La bellezza a… chimica zero!

E’ possibile una bellezza a… chimica zero? Sì, è possibile. E c’è chi ne ha fatto un mestiere, come il salone ChimicaZero, il primo a Bologna con una direzione ecologica, olistica e biodinamica in cui il percorso di bellezza personalizzato si inserisce in una proposta di benessere psicofisico profondo della persona che, a sua volta, è compatibile con il benessere e il rispetto del nostro pianeta.9553-10312

La bellezza è un concetto difficile da spiegare. Tutti sappiamo cos’è e quanto sia importante sebbene ciascuno di noi ne abbia un’idea del tutto propria e soggettiva. Si percepisce, in realtà, attraverso tutti i nostri sensi, i cinque che conosciamo ma anche quelli meno esplorati, interiori, di cui non sappiamo molto o con i quali abbiamo poca confidenza.

Le immagini delle pubblicità, dei social, dei media ci propongono spesso una bellezza del tutto esterna, non solo esteriore, quasi matematica, prodotto della somma di più elementi perfetti che, messi insieme, danno un risultato conforme ai canoni validi del nostro tempo e della nostra società leggera, veloce, sempre più scissa, inconsapevole, distratta. I prodotti e i trattamenti stessi, offerti da aziende ed operatori dedicati sono spesso pensati nell’ottica del nascondere, coprire o fingere. Una bellezza, quindi, tutta tesa all’impressione, all’apparenza, alla copertura più o meno efficace di difetti di cui qualche volta ci vergogniamo, in contemplazione di un modello ideale valido per tutti. Di bellezza hanno discusso e  pensato filosofi della grandezza di Aristotele, Platone, Kant. E’qualcosa che fa profondamente parte del modo di essere, pensare e sentire umani. Un bisogno tutt’altro che superficiale o effimero quando si esprime nella ricerca di un se stesso più possibile autentico, quando si coniuga con lo scoprirsi come si è invece che, al contrario, camuffarsi, somigliare o conformarsi a un modello in cui non ci riconosciamo. La nostra bellezza è spesso la nostra profonda espressione interiore che si manifesta all’esterno, che viene aiutata, spinta ad uscire quando ci sentiamo bene. In questa ottica di integrazione tra bellezza e benessere profondo come in un tutto unico operano i saloni come ChimicaZero, il primo a Bologna con una direzione ecologica, olistica e biodinamica in cui il proprio, personalizzato percorso di bellezza si inserisce in una proposta di benessere psicofisico profondo della persona che, a sua volta, è compatibile con il benessere e il rispetto del nostro pianeta. Ne parliamo con Francesca Ventura, 43 anni, dopo un passato di lavoro in aziende tradizionali cambia strada e fonda ChimicaZero, quattro anni e mezzo fa a Bologna (via Fratelli Rosselli 8/AB, tel 051 6494741). Prima manager in una multinazionale poi un percorso personale e di crescita attraverso meditazione, yoga e discipline legate al mondo della medicina complementare. Da lì le viene in mente l’idea di integrare l’estetica con il benessere, l’operatore estetico con quello olistico.

Che cos’è il salone ChimicaZero?

Il nostro centro di estetica e acconciatura ha un indirizzo ecologico, olistico, biologico e biodinamico.  Sono le caratteristiche essenziali dei nostri trattamenti. Olistico perché nell’offerta dei  nostri trattamenti cosmetici ed estetici inseriamo percorsi di benessere della persona. La cliente, cioè, riceve un trattamento estetico ma anche di benessere psicofisico profondo. E lo facciamo in modo radicale.

Può farci un esempio?

Facciamo trattamenti energetici sia con le mani che con dispositivi paramedicali, quindi, ad esempio, all’interno del salone usiamo acqua alcalinizzata e ionizzata. Quando i clienti arrivano bevono succhi o tisane preparati con questa acqua. Quando lavano i capelli sono distesi su lettini e durante le pose ricevono trattamenti energetici con un cuscino che è un dispositivo in grado di riequilibrare il sistema elettromagnetico del corpo. Vengono riequilibrati i punti di accumulo e di scarico energetico. Quando si fa una pedicure si fa anche un trattamento di riflessologia plantare e la stessa cosa per le mani. Se si fa un’epilazione si riceve anche un massaggio sul lettino massaggiante.

Che prodotti utilizzate?

Usiamo prodotti Organic Way per ciò che riguarda capelli e corpo.

In che modo i parrucchieri e i saloni di bellezza in generale incidono sull’inquinamento ambientale?

Con i lavaggi, tutto viene riversato nelle acque chiare e i prodotti defluiscono nell’acqua che poi utilizziamo. Non ce ne rendiamo conto e nessuno ci fa troppo caso. Si fa attenzione più al domestico e alle attività industriali ma ci sono le attività commerciali e artigianali che non hanno una regolamentazione in questo senso. In realtà sono produttori di inquinamento e rifiuti ed ha senso lavorare in questo modo almeno per scelta personale se non per normativa.

Chi sono i vostri clienti?

Ci sono tantissimi clienti. C’è molto interesse per le tecniche complementari di benessere.

Come viene formato il vostro personale?

E’ difficile trovare personale preparato ed è per questo che facciamo anche formazione. Non c’è molta attenzione all’ambiente nell’ambito della cosmetica. Bisogna portare gli operatori a ragionare in un altro modo. E’ necessario andare oltre la tendenza della moda stagionale includendo un ragionamento diverso e accogliendo le persone, coccolandole e ascoltandole. I corsi di formazione sono continui per  un nuovo approccio concettuale a metodiche di lavoro nuove. Anche i prodotti, infatti, vengono usati in modo diverso rispetto a quelli tradizionali.

I costi sono più alti rispetto a un salone tradizionale?

Una messa in piega per i capelli costa 23 euro inclusi i trattamenti olistici, il colore viene 40 euro. Il taglio tra i 25 e i 30 euro. Sono prezzi medi per Bologna e non sono molto diversi da quelli di un salone tradizionale. E’ una scelta di ChimicaZero. Se parlo di sostenibilità voglio che la nostra offerta sia accessibile per la maggior parte delle persone. Se si vuole apportare un cambiamento consapevole si devono raggiungere più persone possibile. Se non  è per tutti si riduce la possibilità di incidere sulle persone e sull’ambiente sociale e urbano, non solo naturale. Ci sono altri saloni bio che scelgono di fare diversamente. E’ una mia scelta di principio. I prodotti biologici provenienti da agricoltura biodinamica costano normalmente quasi il doppio delle marche tradizionali e i tempi di lavorazione sono più lunghi se si vogliono offrire anche tecniche di benessere. Le sedute durano più tempo e l’operatore accompagna il cliente in tutte le fasi.

Qual è il futuro dei saloni di bellezza?

Il futuro è questo e ci credo in modo totale come consulente e imprenditore. Per me o si va sul lavoro di quantità e low cost, una scelta che va in una direzione di massa con standard qualitativi bassi e non considera tutta una serie di aspetti ecologici ed etici, oppure si va in direzione opposta e ci si prende cura delle persone. Noi scegliamo di trattare le persone come tali e non come clienti.

Che origine hanno i prodotti?

Coltivazione a km zero in agricoltura biodinamica. Oppure da ingredienti biologici e naturali. Gli oli essenziali vengono utilizzati al posto dei profumi.

Che relazione c’è tra Organic Way e ChimicaZero?

Il salone è un mio progetto ed è nato sulla base della scelta di un prodotto che risponda a una serie di principi e sull’idea di creare qualcosa che conciliasse capelli, benessere olistico ed estetica vibrazionale. C’è una collaborazione tra le due aziende. Tutto ciò che viene fatto all’interno del salone è ChimicaZero e i prodotti provengono da questa azienda, che si associa molto bene lavorando coi nostri stessi valori di base.

Che cosa intendete con prodotti personalizzati?

Possiamo acidificare o alcalinizzare l’acqua e possiamo quindi cambiare il ph dei preparati che usiamo. In questo modo possiamo ricavare prodotti personalizzati sulla base del ph della pelle e dei capelli della persona, con effetti di idratazione e lenizione, ad esempio. Ogni cliente poi al suo arrivo riceve un’analisi con tricocamera su cute e capelli e insieme si scelgono ogni volta i programmi di lavaggio e trattamento più indicati.

Si può fare tutto in modo naturale? Anche colori e permanenti?

Con il naturale integrale si possono fare alcune cose e con la chimica verde delle altre. Ad esempio l’ondulazione agisce diversamente dentro il capello dal punto di vista biochimico rispetto alla permanente tradizionale. Le decolorazioni si ottengono necessariamente con prodotti che contengono una parte chimica ma non contengono sostanze tossiche o allergizzanti per la persona o inquinanti per l’ambiente.

Che significa ChimicaZero?

Una parte di chimica c’è ma non è tossica. Fin dove si può. ChimicaZero è provocatorio come marchio. Facciamo tutto ciò che si può fare in assenza di chimica di sintesi e il resto lo facciamo con la chimica verde.

Che si intende per chimica verde?

Nella cosmetica, significa formulare in assenza di tutta una serie di sostanze nocive per l’uomo e l’ambiente, sostituendole progressivamente con ingredienti naturali, biologici e, nel nostro caso, biodinamici. Significa usare packaging ecologici. Significa cercare il miglior bilanciamento possibile fra bellezza e salute, fra efficacia e naturalità.

Offrite anche make up naturale o minerale?

Il trucco non lo facciamo per scelta solo perché di solito ci viene chiesto il make up da cerimonia che deve essere waterproof, in grado di essere resistente e duraturo. E’ difficile, però, produrre trucchi senza polimeri o sostanze di sintesi che sia resistente o semipermanente. Così decidiamo di non farlo. Allo stesso modo e per le stesse ragioni non facciamo interventi di ricostruzione per le unghie o smalti semipermanenti. Il make up è possibile realizzarlo e se ne realizzano anche di bellissimi però hanno una durabilità ridotta. Abbiamo fatto una scelta di principio. Se dobbiamo utilizzare trucchi resistenti non ha più senso chiamarci così. Al momento la chimica verde sta facendo molti passi avanti in questa direzione e magari tra qualche anno sarà possibile.

Quali sono i vantaggi di  usare prodotti a chimica zero o chimica verde?

Stiamo assistendo a un aumento di casi di sensibilità o allergie ai prodotti chimici che usiamo ogni giorno. Nel tempo viene colpito anche il nostro sistema immunitario. Anche per l’ambiente è molto meglio, sia in termini di impatto produttivo sia durante l’uso in salone.

Che cos’è la bellezza?

Per me è la perfetta manifestazione dello spirito. Quando si ha un benessere psicofisico e si  salvaguarda la propria bellezza interiore, la bellezza esteriore diventa l’espressione più completa della persona. Se ci abbini taglio, colore e trattamenti giusti la risalti ma in realtà è la scelta che fai per materializzare ciò che c’è dentro di te.

Fonte: ilcambiamento.it

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Torino: “La ristorazione scolastica ecologica? Una follia ma funziona”. Parola di chi l’ha messa in atto

Abbiamo incontrato Claudio Marsili, direttore della sezione Piemonte e Liguria di Camst, l’azienda che ha in appalto la ristorazione delle scuole torinesi. “Eroghiamo 27 mila coperti con spreco zero, stoviglie lavabili, prodotti di filiera corta. Non mi rendo neppure conto di cosa abbiamo creato”4

Da circa tre anni la città di Torino ha riorganizzato il proprio servizio di ristorazione scolastica cercando di renderlo maggiormente ecosostenibile. Il capitolato d’appalto approvato dall’assessorato alle Politiche Educative, considerato uno dei più avanzati d’Italia, prevede tra le altre cose la filiera corta per i prodotti alimentari e l’abolizione delle stoviglie di plastica a favore di quelle lavabili e quindi riutilizzabili. Come ha documentato il Politecnico di Torino, i risultati sono stati di grande rilievo: la scelta dell’uso di stoviglie lavabili, l’uso di acqua di rete e i prodotti a filiera corta hanno determinato una riduzione di CO2 prodotta complessivamente dal servizio di ristorazione di 587,76 tCO2 eq/anno (pari a 1/3 del totale), corrispondente alle emissioni di 6274 viaggi Torino-Roma in utilitaria. Sempre su questo fronte, lo sforzo di razionalizzare i percorsi per la distribuzione in città dei pasti ha portato a una riduzione del 12% delle distanze percorse (392 km/giorno in meno, corrispondenti a più di 80.500 chilometri risparmiati in un anno scolastico) e un minor impatto sul traffico delle ore mattutine. La sostituzione del parco autoveicoli da mezzi a gasolio a quelli a metano ha comportato inoltre una contrazione nell’emissione di polveri sottili. Per andare oltre i risultati e capire come è avvenuto il cambiamento dalla prospettiva di chi l’ha messo in atto, Eco dalla Città ha incontrato Claudio Marsili, direttore della sezione Piemonte e Liguria di Camst, l’azienda che ha in appalto il servizio di ristorazione.

Cosa avete pensato quando avete letto la gara indetta dalla Città?

“Torino ha organizzato un capitolato d’appalto che per uno che fa il mio mestiere era una follia: spreco zero, tutto riutilizzabile, prodotti alimentari da filiera corta. Per un anno abbiamo fatto molti tentativi, ma le soddisfazioni vere sono arrivate solo dal secondo. Oggi, al terzo, non mi rendo neppure conto del mostro che abbiamo creato. Eroghiamo 27 mila coperti giorno di piatti in melammina, bicchieri in bicarbonato e posate in acciaio. Siamo arrivati a questa scelta lavorando con il comune per capire quale fosse il materiale più adatto per fornire un servizio di stoviglie lavabili di questa portata, che sviluppa una grossa mole e che implica grossi pesi da movimentare per gli operatori. Bisognava inoltre garantire il fatto che le stoviglie durassero nel tempo e soprattutto che non fossero pericolose per i bambini e fossero quindi lavabili moltissime volte. La nostra attività inizia alle 5 del mattino. Non ho niente di pronto. Cuciniamo tutto entro le 10. Trasportiamo tutto tra le 10 e le 12. Il consumo avviene dalle 12 alle 13. Dalle 13 alle 20 rilaviamo, risistemiamo e sterilizziamo tutto. Se lei immagina tutto questo immagina pure che non si può sbagliare mai: non si può tardare mai, non posso avere inceppi né alcun tipo di anomalia. Se si rompe la lavastoviglie la devo riparare mentre sto lavorando perché non posso averne quattro di scorta. È chiaro che un progetto di questo tipo va pensato prima della gara d’appalto. Servono investimenti importanti soprattutto alla luce del fatto che non esisteva niente del genere, sia in termini di mezzi, che in termini di oggetti, che di impianti di lavaggio. Dopo di che bisogna metterlo in pratica: tra pensare un cosa ed efficientarla c’è un mondo”.

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Come vi siete organizzati dunque per rispondere alla richiesta?

Abbiamo fatto delle ipotesi contabili per capire cosa fosse meglio e siamo giunti ad un conclusione che oggi funziona: 54 mezzi che girano per Torino con cui vengono effettuate consegne e ritiri, tutti a metano di nuova generazione, tutti equipaggiati con sponda idraulica che permette di sollevare pesi molto grandi altrimenti incompatibili con la manualità. I mezzi li abbiamo comprati apposta per questo appalto e richiesti con determinate caratteristiche perché così come ci servivano, cioè con cassone termico e sponda idraulica, non erano presenti sul mercato. Sono costati 36 mila euro l’uno. Inoltre sono stati adattati alla città di Torino. Un solo esempio: il serbatoio del metano è allocato nella parte bassa, di fianco a quello del gasolio, così in basso che nei dossi toccava. Al terzo serbatoio distrutto abbiamo dovuto far rialzare tutti gli ammortizzatori dei mezzi.

In secondo luogo abbiamo ragionato sul lavaggio: il piatto nuovo doveva essere identico a quello di plastica usa e getta e questo ha creato dei problemi, perché il piatto della città di Torino è rettangolare, con lo scomparto per i secondi. La curvatura necessaria alla divisione di questi due spazi nei sistemi moderni è un’angoscia. Ad oggi però siamo riusciti ad organizzare tutto in un unico sistema di lavaggio, con un’unica squadra che si alterna a multipli di 4 ore, perché l’attività è talmente ripetitiva che alla quinta i lavoratori alzerebbero la mano giustamente. Vengono lavati 27 mila coperti al giorno, confezionati in scatole asetticamente sterilizzate quotidianamente in multipli da 20 (400 coperti), con all’interno 20 piatti scodella per i primi, 20 piatti a bis per i secondi, 20 bicchieri incastellati e il set per 20 persone di posate in acciaio. Tutto questo viene messo su pedane e incellofanato per evitare qualsiasi contaminazione e spedito coi mezzi. Dalla forchetta alla cappa della cucina, tutto viene sanitizzato ogni singolo giorno. Quando qualche tempo fa è nata una discussione sull’asetticità di piatti e posate, abbiamo instaurato un sistema di analisi che ci permette di fare il tampone all’arrivo a scuola. I risultati hanno detto che sono più asettici della plastica.

Per quanto riguarda il trasporto? 

C’è un’organizzazione folle, calcolata al minuto e al metro: al mattino l’autista carica i piatti, le derrate crude delle materne, il pane e la frutta di elementari e medie e inizia in una zona x, calcolando il percorso in base alle consegne. Finite queste torna al centro di cottura per caricare i pasti i caldi e inizia un altro giro analogo. Il tutto seguendo un percorso lineare, senza avanti e indietro, sennò altro che risparmio di Co2. È un lavoro estremamente complicato. Si può dire che è stato creato un mondo quindi. In questo momento è un sistema funziona e secondo noi è pienamente efficiente.

Meglio adesso o meglio prima?

Per noi era cento volte meglio prima. La plastica permetteva una manualità che con i materiali attuali è impensabile. Per la collettività invece è molto meglio adesso, ma visto che della collettività facciamo parte anche noi… col sistema attuale io nel rifiuto organico butto tutto quello che non è stato consumato, senza perdere nulla e posso riutilizzare le stoviglie all’infinito.

Prospettive per il futuro?

Un impianto del genere sta in piedi se ha i numeri. Se avessi sette centri di lavaggio invece che uno solo, sarebbe insostenibile sia in termini di efficienza che in termini economici. Se mai la città di Torino dovesse organizzare appalti in maniera diversa, spezzettando tra tanti partner, bisogna tenere conto che un servizio del genere diventerebbe assolutamente antieconomico, perché le persone bisogna pagarle, le lavastoviglie bisogna comprarle, l’impianto deve funzionare ed è energivoro.

Fonte: ecodallecitta.it

Aprire un eco punto : ecco come fare

Purtroppo, al giorno d’oggi, molte persone si ritrovano alla costante ricerca di un impiego e non riescono a trovare la giusta strada da seguire. Tuttavia, spesso sottovalutiamo alcune opzioni e una di queste è certamente la possibilità di guadagnare grazie a quella che per noi è solamente spazzatura. Sembra strano? Probabilmente sì, ma non tutti sanno che adesso i rifiuti possono permetterci di intraprendere una nuova attività, ovvero di aprire un Ecopunto. Ma di cosa si tratta esattamente? unnamed

Questa è decisamente un’idea innovativa ed ecologica, che si rivela come un’ottima opportunità di guadagno per ognuno di noi. Gli Ecopunti sono delle attività commerciali in franchising, in cui i gestori si occupano di comprare rifiuti riciclabili dai clienti, per poi proporli alle aziende che si occupano di riciclaggio. Questa iniziativa è firmata da Recoplastica, una realtà aziendale che opera da anni nel settore del riciclo dei rifiuti. Ma cosa dobbiamo fare per iniziare a comprare e rivendere la carta, e gli oggetti in plastica, in ferro, in alluminio e in pet? Ovviamente, i primi passi da intraprendere sono gli stessi che servono per avviare una qualsiasi attività. Ad esempio ci sarà da aprire una partita IVA, costituire un’azienda, un’impresa o una società e aprire un conto in banca dedicato al nuovo punto vendita. In quest’ultimo caso, potrete trovare valide indicazioni su siti come questo per capire cosa serve per aprire un conto corrente, ad esempio, così da risparmiare tempo e evitare spiacevoli complicazioni.

Tuttavia, prima di iniziare a portare a termine questi importanti passaggi, sarà fondamentale trovare un fondo commerciale della grandezza di 150-200 metri quadri (di cui 50 mq saranno al pubblico e lo spazio residuo sarà adibito a magazzino) che si trovi in una zona abbastanza trafficata, d passaggio e in cui sia possibile crearsi una valida cerchia di clientela. Se nelle vicinanze è presente anche un parcheggio, il negozio si rivelerà ancora più valido e produttivo. Una volta fatto questo sarà possibile contattare Recoplastica e chiedere ai responsabili di poter aprire un Ecopunto a vostro nome. In questa email andranno indicati i vostri contatti e la collocazione del fondo commerciale che avete trovato.

L’azienda si occuperà di effettuare un’analisi di fattibilità ed alcune previsioni di bilancio relative alla collocazione dell’immobile ad uso commerciale che avete scelto, per poi contattarvi, e farvi avere una risposta e le ulteriori indicazioni in caso di accettazione. Ovviamente, sarà opportuno essere penalmente a posto, nonché tenersi pronti per seguire il percorso formativo che vi verrà proposto da Recoplastica. In quest’ultimo vi spiegheranno esattamente come funziona un Ecopunto e tutte le varie procedure da seguire per poter cominciare e per poter gestire ogni fase del lavoro. Perciò, se tutto andrà bene, l’azienda di occuperà di stipulare il contratto di franchising con voi e di accordarsi con i consorzi di riciclaggio presenti nella vostra area di attività. Inoltre, Recoplastica richiederà tutte le autorizzazioni necessarie al Comune e alla Provincia. In questo modo, potrete avere tutte le autorizzazioni e le carte in regola per cominciare.

Nell’eventualità l’analisi di fattibilità risultasse negativa, tutte queste cose non avverranno, ma potrete comunque rimanere in contatto con l’azienda e cercare un altro fondo commerciale in un’altra zona. Parlando di investimenti e spese per aprire l’Ecopunto, è opportuno sapere che l’importo necessario è 10.000 euro. In questa cifra sono comprese le spese relative alla formazione, alle richieste di autorizzazioni e alle royalties di Recoplastica (queste ultime per la durata di un anno). Tuttavia, andranno anche calcolate le spese di affitto, delle utenze, del noleggio delle attrezzature e la royalty di 300 euro che, dopo il primo anno, andrà corrisposta a Recoplastica ogni tre mesi.

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Inoltre, il Codacons ha proclamato questa idea come il “Miglior Progetto” per quanto riguarda l’ecologia e la tutela dei consumatori. Per tutti questi motivi, se state cercando di aprirvi un’attività tutta vostra senza spendere cifre eccessive, sicuramente questa potrebbe essere una valida occasione da prendere in considerazione.

L.P.

“Luogo Comune”, un lungo viaggio per cambiare vita

L’esigenza di cambiare vita ed un lungo viaggio verso la conquista del posto ideale, senza la paura dei giudizi della società e soprattutto con il coraggio di arrivare fino in fondo. È quanto racconta Cristina Pacinotti, autrice e protagonista di “Luogo Comune”.luogo_comune

Ci sono diversi modi per esprimere se stessi, ma abitare ‘il’ (proprio) posto e non un luogo qualsiasi si può considerare come una componente determinante per l’affermazione dei propri desideri e della personalità. Capire le proprie esigenze e avere il coraggio di manifestarle nella realtà circostante non è poi sempre cosa facile. Le fatiche che accompagnano il lungo viaggio verso la conquista del posto ideale sono raccontate da Cristina Pacinotti nelle pagine autobiografiche di “Luogo Comune”, il libro della casa editrice “Vivere Altrimenti”appena uscito nelle librerie. L’esigenza di cambiare vita per l’autrice/protagonista si manifesta inizialmente in maniera latente. È un senso di insoddisfazione, è un moto di inadeguatezza che comincia a fare capolino anche nelle situazioni che fino a un momento prima erano state le più familiari. La necessità di cambiamento si fa sempre più incontenibile e darà il via a quella ricerca senza sosta del luogo perfetto, che oltre ad essere un luogo fisico, deve diventare – cosa molto più importante – il luogo dell’anima. Da questa consapevolezza viene per Cristina la decisione di partire per l’India insieme al figlioletto Andrea, dove si avvicina alle pratiche della meditazione e alle discipline olistiche. Dopo due mesi di immersione totale nelle filosofie orientali, il ritorno in Italia segna l’inizio della ricerca verso un luogo ancora indefinito, in cui è centrale il raggiungimento dell’armonia tra l’io e la natura, senza però sacrificare il desiderio di autonomia e di totale espressione della propria personalità. Ma il giusto equilibrio non si trova dietro l’angolo e la storia di Cristina lo dimostra. Si apre per lei un periodo di prova in alcune delle comunità già esistenti, tutte esperienze che la arricchiscono ma non rispondono fino in fondo all’obiettivo finale, perché manca ancora – a quel punto – la chiave necessaria per la realizzazione dei desideri intimamente più profondi. L’autrice non si arrende fino alla svolta finale, la decisione di vivere in un eco-villaggio insieme a Emanuele, l’uomo che nel frattempo è diventato il suo compagno di vita. Insieme approdano a Frabosco, questo è il nome scelto per il piccolo borgo della Lunigiana convertito da loro e da altri compagni di avventura nell’eco-villaggio che è oggi. Le difficoltà incontrate nella lunga ricerca delle persone più adatte a condividere gli interessi e soprattutto le prospettive di convivenza, l’estenuante perlustrazione dei luoghi più disparati in cui far sorgere ‘il’ posto, spingono l’autrice a cercare di facilitare la vita di quanti in futuro intraprendessero il suo stesso cammino. Per questo ha fondato la Genius Loci Immobiliare, la prima agenzia immobiliare etica, ecologica e solidale specializzata nel reperimento di proprietà idonee per la formazione di comunità sostenibili, cercando i luoghi e creando una rete tra le persone. Il viaggio verso il “Luogo Comune” ha come protagonista il desiderio di cambiamento, senza la paura dei giudizi della società e soprattutto con il coraggio di arrivare fino in fondo.

Fonte: il cambiamento

Luogo Comune Cristina Pacinotti Luogo Comune
Un lungo viaggio per traslare nella realtà un sogno; alchimie di corpi, felicità nella natura ed appartenenze elettive
Cristina Pacinotti

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Prima legge dell’ecologia: ogni cosa è connessa con qualsiasi altra

Fin dal lontano 1971 il biologo Barry Commoner ha enunciato le quattro leggi dell’ecologia. La prima afferma che ogni cosa è connessa con qualsiasi altra. Se il sistema è sottoposto ad uno stress eccessivo può non autocorreggersi più e collassareBrainforest-586x382

«L’ambiente costituisce una macchina vivente, immensa e enormemente complessa, che forma un sottile strato dinamico sulla superficie terrestre. Ogni attività umana dipende dal funzionamento adeguato di questa macchina.

Senza l’attività fotosintetica delle piante verdi non disporremmo di ossigeno per fare funzionare i motori e le fonderie, tanto meno potremmo mandare avanti la vita umana ed animale.

Senza l’azione sinergica delle piante, degli animali e dei microorganismi che vivono nel laghi e nei fiumi non potremmo avere acqua pulita. Senza i processi biologici, che per millenni hanno avuto corso nel terreno, oggi non avremmo nè raccolti, nè petrolio, nè carbone. Questa macchina è il nostro capitale biologico, l’apparato di base da cui dipende tutta la nostra produttività. Se la distruggiamo, anche la nostra tecnologia più avanzata risulterà del tutto inutile, e vedremo cadere tutti i sistemi economici e politici che dipendono da queste strutture. La crisi ambientale non è che un segnale premonitore della catastrofe imminente. Messi di fronte a una situazione complessa come l’ambiente, noi tendiamo a scomporlo in una serie di eventi semplici e separati, e nella speranza che la loro somma dia in qualche modo un quadro generale dell’insieme.

La crisi ambientale in cui ci troviamo a vivere ci ammonisce a non cullarci in speranze illusorie… tutti questi dati separati non hanno ancora fornito delle sintesi capaci di spiegare ad esempio l’ecologia di un lago, o la sua vulnerabilità. Ogni cosa è collegata ad un’altra, mentre il sistema è reso stabile dalle sue dinamiche proprietà di autocompensazione; queste stesse proprietà, se sottoposte ad uno stress eccessivo, possono condurre ad un drammatico collasso; la complessità della rete ecologica e la sua intrinseca velocità di ricambio determinano il livello massimo di stress  cui può essere sottoposto un ecosistema, nonché il tempo massimo di funzionamento prima del crollo. La rete ecologica è un amplificatore: una piccola perturbazione in una sua parte può avere ampi effetti,a distanza e nei tempi lunghi»

Barry Commoner, Il cerchio da chiudere, Milano 1971, pp 27,31-32,44, 47

Fonte: ecoblog