Nel 2019 in Italia un reato contro l’ambiente ogni 4 ore: l’ultimo rapporto Ecomafia

Presentato il report di Legambiente: 34.648 reati accertati nel 2019, alla media di 4 ogni ora. Un incremento del +23.1% rispetto al 2018. Campania, Puglia, Sicilia e Calabria le regioni dove si commettono più illeciti, in Lombardia più arresti

Il “virus” dell’ecomafia non si arresta né conosce crisi. Nel 2019 aumentano i reati contro l’ambiente: sono ben 34.648 quelli accertati, alla media di 4 ogni ora, con un incremento del +23.1% rispetto al 2018. In particolare preoccupa il boom degli illeciti nel ciclo del cemento, al primo posto della graduatoria per tipologia di attività ecocriminali, con ben 11.484 (+74,6% rispetto al 2018), che superano nel 2019 quelli contestati nel ciclo di rifiuti che ammontano a 9.527 (+10,9% rispetto al 2018). Da segnalare anche l’impennata dei reati contro la fauna, 8.088, (+10,9% rispetto al 2018) e quelli connessi agli incendi boschivi con 3.916 illeciti (+92,5% rispetto al 2018).
La Campania è, come sempre, in testa alle classifiche, con 5.549 reati contro l’ambiente, seguita nel 2019 da Puglia, Sicilia e Calabria (prima regione del Sud come numero di arresti). E, come ogni anno, in queste quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa si concentra quasi la metà di tutti gli illeciti penali accertati grazie alle indagini, esattamente il 44,4%. La Lombardia, da sola, con 88 ordinanze di custodia cautelare, colleziona più arresti per reati ambientali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia messe insieme, che si fermano a 86. Da capogiro il business potenziale complessivo dell’ecomafia, stimato in 19,9 mld di euro per il solo 2019, e che dal 1995 a oggi ha toccato quota 419,2 mld. 

A spartirsi la torta, insieme ad imprenditori, funzionari e amministratori pubblici collusi, sono stati 371 clan (3 in più rispetto all’anno prima), attivi in tutte le filiere: dal ciclo del cemento a quello dei rifiuti, dai traffici di animali fino allo sfruttamento delle energie rinnovabili e alla distorsione dell’economia circolare.

È questa la fotografia scattata dal Rapporto Ecomafia 2020. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia, realizzato da Legambiente, con il sostegno di COBAT E NOVAMONT, che ha analizzato i dati frutto dell’intensa attività svolta da forze dell’ordine, Capitanerie di porto, magistratura, insieme al lavoro del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, nato dalla sinergia tra Ispra e Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Il volume, edito da Edizione Ambiente, a cui hanno collaborato giornalisti e ricercatori, come Rosy Battaglia, Fabrizio Feo, Toni Mira e Marco Omizzolo, è stato presentato questa mattina attraverso la formula del talk on line in diretta streaming sulle pagine fb di Legambiente e La Nuova Ecologia. Il lavoro di ricerca, analisi e denuncia è stato dedicato quest’anno al consigliere comunale Mimmo Beneventano, ucciso dalla camorra il 7 novembre del 1980, antesignano delle battaglie di Legambiente contro l’assalto speculativo e criminale a quello che è oggi il Parco nazionale del Vesuvio; e a Natale De Grazia, il capitano di corvetta della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria scomparso 25 anni fa, il 12 dicembre del 1995, mentre indagava sugli affondamenti delle cosiddette navi “dei veleni” nel mar Tirreno e nel mar Ionio. Una vicenda ancora oscura su cui Legambiente chiede con forza che si faccia piena luce, anche grazie alle nuove iniziative assunte dal ministero dell’Ambiente, per quanto riguarda la ricerca di navi affondate al largo delle coste italiane, e dalla Commissione parlamentare Ecomafia proprio sulla morte di De Grazia. A lui è dedicato anche il webinar dal titolo “Il Capitano Umano” organizzato oggi pomeriggio, ore 17.30, in diretta streaming sulle pagine fb di Legambiente, La Nuova Ecologia, Lavialibera e Libera.  La presentazione del Rapporto Ecomafia 2020, moderata da Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente, ha visto la partecipazione di: Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente, Sergio Costa, ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Federico Cafiero De Raho, Procuratore nazionale antimafia, Alessandro Bratti, direttore generale ISPRA, Stefano Vignaroli, presidente della Commissione d’inchiesta sulle attività illecite, Luca Briziarelli, vicepresidente della Commissione d’inchiesta sulle attività illecite, Rossella Muroni, vicepresidente della Commissione Ambiente Camera dei deputati, Chiara Braga, Commissione Ambiente Camera dei deputati, Silvia Fregolent, Commissione Ambiente Camera dei deputati, Andrea Di Stefano, responsabile progetti speciali Novamont.

La presentazione di oggi è stata anche l’occasione per l’associazione ambientalista per che è fondamentale completare il quadro normativo di contrasto all’aggressione criminale ai tesori del nostro Paese a partire dall’approvazione dei seguenti provvedimenti legislativi: il ddl Terra Mia, che introduce nuove e più adeguate sanzioni in materia di gestione illecita dei rifiuti; i regolamenti di attuazione della legge 132/2016 sul Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente; il disegno di legge contro le agromafie, licenziato dal governo nel febbraio di quest’anno e ancora fermo alla Camera; il disegno di legge contro chi saccheggia il patrimonio culturale, archeologico e artistico del nostro paese, approvato dalla Camera nell’ottobre del 2018 e ancora fermo al Senato, l’approvazione dei delitti contro la fauna per fermare bracconieri e trafficanti di animali, promessa che si rinnova da oltre venti anni ed ancora in attesa che Governo e Parlamento legiferino.

“I dati e le storie presentati in questa nuova edizione del rapporto Ecomafia 2020 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – raccontano un quadro preoccupante sulle illegalità ambientali e sul ruolo che ricoprono le organizzazioni criminali, anche al Centro-Nord, nell’era pre-Covid. Se da un lato aumentato i reati ambientali, dall’altra parte la pressione dello Stato, fortunatamente, non si è arrestata. Anzi. I nuovi strumenti di repressione garantiti dalla legge 68 del 2015, che siamo riusciti a far approvare dal Parlamento dopo 21 anni di lavoro, stanno mostrando tutta la loro validità sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Non bisogna però abbassare la guardia, perché le mafie in questo periodo di pandemia si stanno muovendo e sfruttano proprio la crisi economica e sociale per estendere ancora di più la loro presenza”. “Per questo – continua Ciafani – è fondamentale completare il quadro normativo: servono nuove e più adeguate sanzioni penali contro la gestione illecita dei rifiuti, i decreti attuativi della legge che ha istituito il Sistema nazionale protezione ambiente, l’approvazione delle leggi contro agromafie e saccheggio del patrimonio culturale, archeologico e artistico, una forte e continua attività di demolizione degli immobili costruiti illegalmente per contrastare la piaga dell’abusivismo, l’introduzione di sanzioni penali efficaci a tutela degli animali e l’accesso gratuito alla giustizia per le associazioni che tutelano l’ambiente. Noi non faremo mancare il nostro contributo per arrivare entro la fine della legislatura all’approvazione di queste riforme fondamentali”. 
L’efficacia degli anticorpi – Oltre alle denunce dei cittadini, alle attività svolte da forze dell’ordine, Capitanerie di porto e magistratura, si conferma la validità di provvedimenti legislativi, spesso faticosamente approvati, come la legge sugli ecoreati (68/2015) e quella contro il caporalato, la 199/2016. Con il primo provvedimento, entrato in vigore a fine maggio del 2015, l’attività svolta dalle Procure, secondo i dati elaborati dal ministero della Giustizia, ha portato all’avvio di 3.753 procedimenti penali (quelli archiviati sono stati 623), con 10.419 persone denunciate e 3.165 ordinanze di custodia cautelare emesse. Grazie alla legge sul caporalato, nel 2019 le denunce penali, amministrative e le diffide sono state complessivamente 618, contro le 197 del 2018 (+313,7%) e sono più che raddoppiati gli arresti, passati da 41 a 99. Le aziende agricole sono quelle più coinvolte ma i controlli sui cantieri edili effettuati dal Comando carabinieri tutela del lavoro stanno rivelando un’illegalità sempre più diffusa, con 2.766 reati, 3.140 persone denunciate e 32 sequestri. 
Le piaghe da sanare – Anche nel 2019 il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale: sono ben 198 gli arresti (+112,9% rispetto al 2018) e 3.552 i sequestri con un incremento del 14,9%. A guidare la classifica per numero di reati è la Campania, con 1.930 reati, seguita a grande distanza dalla Puglia (835) e dal Lazio, che con 770 reati sale al terzo posto di questa classifica, scavalcando la Calabria. Per quanto riguarda le inchieste sui traffici illeciti di rifiuti: dal primo gennaio 2019 al 15 ottobre del 2020 ne sono state messe a segno 44, con 807 persone denunciate, 335 arresti e 168 imprese coinvolte. Quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili per 27 inchieste), pari a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna.  
Oltre ai reati legati al ciclo del cemento, resta diffusa la piaga dell’abusivismo edilizio con 20 mila nuove costruzioni (ampliamenti compresi) che secondo le stime utilizzate dall’Istat nell’ambito del Bes (l’indicatore del Benessere equo e sostenibile), resta su livelli intollerabili per un paese civile: quella, provvisoria, del 2019 è del 17,7% sul totale delle nuove costruzioni e degli ampliamenti significativi.


“La causa di questa persistenza dell’abusivismo edilizio in Italia – spiega Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente – è duplice: le mancate demolizioni da parte dei Comuni e i continui tentativi di riproporre condoni edilizi da parte di Regioni, ultima in ordine di tempo la Sicilia, leader e forze politiche. Per questo diventa indispensabile, oggi più che mai, lanciare una grande stagione di lotta all’abusivismo edilizio, prevedendo in particolare un adeguato supporto alle Prefetture nelle attività di demolizione, in caso di inerzia dei Comuni, previste dalla legge 120/2020;  la chiusura delle pratiche di condono ancora giacenti presso i Comuni; l’emersione degli immobili non accatastati, censiti dall’Agenzia delle entrate, per avviare la verifica della loro regolarità edilizia e sottoporre quelli abusivi all’iter di demolizione”.

Una particolare attenzione dovrà essere dedicata agli investimenti in appalti e opere pubbliche, soprattutto nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, anche alla luce delle ingenti risorse in arrivo dall’Europa attraverso il Next generation Eu. “I dati che pubblichiamo in questo Rapporto – aggiunge Fontana – dimostrano come in tutti i casi di scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose (29 quelli ancora oggi commissariati, dei quali ben 19 sciolti soltanto nel 2019) il principale interesse dei clan è proprio quello di condizionare gli appalti di ogni tipo, dalla manutenzione delle strade alla gestione dei rifiuti. Un fenomeno che s’intreccia con quello della corruzione”. 
A crescere è, non a caso, anche il numero di inchieste sulla corruzione ambientale, quelle rilevate da Legambiente dal primo giugno 2019 al 16 ottobre 2020 sono state 134, con 1.081 persone denunciate e 780 arresti (nel precedente Rapporto le inchieste avevano toccato quota 100, con 597 persone denunciate e 395 arresti). Il 44% delle inchieste ha riguardato le quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso, con la Sicilia in testa alla classifica (27 indagini). Da segnalare, anche in questo caso, il secondo posto della Lombardia, con 22 procedimenti penali, seguita dal Lazio (21). 
Nella Terra dei Fuochi, nel 2019 sono tornati a crescere di circa il 30% rispetto al 2018 i roghi censiti sulla base degli interventi dei Vigili del fuoco, arrivati quasi a quota 2.000.  Preoccupanti anche i dati sugli incendi boschivi scoppiati nella Penisola: nel2019 sono andati in fumo 52.916 ettari tra superfici boscate e non, con un incremento del 261,3% rispetto al 2018. I reati accertati sono stati 3.916, con una crescita del 92,5% sull’anno precedente. Il 50,3% dei reati si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, dove è andato in fumo il 76% del territorio percorso dal fuoco a livello nazionale, con la Calabria (548 reati) in cima alla classifica. Tra le altre piaghe da sanare,anche quella dei reati contro gli animali. Parliamo di 8.088 reati, più di 22 al giorno, con 7.046 persone denunciate, 2.629 sequestri effettuati e 39 arresti. Legambiente stima che i fatturati illegali legati a queste attività ammontino a 3,2 mld di euro l’anno.

Sul fronte agromafie, nel 2019 aumentano del 54,9% i reati penali e gli illeciti amministrativi in questo settore. Crescono gli arresti (193 quelli eseguiti lo scorso anno, +22,2%), i sequestri (+12,3%, a quota 11.975), le sanzioni, sia penali che amministrative (59.036, con un incremento del 24,6% rispetto al 2018). Un’attenzione particolare meritano i risultati dei controlli effettuati contro l’utilizzo illegale di pesticidi e altri prodotti chimici, compresi quelli messi al bando perché cancerogeni, come hanno rivelato recenti inchieste giornalistiche: 268 i reati penali e gli illeciti amministrativi contestati, 162 persone oggetto di denunce e diffide, 23 sequestri e 216 sanzioni penali e amministrative emesse.  
Per quanto riguarda le archeomafie, nel 2019 sono significativamente in crescita le denunce (1.730 contro le 1.526 del precedente Rapporto), le persone arrestate (73, più del doppio del 2018), i sequestri, 640, con un aumento del 238,6% rispetto a quelli del 2018 ma il dato più significativo è quello che riguarda le opere e i reperti recuperati grazie al lavoro delle forze dell’ordine: ben 905.472, con una crescita del 1.397,7% rispetto al 2018. 
Infine il Rapporto descrive le illegalità sulla gestione di Pneumatici fuori uso (PFU), buste di platica e gas HFC. Le stime, elaborate sulla base delle conoscenze acquisite grazie alle attività svolte dall’Osservatorio flussi illegali di pneumatici e pneumatici fuori uso, fanno oscillare i flussi di pneumatici messi illegalmente in commercio tra le 30.000 e le 40.000 tonnellate annue, con il mancato versamento del contributo ambientale per circa 12 milioni di euro e un’evasione dell’Iva di circa 80 milioni di euro. Uno scenario confermato dalle segnalazioni raccolte attraverso la piattaforma di whistleblowing “Cambio pulito”, attraverso 361 denunce con 301 società, italiane e straniere, segnalate per la vendita illegale di pneumatici, dall’online al dettaglio.  Secondo l’Osservatorio di Assobioplastiche, nel nostro paese vengono commercializzate circa 23.000 tonnellate di buste usa e getta fuori legge, per un valore complessivo di 200 milioni di euro. In media, su 100 buste in circolazione 30 sarebbero completamente fuori norma. Non si tratta soltanto di quelle di plastica ma anche di buste “pseudo-compostabili”: nel corso degli ultimi 5 anni il tasso di non conformità verificato dai laboratori Arpa si è attestato intorno al 60%. Infine, il mercato parallelo e illegale di gas HFC ammonterebbe nel 2019 in Europa ad almeno 3.000 tonnellate. In termini di impatto ambientale, questo commercio illecito può essere valutato in circa 4,7 milioni di tonnellate equivalenti di CO2, pari alle emissioni generate dall’utilizzo medio annuale di 3,5 milioni di automobili di ultima generazione. Secondo l’EFCTC si tratta, con ogni probabilità, soltanto della punta dell’iceberg. Con la presentazione del Rapporto Ecomafia 2020 si concludono i sette incontri tematici organizzati da Legambiente con istituzioni, imprese e associazioni per individuare le migliori proposte per il Piano nazionale di ripresa e resilienza che il Governo italiano dovrà presentare in Europa entro aprile 2021.

Fonte: ecodallecitta.it

I delitti contro l’ambiente diventeranno reati da codice penale

Approvato alla Camera il testo che introduce i delitti ambientali come reati nel codice penale. Tra questi il disastro ambientale e il traffico di materiale radioattivo, oltre all’introduzione della confisca obbligatoria del profitto del reato. “È un risultato storico e atteso da tempo” dice Ermete Realacci

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“È un risultato storico e atteso da tempo il via libera al testo unificato sui delitti ambientali arrivato oggi dalla Camera, un traguardo al quale lavoro da anni”. Così Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente Territorio e Lavori pubblici della camera, dopo l’approvazione da parte di Montecitorio del testo che introduce i delitti ambientali come reati nel codice penale, nato da una proposta di legge di cui Realacci fu primo firmatario (Realacci A.C.342). Ora si aspetta il via libera dal Senato ma il cambiamento è chiaro. “Con questo importante provvedimento sul rafforzamento dell’azione penale in ambito ambientale – prosegue Realacci – si renderà più efficace il contrasto alle illegalità e alle ecomafie, adeguando finalmente il nostro codice penale ai sempre più diffusi reati contro l’ambiente e alla normativa europea in materia(direttiva n. 2008/99/ce). Crimini che, stando al rapporto ecomafia di Legambiente, fruttano alla malavita organizzata circa 16,7 miliardi l’anno”.  “Ho due ragioni per essere contento” – ha dichiarato il neoministro della Giustizia ed ex ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando – “perché c’è un sistema sanzionatorio che, al di là della gravità delle pene, è congruo. Soprattutto ha una proporzionalità, perché spesso comportamenti per illeciti marginali venivano punti esattamente come illeciti che provocano danni gravissimi per lunghissimo tempo”. “Tra i punti qualificanti del testo unificato – spiega Realacci – l’introduzione di nuovi reati a partire da quello di disastro ambientale. Introdotti anche i delitti di inquinamento ambientale,traffico di materiale radioattivo e impedimento di controllo, l’aggravante per chi commette reati ambientali in forma associativa e il ravvedimento operoso, le disposizioni per la confisca del profitto generato dal reato ambientale e l’obbligo al ripristino dei luoghi in caso di condanna o patteggiamento. Mi auguro che il testo unificato licenziato  oggi dalla camera venga approvato rapidamente dal senato perché rappresenta un passo avanti importante nella lotta contro le ecomafie e le illegalità”. “Da venti anni aspettavamo l’inserimento dei delitti contro l’ambiente nel codice penale per poter combattere con strumenti efficaci la criminalità ambientale”, commenta la direttrice generale di Legambiente Rossella Muroni. “Si tratta di una riforma di civiltà indispensabile per il nostro paese e ulteriori miglioramenti potranno venire dal passaggio al Senato”. Ecco I punti salienti del testo (dal sito web di Ermete Realacci)

TESTO UNIFICATO DELITTI AMBIENTALI (DA PROPOSTE DI LEGGE A.C. 342 REALACCI, A.C. 957MICILLO  E  A.C. 1814 PELLEGRINO) NUOVIREATI Quattro i delitti introdotti nel codice penale. Disastro ambientale: punisce con il carcere da 5 a 15 anni chi altera gravemente o irreversibilmente l’ecosistema o compromette la pubblica incolumità. Inquinamento ambientale: prevede la reclusione da 2 a 6 anni(e la multa da 10mila e 100mila euro) per chi deteriora in modo rilevante la biodiversità o l’ecosistema o la qualità del suolo, delle acque o dell’aria. Se non vi è dolo ma colpa, le pene sono diminuite da un terzo alla metà. Scattano invece aumenti di pene per i due delitti se commessi in aree vincolate o a danno di specie protette. Traffico e abbandono di materiale di alta radioattività: colpisce con la pena del carcere da 2 a 6 anni (e multa da10mila a 50mila euro) chi commercia e trasporta materiale radioattivo o chi sene disfa illegittimamente. Impedimento del controllo: chi nega o ostacola l’accesso o intralcia i controlli ambientali rischia la reclusione da6 mesi a 3 anni.  AGGRAVANTE ECOMAFIOSA. In presenza di associazioni mafiose finalizzate a commettere i delitti control’ambiente o a controllare concessioni e appalti in materia ambientale scattano le aggravanti. Aggravanti, peraltro, sono previste anche in caso di semplice associazione a delinquere e se vi è partecipazione di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.  SCONTIPENA. Pene ridotte da metà a due terzi nel caso di ravvedimento operoso: Ossia se l’imputato evita conseguenze ulteriori, aiuta i magistrati a individuare colpevoli o provvede alla bonifica e al ripristino. RADDOPPIO PRESCRIZIONE. Per i delitti ambientali i termini di prescrizione raddoppiano. Se poi si interrompe il processo per dar corso al ravvedimento operoso, la prescrizione è sospesa.
OBBLIGO CONFISCA. In caso di condanna o patteggiamento della pena è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato e delle cose servite a commetterlo o comunque di beni di valore equivalente nella disponibilità (anche indiretta o per interposta persona) del condannato.  CONDANNA AL RIPRISTINO. Il giudice, in caso di condanna o patteggiamento della pena, ordina il recupero e dove tecnicamente possibile il ripristino dello stato dei luoghi a carico del condannato. GIUSTIZIA RIPARATIVA. In assenza di danno o pericolo si rafforza per le violazioni amministrative e le ipotesi contravvenzionali previste dal codice dell’ambiente l’applicazione della ‘giustizia riparativa’ puntando alla regolarizzazione attraverso l’adempimento a specifiche prescrizioni. In caso di adempimento il reato si estingue. COORDINAMENTO INDAGINI. In presenza dei delitti contro l’ambiente (‘reati spia’), il pm che indaga dovrà darne notizia al procuratore nazionale antimafia.

 

Fonte: ecodallecittà

Roghi di rifiuti: la punta dell’iceberg di un problema che viene da molto lontano

In questo periodo, la vicenda venuta alla luce dei roghi di rifiuti tossici a cielo aperto che hanno contaminato l’aria e le colture di intere zone del nostro paese ha scosso le coscienze delle popolazioni interessate e delle istituzioni. Tuttavia il problema nasce da un’altra parte e ossia affonda le sue radici nella cultura dell’immoralità ai fini del facile guadagno e del consumismo bieco alla ricerca di un’impossibile soddisfazione materialeterra_fuochi2

La Terra dei fuochi è una zona della Campania dove per tanti anni è stata bruciata, sepolta o accumulata un’elevata quantità di rifiuti tossici, i cui residui sono poi finiti nell’aria e nei terreni coltivati con frutta e ortaggi come pesche, zucchine, broccoli, spinaci, e soprattutto pomodori, venduti poi in Italia e all’estero. Il termine Terra dei fuochi è stato coniato nel 2003 da Legambiente per denunciare l’ecocidio del Sud Italia, e in particolare per definire un’aera compresa tra le province di Napoli e Caserta, dove in 22 anni sono stati sversati circa 10 milioni di tonnellate di veleni, con oltre 400.000 camion che arrivavano dal Nord per seppellire scorie industriali e addirittura nucleari. Negli anni Novanta, il pentito di camorra Carmine Schiavone aveva rivelato alle autorità giudiziarie che in Campania e anche in Sicilia, Puglia, Calabria e, risalendo, fino alle zone di Latina, parecchi terreni erano stati utilizzati per sotterrare rifiuti tossici, ma queste dichiarazioni sono state rese pubbliche solo negli ultimi mesi, in quanto erano coperte da segreto di Stato, a scapito della salute dei cittadini. La frutta e gli ortaggi raccolti in questi terreni sono stati sottoposti ad analisi scientifiche ed è risultato che sono strapieni di metalli pesanti in quantità superiore ai valori consentiti con mercurio, arsenico, manganese e piombo, che se ingeriti quasi ogni giorno, e per lungo tempo, provocano tumori e gravi malattie. Nella Terra dei fuochi sono già decedute moltissime persone e altre sono gravemente ammalate a causa dei terreni contaminati e anche per l’aria inquinata da nubi di diossina e sostanze nocive sprigionate dai rifiuti illegali che vengono bruciati quotidianamente. Secondo i dati raccolti dai Vigili del fuoco, dal primo gennaio 2012 al 31 agosto 2013 i roghi di rifiuti, materiali plastici, scarti di lavorazione del pellame, stracci e altro sono stati 6.034, di cui 3.049 in provincia di Napoli e 2.085 in quella di Caserta. In questi giorni, l’Istituto nazionale tumori Pascale di Napoli ha presentato uno studio che mostra come in Campania il numero delle persone colpite da neoplasia al polmone stia aumentando, e su un campione di 500 pazienti operati al Pascale circa 175 provengono dalla Terra dei fuochi. Pure l’Istituto superiore di sanità (ISS) è concorde nell’affermare che i continui smaltimenti illegali di rifiuti con dispersione di sostanze nocive nel suolo e nell’aria sono in stretta correlazione con l’incremento significativo di patologie tumorali in Campania. In diverse trasmissioni televisive o radiofoniche capita spesso di ascoltare delle interviste agli abitanti della Terra dei fuochi e quasi tutti incolpano gli industriali del Nord, i politici di Roma e i contadini proprietari dei terreni, ma nessuno dice esplicitamente che la causa di questo grave problema è in prevalenza la camorra. Viene in mente la scena del noto film di Roberto Benigni Jonny Stecchino, quando l’autore, come personaggio-sosia del suo omonimo boss mafioso, è in macchina con l’avvocato che lo informa delle piaghe siciliane dicendo che un problema in Sicilia è il vulcano Etna, un altro grosso problema è la siccità e la terza piaga più grave di tutte è il traffico, soprattutto a Palermo, con troppe macchine che impediscono di vivere causando scontri tra famiglie, ed evitando in tutti i modi di dire che la causa dei mali siciliani è la mafia. Come riportato da molte fonti e autori che si occupano di criminologia, quasi tutto il territorio del Sud Italia, da Napoli in giù, è oramai controllato totalmente dalla criminalità organizzata, che con decenni di dominio intimidatorio ha soggiogato le menti della popolazione che vive nella paura e nell’omertà. Le mafie funzionano come uno Stato che si sostiene riscuotendo le tasse (pizzo) dalle attività commerciali e imprenditoriali, ma invece di erogare servizi sociali, investe in attività illecite (dalla droga ai rifiuti tossici) per poi riciclare i proventi in attività lecite (dall’edilizia al gioco di azzardo). Il giudice Giovanni Falcone diceva che la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni avrà una fine, ma da quando nel 1992 lo hanno fatto saltare in aria nella strage di Capaci il percorso delle mafie è stato inarrestabile, sviluppandosi economicamente in altre zone del Nord Italia ed esportando dal Sud una condizione di paura che anni fa al Nord non era conosciuta. L’ultimo rapporto di SOS IMPRESA della Confesercenti, giunto alla XIII edizione, descrive un giro di affari delle mafie italiane di circa 137 miliardi di euro nel 2010, con una crescita rispetto ai 135 miliardi di euro del 2009. Oltre 70 miliardi di euro dei ricavi provengono dai traffici illeciti, circa 25 miliardi da tasse mafiose tra racket ed usura e circa 16 miliardi dalle attività delle ecomafie, generandosi complessivamente una liquidità da investire che supera i 65 miliardi di euro. Gli utili sono anch’essi incrementati di anno in anno, in quanto le mafie, come le aziende, hanno attuato misure di riduzione dei costi con il taglio dei compensi alla manovalanza e molti “picciotti” si sono riorganizzati aprendo delle proprie imprese, ovviamente gestite irregolarmente tra falso in bilancio, fatture fittizie, insolvenze verso fornitori, evasione fiscale, riciclaggio e corruzione. Il giornalista Carlo Lucarelli nella prefazione al rapporto Ecomafia 2013 di Legambiente (edito da Edizioni Ambiente) scrive che «Il business della criminalità organizzata non conosce recessione e, anzi, amplia i suoi traffici con nuove rotte e nuove frontiere […]. Con una lungimiranza e una profondità che politici, imprenditori, istituzioni e cittadini spesso non hanno o fanno finta di non avere, le mafie sono riuscite a fare sistema penetrando in tutti i settori della nostra esistenza in maniera globale e totalitaria». Per sconfiggere le mafie è fondamentale intercettare il loro denaro, non pagare più il pizzo interrompendo l’origine monetaria e trasformare la paura in ostilità per ribellarsi. Tutto questo è estremamente difficile, perché ognuno non rischia la propria vita e soprattutto quella dei familiari, ma qualcosa sta iniziando a muoversi e ci sono adesso alcuni cittadini che stanno alzando la testa come in Campania, dove recentemente sono scesi in piazza per denunciare la vicenda dei rifiuti tossici. Quando dal basso si muove l’opinione pubblica, lo Stato è costretto a intervenire. Uno dei primi interventi è stato realizzato qualche giorno fa dal Dipartimento investigativo antimafia (DIA) che ha arrestato Cipriano Chianese considerato l’inventore del traffico illegale di rifiuti per conto del clan dei Casalesi. Chianese è un avvocato, imprenditore e massone, cui nel 1993 gli era già stato contestato il reato di associazione mafiosa in seguito a un’inchiesta sullo smaltimento illecito di rifiuti, e che era stato in seguito assolto. Nel 1994 Chianese si era poi candidato alla Camera dei deputati nelle liste di Forza Italia. Per quanto riguarda invece l’intervento della politica, il 10 dicembre 2013, il governo ha emanato un decreto legge per il controllo, nei prossimi anni, di tutti i terreni della Terra dei fuochi sospettati di contenere nocività tossiche con azioni che riguarderanno il monitoraggio e le classificazioni dei suoli, l’accertamento dello stato d’inquinamento, la riforma dei reati ambientali, l’accelerazione e la semplificazione degli interventi necessari e infine lo stanziamento di risorse per le bonifiche. Considerando però, che una buona parte dell’economia nazionale è ormai supportata da mafiosi, politici conniventi, funzionari pubblici infedeli, imprenditori senza scrupoli e professionisti senza etica, vi è il rischio che il denaro da investire per il risanamento territoriale campano vada nelle mani di questi soggetti malavitosi. Proprio due giorni fa, il Sindaco del Comune di Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, è stato sorpreso dai Carabinieri mentre intascava una mazzetta di 15.000 euro da un imprenditore del settore dei rifiuti. Siamo dinnanzi a una realtà gattopardesca dell’apparenza del cambiare tutto per non cambiare sostanzialmente nulla, ma c’è sempre l’ultima speranza che qualcosa possa mutare veramente e nell’attesa è meglio consumare ortofrutta a chilometro zero acquistandola dal contadino locale dove possiamo vedere le terre che coltiva al fine di evitare alimenti nocivi.

Fonte: il cambiamento