È rivolto a tutti i piccoli negozi e alle botteghe d’Italia che stanno chiudendo i battenti il nuovo progetto promosso da Smart Cities Italy: si tratta di una piattaforma online pensata per offrire un aiuto ai commercianti utilizzando la vendita a distanza per contrastare questi mesi di emergenza. Il suo scopo è rafforzare le realtà locali mettendo in rete i piccoli produttori e stimolando un nuovo modo di fare economia.
«In questo periodo di difficoltà per la situazione causata dal Coronavirus, in che modo possono essere aiutate le persone e le attività commerciali?» Questa è la domanda che si è posta l’associazione con sede in Piemonte “Smart Cities Italy”, operatore abilitante del modello di sviluppo di Alfassa, che da anni opera sui territori promuovendo l’innovazione tecnologica e comportamenti eco-responsabili per creare una nuova consapevolezza utile a migliorare i nostri stili di vita. È una domanda che trova presto risposta nella situazione emergenziale che stiamo vivendo in queste settimane e allo stesso tempo fondamentale per individuare delle soluzioni concrete che ripensino nuovi modelli economici e alternativi di cui abbiamo bisogno ora più che mai.
L’associazione è promotrice del progetto “Come aprire il tuo negozio online”, una piattaforma di e-commerce con la quale intende sostenere le piccole e medie attività comerciali come negozi e botteghe diffuse sul territorio italiano attraverso l’utilizzo di una app pensata per facilitare gli ordini e le consegne a domicilio. Si tratta di un servizio pensato per supportare tutte quelle realtà che hanno dovuto sospendere la propria attività e che, in questo modo, hanno la possibilità di vendere i propri prodotti, trovando un’occasione per reinventarsi e… ripartire. L’app è già operativa e, considerata la situazione di emergenza, ne viene concesso l’uso gratuito per la durata di tre mesi. Sono tantissimi i suoi vantaggi: pensiamo a un piccolo negozietto che attualmente, a causa delle misure prese per contrastare l’emergenza, ha dovuto chiudere i battenti. Utilizzando senza costi la piattaforma può così creare la sua “vetrina virtuale” ed inserire i propri prodotti, le immagini e i relativi prezzi permettendo al cliente di ordinare gli acquisti online e ottenere la consegna direttamente presso il proprio domicilio. Inoltre, come ci racconta Giovanna Menzaghi, presidente dell’associazione Smart Cities Italy, il progetto si adatta a tutti i settori come panetterie, alimentari e fruttivendoli, nella speranza che questa iniziativa possa essere un sostegno alle attività commerciali che, non effettuando consegne a domicilio, rischiano di non avere sufficienti forze per mantenere in vita la propria attività.
«A causa di questa emergenza tante persone hanno perso il lavoro e sono sempre più sole e sempre più vulnerabili. La nostra volontà è aiutare le singole attività a ripartire e creare nel tempo un distretto sostenibile in cui i produttori locali, i commercianti, gli albergatori e le imprese acquisiscano valore all’interno della stessa rete. Per costruire un nuovo modello c’è bisogno di fare “massa critica” e di relazionarci per creare una rete sui territori dove i piccoli produttori locali diventano i veri protagonisti del futuro».
In questo modo la piattaforma vuole diventare uno strumento virtuale e innovativo che rafforza i territori attraverso uno strumento accessibile a tutti che vuole contribuire a rimettere in moto un’economia attualmente sospesa tra la paralisi del presente e l’incertezza del domani. E l’economia non può che ripartire dalla dimensione locale, dalla creazione di reti che, durante una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo, traggono forza le une dalle altre.
«Il nostro sogno da sempre è quello di riaprire le botteghe e restituire dei servizi utili alla comunità. Penso che quest’emergenza ci farà molto riflettere: riflettere sul nostro tenore di vita, sull’importanza di valorizzare i borghi e le piccole attività che li caratterizzano per far ripartire l’economia del Paese».
Maggiori dettagli riguardo all’app li trovi cliccando qui.
Si tratta della prima mappatura scientifica dei borghi alpini e appenninici quella che Uncem ha realizzato in Piemonte e che nasce dalla necessità di stimolare il recupero e nuovi investimenti per le aree montane, affichè privati cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni tornino a puntare sulle risorse che le Terre Alte mettono a disposizione e combattendo il progressivo spopolamento, per rendere possibile il ritorno alla montagna. Una montagna che rinasce attraverso borghi abbandonati ora recuperati. Luoghi che raccontano storie del passato e che guardano al futuro. Case, botteghe, antichi mestieri che tornano a far rivivere un paese, per risentire la vita rinascere attraverso il profumo del pane appena sfornato, il rumore del falegname indaffarato nella lavorazione del legno o le voci di bambini che tornano allegri dalla scuola. Tutto questo ora può diventare realtà grazie alla mappatura dei borghi alpinirealizzata da Uncem – l’Unione nazionale dei comuni, comunità ed enti montani che, all’interno di un volume online di circa 600 pagine, raccoglie dati ed esperienze locali a conclusione di un lungo lavoro iniziato ben 15 anni fa. L’obiettivo? Realizzare uno strumento che metta in luce il grande patrimonio che sulle montagne piemontesi conta centinaia di borghi che necessitano di tornare ad essere il fulcro di economie locali generando una nuova crescita economica. Si tratta infatti di borghi e borgate, gioielli incastonati nei più suggestivi paesaggi del Piemonte che hanno visto progressivamente diminuire la propria popolazione fino quasi ad essere dimenticate, tra riduzione dei residenti, contrazione dei servizi essenziali, diminuzione del potenziale di reddito e di consumo locale ma anche declino dell’agricoltura e della pastorizia che hanno indebolito sempre più il sistema insediativo storico, riducendo intere zone allo stato di abbandono.
Centinaia di borghi abbiamo detto. Ma diamo un po’ di numeri: solo nelle Unioni montane del Torinese i borghi di montagna sulle Alpi e gli Appennini raggiungono i 1845 mentre sono 1450 quelli del Cuneese. Segue poi la montagna biellese con 573 insediamenti, il Verbano Cusio Ossola con 208 e infine l’appennino dell’astigiano e dell’alessandrino che ne conta 155. Il progetto guarda in grande e vuole rendere reale la rinascita della montagna. Sempre più numerosi sono infatti coloro alla ricerca di risorse per ristrutturare le proprie abitazioni nei borghi, per individuare immobili da acquistare o alla ricerca di nuove soluzioni per cambiare vita, per aprire un’azienda agricola o turistico-ricettiva. La nuova mappatura non rappresenta una guida turistica o un catalogo immobiliare, ma bensì di una fotografia dell’esistente, sulla base di dati pubblici inviati dalle Unioni montane in questi anni alla Regione. Un lavoro collettivo e condiviso che può essere considerato uno strumento potenziale per concentrare l’attenzione istituzionale ed economica sui borghi alpini e appenninici per attrarre nuovi investimenti e rivitalizzare così le aree interne.
Il lavoro di Uncem si è concentrato sulla realizzazione di schede compilate da tecnici e consulenti delle Unioni montane con il supporto dei Sindaci. Suddivise per province, contengono dati di riferimento delle varie borgate, andando a creare un racconto dettagliato dei diversi insediamenti. Tra le informazioni emergono i servizi presenti all’interno dell’edificato, viene indicato lo stato di integrità dei borghi o viene quantificato il numero di manufatti che necessitano di interventi di ristrutturazione. I dati riportano anche le epoche di costruzione dell’edificato e i fabbricati di rilevanza architettonica, storica e artistica. Il lavoro di mappatura andrà ad integrare il sito dei Borghi Alpini, precedentemente realizzato da Uncem, che raccoglie esperienze e buone pratiche di rivitalizzazione attraverso la schedatura di tutti i borghi del Piemonte.
«Per la montagna, il progetto risponde a una chiara necessità di tornare a puntare sulle risorse che le Terre Alte mettono a disposizione, ricreare imprese, occasioni di una vita stabile, 365 giorni l’anno, secondo la tradizione sì, ma anche unendo temi forti che accompagnano la modernità degli insediamenti». Si legge sul sito. «Domotica, green economy, fonti energetiche rinnovabili, utilizzo del legno per il recupero e opportuno uso della pietra, nuovi stili progettuali che conservino volumi carichi di storia, ma che allo stesso tempo sappiano guardare al futuro».
Si tratta nel complesso di un documento rivolto a tutti, affinché tutti possano essere stimolati ad investire capitali per far rinascere i borghi e ridare un’opportunità di sviluppo alle Terre Alte. Ma rappresenta anche una dimostrazione della vitalità degli Enti locali e del loro impegno sul territorio in questi anni.
Coltivatori di emozioni è la prima piattaforma di social farming volta a promuovere la salvaguardia del patrimonio agricolo nazionale attraverso un modello che permetta di “adottare a distanza” coltivatori custodi di antiche tradizioni agricole. L’obiettivo è quello di creare una rete sostenibile per recuperare zone a rischio di abbandono e rilanciare tradizioni contadine in via di estinzione, riattivando le microeconomie locali e valorizzando le realtà rurali. L’Italia è un paese ricco di biodiversità, di conoscenze e di tradizioni rurali: un patrimonio inestimabile che oggi è a rischio. Osservando l’attuale scenario di abbandono delle terre, spopolamento dei borghi e le difficoltà delle piccole aziende agricole, un gruppo di appassionati di natura, tradizioni ed enogastronomia ha lanciato nel 2016 il progetto Coltivatori di Emozioni, piattaforma italiana di social farming che promuove adozioni a distanza di coltivatori e tradizioni. Gli obiettivi sono proprio la salvaguardia delle tradizioni rurali, la tutela del paesaggio, il recupero dei terreni incolti e il ripopolamento dei borghi.
Per riattivare le microeconomie locali i Coltivatori di Emozioni hanno individuato negli ultimi anni degli agricoltori, custodi di antiche tradizioni, per promuoverne i prodotti, supportarli nelle lavorazioni sul campo offrendo un contributo per l’inserimento e il reinserimento lavorativo e per comunicarne le esperienze al fine di sensibilizzare i consumatori alla cultura e alle attività agricole. Attualmente i produttori che collaborano con i Coltivatori di Emozioni sono presenti in 13 regioni. Si passa dal riso Carnaroli della Lomellina nel pavese al farro della Garfagnana, per poi scendere al peperone di Pontecorvo DOP di Frosinone e ai grani antichi siciliani, come il Timilia, il Senatore Cappelli, il Maiorca e il Percia Sacchi. Tradizioni agroalimentari dunque, ma non solo. Nel piccolo borgo molisano di Ripalimosani, per esempio, i Coltivatori di Emozioni hanno collaborato con i produttori, il comune e le associazioni del territorio al fine di recuperare un piccolo canapaio di 2,5 ettari: una tipicità del luogo che, dopo aver a lungo trainato un’economia locale fortemente connotata dalla produzione delle funi e dalla lavorazione dei tessuti, meritava di essere nuovamente valorizzata. Qui, ripartendo dalla canapa è stata avviato un orto collettivo e solidale attraverso la formazione professionale di soggetti in condizioni di fragilità, utilizzando terreni incolti e abbandonati. L’attenzione per la natura si intreccia così con una sensibilità sociale.
Le aziende agricole che collaborano con i Coltivatori di Emozioni sono perlopiù a gestione familiare o singoli produttori attivi nel preservare uno specifico prodotto del proprio territorio. «Nella selezione delle aziende agricole cerchiamo, oltre a prodotti di alta qualità, un’attenzione ai valori della sostenibilità e della tradizione. Poi chiediamo coinvolgimento, perché i produttori non siano solo dei fornitori ma veri e propri partner del progetto, con cui instaurare un dialogo e svolgere insieme delle attività sul campo, com’è accaduto con il tartufo del monte Alpe», spiega il co-fondatore Biagio Amantia. Fra l’Oltrepò Pavese e l’Appennino Ligure, il borgo di Menconico si contraddistingue per un’importante produzione di tartufo nero, “sebbene pochi lo sappiano”, sottolinea Biagio. Insieme ai cavatori della zona, i Coltivatori di Emozioni si sono attivati sia per la riqualificazione del borgo sia per rendere nota la tipicità di questo prodotto. «Secondo noi mettendo insieme produttori agricoli, amministrazioni comunali, associazioni, aziende sponsor, utenti, enti di formazione e istituzioni scolastiche è possibile dar vita a progetti che abbiano una valenza importante per lo sviluppo socio-economico del nostro territorio». ha ribadito Biagio. Nel futuro, dunque, i Coltivatori di Emozioni cercheranno di valorizzare ancor di più questo tipo di collaborazioni così da andare sul territorio con attività concrete a sostegno dei produttori agricoli.
Chi volesse sostenere il progetto è invitato ad adottare una delle piccole realtà agricole, acquistandone i prodotti o donando delle ore di lavoro. Le imprese che per finalità sociali o di sostenibilità vogliano collaborare con i Coltivatori di Emozioni possono attivarsi insieme a loro per sostenere una causa territoriale dai risvolti ambientali, dunque a sostegno della biodiversità, e sociali, favorendo l’occupazione, il recupero del territorio e contrastando lo spopolamento dei borghi.
Prodotti agricoli biologici freschi di stagione, il più possibile a km zero e da piccole aziende agricole. Sono questi gli ingredienti alla base del biocatering della cooperativa Zenzero rivolto ad asili nido, feste private, convegni, matrimoni e vari eventi. Lo scopo è quello di sviluppare l’economia territoriale e valorizzare le risorse locali, con un’alta attenzione all’impatto ambientale, sociale e culturale. Più di tredici anni fa a Firenze nasce laCooperativa Zenzero, un nome che evoca l’ambito di azione di questa realtà, nata dalla volontà di una dozzina di giovani persone che stavano muovendo i primi passi nel mondo del lavoro. Attivisti e attiviste la cui vita si era intrecciata all’ombra dei Social Forum di inizio secolo, quando già erano chiare le criticità che la globalizzazione stava portando con sé, accentuando le disparità economiche e sociali e aggravando la situazione ambientale del nostro pianeta. Da quell’esperienza era nata, nel cuore della Firenze popolare, vicino al quartiere di Santo Spirito, la bottega di commercio equo e solidale “Borgo Alegre”.
«Dopo un paio di anni – ci racconta Arianna – abbiamo iniziato a pensare a come andare avanti e rendere tutto questo sostenibile, e abbiamo pensato che essere attivi nel mondo della ristorazione, mantenendo vivi i criteri dell’attenzione verso il biologico, la filiera corta, la stagionalità, i prodotti sempre freschi, potesse essere una soluzione valida. Questo ha fatto sì che da volontari e lavoratori nella bottega, potessimo avviare una vera e propria impresa di catering».
Il biocatering Zenzero nasce così nel 2008, grazie anche ai finanziamenti accordati a Zenzero dalla MAG6 di Reggio Emilia e al contributo di alcuni soci finanziatori. Un catering che si caratterizza per l’impiego di prodotti agricoli biologici freschi di stagione, il più possibile a km zero e da piccole aziende agricole, e prodotti del circuito equo e solidale. «Puntiamo sulla qualità dei cibi e del servizio offerto, attraverso un comportamento equo, solidale e trasparente, sia verso i produttori da cui si acquistano le materie prime, sia verso i clienti (con schede informative su ingredienti e fornitori), sia nei confronti dei lavoratori della cooperativa. Lo scopo è quello di sviluppare l’economia territoriale, di valorizzare le risorse locali, con un’alta attenzione all’impatto ambientale, sociale e culturale».
Incontriamo Arianna e alcuni dei soci e delle socie di Zenzero nel lungarno fiorentino, in quella che è la sede della cooperativa dal 2013. «Un luogo che abbiamo trasformato completamente dopo quasi due stagioni di intensa attività di manovalanza».
Questo è il cuore pulsante dell’attività: «Al piano terra c’è il laboratorio di cucina; un piccolo spazio dove incontriamo la clientela e facciamo degustare quello che prepariamo; il magazzino delle attrezzature con tutto ciò che serve per il servizio, e il magazzino delle materie prime. Al primo piano c’è un ufficio e zone di uso del personale».
Una parte del lavoro prevalente di Zenzero si svolge come lavoro giornaliero di fornitura pasti per asili nido privati, «il servizio è attivo da quasi dieci anni e attualmente serviamo circa 150 pasti. Si tratta per la maggior parte di asili nido domiciliari, vale a dire aperti presso case private e che hanno come massimo numero di utenza cinque, sei bambini. Offriamo un prodotto fresco, di stagione, e sono disponibili menù per intolleranze o allergie e vegetariani, facendo sempre riferimento alla norma regionale. Garantiamo ai bambini un pasto genuino, interamente preparato con ingredienti biologici e appositamente studiato per fornire il giusto equilibrio dal punto di vista nutrizionale».
«La scelta dei prodotti è stata facilitata dall’esperienza della bottega di commercio equo, e anche dal fatto che alcuni di noi erano impegnati in associazioni di volontariato molto attive nel consumo critico (ass. Terra Madre, ass. ConsumAttori, gruppi d’acquisto solidale). Poco a poco abbiamo creato un nostro archivio di piccoli e grandi produttori. Produttori biologici o che garantiscono la qualità dei propri prodotti attraverso la garanzia partecipata. Ci riforniamo quindi direttamente dai produttori e quasi esclusivamente da piccole realtà locali (km zero), a parte, ad esempio per la pasta e i cereali che vengono dal nord Italia, per limitare il più possibile l’impatto ambientale e l’inquinamento, che derivano dai lunghi tragitti percorsi per lo spostamento delle merci provenienti da lontano, e per sostenere l’economia di base e di piccola scala, lontano dalle logiche della grande distribuzione».
L’altra attività principale della cooperativa è l’organizzazione e il catering per piccoli e grandi eventi, dai pasti a domicilio, a convegni, feste private e matrimoni. Un catering più informale e meno gerarchizzato, ma professionale e di alto livello, per la qualità dei pasti, la genuinità e il contenuto “etico” del prodotto offerto e della sua filiera.
«Operiamo nella massima massima trasparenza verso i clienti, ai quali forniamo schede informative dettagliate sugli ingredienti e sui produttori. Da sempre abbiamo avuto la volontà di non far entrare la plastica, usiamo acqua in brocca e anche quando ci chiedono l’open bar proponiamo le alternative più locali ed ecologiche alle famose bevande gassate. Usiamo materiali compostabili e senza cannucce. Cercando comunque per il resto di limitare al massimo l’utilizzo di prodotti “usa e getta”, utilizzando bicchieri di vetro, piatti e vassoi in ceramica, posate in acciaio. E differenziamo i rifiuti durante tutto il processo produttivo».
Zenzero si occupa anche dell’allestimento degli spazi, «credo che abbiamo trovato un ottimo modo di abbinare accanto a un piatto molto semplice anche la presentazione di una tavola che faccia vedere che ci vuole gusto e occhio anche in quello che circonda il piatto. Proponiamo composizioni “verdi“, realizzate con piante aromatiche e fiori freschi in originali barattoli di vetro, per abbellire i buffet o come centro-tavola».
Attualmente nella cooperativa sono impiegate nove persone, tutti soci. Cinque attivi principalmente in cucina e quattro che si occupano degli ordini, dei rapporti con i fornitori e con i clienti, dell’amministrazione e dei servizi esterni per il servizio al tavolo e allestimento.
«Il cibo è una parte viva in tutte le nostre giornate che ci fa sempre essere attenti alla differenza che c’è anche nelle cose più semplici. In Zenzero abbiamo visto che anche un piatto molto povero ha molto da raccontare. Siamo attenti alla stagionalità, ma abbiamo anche rivisitato alcune ricette tradizionali sostituendo gli ingredienti che non sono disponibili tutto l’anno. Ad esempio abbiamo pensato: perché la ribollita e la panzanella devono essere cucinate soltanto nelle loro stagioni? Ovviamente non prenderemo i pomodori a dicembre per fare la panzanella. Così la ribollita autunnale è diventata una ribollita che ha la zucca, i porri, quindi abbiamo tolto il cavolo nero. E la panzanella la possiamo proporre fra aprile e maggio, prima che arrivino i cetrioli e i pomodori, con asparagi e baccelli».
Sfruttamento dei lavoratori, aumento della povertà, crisi dei piccoli negozianti, impoverimento dell’economia locale. Massimo Angelini riassume le drammatiche conseguenze legate alla crescita del colosso dell’ecommerce e invita tutti a dissociarsi da quello che oggi si presenta come il monopolio in più rapida espansione e commercialmente più aggressivo. Italia che Cambia sostiene la sua iniziativa “Amazon addio”.
“Amazon addio”. Questo il nome dell’iniziativa lanciata da Massimo Angelini e rilanciata da Comune-info contro la più grande Internet company al mondo, una delle più grandi società del pianeta.
“Amazon – scrive Massimo Angelini – sta guadagnando una posizione di monopolio mondiale straordinaria e pericolosa: la sua crescita, accompagnata da una progressiva concentrazione e automazione dei processi di distribuzione, sempre più di frequente viene associata:
– alla chiusura di negozi e librerie, e alla conseguente perdita di posti di lavoro;
– a una riduzione della qualità del lavoro, sempre più misurato, controllato, malpagato, precario, e meno tutelato;
– all’elusione della tassazione nei paesi dove opera, compresa l’Italia”.
“In questo scenario – si legge ancora – chiude il piccolo commercio, si perdono posti di lavoro, si erodono garanzie per quelli che restano, si mette a rischio la posizione dei lavoratori del commercio e della logistica, ma anche quella dei produttori ai quali, in progresso di tempo e crescendo la posizione di monopolio, più facilmente il prezzo di uscita delle merci potrà essere imposto al ribasso.
Mentre alcuni si compiacciono dell’efficienza, della comodità e del relativo risparmio – perché è vero che i prodotti inviati attraverso Amazon arrivano presto e spesso sono venduti a un prezzo ribassato – c’è una parte di mondo che diventa più povero, meno tutelato, ricattabile: se a un risparmio di tempo e denaro individuali corrisponde un maggior costo sociale (oltre che personale) in termini di dignità dei lavoratori e posti di lavoro, allora il bilancio è certamente negativo. E lo è per tutti, anche per chi persegue i soli propri interessi individuali, perché una società più povera, in termini economici, morali, di sicurezza è un costo per tutti”.
“Poiché i monopoli – tutti – generano maggiore povertà, favoriscono la concentrazione dei capitali e contribuiscono ad allargare la forbice che separa una minoranza progressivamente più ridotta e più ricca da una maggioranza più allargata e sempre più povera, proponiamo un gesto di resistenza e di schieramento a partire dalla dissociazione da quello che oggi si presenta come il monopolio in più ampia e rapida espansione e commercialmente più aggressivo: Amazon”.
Ridare vita ad una filiera corta della lana in Val dei Mòcheni abbattendo gli sprechi di questo materiale, favorendo l’economia del luogo e valorizzando le competenze delle persone della valle. Nasce con questo obiettivo il comitato Bollait, ovvero “gente della lana”. “Bollait”, ovvero “gente della lana” nell’antico dialetto della Valle dei Mocheni, vallata in provincia di Trento. Il progetto nasce su iniziativa di un gruppo di donne locali con la passione per la lana che decidono di mettersi insieme e formare un comitato di scopo. Il loro obiettivo è quello di recuperare la grande quantità di lana prodotta in questa zona (circa 3-4 mila chilogrammi all’anno) e per lo più buttata.
Gran parte della produzioni locali – in molte parti del mondo – sono state infatti soppiantate dalla lana proveniente da Australia e Nuova Zelanda, quindi i pastori si trovano nella difficile situazione di dover pagare sia per la tosatura della pecora sia per lo smaltimento della lana che, essendo classificata come rifiuto speciale, comporta costi piuttosto elevati.
“Ci si stringeva il cuore a vedere tutta quella lana sprecata – racconta Vea Carpi, una delle fondatrici del progetto – così abbiamo deciso di prendere spunto dalla vicina Val d’Ultimo che da anni sperimenta una filiera corta della lana”. L’idea viene proposta al comune di Palù – un paese che guarda la Valle da 1400 metri di altezza – e piace subito al sindaco che diventa parte del Comitato nel ruolo di presidente. Partito nel 2016, il progetto ha raccolto durante l’anno appena trascorso circa 1000 chili di lana, suscitando l’entusiasmo dei pastori locali. Dalla lavorazione, realizzata con impianti specifici nella città di Biella, sono state ricavate tre tipologie di tessuto: il fiocco (cioè la lana semplicemente lavata e asciugata), la falda per feltro e il filato. Da questi sono stati creati piumini e cuscini, prodotti rivenduti al dettaglio negli agriturismi gestiti dalle componenti del comitato.
Obiettivo del progetto è raggiungere l’autonomia assoluta attraverso la filiera corta, senza l’aiuto del Comune. I presupposti sono più che incoraggianti, visto che nel primo anno le spese sono state coperte e gli abitanti della zona hanno dimostrato un interesse tale che nessuna delle fondatrici si aspettava in questa misura.
“Lavorando a Bollait abbiamo scoperto che gli abitanti del luogo hanno delle capacità incredibili nella lavorazione della lana – spiega Vea – per questo crediamo sia indispensabile riscoprire queste conoscenze e inserirle nel circuito turistico della zona perché diventino un ulteriore motivo di attrattiva in questi luoghi meravigliosi”.
Un circuito di credito commerciale che utilizza una moneta virtuale per incentivare lo scambio di beni e servizi fra aziende, favorire il mercato locale e stimolare il consumo critico. Nato nel 2007 da un’idea di un gruppo di ragazzi sardi, Sardex ha ottenuto negli anni un incredibile successo divenendo un modello replicato in altre regioni italiane e studiato nel mondo.
Ci sono storie che ti restano particolarmente nel cuore, storie che riassumono in modo emblematico i principi e i concetti che muovono quest’Italia che Cambia, storie che sono straordinarie per i risultati ottenuti eppure incredibilmente poco note ai più, storie che dimostrano come si possano concretamente cambiare le cose partendo dal basso, da un’idea, da un pizzico di follia, storie che ogni volta che la racconti ti emozioni come la prima volta e ogni volta che chiedi aggiornamenti rimani stupito dalle ulteriori evoluzioni ottenute, storie come quella di oggi, che è talmente bella e complessa che richiederà due video anziché uno per mostrarla e raccontarla. Tutto ha inizio nel 2010, quando cinque ragazzi sardi – di Serramanna – nessuno dei quali laureato in economia, decidono di mettersi in proprio ed avviare un progetto che avrebbe ottenuto un successo clamoroso nella loro isola prima e nel resto d’Italia (e del mondo?) dopo: creare, attivare, coordinare e gestire il circuito del Sardex. A distanza di pochi anni questo “strumento” aggrega tremila imprese sarde, dà lavoro a sessanta persone, conta quattro sedi in Sardegna (Cagliari, Sassari, Nuoro e, ovviamente, Serramanna) e “sposta” un fatturato di circa cinquanta milioni di euro equivalenti: “quest’anno chiudiamo con un volume di operazione pari a 50 milioni di euro e a dicembre dovremmo festeggiare i primi 100 milioni – ci raccontano i protagonisti di questa iniziativa nel nostro nuovo incontro avuto a fine 2015 – la crescita è esponenziale. Per dare un’idea: il primo anno abbiamo transato 350 mila crediti, ora 350 mila crediti li facciamo in un giorno. Questo fa sì che la crescita non sia mai sommatoria, ma moltiplicatoria”.
Che cos’è il Sardex?
Facciamo un passo indietro. Che cos’è questo Sardex? È un circuito, una moneta complementare, uno strumento di “baratto multilaterale”, un accesso al credito, un incentivo a vincolare la ricchezza al territorio? Forse è tutto questo e molto altro ancora. Facciamolo raccontare a Gabriele Littera, Carlo Mancosu e Roberto Spano. “Il Sardex è un circuito con diversi partecipanti. La caratteristica principale è che i trasferimenti di denaro non avvengono come bonifici contanti o altro di tradizionale, ma come unità di conto che sono il credito sardex e che sono equiparati agli euro. Un credito Sardex equivale quindi ad un euro. Il funzionamento si basa sul presupposto che la mancanza di liquidità dovuta alla crisi finanziaria e più in generale alla scarsa circolazione degli euro nasconda un potenziale inespresso della nostra economia; noi, attraverso il servizio che mettiamo a favore degli iscritti, cerchiamo di trasformare questo potenziale in valore. Tutti gli iscritti hanno un conto on line, una carta, una linea di credito senza interessi, un servizio di area broker, un servizio di comunicazione interna al circuito e un servizio di assistenza tecnica. Questo permette alle imprese di vendere in questo mercato complementare quello che il mercato euro non ha accolto nella sua totalità e acquisire un credito spendibile in questo mercato per comprare prodotti e servizi necessari alla propria attività. Ad oggi, nel circuito, si può accedere a servizi provenienti da tutta la regione. In questo modo otteniamo un sistema di imprese complementari uno all’altra.
Il meccanismo con cui cresce il circuito è un meccanismo di crescita armonica. Deve esserci un equilibrio tra l’offerta e la domanda. La tendenza deve essere quella di portare a pareggio il bilancio. Non si può far entrare chiunque in qualsiasi momento. Non possiamo far entrare mille avvocati o mille idraulici. Ci sarebbe una concorrenza eccessiva. Così il circuito cresce in base ai bisogni del circuito stesso. Non eliminiamo comunque la concorrenza”.
Come funziona?
“Immaginiamo un azienda tipo, un ristorante. I tavoli non saranno pieni ogni sera o per pranzo, ci saranno tavoli vuoti, nonostante questo il ristoratore avrà dei costi. I costi fissi ci sono comunque. I tavoli vuoti sono perdite di profitto. Immaginiamo di mettere questi tavoli vuoti a disposizione di chi fa parte del circuito Sardex. Questi clienti pagheranno in Sardex, così il ristoratore potrà abbattere i costi delle materie prime e risparmiare liquidità. Per spiegare meglio come può funzionare questo strumento immaginiamo una triangolazione: immaginiamo che un trasportatore di una azienda del circuito Sardex si fermi a mangiare dal nostro ristoratore. Il trasportatore paga con per esempio cinquanta crediti Sardex. Il ristoratore, che avrebbe avuto quei tavoli vuoti, si trova quindi una “ricchezza aggiuntiva” che però deve spendere nello stesso circuito. Andrà quindi ad acquistare con questi cinquanta crediti il vino presso il fornitore di vini che fa parte del circuito anziché da un fornitore lontano. Il produttore di vini a sua volta si ritroverà con cinquanta crediti e magari deciderà di spenderli proprio presso il trasportatore di prima. E così si chiude il ciclo. I saldi in questo modo si azzerano, la moneta scompare ma la ricchezza prodotta attraverso questi scambi è rimasta”.
Uno scambio bilaterale, un atto di fiducia
“Spesso il lavoro che facciamo viene associata al baratto: ma questo è uno scambio bilaterale, in cui la reciprocità è data dalla volontà di ricavare il massimo dallo scambio; avviene qui e ora. Sardex è un sistema di credito, credito deriva da credere, quindi fiducia. Sardex è un atto di fiducia del singolo verso la comunità e viceversa; un sistema di mutuo credito. Le imprese attraverso al loro capacità produttiva inespressa, vendendo beni ad altre imprese che possono acquistarle prima di aver venduto, finanziano la rete e possono essere ricompensati dagli altri partecipanti della rete. Passiamo quindi dal paradigma del “do ut des”, al paradigma del “ti do cosicché tu possa dare agli altri”, e questa è la cosa più eccezionale”.
La storia
“L’idea nasce nel 2007, quando ci siamo interessati di moneta e credito, perché la moneta è l’unica fede riconosciuta in tutto il mondo, e lo strumento di manifestazione dell’economia. Nell’economia di mercato il denaro è lo strumento attraverso cui il consumatore sovrano esprime il proprio voto. La mercatocrazia non è una democrazia, capire come vengono distribuiti i soldi è diventato quindi fondamentale. Inoltre, si stavano manifestando i primi sintomi della crisi finanziaria e sapevamo quindi che presto sarebbe arrivata una diminuzione di liquidità e una stretta creditizia. Abbiamo così iniziato a studiare i modelli usati in passato per uscire da queste situazioni e ci siamo concentrati su due strumenti in particolare, il VIR: che nasce durante la crisi del ’29 ed è ancora in piedi nel 2007 e l’international credit union che nel 1944 propone la creazione di un sistema di compensazione tra nazioni, introducendo il trattamento simmetrico di debitori e creditori: per creare equilibrio, e quindi pace, è necessario che i creditori mettano in condizione il debitore di ripagare. E questo si può ottenere solo investendo sui debitori. Inserendo un tasso negativo, chi è in credito deve pagare per avere ripagato il debito, queste due spinte divergenti (dato che normalmente chi è in credito ha un premio) diventano convergenti e portano verso lo zero che non è più fine, ma strumento. Non ci siamo limitati però a studiare i punti di forza di questi strumenti, ma anche le loro falle. Vir, ad esempio, nel 1936 fu costretta ad assoggettarsi al sistema bancario, Sardex invece è un sistema che si basa ancora sulla fiducia. Il nostro obiettivo è semplice: cercare di fare in modo che la mancanza di liquidità non fermi il mercato reale; il denaro normalmente ci permette di veicolare beni, se questo viene meno bisogna trovare un altro sistema che rimetta in moto l’economia”.
Serramanna e le origini del tutto
L’iniziativa di Sadex nasce a Serramanna semplicemente perché i soci fondatori erano tutti di qui! “Eravamo tutti amici che avevano deciso di trasformare una idea in una realtà di impresa. Non c’era un legame accademico, nessuno dei soci era laureato o masterizzato in materie economiche finanziare e creditizie, ma eravamo tutti appassionati di un tema in comune. Chi grazie alla capacità di leggere più lingue, chi capacità di analisi storiche e chi per altro siamo riusciti a non essere vittime di una formazione dogmatica, e siamo riusciti a ragionare con mente libera.
Non aver studiato economia ci ha permesso di essere liberi da preconcetti: quando raccontiamo quello che facciamo a chi vive nel mondo finanziario non troviamo abbastanza flessibilità per immaginare un mercato che funziona in modo diverso da quello tradizionale, dove è tutto indiscutibile”.
Le ricadute locali e la rete che si respira
Il Sardex si può spendere solo in Sardegna,in questo modo si sviluppa il mercato locale, si stimola il consumo critico, si favoriscono le iniziative locali che valorizzano beni e territorio. “Quasi tutti i partecipanti utilizzano il circuito anche nell’ottica di unirsi ad altri. Abbiamo un territorio di piccolissime imprese familiari che se dovessero guardare al semplice aspetto economico non dovrebbero comprare neanche da se stesse. Se dovessero guardare i costi, non comprerebbero tra loro. La logica del prezzo più basso è assurda, esclude una serie di valori aggiunti dati dalla relazione. Ogni singolo iscritto viene messo nella possibilità di monitorare quanto sfrutta le risorse del proprio territorio. I crediti abbattono la barriera: comprare a cento in crediti da un fornitore sardo, piuttosto che a novanta da un esterno ma in euro pone un grossa differenza. Quando gli imprenditori si trovano nella pratica scelgono di scegliere localmente. Questo sistema permette alle imprese di avere a fianco un servizio di assistenza che li aiuta a trovare i fornitori, posizionare i beni che il mercato euro non ti ha fatto collocare ecc… ogni impresa ha i suoi margini di miglioramento. Noi ci mettiamo al servizio e lo facciamo con accorgimenti che possono sembrare secondari ma non lo sono. Abbiamo deciso di rimanere sul territorio; per iscriversi devono venire qui, passare per una dimensione fisica, dobbiamo conoscere gli iscritti.
Organizziamo meeting, incontri, aperitivi, ogni iniziativa da nord a sud, da est a ovest, perché è importante condividere questi momenti. Stiamo cercando di costruire questa relazione con gli iscritti e fra di loro. Questa è garanzia di solidità e forza. Sono strette di mano tra due persone, basate sulla fiducia. È entrato nel DNA delle imprese, è uno strumento oggi molto importante nella loro gestione”.
L’etica
“L’etica per Sardex è la base. Al di là di un codice etico che è riassunto di cosa facciamo, una delle determinanti del nostro comportamento per chi vuole far parte di Sardex è cercare di capire se c’è sintonia sui principi di base. Sono indiscutibili, è la base per il punto successivo. Tu puoi fare la stessa domanda ad ognuno di noi in momenti diversi e avrai sempre la stessa risposta. E’ importantissimo per l’economia oggi salvare il mercato dalla finanza, per questo l’etica è fondamentale.
I nostri principi:
-rispetto per le persone
-rispetto per la comunità
-concentrazione sul valore e non sulla sua rappresentazione
Tutto si può riassumere con il concetto di reciprocità che si aggancia al concetto di empatia e capacità di mettersi nei panni degli altri. Non tutti, quindi, possono iscriversi al nostro circuito. Chi partecipa alla filiera degli armamenti, per esempio, non può partecipare al nostro circuito”.
I prossimi passi
Il successo di questo strumento è davvero straordinario. Ora altre otto regioni italiane stanno replicando questo modello e altre tre si preparano a partire. Sono arrivate anche richieste dall’estero, dalla commissione europea, dalla Banca Centrale dell’Equador.
“Pensavo all’inizio che avremmo creato un’azienda e ci saremmo dati un lavoro, ma non pensavo ad una cosa così grossa. Vedere che università come Yale studiano il modello in maniera operativa, collaborando con noi è veramente molto soddisfacente”.
Ci sono storie che ti restano particolarmente impresse, storie che cambiano più di altre il mondo, storie che è impossibile raccontare con un solo video, ma anche con un solo articolo. Ecco perché prossimamente, vi racconteremo la seconda parte di questa storia.
L’ecovillaggio tedesco di Sieben Linden si presenta in Italia. Dal 3 al 5 luglio per la prima volta nel nostro paese Eva Stützel, cofondatrice di Sieben Linden e consulente internazionale di progetti comunitari da 15 anni.
L’ecovillaggio di Sieben Linden, uno dei più famosi a livello mondiale, è situato in aperta campagna nel nord della Germania, regione della Sassonia Anhalt (ex Germania Est), ed è abitato da 150 persone di cui 40 bambini e adolescenti. Queste persone hanno deciso che la crisi ambientale, sociale, economica, politica la risolvono per davvero, giorno dopo giorno, nel loro quotidiano, con le loro azioni, con la loro coerenza, con la loro (auto)determinazione. Il progetto esiste dal 1997 e dimostra che, se si vuole, si può migliorare la qualità della vita dando a questa un senso profondo. Persone normali di tutte le estrazioni sociali e possibilità economiche hanno creato un sistema sostenibile senza essere marziani, hippies o miliardari. Le abitazioni sono state costruite con materiali come il legno locale, balle di paglia, isolamento in fibra di cellulosa e fibra di legno, terra cruda e vengono alimentate energeticamente da legna, pannelli solari fotovoltaici e termici, il tutto per ridurre al minimo l’impatto ambientale. Le decisioni vengono prese da tutti attraverso metodologie maturate nel corso di molta esperienza sul campo; ci sono vari gruppi di lavoro e ognuno ha un ruolo all’interno dell’ecovillaggio che è un modello di micro società del futuro. La cucina è vegetariana e vegan con molti alimenti autoprodotti all’interno di un sistema di permacultura. Per tutto quello che non si autoproduce c’è un acquisto collettivo biologico che coinvolge l’intera comunità e che riduce i costi del 40% dei prodotti non solo alimentari ma anche di tutti quelli che servono per l’igiene personale e la pulizia della casa. E’ presente un asilo dove i bambini passano molto tempo all’aperto e non corrono il rischio di essere investiti. Su 150 persone le automobili sono solo una ventina e alcune sono della comunità a disposizione di tutti; se si usano si pagano solo i chilometri effettivamente percorsi, senza bisogno di pensare ad assicurazioni, spese di manutenzione, etc. Le persone si aiutano molto fra di loro, c’è solidarietà e supporto fra gli abitanti che permette di rafforzare le relazioni e anche risparmiare molti soldi in servizi che nella società normale devono essere pagati e che invece in progetti del genere sono gratuiti e volentieri donati reciprocamente. Una volta a settimana c’è il cinema, ci sono spettacoli teatrali organizzati dalla comunità, c’è la discoteca, un locale bar, un negozio interno, la sauna, un coro, si organizzano corsi di yoga, thai chi, danza, pittura, eccetera e la maggior parte di queste attività è gratuita per i membri dell’ecovillaggio. Ci sono tante relazioni con persone di diverse professionalità, conoscenze, culture, storie che regalano una grande ricchezza a chiunque frequenti il posto anche per poco tempo. Sieben Linden sfata i pregiudizi di coloro che pensano che questi progetti siano isole felici scollegate dalla realtà e per pochi disadattati. Laddove in quella zona prima dell’arrivo di queste persone c’era abbandono, deserto relazionale e culturale, è stata portata una ventata di entusiasmo e di rinascita dell’economia locale con persone che vengono a Sieben Linden a lavorare o a visitare il posto da tutte le parti della Germania e anche dall’estero. Fra le tante attività si organizzano infatti corsi, seminari, incontri internazionali per tutti coloro che siano interessati a conoscere questa interessante realtà. Proprio perché in questo posto non si spreca, si risparmiano energie e risorse, ci si dà una mano, si condivide molto senza per questo fare particolari rinunce o essere dei monaci, la vita costa veramente poco. Una persona, considerati gli elementi base di affitto, alimentazione, energia, acqua, internet, eccetera, spende mediamente al mese circa 500/600 euro e poco più se ha dei figli. All’interno di questa cifra si può anche usufruire di una mensa comune biologica che prepara quotidianamente pasti per la colazione, pranzo e cena. A Sieben Linden hanno fatto quadrare il cerchio, si spende poco, si ha tutto quello che serve, si vive a contatto con la natura, si ha supporto dalla comunità, si ha una intensa vita culturale, si imparano molte cose nuove e mestieri, si conoscono persone e culture diverse. La società del futuro, speriamo non troppo lontano, sarà simile a quella di questi pionieri. Nasceranno sempre più variegati progetti di questo tipo che si scambiano competenze e informazioni e si rafforzano fra loro, progetti costituiti da persone consapevoli, attive e che danno risposte sensate e pratiche ai problemi. Per avere ispirazione da Sieben Linden si potrà incontrare Eva Stutzel, una delle cofondatrici dell’ecovillaggio, per un evento imperdibile al Parco dell’Energia Rinnovabile in Umbria dal 3 al 5 luglio, tenendo ben presente che noi in Italia siamo molto più avvantaggiati perché con le nostre condizioni geoclimatiche, potremmo autoprodurci molti più alimenti ed energia. L’Italia può diventare un meraviglioso giardino nel quale fare crescere speranza e bellezza. Attraverso il corso con Eva, i partecipanti impareranno i fattori che contribuiscono al successo o al fallimento di un progetto comune. e partendo dall’esperienza di Sieben Linden Eva metterà a disposizione le sue competenze di 15 anni di lavoro di consulenza per progetti comunitari. La bussola per lo sviluppo di progetti comunitari e organizzazioni, rappresenta l’essenza del suo lavoro identificando le 5 maggiori aree tematiche che bisogna tenere presente nella costruzione di un progetto comune: Comunità, Visione, Struttura, Economia, Interrelazione.
Nel mezzo della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, il direttore Paolo Hutter ha intervistato Roberto Cavallo, amministratore delegato della cooperativa ERICA ed autore del libro “Meno cento chili”. Riutilizzo, riciclo, economia circolare ed economia locale gli argomenti della conversazione
di Paolo Hutter
In occasione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti abbiamo guardato i dati sulla produzione complessiva di rifiuti solidi urbani pro-capite di vari paesi europei e constatato che ci sono paesi che fanno più rifiuti pro-capite dell’Italia. Ma allora i paesi avanzati producono più rifiuti?
È un assunto di base dell’economia tradizionale, dell’economia che definiamo lineare. Soprattutto lo è stato fino alla crisi iniziata col 2008. Sì, paradossalmente, o non tanto, la quantità di rifiuti prodotti è considerata un indicatore di benessere. E più potere d’acquisto ha sempre o quasi significato anche più scarti.
Ma non dovrebbe essere più avanzata la capacità di ridurre i rifiuti?
Dovrebbe ma non è facile arrivarci. Guardiamo all’Italia e alla sua difficoltà di star dietro alla Germania, che pure non è un esempio coerente di virtù. Dal 98 al 2008 in Italia siamo passati da un potere d’acquisto medio di 28.500 dollari fino a 31 mila poi ridisceso a 28.500. Ma la produzione media pro-capite di rifiuti è passata dai 450 kg/abitante del 98 ai 550 del 2007. E solo dopo, lentamente, ha cominciato a decrescere. E anche adesso capita che la pattumiera decresca meno del potere d’acquisto (quest’anno 2014 non è escluso che si torni a un leggero aumento, NdR).
In Germania negli stessi 10 anni si è passati da 31 mila dollari di potere d’acquisto medio a 35 mila per ridiscendere solo a 33 mila. Ma a differenza dell’Italia nello stesso periodo si è consolidato un calo del 10% nella produzione dei rifiuti. In Italia è addirittura successo che la pattumiera in certi momenti sia diminuita meno del potere d’acquisto. Ma la differenza tra una produzione di rifiuti bassa perché si è più poveri e una riduzione dei rifiuti perché aumentano i processi virtuosi qual è, dove sta?
Interventi strutturali (e in prospettiva le stesse direttive europee) possono far diminuire i rifiuti passando da una economia lineare a un’economia circolare, ovvero a un’organizzazione produttiva e ad uno stile di vita che privilegiano il riutilizzo, o almeno, il riciclo. L’economia circolare, oltretutto, essendo capace di preparare al riuso, è quella più labour intensive, cioè quella che ha più necessità di lavoro locale per unità di prodotto. Nell’economia lineare, tradizionale, usa e getta, il frigorifero rotto si butta via e quasi tutto si produce lontano, fuori dalla Ue. Nell’economia circolare, invece, il frigorifero lo si ripara e, se si abbinano bene riuso riparazione e riciclo, questa è tutta economia locale che cresce.
Qualche anno fa hai scritto il libro Meno Cento Chili. Come rivedi oggi quel discorso, quelle cifre?
Il ragionamento di diminuire di cento chili a testa partiva dalla media dei paesi europei più ricchi, che all’incirca nel 2010 era di 550 chili a testa per anno. Adesso direi che bisogna andare ancora più giù, che si può ridurre di ben oltre i cento chili a testa. E, parallelamente a questo, altre cose funzioneranno meglio. Pensate al mercato dell’usato e della riparazione che in Italia è cresciuto del 18 %. In varie zone d’Europa ci si sta muovendo, nelle Fiandre, in Catalogna si fanno cose ottime. Anche in Italia, naturalmente, in alcune zone, perché la crisi insegna a cambiare punto di vista.
A poco più di un mese dall’inizio di Ecomondo 2014 (5-8 novembre, Fiera di Rimini),Achab Group anticipa le novità che presenterà in occasione della fiera dedicata allo sviluppo sostenibile. Si tratta di due nuovi progetti per stimolare la conoscenza e le buone pratiche per la difesa dell’ambiente: Ecopunti, formula di marketing non convenzionale che incentiva i comportamenti virtuosi dei cittadini, ed Ecoquiz, gioco per smartphone e pc che permette di migliorare le proprie conoscenze sui temi della sostenibilità. Dal 5 all’8 novembre torna Ecomondo, il principale evento fieristico dedicato alle soluzioni e alle tecnologie per lo sviluppo sostenibile che trasformerà la Fiera di Rimini nel centro internazionale della green economy. Tra le realtà che animeranno il programma 2014 della fiera anche Achab Group, agenzia di comunicazione ambientale che opera in tutta Italia a fianco di aziende e comunità, per migliorare la qualità ambientale e costruire processi concreti di sostenibilità. In occasione di Ecomondo, Achab Group presenterà al pubblico due nuovi progetti che hanno al centro i cittadini e la sostenibilità: Ecopunti ed Ecoquiz. Ecopunti è una formula di marketing non convenzionale che ruota intorno alla stimolazione dei comportamenti virtuosi dei cittadini. Il progetto punta ad incentivare buone pratiche come la raccolta differenziata, il compostaggio domestico o l’utilizzo di trasporto pubblico, che il comune premierà generando degli “ecosconti” da spendere nelle attività commerciali locali convenzionate. Promuovendo valori condivisi, si innescherà un circolo virtuoso che rafforzerà il senso di comunità e incentiverà a raggiungere obiettivi comuni, come l’abbattimento dell’impatto ambientale, il sostegno all’economia locale e alla diminuzione delle spese quotidiane delle persone. Con Ecoquiz, invece, ogni utente potrà verificare e migliorare le sue conoscenze sui temi della sostenibilità attraverso il concetto dell’edutaiment, ovvero l’intrattenimento a sfondo educativo. Si tratta di una app personalizzabile con domande a risposta multipla, integrata con Facebook, utilizzabile per partite singole o tornei con amici e avversari casuali. Con quasi 1.000 domande a risposta multipla su ambiente, energia, rifiuti e mobilità, è un gioco divertente rivolto sia agli studenti che agli adulti che coniuga informazione e intrattenimento, e stimola la curiosità su temi importanti come la difesa dell’ambiente. “Siamo fieri di essere presenti a questa nuova edizione di Ecomondo dove avremo l’opportunità di presentare al pubblico queste due nuove creazioni ideate da Achab per favorire lo sviluppo di una coscienza green tra cittadini e consumatori” ha sottolineato Paolo Silingardi, presidente Achab Group.
AchabGroup è un’agenzia di comunicazione ambientale che sviluppa idee e progetti per la sostenibilità. Dal 1999 ha consolidato la propria esperienza grazie a centinaia di progetti realizzati con clienti pubblici e privati: attivazione raccolte porta a porta, progetti riduzione rifiuti, gruppi acquisto fotovoltaico, mobilità sostenibile, processi di partecipazione.
In questi anni l’agenzia ha coniugato passione, esperienza, e investito sulle competenze di chi lavora con Achab Group, impegnandosi sempre più per ideare progetti di sostenibilità e svilupparli a fianco dei propri clienti. Achab Group è attiva in tutta Italia e opera con clienti sia pubblici che privati per migliorare la qualità ambientale e costruire processi concreti di sostenibilità.