Eataly biocompostabile? Mica tanto, almeno per ora (metà luglio)

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Lo scorso maggio, il 23 per l’esattezza, Eco dalle Città ha partecipato a una conferenza stampa indetta daEataly nella quale Oscar Farinetti, fondatore del gruppo, ha presentato una nuova iniziativa: per asportare le merci, confezionare i prodotti alimentari e consumare i pasti con le stoviglie usa-e-getta ogni negozio Eataly avrebbe utilizzato esclusivamente prodotti in bioplastica MATER-BI, smaltibili insieme all’organico. Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, nell’occasione dichiarava: “Questa scelta è un’ulteriore testimonianza della capacità del gruppo Eataly di pensare in prospettiva, coniugando la cultura del cibo di qualità e delle piccole produzioni enogastronomiche a pratiche virtuose di sostenibilità”. Dal canto suo, Oscar Farinetti affermava che tutti i punti vendita italiani avrebbero utilizzato materiali destinati a rientrare in circolo, nell’ottica di un’economia sostenibile. L’obiettivo da raggiungere è “zero rifiuti”, effettuando uno sforzo in più che, in futuro, sarà conveniente, sotto tutti i punti di vista. “Comportarsi bene deve diventare bello, cool, noi imprenditori dobbiamo essere i primi a fare qualcosa, a dare il buon esempio”,aggiungeva Farinetti. “Il modello da sviluppare è all’insegna della qualità, collegando tradizione e innovazione”.

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A distanza di due mesi, siamo tornati al punto vendita Eataly di Milano per verificare se, effettivamente, i buoni propositi fossero stati messi in atto. Abbiamo preso un gelato e ci è stato servito nella coppetta visibile nell’immagine, fatta di plastica non riciclabile, corredata da cucchiaino dello stesso materiale. Poi abbiamo ordinato un caffè da portare via. Il barman lo ha proposto in un bicchierino “Lavazza”, di carta dura, con coperchio di plastica non riciclabile. Per mescolarlo, una classica paletta, di plastica dura trasparente.

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Anche al banco salumeria, prosciutti e alcuni formaggi erano confezionati con carta alimentare e sacchetti trasparenti biocomp, ma la carne e altri formaggi, invece, erano stati inseriti nelle consuete vaschette di polistirolo, chiuse con pellicole di plastica. Tutti i piatti pronti, insalate, paste fredde, eccetera, erano anch’essi avvolti in plastica oppure inseriti in contenitori non riciclabili. Infine, abbiamo acquistato delle alici, al banco del pesce fresco. Sono state confezionate inserendole in una vaschetta di plastica dura, trasparente poi messa, a sua volta, dentro un sacchetto biodegradabile. Alla cassa, con gentilezza ci sono stati offerti dei sacchetti Mater-Bi per il trasporto delle merci acquistate. Il bilancio, dunque, non è confortante. Tra le dichiarazioni e i dati di fatto sembra esserci ancora parecchia strada da percorrere. Come mai? Giriamo la domanda a Oscar Farinetti. Nelle prossime settimane, cercheremo di avere una risposta.

Fonte: ecodallecitta.it

Oscar Farinetti apre a Milano il suo Eataly “rock”: tra sostenibilità alimentare e riconversione edilizia

La catena di Oscar Farinetti apre all’ex Teatro Smeraldo di Milano: dalla riqualificazione per proiettarsi verso il futuro

Oramai Oscar Farinetti ha conquistato proprio tutti e, c’è da scommetterci, i milanesi non faticheranno ad amare il loro Eataly, che oggi apre i battenti con una presentazione in pompa magna che durerà per giorni: l’ex-Teatro Smeraldo, un luogo simbolo della città molto caro ai milanesi, dopo oltre un decennio di abbandono è pronto a rialzare il sipario. Un tempio della cultura milanese che, grazie ai capitali privati del patron di Eataly, rivive nel cuore della movida milanese, facendo pulsare un cuore nuovo in una città all’eterna ricerca di una personalità: forse il capitolo cibo e sostenibilità, di gran moda negli ultimi anni, può abbattere le barriere del mondo piccolo-borghese per arrivare a tutti.

Altrove l’esperienza di Eataly è sempre stata positiva, sia per l’azienda (che matura fatturato ogni giorno come frutta fresca baciata dal sole) che per chi di Eataly ne gode atmosfera, prodotti, filosofia. E’ capitato a tutti, o almeno a chi ci è finito dentro almeno una volta: Eataly, nel bene o nel male, ti strega.Bi9Np87IEAEaNq5-600x350

E a Milano il valore aggiunto è la sostenibilità: di Eataly e della filosofia culinaria alla base della visione di Oscar Farinetti ne abbiamo già parlato più volte, così come di Slow Food e della filosofia del chilometro zero. Ma a Milano Eataly è qualcosa in più, è riqualificazione di un luogo magico per la cultura della città di Sant’Ambrogio. L’esperienza della riqualificazione urbanistica Eataly la mette alla base del proprio punto vendita, ma se a Torino (o a Roma) ad essere riqualificate sono aree ex-industriali o ferroviarie, a Milano la sfida è duplice: riportare all’antico splendore un teatro, lo Smeraldo, tempio della cultura per decenni e dimenticato a causa di un cantiere eterno, che ha portato alla realizzazione di un parcheggio sotterraneo, alla riqualificazione di una zona (della “movida”) e alla morte del teatro stesso, dimenticato dai milanesi e dal Comune. Eataly rappresenta per questo luogo il sogno di una città, Milano, che si sta trasformando velocemente, complici le mode del momento ma anche una sensibilità sempre più acuta nei confronti di filosofie fino a ieri nemmeno contemplabili; a Eataly Smeraldo tutto è sostenibile: dagli shopper ai sacchetti ed ai guanti del reparto ortofrutta fino agli utensili monouso in corteccia di palma acquistabili nello store, passando attraverso cibi che rappresentano l’eccellenza italiana (con qualche piccola imprecisione, di pochi chilometri, ad esempio sui peperoni cruschi, che sono di Senise -Pz- e non di Matera). Come sottolineava un anno fa il nostro Davide Mazzocco, “il modello di Eataly è virale ed è la chiave per costruire una nuova economia nazionale basata su beni non delocalizzabili che tutto il mondo ci chiede.” Un modello che piace e cresce sempre di più, pur senza grandi aiuti da parte della politica.001

fonte: ecoblog.it

Cibo made in Italy: è boom sui mercati esteri. E la crisi diventa un’opportunità

Il cibo italiano piace sempre di più e, in tempi di crisi, fuori dai confini nazionali, diventa ciò che l’alta moda, le auto di lusso e i prodotti di design sono stati in passato: un sistema di business.

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Nonostante l’erosione di quote di mercato generate dall’italian sounding, ovverosia dal cibo italiano taroccato, dal Parmesan statunitense ai formaggi Asiago prodotti nel Wisconsin (dove sì ci sono belle montagne e vacche floride, ma siamo abbastanza lontani dagli altipiani veneti), l’industria alimentare italiana è l’unica che fa segnare un segno positivo. E che segno! Un incremento da record del 5,7% con una particolarità non trascurabile: quella di essere l’unico comparto produttivo con il segno più. Le buone notizie vengono soprattutto dall’Oriente dove il cibo italiano è un “cult”, tanto quanto lo sono gli abiti di Valentino e Armani, anch’essi vittime di pesanti azioni di plagio e contraffazione. I numeri provengono da un’analisi di Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al fatturato dell’industria italiana nel gennaio 2013: a fronte di una diminuzione generale del 3,4% e di una diminuzione del 5,5% del mercato interno, l’export cresce dell’1,2% e la spesa per gli alimentari del 5,7% (comprendendo mercato interno ed estero). Non c’è da stupirsi, dunque, se qualcuno chiede una poltrona di ministro per personaggi come Carlin Petrini e Oscar Farinetti che con Slow Food ed Eataly hanno avuto l’intuizione di promuovere il cibo italiano nel mondo. Come il turismo anche l’enogastronomia non è delocalizzabile, ma in questo particolare momento storico mentre il primo annaspa, il secondo conquista quote di mercato sempre più vaste. In gennaio l’export alimentare ha fatto registrare un + 8,7%, risultato che conferma il trend 2012, annata chiusa con un fatturato di 31,8 miliardi di euro per il settore agroalimentare. Il vino è naturalmente il prodotto più esportato con un valore di 4,7 miliardi di euro, seguito da ortofrutta, pasta e olio di oliva, vale a dire gli alimenti base della dieta mediterranea. L’Italia vince sul mercato globale anche grazie al primato continentale in termini di sicurezza alimentare, visto che soltanto lo 0,3% dei prodotti presenta tassi di residui chimici oltre i limiti consentiti. E quando accade gli sforamenti sono comunque cinque volte inferiori alla media europea, dove il tasso di irregolarità è dell’1,5%. Controlli della qualità e strategie di marketing e in un panorama che gioca al risparmio (vedi lo scandalo della carne di cavallo) diventano i punti cardine per trasformare la crisi in opportunità. Mentre all’estero la concorrenza abbassa la guardia, il cibo e il vino italiani di qualità si lanciano alla conquista del mondo.

Fonte: Coldiretti