Nasce una rete delle reti, ecosistema delle realtà del cambiamento italiane

Alcune realtà che si occupano da anni di fare rete sul territorio italiano hanno deciso di intraprendere un percorso condiviso. È nata così una rete delle reti: uno strumento al servizio del cambiamento verso un mondo sostenibile, equo, solidale e felice.Network optimization

Il 1 ottobre a Mira, in occasione dell’incontro nazionale dell’economia solidale, è stato dato annuncio ufficiale di un nuovo percorso condiviso. Alcune realtà che da anni si occupano in modo differente di fare rete sul territorio italiano (Associazione per la Decrescita, Economia del Bene Comune, Italia che Cambia, Movimento per la Decrescita Felice, Panta Rei, Rete italiana di Economia Solidale, Rete Italiana dei Villaggi Ecologici, Transition Italia) hanno deciso dopo alcuni incontri preliminari di intraprendere questo percorso.

Questo il comunicato ufficiale trasmesso in diretta streaming durante l’incontro:

“Muove i primi passi una rete delle reti che vuole essere uno strumento al servizio del cambiamento verso un mondo sostenibile, equo, solidale e felice.

Le seguenti associazioni/reti/movimenti che già si occupano di sostenibilità ambientale, economica e sociale:

 

– Associazione per la Decrescita

– Economia del Bene Comune

–  Italia che Cambia

– Movimento per la Decrescita Felice

– Panta Rei

– Rete italiana di Economia Solidale (RES Italia)

– Rete Italiana dei Villaggi Ecologici (RIVE)

– Transition Italia

 

Si sono riuniti su iniziativa di Italia che Cambia in data 1 Luglio 2017 a Panta Rei (Passignano sul Trasimeno). Dalla discussione, a partire da significative affinità, è emerso quanto sia oggi importante poter agire insieme per far fronte alla ATTUALE crisi sistemica e quindi essere capaci di rispondere in modo coordinato e unitario alla domanda di forte cambiamento che proviene dalla società. Abbiamo, di conseguenza, condiviso la necessità di avviare un percorso comune finalizzato alla creazione di un “ecosistema di soggetti” (in rete) che ci permetta, valorizzando le rispettive vocazioni e sensibilità, di creare sinergie, collaborazioni e poter così raggiungere insieme dei traguardi che sarebbero impensabili per le singole realtà.”

Terra Nuova è mediapartner della rete delle reti.

Italia che Cambia è orgogliosa di prendere parte a questo percorso collettivo e di mettersi a disposizione di ciò che ne emergerà.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/10/nasce-rete-delle-reti-ecosistema-realta-cambiamento/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

L’agricoltura in Calabria? Donna, biologica e solidale!

Cristiana, Marina e mamma Jolanda decidono di essere donne e imprenditrici in una regione difficile come la Calabria. Lo fanno puntando sulla naturalità dei prodotti, sull’economia solidale e locale, sulle relazioni umane. Oggi, un passo alla volta, attraverso la loro azienda stanno portando avanti un cambiamento economico e culturale.

Una tradizione che diventa innovazione, attingendo da quel passato che per troppo tempo l’agricoltura ha snobbato e sminuito. Per ragioni economiche, industriali, per costume, per pigrizia, per convenienza. Tre donne: mamma Iolanda e le due figlie Cristiana e Marina, una terra ereditata che pesa come un macigno perché figlia di un passaggio generazionale imprevisto e difficile da onorare. La voglia di “sporcarsi” le mani, fare agricoltura in Calabria, una regione difficile, a maggior ragione per chi vuole essere Donna ed Imprenditrice e vuole portare avanti un’attività sana, pulita, rispettosa del terreno, sostenibile, capace di creare un giusto reddito per chi ci lavora, di formare reti con altre attività virtuose del territorio, di divulgare il messaggio che oggi un’agricoltura sana e pulita non solo è possibile, ma doverosa.

Una scommessa persa in partenza? Nient’affatto! Siamo nella campagna di Rossano, in Calabria. Iolanda, Cristiana e Marina ci accolgono con affetto e calore, scopriamo sulla nostra pelle cosa significa davvero l’accoglienza in Calabria. L’azienda agricola Biosmurra produce dal 1987 clementine primizie su un’estensione di otto ettari, dei quali uno coltivato anche ad uliveto, ma anche limoni e altre varietà di frutta in piccole quantità. Negli occhi di Cristiana e Marina si legge tutto l’amore per la loro terra, mentre ci raccontano le tappe del loro arrivo sin qui. «Mio padre ha acquistato questo terreno nel 1987» ci racconta Cristiana «e subito ce ne siamo innamorate, abbiamo sentito un forte legame e dopo pochi anni ci siamo trasferite dal entro storico Rossano nella valle del Colagnati». La prematura scomparsa del padre mise Cristiana e Marina in una situazione difficilissima: quella di due ragazze che ereditano un’azienda agricola in un contesto culturale e sociale come quello calabrese. Al di là di tutti i luoghi comuni, chiunque avrebbe pensato di andarsene; a maggior ragione se l’obiettivo era quello di creare una realtà di agricoltura sostenibile in un contesto sociale e culturale che andava (e va tutt’oggi spesso) in tutt’altra direzione. Ma la tenacia e l’amore per la propria realtà, la voglia di combattere per cambiare le cose pur tra mille difficoltà, hanno avuto la meglio: oggi la Biosmurra da lavoro stagionale a sette persone e l’obiettivo è quello di incrementare gli investimenti in Calabria per ingrandire l’azienda.biosmurra3-1030x587

La prima vera svolta che ha portato la Biosmurra a diventare una vera e propria azienda agricola è arrivata nel 2011, in occasione di due diversi momenti di difficoltà, uno congiunturale dovuto al crollo del mercato ortofrutticolo del 2003 e uno aziendale dovuto alla perdita di quasi duecento quintali di prodotto dovuto al maltempo. Da allora la Biosmurra ha messo in atto la vendita del prodotto a un prezzo più che equo e allo stesso tempo lo ha differenziato in trasformati artigianali di primissima qualità, tra i quali spicca il loro Succo di Clementine.

«Noi a questo punto gestiamo tutte le fasi del processo, dalla produzione alla vendita e alla distribuzione» ci racconta Marina Smurra «oltre alla produzione abbiamo deciso di fare a meno di intermediari, di trovarci noi i nostri canali di distribuzione per sfuggire alle logiche commerciali in vigore dalle nostre parti che lasciavano all’agricoltore poco o nulla: dalla produzione fatta con i principi della rigenerazione organica, con un occhio particolare alla cura del terreno, fino alla vendita abbiamo costruito tutto da sole».

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Tutto questo è stato possibile soprattutto grazie agli incontri con le realtà dell’economia solidale: la Biosmurra, dopo essersi dotata di certificazione di qualità, ha intrapreso un percorso di decisa responsabilità sociale, aderendo alla rete nazionale dei GAS e alla RESSUD, oltre al felice incontro con il Consorzio delle Galline Felici, realtà che riunisce varie realtà agricole che si distinguono per l’elevata qualità dei prodotti commerciati e per l’equità e la correttezza nello stabilire il prezzo di vendita. «No, non facciamo solo agricoltura, è il nostro lavoro che ci porta reddito ma facciamo anche altro», ci spiega Cristiana. «Nell’inventarci come far andare avanti la nostra realtà abbiamo intercettato storie, persone con le quali abbiamo creato dei legami forti».

Qui non si parlava affatto di economia solidale, nemmeno di gruppi d’acquisto. Oggi cerchiamo sempre di organizzare eventi, in sinergia con le realtà del territorio, per diffondere anche a livello culturale il messaggio dirompente che proviene dai mondi che abbiamo conosciuto e con i quali siamo orgogliose di collaborare».  Tematiche prima inedite per la Calabria: «Si è rotto il torpore nel quale vivevamo e la cosa bella è che condividendo certi discorsi, pensieri, modi di essere è aumentato l’ottimismo. Io stessa, quando mi autodefinisco Gallina Felice qui a Rossano, lo faccio con il sorriso negli occhi», spiega Marina.biosmurra5-1030x686

Cristiana e Marina non hanno nessuna intenzione di fermarsi. Non lo fanno nemmeno nella vita quotidiana, sempre pronte a cercare il modo migliore per far star bene il prossimo: «Noi vogliamo far capire alle persone che lavorano con noi che è bello poter provare ad andare avanti insieme, che noi stiamo bene se riusciamo a stare tranquille con le persone con la quale collaboriamo», conclude Cristiana. «Nei primi anni di vita non è stato affatto facile: ci siamo dovute fare le ossa, abbiamo dovuto cambiare molti collaboratori perché eravamo ostiche, davamo fastidio. Ora riusciamo meglio a selezionare persone che sono naturalmente affini ai nostri discorsi, si è creata una rete di persone intorno a noi che condividono scelte e rischi della nostra avventura».

E uno dei messaggi più forti di questa esperienza, secondo Marina, è che «se esistono delle regole, tacite o meno, che a noi non piacciono o che ci impediscono di realizzare i nostri sogni, noi dobbiamo lottare per scardinarle e noi nel nostro piccolo ne siamo l’esempio. Mi sento di dare un consiglio alle giovani e ai giovani di oggi: non dobbiamo accettare per forza la realtà così com’è, dobbiamo partecipare di più e delegare di meno».

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2016/10/io-faccio-cosi-140-agricoltura-in-calabria/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=general

 

REES Marche: l’economia solidale dai Gruppi d’Acquisto alle grandi imprese

Era il 1994, esattamente vent’anni fa, quando nacque il primo GAS, Gruppo di Acquisto Solidale. Fu come la posa della prima pietra di un grande edificio a cui oggi stiamo sistemando le ultime tegole del tetto. È l’edificio dell’economia solidale. Secondo un’analisi di Coldiretti/Censis, i Gruppi d’Acquisto coinvolgono quasi tre milioni di italiani, per un giro d’affari di novanta milioni di euro. È lo sconfinato mondo dell’”altra” economia, uno specchio buono di quella produttivistica, consumistica e speculativa che per anni ha manipolato le nostre vite con le sue regole e le sue strutture. Un mondo ben organizzato, un’alternativa reale e strutturata. Dall’esperienza dei GAS infatti, derivano i DES, Distretti di Economia Solidale, piccole reti territoriali che uniscono al loro interno i protagonisti dei circuiti economici alternativi, dai produttori ai consumatori. Alla base di questa grande piramide, troviamo le RES, Reti di Economia Solidale, grandi contenitori di Gruppi e Distretti, operatori economici e fornitori di servizi, utenti finali e distributori. Intere filiere accomunate da un insieme di valori e obiettivi comuni. All’origine di queste esperienze infatti, risiede la volontà – o meglio, la consapevolezza della necessità – di cambiare le regole del gioco: basta con il mito della crescita infinita, basta con lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, basta con i modelli culturali incentrati sul consumo, basta con la mercificazione dei lavoratori. Etica, sostenibile e solidale, ecco come deve essere questa nuova economia.

Questa grande marea sta montando in maniera omogenea in tutta Italia, ma c’è una regione in cui la voglia di sperimentare nuove modalità e l’audacia di attuare soluzioni mai pensate prima sono particolarmente spiccate. Si tratta delle Marche. Lì, abbiamo incontrato i rappresentanti di REES Marche, la Rete di Economia Etica e Solidale regionale. La prima particolarità riguarda la direzione della rete, che non è affidata a un presidente, bensì a diversi co-presidenti. «Una realtà come la nostra non può parlare al singolare», ci spiegano. «Una voce sola che la rappresenta è limitativa, ma lo erano anche due, quindi abbiamo pensato a una serie di presidenze sovrapposte nel tempo: tre anni di mandato, di cui un anno e mezzo insieme ai co-presidenti uscenti e un anno e mezzo insieme ai co-presidenti entranti, per un totale di quattro co-presidenti per volta. La scelta che abbiamo fatto è rivoluzionaria, ma assolutamente calzante per la gestione di una struttura reticolare, che ha bisogno di sensibilità complementari. Ed è stata decisiva anche dal punto di vista strategico: se non avessimo fatto così probabilmente saremmo scomparsi». In questa direzione va anche la prassi di evitare la ricandidatura dei co-presidenti uscenti, non solo per favorire il ricambio, ma anche per far sì che le lotte collettive non si personifichino, identificandosi con un solo volto e un solo nome.screenshot-rees

Il percorso di creazione e di crescita di REES Marche è stato anomalo rispetto alle altre esperienze analoghe in giro per l’Italia, poiché è avvenuto al contrario: non è nata una rete dall’unione dei distretti, dei GAS e delle piccole realtà di altra economia, ma si è deciso di costituire per prima cosa la REES, per poi radunare sotto il suo cappello tutti i rappresentanti del tessuto economico del territorio. Adesso la rete regionale sta lavorando al consolidamento delle realtà di zona, che si stanno auto organizzando. Di fatto, è divenuta un coordinamento di nodi autonomi. Formalmente, la REES nasce dopo due anni di lavoro sul campo, iniziato nel 2004; nel 2006 è stata costituita l’associazione di promozione sociale “Rete di economia solidale”.  Ma ci sono altri ambiti in cui le Marche si distinguono da molte realtà di economia solidale italiane. Uno di questi è il modo di portare avanti le relazioni con gli altri attori economici e politici del territorio, anche quelli appartenenti alla sfera dell’economia convenzionale. «Quando, in tempi non sospetti, abbiamo cominciato a parlare di nuovi valori da attribuire all’economia – riduzione dei consumi, sostenibilità ambientale, riciclo delle materie prime e così via –, eravamo dei precursori. Oggi i fatti ci stanno dando ragione: i vecchi modelli entrano in crisi, mentre quelli da noi proposti si affermano con decisione. Questo però ci carica di una grande responsabilità: non tenere per noi le idee e le azioni grazie alle quali abbiamo costruito questi percorsi innovativi, ma condividerle». Per farci capire meglio, ci hanno raccontato un fatto realmente avvenuto: «Tempo fa abbiamo ricevuto un invito da parte di Confindustria: volevano incontrarci per capire da noi in che modo riuscivamo a tenere così uniti i territori, poiché la loro presa a livello locale è sempre stata debole e poco radicata, mentre le nostre imprese sono molto legate alla rete. In un’altra epoca, non solo Confindustria non si sarebbe rivolta a noi, ma noi stessi avremmo rifiutato categoricamente l’invito, considerando quella sigla espressione di un mondo ostile. Un nemico, insomma. Ma oggi, a nostro avviso, bisogna sforzarsi di superare queste divisioni. La vera sfida semmai è trovare il modo di portare avanti con coerenza percorsi condivisi con realtà imprenditoriali o amministrative che, in altri ambiti, agiscono in antitesi con i nostri valori».724_a2768a

Ma c’è tanto lavoro da fare anche all’interno della rete, per capire quali sono le prospettive di crescita: «Un passo necessario da compiere consiste nel riconoscere le professionalità, le energie e il tempo che i volontari mettono a disposizione della REES», sottolineano. «Ciascuno di noi ha il proprio impiego, ma dedichiamo tutti diverse ore al giorno all’attività associativa. Non ci piace l’idea che le imprese della rete paghino semplicemente i volontari. Ci aspettiamo piuttosto compartecipazione a un percorso che è diventato di tutti e quindi tutti devono contribuire con spazi, strutture, forza lavoro. Se ci fossero delle risorse umane con cui condividere parte delle funzioni, l’impegno diminuirebbe e potrebbe rientrare nel volontariato, diversamente no. Purtroppo c’è ancora un profondo vuoto da riempire: bisogna che chi beneficia di questi servizi ne percepisca il valore reale. Bisogna far capire alle persone che questi sono percorsi inevitabili che vanno riconosciuti».  Concludiamo la discussione ricordando le novità più recenti e forse anche più importanti per l’attività dei prossimi anni di REES Marche. «In occasione dell’assemblea di giugno 2014 abbiamo votato una delibera che prevede una rinuncia all’attività identitaria della rete; d’ora in poi, le nostre azioni saranno mirate a favorire realtà che vogliamo supportare e aiutare a crescere, a diffondersi e a conoscere altre forme di economia. Vogliamo diventare noi stessi divulgatori di buone pratiche e aspetti valoriali, perché crediamo che ciascuna esperienza tocchi una sensibilità diversa e abbia quindi la capacità di far suonare corde fuori dalla portata delle organizzazioni di economia solidale». In pratica, REES Marche ha rinunciato a una parte della propria crescita per contribuire alla buona riuscita di un percorso collettivo. Sono già attive collaborazioni con Slow Food, rappresentanze per la difesa dei beni comuni – nelle Marche sono 220 i comitati censiti –, tre circoli della Decrescita Felice, alcune Città in Transizione, reti di Bioregionalismo e ONG che si occupano di cooperazione internazionale. Questa linea è stata deliberata il 2 giugno e lo stesso tema è emerso all’incontro nazionale di economia solidale tenutosi a Collecchio circa tre settimane dopo, il 24 giugno. Ma mentre le altre reti nazionali hanno per ora solo dichiarato di voler attuare questa politica, la REES la sta già mettendo in pratica. È la base programmatica dei prossimi tre anni. Ancora una volta in anticipo su tutti.

 

Il sito di REES Marche

Fonte:  italiachecambia.org

Coltivare l’economia solidale. La Terra e il cielo, agricoltura biologica dal 1980

Senza esperienza e senza soldi ma motivate dalla volontà di stare in campagna e vivere dei prodotti della terra, nel 1980 un gruppo di persone ha dato vita a quella che nel tempo è divenuta una delle più importanti cooperative agricole biologiche italiane, in una regione contadina per eccellenza: le Marche.

In un periodo in cui imperava l’agricoltura convenzionale ed il biologico rappresentava un settore di nicchia, “La Terra e il cielo” è nata grazie alla coraggiosa iniziativa dei soci fondatori che hanno deciso di adottare un nuovo approccio più sostenibile alla coltivazione, riscoprendo, al contempo, un rapporto più equilibrato con la natura e con se stessi.

Il marchio della cooperativa, l’uomo vitruviano con i piedi piantati a terra e la testa in cielo, rispecchia proprio la filosofia che anima i fondatori ed i lavoratori de “La Terra e il cielo”: l’importanza dell’equilibrio Uomo-Natura, non soltanto per la salvaguardia dell’ambiente ma anche, come si legge nel sito della cooperativa, “perché l’uomo riacquisti la dignità della propria essenza, possibile solo nel pieno rispetto del Mondo, sia esso un campo da coltivare, una pianta da crescere, un animale da allevare o l’essere umano che incontriamo durante il nostro cammino”.8528872425_b194375c1e_b

La sede operativa de “La Terra e il cielo” sorge ai piedi del castello di Piticchio, frazione di Arcevia, nelle campagne della provincia di Ancona, a metà strada tra l’Appennino marchigiano ed il mare Adriatico. In linea con i principi di sostenibilità ed ecologia che guidano la cooperativa, la struttura (uffici e magazzino) è stata costruita seguendo i principi della bioarchitettura e del feng-shui al fine di garantire un ambiente salutare a chi vi lavora ed al contempo una condizione di salubrità ai prodotti. “Da subito – racconta il presidente Bruno Sebastianelli, che è stato anche tra i soci fondatori della cooperativa – anche se erano concetti praticamente sconosciuti in Italia, abbiamo deciso di coltivare biologico e biodinamico, e ci siamo concentrati sulla produzione di cereali”. La riscoperta ed il rilancio di antiche varietà di cereali e legumi rappresenta infatti da sempre uno dei punti cardine dell’attività della cooperativa che, quindi, si è specializzata nel mercato della pasta biologica con l’intento di “promuovere la cultura della salute e del rispetto dell’ambiente attraverso la qualità, la tracciabilità e la tipicità dei prodotti alimentari, e quindi, delle metodologie produttive”. Nell’ottica di coltivazioni e quindi alimentazione il più possibile diversificata, nel tempo si è allargato il ventaglio di prodotti, tutti caratterizzati da una tracciabilità, quasi completamente locale e regionale.8529983000_5070e99024_b

Oggi la cooperativa rappresenta circa 110 aziende agricole biologiche e movimenta 15.000 quintali di cereali all’anno. “La Terra e il cielo” lavora e commercializza esclusivamente materia prima biologica italiana, in prevalenza marchigiana, proveniente dai produttori agricoli soci, ai quali è garantito un prezzo equo. La tutela della piccole aziende e l’impegno per migliorare le condizioni degli agricoltori costituiscono infatti i pilastri della cooperativa, che collabora anche con i Gas. Proprio da questa collaborazione è nata l’idea del prezzo giusto e anche quella del prezzo trasparente. “Adesso Pasta” è un importante patto sottoscritto dalla nostra cooperativa con i consumatori organizzati in Gruppi di Acquisto Solidale (leggi box a destra), nella linea dei principi dell’Economia solidale. Oltre che di un patto di fornitura dei prodotti della cooperativa ad un prezzo equo per il produttore e per il consumatore, si tratta anche di un progetto che è volto a coinvolgere i GAS italiani in una filosofia di piena trasparenza e conoscenza dei processi produttivi e di formazione dei prezzi. “Acquistando i nostri prodotti – si legge sul sito della cooperativa – non solo si difende l’agricoltura biologica italiana dei piccoli produttori che tutelano l’ambiente e la biodiversità ma si contribuisce alla affermazione di un modello economico e sociale più equo, che chiamiamo ‘economia solidale‘ che si sta sviluppando dal basso. Questo nuovo, urgente approccio va contro una certa globalizzazione finanziaria che sta sostanzialmente minando alla base l’economia locale a vantaggio soltanto di progetti speculativi di imprenditori singoli o della grande finanza internazionale”.8529983246_ea5c9970c8_b

Bruno Sebastianelli, presidente e tra i soci fondatori de La Terra e il cielo

Peraltro, come molte realtà legate all’economia solidale, “La Terra e il cielo” non ha avvertito la crisi: “nel 2012 – afferma Bruno Sebastianelli – il nostro fatturato è aumentato del 10%”. Negli anni “La Terra e il cielo” ha interrotto i rapporti con le banche tradizionali ed ora si rivolge solo a Banca Etica. In trent’anni la cooperativa è cresciuta sino a diventare una solida realtà italiana del biologico, preservando nel tempo i valori della solidarietà, dell’equità e del rispetto della natura. Sono stati tra i primi ad ottenere la certificazione bio, di cui oggi però il presidente della cooperativa mette in dubbio il valore effettivo: “quando l’abbiamo ottenuta eravamo orgogliosi. Adesso, invece, pensiamo che sia più che altro un ente burocratico. I controlli, infatti, sono pochi. La vera garanzia, per i cittadini, potrebbe venire dalla conoscenza diretta dei produttori. Un motivo in più per incentivare i consumi locali”.

Alessandra Profilio

Il sito de La Terra e il cielo 

Fonte: italiachecambia.org

Economia solidale, il grande successo di “IoSbarco!”

“È in atto una vera e propria rivoluzione di senso: bisogna dare nuovi significati all’atto dell’acquisto e del produrre e al bene prodotto”. È stato un successo “IoSbarco!”, il tredicesimo incontro nazionale dell’economia solidale organizzato da RES Puglia e tenutosi a Monopoli dal 28 al 30 giugno.io_sbarco3

IoSbarco!, tredicesimo incontro nazionale dell’economia solidale, è stato un successo di idee, contenuti, riflessioni e numeri. Dal 28 al 30 giugno nel centro storico di Monopoli, in provincia di Bari, si sono alternati convegni, incontri, officine solidali, mercato, musica, giochi. Organizzato da RES Puglia – Rete di Economia Solidale della Puglia in collaborazione con Tavolo Nazionale dell’Economia Solidale, RESSUD – Rete di economie solidali del Sud e Rete Nazionale dei GAS e grazie alla preziosa collaborazione di un gruppo di cittadini e cittadine volontari di Monopoli, l’appuntamento ha coinvolto centinaia di “attivi” dei Gruppi di Acquisto Solidali (GAS) e dei Distretti e Reti di Economia Solidale (DES e RES), e numerose imprese solidali provenienti da tutta Italia. La cittadina pugliese è stata invasa dai delegati ‘sbarcati’ con le famiglie, scegliendo in molti casi di prolungare il soggiorno sulle coste baresi. Un incontro destinato soprattutto ad un pubblico specifico e di “addetti ai lavori” che però ha coinvolto numerosi curiosi provenienti da tutta la Puglia. Tre giorni intensi di discussione e momenti di convivialità e condivisione. Oltre 350 sono stati gli iscritti che hanno preso parte alle Officine Solidali e ai gruppi di ambito che hanno elaborato proposte e contenuti confluiti nell’assemblea plenaria conclusiva. Circa 40 gli espositori tra food e no-food che hanno partecipato ala Fiera degli attori solidali che nelle serate di venerdì e sabato ha animato (sfuggendo alla pioggia) il lungomare di Monopoli sino al Castello Carlo V dove si sono esibiti anche gruppi musicali e che ha ospitato anche attività dedicate ai più piccoli. Ottimo riscontro anche per le “pedalate solidali” che hanno dato la possibilità a tutti di prendere in prestito una bici per girare tra le vie di Monopoli e apprezzare anche la bellezza del centro storico e delle spiagge.io_sbarco_2

Grazie al lavoro dei “facilitatori” le discussioni nelle Officine Solidali sono state molto proficue. A partire dai casi e dalle esperienze concrete, si è affrontata un’analisi delle filiere ri-costruite (pane, pasta, tessile, calzature, ecc.), dei problemi e delle relative soluzioni collettive. Nei cinque gruppi di ambito (produzione cibo; produzione no-food; servizi; distribuzione; reti territoriali e rapporti istituzionali), che hanno coinvolto molti produttori (in forte crescita rispetto alle precedenti edizioni) e fornitori di servizi, si è lavorato per arrivare alla plenaria finale, che ha fatto sintesi di obiettivi, di attività da realizzare ma soprattutto del ruolo politico, di creazione di senso e di diritto di parola che il movimento italiano dell’Eco-sol può avere anche su temi che vanno oltre il mondo del consumo critico, verso la presa in carico della costruzione di futuro sostenibile per i propri territori, insieme con tutti gli Attori che si pongono lo stesso obiettivo. In attesa dei documenti finali e della relazione complessiva dei tre giorni di Monopoli (che saranno pubblicate sul sito  di RES Puglia) questi sono alcuni punti sintetici emersi dal lavoro delle officine e dei gruppi. L’assemblea dell’EcoSol ha dimostrato di crescere e maturare ponendo nuove domande e prendendosi carico del proprio ruolo come soggetto politico, che agisce su più livelli (territoriale, regionale, nazionale), consapevole che la propria esperienza propone un’economia di transizione verso scenari diversi di trasformazione sociale. È in atto una vera e propria rivoluzione di senso: bisogna dare nuovi significati all’atto dell’acquisto e del produrre e al bene prodotto, che siano cibo, scarpe, vestiti, o servizi, e nuovi valori ai beni prodotti, superando l’analisi puramente economica, ma costruendo strumenti ed indicatori che introducano i temi cari al movimento ecosol (relazione, tempo, economia territoriale, etc.). Inoltre è necessario ripensare la proprietà privata quando questa perde la sua funzione sociale (un prossimo incontro su questo tema è previsto a Pisa il 20/22 settembre) e adottare l’ottica della corresponsabilità tra produttori e consumatori (co-produzione) nell’atto del produrre, soprattutto per il mondo no-food; da Monopoli è stato avviato un tavolo di lavoro sul tema della distribuzione, con la finalità di promuovere all’interno dei DES un soggetto specifico sulla distribuzione, presa in carico a livello nazionale e locale della costituzione di “fondi di solidarietà”; è emersa forte la necessità di creare nuove alleanze con altri movimenti (Beni Comuni, Terzo settore, decrescita) e di affrontare nuovi temi con la realizzazione di focus sulla distribuzione, sui prodotti no-food, sui lavoratori migranti. Infine diventa fondamentale per questo movimento la presa di parola pubblica verso alcune questioni rilevanti come l’Ilva di Taranto.io__sbarco3

L’appuntamento è stato organizzato da RES Puglia –Rete di Economia Solidale della Puglia in collaborazione con Tavolo Nazionale dell’Economia Solidale, RESSUD – Rete di economie solidali del Sud e Rete Nazionale dei GAS con il sostegno di Regione Puglia (Assessorato alle Infrastrutture Strategiche e Mobilità e Assessorato alle Risorse Agroalimentari), Banca Popolare Etica, Fq Sud (Formazione Quadri Terzo Settore), Centro Servizi Volontariato Salento, Consorzio di Gestione di Torre Guaceto, Caes Italia (Consorzio Assicurativo Etico Solidale), Comune di Monopoli. La Rete per l’Economia Solidale della Puglia è un luogo di incontro, confronto e azione cui partecipano GAS, produttori biologici e sociali, reti di produttori, associazioni di promozione culturale e di turismo responsabile, singoli cittadini allo scopo di supportare lo sviluppo di una economia diversa conforme alle aspettative  ed alle progettualità espresse dal Tavolo RES. RES Puglia fa parte di RES Sud – Rete delle Economie Solidali del Sud (Puglia, Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia, Abruzzo) ed è in collegamento con il Tavolo RES, organo nazionale di coordinamento dell’economia solidale. RES Puglia condivide e si riconosce nei valori delle 10 Colonne dell’Economia Solidale – documento elaborato a L’Aquila nel giugno 2011 in occasione del Convegno nazionale GAS/DES – ed ha l’obiettivo di ampliare la rete di condivisione delle esperienze dell’Economia Solidale della Puglia. Attualmente si riconoscono in Res Puglia: gLas, gruppo Leccese d’acquisto solidale co Manifatture Knos; GAS “Consumo critico” (Lecce); GAS Solidaria (Triggiano); GAS Molfetta; GAS “Io Mangio Bio” (Bari); GAS “Gramigna” (Brindisi/Mesagne); Gas “Arci.Pelago” (Valenzano – Ba); GAS Bitonto; Solidaria Direzione Sud (Lecce); Laboratorio BETH (Lecce); Campagna dePILiamoci.it per gli stili di vita felicemente decrescenti (Casamassima – BA); AGRIcultura – progetto META: Mercato della Terra e delle Arti (Sammichele – Bari); Movimento Terre; Fattoria della Mandorla (Toritto).

Fonte: RES Puglia

JAK Italia, la banca che nasce dalle persone

Dopo tanti mesi di lavoro entra nel vivo il progetto Jak Italia, primo progetto italiano di finanza libera da interessi nato con l’obiettivo di promuovere il risparmio e la creazione di una economia solidale. Per un aggiornamento sullo stato di avanzamento del progetto abbiamo intervistato Enrico Longo, presidente del comitato promotore della Banca Popolare Jak Italia.finanza_etica32

Il progetto della Jak Bank Italia entra nel vivo dopo tanti mesi di lavoro. Abbiamo così contattato ancora una volta Enrico Longo, presidente del comitato promotore della Banca Popolare Jak Italia, per un aggiornamento sul suo stato di avanzamento, ma anche per porgergli una serie di domande pervenuteci dai lettori attraverso il nostro giornale.Ci eravamo lasciati in gennaio, con il progetto JAK in pieno fermento e in una fase operativa, cosa è successo in questi ultimi mesi?

In questi ultimi mesi abbiamo revisionato il nostro business plan, in virtù della modificata normativa di Banca d’Italia, e, sulla base del documento aggiornato, è stato concluso il lungo lavoro di asseverazione da parte del revisore legale dei conti. Ora abbiamo, dunque, completato la maggior parte della documentazione da depositare presso Consob per richiedere l’autorizzazione a raccogliere il capitale della futura Banca, e la nostra avventura entra nel vivo. Inoltre abbiamo continuato ad organizzare incontri di diffusione in tutta Italia, abbiamo organizzato, e fatto, la terza Jak School, nel mese di febbraio (e la quarta è stata programmata per il mese di luglio). Abbiamo continuato a costruire la nostra rete con molte realtà in tutto il Paese e, da poche settimane, lanciato, come associazione culturale, la campagna di donazioni al fine di coprire tutte le spese relative alla chiusura di questo step e all’avvio di quelle seguenti (tutti i dettagli sul sito di Jak Italia)euro25

Molti lettori si sono mostrati interessati e stimolati dall’idea di business sociale lanciato da JAK bank Italia, ma in tanti richiedono maggiori dettagli, delucidazioni e approfondimenti. Il Cambiamento ha raccolto le principali richieste provenienti dai lettori. Vengono chiesti maggiori chiarimenti sull’affidabilità e la sicurezza che il modello JAK assicurerebbe e sulle garanzie che riuscirebbe a fornire ai soci membri che decidono di partecipare a tale sistema. Se si tratta di un sistema amministrativo che non mira a creare plusvalore, come vengono coperte le spese ed i costi operativi? Quali fondi verrebbero utilizzati per pagare tasse di esercizio e costi di infrastruttura?

Innanzitutto riteniamo necessario precisare che le banche tradizionali, con il margine d’interesse (ossia con i ricavi derivanti dalla differenza tra tassi attivi ricevuti dai soggetti finanziati e tassi passivi pagati ai correntisti e clienti) non sopravvivono semplicemente, ma mirano alla massimizzazione del profitto; Jak Italia, nel rispetto del modello di riferimento svedese, si configurerà come una banca che avrà l’obiettivo di coprire le spese ed ottenere un utile minimo, atto a pagare gli investimenti necessari. Jak Italia, inoltre, non dovrà distribuire dividendi (o altre forme di remunerazione) agli azionisti. In secondo luogo, oltre ad avere necessità di entrate inferiori alle banche tradizionali, avrà anche una struttura di costi più snella, avrà minori costi, poiché:

– i costi del personale e per gli amministratori saranno contenuti ai limiti di legge: il rapporto tra lo stipendio più basso e quello più alto non supererà il rapporto di 1 a 3;

– Jak Italia non avrà filiali, ma un ufficio operativo, e opererà tramite sistemi di home e phone banking. Ciò consentirà notevoli riduzioni di costi di struttura. Inoltre, i volontari dell’associazione culturale garantiranno la relazione diretta con tutti i futuri soci della banca;

– un’operatività semplificata (solamente conti correnti e depositi, e nessun tipo di strumento finanziario) ridurrà le esigenze di personale e i costi informatici (tra le voci di costo più dispendiose per una banca);

– il ruolo dell’associazione culturale avrà un impatto sui costi, soprattutto per le spese di pubblicità, promozione e rappresentanza, di norma molto elevati per le banche;

In sintesi, i ricavi deriveranno dalle quote annuali di gestione dei soci (stimate in 30 € “all inclusive”), dal costo del servizio per chi richiederà un finanziamento (nel nostro business plan stimato nella misura del 2,5% della somma finanziata) che servirà a pagare il personale impegnato nell’evasione delle pratiche e nella gestione delle stesse; infine, un’ultima quota di ricavi deriverà della remunerazione dell’investimento del capitale sociale della futura Banca. In base alle analisi del nostro business plan, che, come detto, è stato asseverato dal revisore legale dei conti, tali ricavi saranno sufficienti a coprire i costi di gestione e sviluppo, garantendo un utile minimo.jak_italia8

Nel modello si parla anche di commissione per costi operativi/amministrativi, parametri correttivi sui punti risparmio, post-risparmio, come si può esprimere tutto ciò in maniera semplice per tutti, concisa e rassicurante?

Come reagirebbe una persona se, dopo aver mangiato al ristorante, chiedendo il conto gli si dicesse che non deve pagare nulla, che è gratis. Come reagirebbe una persona se un concessionario volesse regalargli un’automobile? Probabilmente penserebbe a qualche truffa o, in ogni caso, a qualcosa di non sostenibile. Jak Italia potrà mantenere la propria struttura perché tutti i soci contribuiranno pagando esclusivamente il costo del servizio, che sia il servizio di conto corrente, o di finanziamento, perché delle persone lavoreranno per questo. Jak rifiuta il concetto degli interessi, ma non offrirà un servizio “gratuito”. Per quanto riguarda i Punti risparmio: il sistema dovrà auto-sostenersi e mantenersi in equilibrio; in periodi di forti richieste di prestiti e ridotte somme in deposito sui conti correnti, la scelta sarà tra ridurre il coefficiente per i punti risparmio accumulati (invece di 1 punto per 1 euro, 0,9 o 0,8 per un euro) oppure concedere meno finanziamenti. Anche in questo caso, tale scelta sarà appannaggio dell’assemblea dei soci. Infine, in merito al Post-Risparmio, dal momento in cui Jak Italia non si finanzierà presso altre banche, essi serviranno proprio per mantenere la liquidità e poter concedere sempre nuovi prestiti. Ovviamente il modello Jak prevede il caso in cui la parte di post-risparmio, per il socio finanziato, sia troppo elevata (perché il socio ha depositato poco, o per poco tempo, in base all’importo del finanziamento richiesto). In questi casi Jak Italia metterà in moto diversi strumenti di supporto o tutela:

– innanzitutto, per chiedere un finanziamento sarà necessario avere pre-risparmiato per almeno 3 mesi; ciò consentirà un accumulo minimo di punti. Inoltre fa comprendere che Jak è un modello in cui dovrà vigere la reciprocità affinché possa mantenersi nel tempo;

– in caso di necessità, sarà buona prassi (ed è così in Svezia) chiedere ad altri soci di donare una parte di punti risparmio: tale meccanismo è alla base dei principi di mutualità, solidarietà e rete tra persone e imprese proprio di Jak;

– ancora, altri soci potranno accumulare il post-risparmio al posto del socio finanziato: per Jak non è importante che sia il socio finanziato a depositare il post risparmio, ma che venga versato al fine di mantenere l’equilibrio nella liquidità;

– infine, il post risparmio potrà essere posticipato dopo la chiusura del prestito, previa approvazione dall’assemblea (un eccessivo ricorso a tale strumento sbilancerebbe la liquidità).

Come farebbe il sistema JAK a fornire fondi ad un giovane ad inizio carriera/professione o ad imprese che non hanno fondi e che per l’appunto li richiedono per poter iniziare un’attività? Come avverrebbe la gestione di un tale prestito in cui i punti risparmio sono a 0 e quelli post-risparmio sarebbero pari al totale importo del prestito?

Oltre a quanto detto sopra, possiamo aggiungere che verranno comunque valutati i progetti o le start-up da finanziare, ma, soprattutto, verrà valutata la “rete” che il socio avrà costruito con altri imprenditori o soci. Jak, prima che essere un istituto di credito, è un progetto che punta a realizzare la mutualità e la solidarietà economica: in un momento di forte destrutturazione, è fondamentale puntare sulle relazioni e sulle reti tra persone e imprese.jak_italia_9

La JAK Bank punta sulla fiducia, ma come si farebbe di fronte al caso in cui, malgrado tutta la buona volontà, una persona che ha ottenuto un prestito non sia in grado di coprire il debito? Che succede se un socio suo malgrado fallisce o, in caso di dolo, se dei soci disonesti causano un buco in bilancio? Non ci sono interessi o assicurazioni che pagano per coprire le perdite e quindi le perdite sono condivise?

Anche in questo caso è doveroso fare una premessa: Jak Italia, prima di applicare sistemi di gestione del rischio di credito, costruirà un apparato di misure “ex ante” e di supporto verso i soci. Partiamo dalle misure di tutela “ex ante”:

Innanzitutto, per poter accedere ai finanziamenti sarà necessario essere soci ed avere somme in deposito;

tutti i soci che avranno necessità di un finanziamento saranno spinti ad accumulare punti risparmio;

sarà prevista la copertura dell’equity share, ossia la cauzione che i soci finanziati verseranno e che verrà restituita al termine del finanziamento salvo buon fine;

inoltre, e ciò è di fondamentale importanza, dal momento che Jak Italia non ha obiettivi di profitto, e non “guadagna” sui finanziamenti”, non sarà interessata a concedere ai soci finanziamenti di importi maggiori di quanto il socio non sia effettivamente in grado di restituire;

Detto ciò, ed in aggiunta, Jak Italia concederà finanziamenti di piccole entità, e frazionati tra i soci, diminuendo così il rischio di credito. In sintesi: misure di tutela in ingresso, concessione di finanziamenti sostenibili e di piccole entità (in base ai valori elaborati nel business plan, in media pari a 15.000 € per le persone fisiche), attenta valutazione dei progetti da finanziare e forte fidelizzazione dei soci e la creazione di reti di supporto saranno alla base di una importante diminuzione del rischio di credito.

Ovviamente, si daranno i casi d’insolvenza, sia in buona fede, che in mala fede. Nel primo caso, Jak Italia, come già detto, opererà con dilazioni, revisione dei piani di finanziamento, richiesta di supporto ad altri soci in termini di “punti risparmio” e, infine, verranno utilizzate le garanzie previste in partenza che si configureranno (almeno in base alle ipotesi del business plan) come garanzie di altri soci co-obbligati. Nel secondo caso, è opportuno precisare che, sempre nel business plan, è stata prevista una quota di costi derivanti da perdite su crediti, adeguatamente coperta dai ricavi, senza rischi o rivalse sui soci.

Sarebbe interessante se si riuscisse a fare un’animazione chiara e coincisa spiegando in pochi minuti oltre al principio “interest free” già illustrato in maniera soft nel video svedese anche il funzionamento di tutta la struttura, avete previsto qualcosa del genere?

Assolutamente sì, ma è un lavoro complesso, e se qualcuno dei lettori volesse darci una mano con le proprie competenze “tecniche” sarebbe il benvenuto. In realtà, sul nostro sito web, in home page, è presente un video del reporter e giornalista Giorgio Simonetti sul funzionamento del modello Jak svedese, e Jak Italia ricalcherà la struttura e il meccanismo svedesi. In ogni caso, è sicuramente una delle molte cose in cantiere.

Informiamo e segnaliamo ai lettori le prossime iniziative ed i prossimi eventi della Jak Bank Italia:

– JAK day a Camporosso (IM) 9 giugno 2013;

– JAK Italia alla tavola rotonda della Deutsche Welle 18 giugno 2013;

– JAK school c/o Parco della Energia Rinnovabile di Terni 12-14 luglio 2013;

– JAK con in Gruppo di Acquisto Solidale al Naturale c/o Cascine Orsine di Bereguardo (PV) 6 ottobre 2013.

Fonte: il cambiamento

La Banca la Moneta e l'usura

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