PMI del Vecchio Continente, è dunque il trampolino di lancio ufficiale per la creazione di nuove partnership a cavallo tra i due continenti. Il governo di Pechino parrebbe avere tutta l’intenzione di rifondare, con una completa ristrutturazione, l’intero panorama impiantistico del paese, rivolgendosi in particolare proprio alle industrie ed ai poli industriali più inquinanti e passare dai circa 17mila veicoli elettrici circolanti nel 2012 ai 5 milioni entro il 2020. La praticità cinese ci ha insegnato a non sottovalutare mai la determinazione di questo popolo, che tuttavia in materia di green technologies parte decisamente arretrata rispetto all’Europa.

“Che si parli di ‘civilizzazione ecologica’, come dicono qui, oppure di ‘crescita verde’, come la chiamiamo nell’Ue, il succo è lo stesso. […] In Cina sta crescendo la preoccupazione per l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e per i rifiuti, ed è chiaro che la nuova leadership cinese sta ponendo questo tema fra le sue priorità. Questa missione prepara la strada per il prossimo summit Ue-Cina di novembre, che avrà come tema portante proprio l’economia verde”

ha detto il Commissario europeo all’ambiente Janez Potocnik. La concorrenza sul tema è spietata, in particolare da parte di Giappone e Stati Uniti, ma l’Europa può contare su un’industria del riciclo e della gestione di acqua e rifiuti assolutamente avanzata sul piano internazionale.

 

Fonte: ecoblog

I lavori verdi sono sicuri

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Premendo per ridurre le emissioni di carbonio, ridurre i rifiuti, aumentare l’efficienza energetica e la quota di energie rinnovabili, l’UE è pronta a una rapida crescita del numero di lavori “verdi” che contribuiscono alla protezione e al ripristino ambientale. Ma quali sono le conseguenze per la salute e la sicurezza dei lavoratori con le nuove tecnologie e procedure introdotte nell’ economia verde ?

Come afferma Christa Sedlatschek, direttore dell’EU-OSHA,“Gli scenari sviluppati attraverso il nostro progetto di previsione sono potenti strumenti che forniranno ai responsabili politici dell’UE degli spunti per plasmare l'”economia verde” di domani e garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori europei. Affinché siano davvero sostenibili e contribuiscano agli obiettivi della strategia Europa 2020 volti a raggiungere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, è opportuno assicurare che i lavoriverdi forniscano condizioni di lavoro sicure, sane e dignitose. I lavori verdi” devono rispettare i lavoratori e l’ambiente”.

 “Necessario garantire condizioni sicure e dignitose”. Il rapporto Green jobs and occupational safety and health: foresight on new and emerging risks associated with new technologies by 2020, cerca di individuare rischi nuovi o emergenti in questo settore, indicando alcuni scenari futuri. L’obiettivo, spiega il direttore dell’Eu-Osha, Christa Sedlatschek, è di “fornire agli attori politici dell’Ue un’idea di come plasmare l’economia verde del futuro, salvaguardando la salute e la sicurezza dei lavoratori europei. Per assicurare che siano realmente sostenibili e possano dare il loro contributo al raggiungimento degli obiettivi previsti dalla Strategia EU2020 per una crescita giusta, sostenibile e inclusiva, dobbiamo fare in modo che i green jobs possano garantire condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose. Oltre ad avere un impatto positivo sull’ambiente, quindi, dovranno averlo anche sui lavoratori”.

Fonte: portale consulenti

Nell’efficienza energetica un tesoro da 250 mld

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L’Unione europea potrebbe risparmiare centina di miliardi l’anno riducendo il consumo di energia primaria del 35% rispetto ai livelli del 2005

L’efficienza energetica può davvero costituire la leva economica per risollevare un’Europa in crisi. Lo dimostra, dati alla mano, l’ultimo rapporto Ecofys, commissionato alla società da Friends of the Earth Europe e Climate Action Network. Secondo la relazione, il Vecchio Continente, semplicemente raggiungendo l’obiettivo di risparmio energetico impostatosi per il 2020 riuscirebbe, per quella stessa data, a risparmiare ben 200 miliardi di euro: una cifra pari quasi al Prodotto interno lordo della Danimarca. E altri 250 miliardi potrebbero essere evitati dai costi energetici annuali fino al 2030 se si riducesse il consumo di energia del 35% rispetto ai livelli del 2005.

“Questi risultati dovrebbero servire come campanello d’allarme”, spiegano le associazioni ambientaliste avvertendo che l’obiettivo non vincolante del pacchetto “20-20-20”, in tema di efficienza energetica, rischia oggi di non essere raggiunto entro i tempi stabiliti senza un supporto forte e ragionato da parte della Commissione Europea. Come spiega Brook Riley, attivista di Amici della Terra Europa “Un’azione dura per l’efficienza energetica produrrebbe notevoli risparmi finanziari equivalenti al PIL annuale della Danimarca, ma i governi non riescono ad abbracciare il risparmio energetico, nonostante i vantaggi economici in bolletta, la possibilità di creare nuovi posti di lavoro. L’UE ha bisogno di mettere velocemente il risparmio energetico al vertice delle sue priorità, fissando obiettivi vincolanti per il 2020 e il 2030″.

Fonte: rinnovabili.it