I suoni prodotti dalla natura aiutano ad avere una salute migliore: è ciò che è emerso da uno studio americano da poco pubblicato.
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Uno studio americano condotto dai ricercatori di tre università americane ha lavorato per dieci anni sulla teoria che i suoni della natura migliorino la salute. Lo studio è stato svolto dalla Michigan State University, dalla Colorado State University e dalla Carleton University in collaborazione con il Servizio Nazionale dei Parchi americano. I dati sono stati raccolti da varie parti del mondo e hanno aiutato gli studiosi a decretare che i rumori della natura non hanno soltanto un effetto rilassante.
Gli effetti dei suoni naturali sulla salute
Lo studio pubblicato dalla rivista Pnas afferma che i suoni della natura hanno proprietà benefichesulla salute. Dopo aver raccolto delle registrazioni audio da più di cento diversi parchi americani gli studiosi hanno fatto ascoltare agli studenti i suoni della natura. I partecipanti all’esperimento hanno riscontrato vari benefici dall’ascolto come riduzione del dolore e dello stress, un umore migliore e migliori capacità cognitive.
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Gli studiosi sono riusciti ad individuare alcuni suoni naturali che agiscono su aree specifiche della salute. Ad esempio il rumore dell’acqua aumenta le emozioni positive e il benessere generale mentre il canto degli uccellini riduce e aiuta a combattere lo stress.
Perché è importante ascoltare i suoni della natura
I ricercatori dello studio raccomandano di trascorrere con regolarità del tempo in mezzo alla natura per trarre beneficio dai suoni che essa produce. Stare all’aria aperta è importante soprattutto per la crescita sana dei bambini. Venendo da una situazione molto particolare che è quella dei lockdown gli studiosi sottolineano il peso che ha sulla salute il trovare del tempo da trascorrere in mezzo alla natura.
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Stare chiusi in casa ha conseguenze che si manifestano sul nostro corpo ed è quindi importante trascorrere del tempo all’aperto. Le attività che si possono fare sono moltissime e i diversi luoghi naturali offrono un numeroso assortimento di suoni unici. Anche per rispondere al bisogno delle persone di passare del tempo in mezzo alla natura sono in aumento in tutto il mondo attività turistiche e ricreative concentrate su di essa. Le passeggiate sonore sono dei percorsi organizzati da esperti mirati all’ascolto della natura. Ai partecipanti è richiesto silenzio per ascoltare al meglio i suoni naturali e apprezzare l’ambiente che li circonda.
24 Milioni di italiani condividono la loro vita
con un compagno animale: un rapporto affettivo stretto e arricchente. Ma che
accade quando la vita di un amico animale volge al termine? L’eutanasia animale
è sempre davvero l’unica soluzione per evitare che soffrano? Quando ci lasciano
come affrontare un dolore che gli altri sembrano non capire? Ne parliamo con il
medico veterinario Stefano Cattinelli, tra i fondatori di Armonie Animali e
autore del libro “Tenersi per zampa fino alla fine”, pubblicato da Amrita
Edizioni. Stefano Cattinelli è un medico
veterinario, diplomato in Omeopatia veterinaria unicista ed esperto
nell’Antroposofia di Rudolf Steiner. Propone da anni un’alternativa
all’eutanasia, con un approccio empatico, che non solo aiuti l’animale, ma
anche la persona che gli sta accanto. Ha scritto molti libri su questi temi, è
tra i fondatori di Armonie Animali, si occupa di Floriterapia e conduce seminari di
Costellazioni Sistemiche Familiari per Animali. Lo abbiamo incontrato per
approfondire le riflessioni intorno ad un tema quanto mai spinoso: l’eutanasia
per gli animali.
Stefano, tra gli
altri, hai scritto con Daniela Muggia “Tenersi per zampa fino alla fine”, pubblicato da Amrita Edizioni. Di cosa parla questo
libro?
Il libro affronta
il momento più importante e più difficile della relazione tra una persona e il
proprio animale: quello in cui l’animale se ne va. Mi occupo di questo tema da
una ventina d’anni e sono molto sensibile all’argomento perché essendo un
veterinario so quanto sia importante il nostro ruolo in questa fase. La
professione che ho scelto, ha la grande responsabilità di consigliare gli umani
nella fase terminale di vita di un animale, cercando di capire quanto questo
soffra e come si possa affrontare l’inevitabile declino. Ho sempre vissuto con
difficoltà le prassi tradizionali che vedono un percorso precostituito per gli
appartenenti alla mia categoria; ho sempre provato una pesantezza che non
riuscivo a gestire. Quando mi trovavo a dover praticare o immaginare di
praticare l’eutanasia, capivo che l’animale non voleva me al suo fianco, bensì
il suo punto di riferimento esistenziale (una singola persona o un’intera
famiglia). Ho quindi sviluppato una consapevolezza crescente della sacralità
della morte: l’ingresso in questa dimensione richiede determinate qualità,
attenzioni e rispetto che sono ovviamente diverse dalla routine ambulatoriale
veterinaria. Mi sono impegnato a creare, quindi, anni fa un reale spazio sacro,
in cui ci si possa muovere secondo dinamiche molto più complesse di quelle che
razionalmente possiamo percepire: solitamente stacco il telefono e cerco di
aprire un dialogo a vari livelli con la persona che assiste l’animale, dando la
possibilità a quest’ultimo di spegnersi con i suoi tempi e le sue modalità,
differenti l’uno dall’altro. Credo infatti che ogni animale decida di andarsene
in modo assolutamente unico e “personale”. In venti anni, ho accompagnato
centinaia di “individui” e non c’è stato un caso uguale all’altro. Mi sono
quindi reso conto che più approfondivo questo percorso più il concetto di
eutanasia si allontanava. Mi sono trovato ad entrare in una fluidità
esperienziale unica. Ho notato che quando le persone si mettono davvero in
gioco durante il percorso di accompagnamento dell’animale, riescono a cambiare
il proprio ruolo nella relazione, vedendo poi – durante la fase finale –
l’animale diventare “guida” dell’umano.
Nel caso in cui un
animale soffra troppo, che tipo di percorso proponete?
È uno spazio
complesso dove ogni cultura propone la propria visione. In questo tipo di
esperienza possiamo vedere il dolore come parte di questa complessità. Per
quanto riguarda il dolore fisico dell’animale, si possono adottare cure
palliative che permettono di eliminare o ridurre al massimo il disagio fisico
dell’animale. Per quel che riguarda il dolore emozionale, frutto del legame
instaurato tra umano e animale, ci si sposta sul piano animico. Si possono
quindi utilizzare i fiori di Bach o mille altri rimedi analoghi. Infine, non va
dimenticato il dolore dell’umano, che ha un’influenza importantissima
sull’evolversi degli eventi. Il dolore umano non è esclusivamente legato a quel
singolo momento, ma appartiene a una storia biografica: quando l’animale entra
in relazione con l’essere umano, subentra in un momento preciso dell’esistenza
della persona, rispondendo a un bisogno di quest’ultima (lo si può comprendere
anche dal nome che viene affidato all’amico peloso o alla tipologia di animale
scelto) e tutto ciò inevitabilmente influisce, rafforzando ulteriormente il
vuoto che si crea quando l’animale se ne va. Vi sono diverse modalità di
reazione al distacco: c’è chi prende subito un altro animale con sé, e chi non
ne vuole più. Credo che la cosa migliore sia imparare a stare un po’ nel
dolore, prendere confidenza con tale esperienza e poi riuscire a guarire anche
rispetto alle proprie esperienze precedenti.
Chi vuole
avvicinarsi a questo genere di percorso, oltre a leggere il libro, cosa
può fare?
Propongo un
percorso sull’accompagnamento a Treviso (scopri di più) che dura tre
fine settimana e affronta tre temi fondamentali: il lasciare andare, il cambio
di ruolo e il saper entrare nella fluidità. Sono passaggi interiori che
preparano le persone ad essere più consapevoli nel momento del passaggio. A
questo proposito, vi racconto un aneddoto che mi è capitato un paio di giorni
fa: mi ha chiamato una ragazza che ha seguito questo percorso con me quattro
anni fa, raccontandomi che la sua cagnolina se n’era andata da qualche giorno.
Mi ha detto di aver fatto tutti gli esercizi imparati, di aver letto tutti i
miei libri ma quando poi si è trovata a dover gestire la situazione è entrata
nel panico, si è sentita sola. Con il passare del tempo, però, le si sono
attivate risorse che non sapeva di avere, che hanno permesso alla cagnolina di
andarsene via serena, accompagnata dalla proprietaria e dal suo compagno. Mi ha
raccontato che c’è stato un momento preciso particolare, probabilmente scelto
dalla coscienza della loro relazione, in cui se n’è andata nel migliore dei
modi.
Hai scritto questo libro con Daniela Muggia: come mai avete deciso di
scriverlo insieme e in che modo vi siete “completati a vicenda”?
È stata proprio
Daniela a contattarmi: attraverso il lavoro svolto dalla sua associazione (Associazione Tonglen onlus) per l’accompagnamento empatico di persone morenti,
lei e i suoi collaboratori con cui porta avanti le attività, avevano ricevuto
richieste di aiuto da parte di famiglie che avevano animali in fin di vita. Mi
ha proposto quindi di scrivere un libro insieme, ed è stata un’avventura
bellissima e difficilissima, essendo noi molto diversi. È nato così questo
testo che mi piace davvero molto: Daniela porta un contributo importante sulla
fisica quantistica, creando un legame con la dimensione scientifica e un
approfondimento sulle cure palliative.
Cosa pensano i tuoi
colleghi di questo approccio?
Molti colleghi sono
convinti che l’unica possibilità di togliere il dolore sia togliere la vita
all’animale. Mi sono dovuto allontanare da diversi gruppi web, perché venivo
spesso attaccato per la mia visione non tradizionale. Armonie Animali, il network di veterinari di cui faccio parte, è un
ambiente molto più sereno da questo punto di vista; magari non tutti sanno bene
nel merito di cosa mi occupo, ma rispettano il mio lavoro.
Vorremmo parlare
dell’impatto dell’eutanasia sui veterinari: pare che ci sia un tasso di
depressione molto alto. Cosa ne pensi?
È un aspetto
completamente sottovalutato. Noi veterinari nasciamo professionalmente per
salvare l’animale, ogni cosa che impariamo e facciamo va verso la vita. Di
conseguenza l’esperienza della morte viene vissuta come una sconfitta, doppia
essendo, in caso di eutanasia, noi ad indurla. Animicamente credo che si crei
una frattura all’interno del veterinario, come un attrito. A questo punto il
veterinario in questione ha due possibilità: o si separa da questa frattura
eliminando la valenza emozionale per proteggersi (a costo di ledere il senso
della professione), o – in caso di persone più sensibili – al ripetersi di
questa azione subisce una destabilizzazione interiore sempre maggiore.
Considerando che l’attività media di un veterinario conta statisticamente un
paio di casi di eutanasia la settimana, diventa un vero e proprio meccanismo di
non senso. La morte in natura è inserita in un contesto armonico, ed è ovvio
che quando l’animale entra nella vita della famiglia le cose si complichino, ma
ci sono delle possibilità di uscita da questa situazione. Purtroppo, nelle
facoltà veterinarie, il tema della morte non viene mai affrontato, nonostante i
dati statistici dimostrino che è un tema delicato e sempre più di attualità. Ma
le cose stanno cambiando, la sensibilità collettiva è in aumento. Da circa
dieci anni infatti è nato anche un comitato bioetico che ha cercato di inserire
delle regole per gestire questo fenomeno.
L’aria condizionata è un gran sollievo, ma va usata con criterio.
Contro la calura estiva l’aria condizionata in casa, in ufficio e in auto è un gran sollievo. Ma deve essere utilizzato con criterio per non incorrere in fastidiosi dolori e non solo.
Dopo l’inverno, soprattutto se freddo e lungo come quello di quest’anno, chi non ha invocato il sole e il caldo estivo? Ma quando poi arriva la canicola ecco che vorremmo rimangiarci tutto. E non a torto. Però, spesso non sappiamo regolarci, ed ecco che chi possiede un condizionatore, casa o ufficio che sia, ma anche in automobile, mette mano ai comandi e… tendenzialmente spara a mille l’aria fredda. Niente di più sbagliato da fare. È vero, infatti che un ambiente con temperature e umidità troppo elevate e aerazione insufficiente può essere causa di malesseri anche gravi, soprattutto nelle persone maggiormente suscettibili come gli anziani, i malati cronici, bambini molto piccoli e le donne in gravidanza, ma anche l’aria condizionata non è esente da pericoli per la nostra salute. Quando è possibile ben venga il condizionamento, ma con le dovute cautele. Se non si adottano le giuste precauzioni, infatti, ci potremmo ritrovare a combattere con mal di gola,mal di testa o torcicollo , ma anche con disturbi molto più seri come bronchiti , polmoniti e altre infezioni respiratorie. Vediamo quindi come utilizzare al meglio il fresco artificiale.
Manutenzione innanzitutto
Prima di pensare a come utilizzare al meglio i condizionatori, è bene ricordarsi che i malanni non derivano solo da temperature mal gestite. Gli apparecchi devono essere ben funzionanti e, soprattutto, avere i filtri puliti ed efficienti. In caso contrario insieme con l’aria fresca potremmo respirare agenti dannosi. Allergeni, come polveri o pollini, ma anche batteri e virus. Esempi tipici sono i virus del raffreddore o il batterio Legionella pneumophila, conosciuto per aver causato (oltre trent’anni or sono) un’epidemia con cefalea, febbre e malessere generale in un albergo di Filadelfia nel quale, appunto, non erano stati puliti i filtri dell’aria condizionata.
Mai temperature polari
Una volta appurato di avere a che fare con apparecchiature in ordine, evitiamo di farci prendere la mano. Le temperature non devono essere regolate a livelli troppo bassi rispetto a quella esterna. Tenendo anche conto che il nostro organismo è programmato per stare al meglio in ambienti a 25-27°C. Parola del Ministero della Salute. Gli esperti avvertono: la differenza tra i locali in cui si soggiorna (o l’interno dell’automobile) e l’esterno non dovrebbe mai essere maggiore di 5-6 gradi. Gli sbalzi termici sono dannosi soprattutto per bambini e anziani nei quali l’organismo fatica ad adattarsi a cambiamenti termici improvvisi.
Gradi giusti per ogni occasione
Ma non soltanto. Esistono anche momenti particolari nei quali un colpo di freddo è anche più pericoloso. Dopo mangiato, per esempio, un abbassamento improvviso della temperatura può causare rallentamento della digestione, o addirittura provocare una congestione. E poi, attenzione durante la notte. Mentre dormiamo di solito la nostra temperatura corporea si abbassa già da sola poiché il metabolismo rallenta. Con il condizionamento acceso rischiamo quindi di “raffreddarci” troppo senza accorgerci. Con il risultato che la mattina dopo potremmo svegliarci completamente senza voce oppure pieni di dolori, con i muscoli intorpiditi. Dolori muscolari e mal di schiena dovuto a contratture sono infatti frequenti con l’aria troppo fredda. Così come il torcicollo è in agguato in auto, per chi ama viaggiare a temperature troppo basse. In questi casi, un analgesico antinfiammatorio per automedicazione può aiutarci ad affrontare la giornata, ma per evitare questi inconvenienti è bene che ci abituiamo a rinfrescare la stanza prima di andare a letto, per poi abbassare o spegnere il condizionatore durante la notte. Ci addormenteremo freschi, ma senza correre rischi. Ulteriore accorgimento generale è quello di coprirsi ogni volta che si passa dalla calura esterna a un ambiente più freddo e ventilato evitando anche di esporsi direttamente all’aria fredda. Soprattutto se si è sudati. Schiveremo così dolori e fastidiose laringiti e tracheiti.