Una nuova economia? Il segreto è nelle donne

Un’economia del Dono che sia un’economia di pace e abbondanza per tutti, in contrasto con un’economia dello scambio che fa del saccheggio la base per un’economia per pochi. Il femminile e il materno come pilastro di una nuova società, che sfugga al patriarcalismo dominante. Dialogo con Genevieve Vaughan, alla ricerca di un nuovo modo di vedere e interpretare l’economia.

Per cambiare la società, dobbiamo pensare in modo diverso. Quando si tratta di ripensare il nostro sistema economico, come stiamo vedendo in questi anni, tutto diventa più difficile, confuso, disordinato: da molto tempo, nel Mondo, i segnali di un profondo malcontento rispetto al funzionamento dei nostri schemi economici attuali si sta manifestando in molteplici modi, che spesso purtroppo sfociano nella rabbia, nella rassegnazione, nell’insofferenza fine a se stessa. E se, per cambiare la società, dovessimo riscoprirne i valori delle origini? Se nella cure della madre verso il proprio bimbo si annidi un modo diverso di vedere l’economia? Questo e altro sono le radici dell’Economia del Dono, che nella differenza tra scambio (patriarcale) e dono (matriarcale) pone la base della sua radicale critica nei confronti dell’economia di mercato.

Base fondante della tesi dell’Economia del Dono è che l’economia capitalista, per come la conosciamo oggi, basa la sua stessa logica sullo scambio, dove un bene è dato per ricevere il suo quantitativo equivalente, un bisogno è soddisfatto affinché soddisfi il proprio bisogno. Lo scambio di mercato non è naturale, non è reale e nemmeno necessario, ma semplicemente alimenta il nostro Ego, crea posizioni innaturali di conflitto che alimentano l’isolamento, la competizione, la guerra e il dominio. Questa logica patriarcale, basata sulla socializzazione maschile, va in conflitto con quella femminile, matriarcale, viaggia su un binario opposto rispetto alla madre che nutre. È per questo che l’economia del dono vuole portare al centro dello scambio economico il valore d’uso degli oggetti e delle azioni: “sono delle azioni che noi mettiamo già in pratica, solo che non ce ne rendiamo conto minimamente, rimangono inconsce” ci spiega Genevieve Vaughan, ricercatrice e femminista statunitense stabilitasi da anni a Roma e teorica dell’economia del dono. “Penso che al di sotto dell’economia di mercato e del capitalismo esista un altro tipo di economia, un’economia materna in cui tutti noi nasciamo ma che viene sfruttata dal mercato; tutti i doni a nostra disposizione, compresi quelli fornitici dalla Madre Terra, vengono risucchiati dal mercato e messi a disposizione di pochi. È una logica predatoria e patriarcale, tipica della nostra economia che ci sta portando alla catastrofe”.freswota-another-perfect-day-11

Il senso dell’Economia del Dono

Già con la creazione del denaro, si è andato configurando un modello di economia basato sul patriarcato. Il modello di scambio che ne è nato ha negato quello del dono già in vita presso alcune società precapitalistiche, come ad esempio quelle native americane: l’unico spazio che il mercato non ha risucchiato è stato quello della pratica materna, nel dono che una mamma da consapevolmente al proprio bambino, che nasce dipendente dalle cure materne e che le riceve senza che la madre pretenda nulla in cambio. Questo è l’esempio base per provare a capire dove si annidino le basi culturali dell’Economia del Dono: “Le logiche dello scambio e del donare costituiscono due paradigmi o visioni del mondo che competono e si complementano: la pratica materna e tutti i tipi di lavoro donati gratuitamente sono resi difficili o addirittura sacrificati dalla scarsità che è necessaria al funzionamento del mercato.” scrive Genevieve Vaughan nei suoi 36 passi verso l’economia del dono “ La scarsità viene creata artificialmente dall’appropriazione dei doni di molti da parte di pochi, dei doni dei paesi poveri a quelli ricchi, dei doni della natura, del passato e del futuro ai pochi per il loro profitto nel presente. I valori materni sono visti come non realistici e svalutati dai misogini. Essi sono visti come cause della sofferenza, mentre denunciare le sofferenze e la mancata soddisfazione delle necessità da parte delle donne è vista come vittimismo. Al contrario, sono la scarsità necessaria (funzionale) al mercato e la svalutazione del paradigma del dono che causano la sofferenza delle donne (e dei bambini e degli uomini).”  Il dare per ricevere (compreso il baratto) diventa così una logica altra rispetto al donare per soddisfare un bisogno: per cambiare il paradigma, diventa importante da adulti creare un’economia del dono unilaterale allargata e generalizzarla a tutti. Una sfida enorme, ma che noi inconsciamente pratichiamo già.popolo-degli-elfi

Alcuni esempi di Economia del dono, il dono del cambiamento sociale

“Prendiamo l’esempio delle persone che si uniscono e danno vita ad un ecovillaggio. Lo fanno spesso con poca disponibilità economica, senza baratto, senza scambio. Così come molti altri progetti legati al cambiamento sociale nascono con questa logica” ci spiega la Vaughan “spesso non ce ne rendiamo conto ma stiamo mettendo in pratica l’economia del dono, le creazioni di queste persone sono dei doni che vengono dati alla società, migliorano la vita di alcuni di noi, di coloro che vi si approcceranno, senza pretendere nulla in cambio!”.

Altro esempio tipico alla base del rapporto predatorio dello scambio sul dono, e che ci aiuta a capire meglio il senso profondo del dono stesso, è il plusvalore: questo rappresenterebbe un dono che potrebbe andare verso la società, ma il profitto (che fa parte della logica dello scambio) lo ha soppiantato e inglobato. È la logica dello scambio che sovrasta e ingloba un possibile dono per la società, un rapporto unilaterale che inevitabilmente risucchia e distrugge, senza seminare. Una “guerra” generalizzata contro la pratica del dono, ma che è inconscia e per questo non riusciamo più a riconoscerla. Nella stessa logica rientra, come ulteriore esempio, il lavoro casalingo: se fosse calcolato in termini monetari, darebbe un valore aggiunto enorme al Pil delle varie nazioni. È un esempio di economia del dono che viene già messo in pratica come strada di economia alternativa: non vale affatto come esempio assoluto valido per tutte e tutti (non dobbiamo fare solo le casalinghe per praticare l’economia del dono) ma ci aiuta a vedere la ricchezza nascosta insita del dono. “Recenti sviluppi, come ad esempio il brevettare forme di vita e geni, mostrano come il capitalismo patriarcale assuma il controllo e trasformi i doni in prodotti. Le forze della globalizzazione sfruttano sempre più doni a livello internazionale, dal Sud al Nord.”

È il dono della natura, che contiene un’enormità di doni che vengono sottratti ai molti per rimanere nella disponibilità di pochi. L’alternativa è proprio saper vedere l’economia del dono per quella che è: materna, femminile e naturale. “Il mercato galleggia su un’infinità di doni, lo stesso profitto è una parte di dono che il mercato si prende” conclude Genevieve Vaughan “credo da americana trapiantata in Italia che l’Italia su queste tematiche sia molto all’avanguardia e pronta. C’è una coscienza legata alla condivisione e indirizzata al dono molto forte qua. Non la vedete, così come sembra invisibile l’Economia del Dono.”

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/11/io-faccio-cosi-142-nuova-economia-segreto-donne/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=general

Una Festa del presente per celebrare il dono. Il report da Pisa

Si è svolta a Pisa domenica 26 maggio la prima edizione della Festa del Presente, “la festa in cui tutti e tutte si scambiano di tutto”, per riscoprire e valorizzare forme alternativa di solidarietà e ricchezza. L’evento è stato organizzato dal Distretto di Economia Solidale Altro Tirreno (DESAT), dal Gruppo Decrescita Pisa “InventiamoFuturo” e dall’Officina di Economia Solidale (OdES)pisa_piazza_santa_caterina

Lo scorso 26 Maggio si è tenuta a Pisa, in piazza Martiri della Libertà (nota come piazza Santa Caterina), la Festa del presente, “la festa in cui tutti e tutte regalano di tutto”, come recita il motto dell’evento. La festa è stata organizzata dal Distretto di Economia Solidale Altro Tirreno (DESAT), dal Gruppo Decrescita Pisa“InventiamoFuturo” e dall’Officina di Economia Solidale (OdES) su ispirazione di una manifestazione omologa che si svolge ormai da due anni a Porcari, in provincia di Lucca. Lo scopo è la celebrazione del dono in quanto quale: “l’unica regola consiste nel non fare uso di denaro, ma di donare ciò che si preferisce, anche senza ricevere nulla in cambio. Tutti sono però tenuti a riprendersi gli oggetti che non trovano un altro possessore per evitare il degrado della piazza e l’abbandono delle cose”, spiegano Francesco Cappello, Roberto Lepera e Samuele Lo Piano del gruppo “InventiamoFuturo”. A partecipare alla festa pisana sono state diverse associazioni, le quali hanno predisposto in modo autonomo i propri banchetti e stand, raccogliendo una discreta affluenza di persone: circa qualche centinaio nell’arco dell’intera giornata. A percorrere la piazza ci si poteva, così, imbattere nelle più diverse attività: dal Gazebo Shiatzu, che offriva massaggi a chiunque avesse bisogno di rimettersi in sesto, allo stand di Bilanci di Giustizia, che proponeva materiale informativo sui progetti etici ed intrattenimento per i più piccoli, fino allo Yoga della risata ed agli stand di associazioni culturali e sociali come L’Alba, Alchemia, e Ametàstrada. Alle diverse associazioni si sono aggiunti numerosi gruppi e soggetti che hanno animato il pomeriggio con attività di divulgazione scientifica, canto, musica e arte (come la lavorazione dell’argilla). I bambini sono stati senz’altro protagonisti indiscussi della giornata, vista la grande quantità di libri, vestiti e giocattoli che ciascuno liberamente posava sull’erba della piazza in attesa di qualche interessato.festa__presente

Ma la caratteristica essenziale della festa del presente è stata l’assenza di obblighi e di vincoli di reciprocità: chiunque era libero di accettare qualcosa in dono, pur non avendo nulla da contraccambiare, perché anche il saper ricevere è una qualità da non trascurare. D’altra parte non si trattava soltanto di donare cose, ma, eventualmente, di offrire servizi e disponibilità in diversi ambiti. Proprio in relazione a quest’ultima possibilità, diversi pannelli sono stati predisposti sul lato esterno della piazza per raccogliere le offerte più variegate: dalle ore di ripetizioni in una qualche disciplina, alle offerte di baby-sitter, di conversatore in lingua straniera o di fotografo. In questo modo la Festa del presente è diventata per tutti un’occasione di incontro e di condivisione in una piazza solitamente adibita a luogo di passaggio e mai di sosta, se non occasionale per gli studenti o le persone di passaggio. Gli organizzatori della Festa hanno speso molte energie nell’ideazione e promozione dell’evento, trattandosi di una manifestazione di carattere non esclusivamente simbolico. Infatti fare a meno del denaro e venirsi incontro offrendo le proprie risorse, capacità e disponibilità contraddice, da un lato, le regole dello scambio economico, dall’altro ripristina su un più alto livello la dignità del soggetto quale creatore di valori e non mero consumatore di beni. Come ricordava Baudrillard, “nell’economia del dono e dello scambio simbolico, una quantità debole e sempre finita di beni è sufficiente a creare una ricchezza generale, poiché essi passano costantemente dagli uni agli altri. La ricchezza non è fondata sui beni, ma sullo scambio concreto tra le persone. Essa è dunque illimitata, perché il ciclo dello scambio è senza fine persino tra un numero limitato di individui, ciascun momento del ciclo di scambio si somma infatti al valore dell’oggetto scambiato”. Precisamente questa dialettica di generazione di valore attraverso l’interazione concreta degli individui viene rigettata dalle forme del rapporto monetario, in cui le cose si relativizzano in funzione del mezzo di scambio. Riscoprire la pratica del dono può essere allora un modo per ricordarsi che la penuria e l’abbondanza sono anch’essi, a loro volta, concetti estremamente relativi.

Fonte. Il cambiamento

Maurizio Pallante al Teatro Rossi Aperto di Pisa

Nell’ambito degli eventi culturali e delle iniziative che animano il Teatro Rossi Aperto di Pisa, Maurizio Pallante – massimo esponente della decrescita in Italia – è stato invitato dal Gruppo pisano della Decrescita a tenere una presentazione sull’economia del dono, in vista della Festa del presente che avrà luogo a Pisa il prossimo 5 Maggio.

pallante_rossi

In vista della festa del presente organizzata dal Gruppo della Decrescita di Pisa per il prossimo 5 Maggio, Maurizio Pallante, massimo esponente della decrescita in Italia, è stato invitato a tenere una presentazione sull’economia del dono al Teatro Rossi Aperto di Pisa lo scorso 14 Marzo. L’intervento si è posto in continuità con il workshop che ha visto protagoniste a Febbraio numerose personalità della cultura e dell’arte interessate al recupero del Teatro Rossi. Nella platea affollata, ancorché fredda, Pallante ha trattato la rilevanza del dono badando a tracciare una serie di distinzioni che da sempre caratterizzano la sua opera. Anzitutto occorre non confondere fra loro la recessione – fase di stallo generalizzata, quella che viviamo attualmente -, e decrescita. Se la prima è caratterizzata da una riduzione generalizzata ed indiscriminata della produzione delle merci, causando livelli esponenziali di disoccupazione, la seconda è invece una diminuzione guidata e mirata della produzione ed è foriera di occupazione qualificata. Alla base di questo ragionamento Pallante colloca la distinzione, già marxiana, fra bene e merce, in base alla quale le merci sono oggetti di scambio e di vendita, mentre i beni soddisfano bisogni essenziali che non sono sempre, né necessariamente riducibili alla mercificazione. Anche se beni come il gas o il carbone possono essere trasformati in merci, un uso non oculato di questi ultimi è all’origine degli sprechi e del danno ambientale. Inoltre esistono beni che non sono mai trasformabili in merci (come i valori, i principi, gli affetti). Di conseguenza beni e merci non si equivalgono, mentre è fondamentale identificare le funzioni e le finalità che li caratterizzano per capire se la loro produzione soddisfi o meno bisogni reali ed essenziali. In tale contesto si colloca il senso stesso della decrescita: chiedersi, come spesso si usa fare, se il prefisso “de” abbia o meno una valenza negativa è fuorviante, poiché in questione è piuttosto la nozione di “crescita” che si vuole difendere. Si tratta di interrogarsi se il progresso da instaurare sia all’insegna della produzione incontrollata ed indiscriminata di merci, o piuttosto di un aumento selezionato e qualificato di quelle merci che non si mutano in sprechi. Per Pallante la decrescita è espressione della possibilità di costruire un’alternativa sociale ed economica, imperniata sul rilancio della domanda mediante il debito al fine di creare occupazione qualificata. Da dove prendere il denaro? “Il denaro – dice Pallante si può recuperare solo riducendo gli sprechi, che non sono quelli della pubblica amministrazione (perché in questo caso si va a colpire delle persone e quindi si influisce sul salario), bensì quelli che arrechiamo in natura. Bisogna ridurre gli sprechi delle risorse naturali per ridare lavoro, modificando gli stili di vita dei paesi occidentali e recuperando i talenti perduti nel corso delle ultime tre generazioni”. A questo proposito, rifacendosi al filosofo Richard Sennett, Pallante ha ricordato il significato del lavoro manuale come dimensione formativa, che coinvolge tutte le facoltà, affinando particolarmente quelle tattili, che veicolano informazioni più precise di quelle trasmesse dalla vista. In una società basata sulla capacità di collaborare e resa indipendente dal Pil si apre, allora, la possibilità di ricorrere al baratto e al dono come forme alternative allo scambio economico. I doveri sarebbero quelli della gratuità, che comporta l’obbligo di ricevere e di restituire più di quello che si è ottenuto. In questo caso il dono più importante è quello del tempo e la comunità potrebbe diventare la realizzazione più compiuta della collaborazione fondata sul munus, ovvero sul dono. Le idee di Pallante e gli esempi da lui proposti, per lo più concentrati su dimensioni locali (come gli sprechi nei consumi delle abitazioni, l’orto, le attività manuali), fanno capire che in gioco è soprattutto l’affermazione di un diverso paradigma culturale. Si è spesso ripetuto che, al fine di cambiare un modello, occorre proporne un altro altrettanto persuasivo ed indubbiamente il discorso di Pallante fa riflettere su quelli che sono gli scopi dell’economia politica e sulla direzione da intraprendere. Detto altrimenti, il problema che si presenta in una fase di recessione come quella in corso in Italia non si può affrontare prescindendo dalle domande relative a quale crescita ed a quale lavoro siano necessari. Al tempo stesso, se è vero che ogni modello culturale si regge su dei principi e su dei valori, il paradigma del dono prospettato da Pallante si presta anche ad un ulteriore dibattito, come quello sollevato da Tommaso Luzzati nel corso della presentazione pisana. Siamo sicuri che il dono resista alla logica del do ut des e che l’essere vincolato all’obbligo di dare e restituire non produca una regressione a modalità di collaborazione esclusivamente parentali, basate sulla conoscenza reciproca come avviene per la raccomandazione e la corruzione? Gli esempi di autoproduzione e di autosufficienza proposti da Pallante si reggono, ad esempio, sul modello della famiglia, che spesso rappresenta il solo baluardo per chi vive in situazioni di difficoltà. Ma non soltanto la gratuità offerta dalla famiglia non è esente da condizionamenti, che sono meno evidenti di quelli materiali (spesso di natura psicologica), più importante ancora è chiedersi se il dono possa essere immune dall’obbligo. La festa del presente, organizzata dal Gruppo della Decrescita per la prima volta a Pisa (Piazza Santa Caterina) il prossimo 5 Maggio, potrebbe allora essere l’occasione per ripensare questa modalità di interazione liberandola dagli stereotipi con l’esercizio dal vivo.

Fonte: il cambiamento

Debiti Pubblici, Crisi Economica e Decrescita Felice
Autori Vari

Voto medio su 1 recensioni: Da non perdere

€ 15

Un Programma Politico per la Decrescita
€ 15

La Felicità Sostenibile
€ 16