Unione Italiana Ristoratori: “Portarsi a casa gli avanzi? E’ giusto. Gli italiani si vergognano, i turisti no”.

“Se un cliente chiede di potersi portare a casa il cibo avanzato non c’è nessun motivo per non fornirgli questo servizio. Il problema è che non lo fa quasi nessuno, si teme la brutta figura. E invece è un modo intelligente per non sprecare, né cibo né denaro” Intervista a Mario Palmieri (Vicepresidente UIR)380127

Andare al ristorante, non riuscire a terminare il cibo ordinato, e non trovare il coraggio di fermare il cameriere che porta via il piatto, perché chiedere di incartarci gli avanzi “pare brutto”. Una scena tanto comune in Italia quanto incomprensibile per un turista americano, fedele alla filosofia della doggy bag.  Di doggy bag si cominciò a parlare negli anni Settanta, quando il termine divenne di moda fra la stampa statunitense. Fin dall’inizio però, il riferimento al presunto cane in trepidante attesa di una pappa da chef, ebbe un carattere sostanzialmente ironico: non sempre le pietanze contenute nelle doggy bags finivano nella ciotola del quadrupede. Soprattutto quando l’avventore era perfettamente consapevole di non possedere alcun quadrupede.

Ma allora perché in Italia la prassi di portarsi a casa gli avanzi fa così fatica a farsi strada? Sono gli italiani che si vergognano o i ristoranti che non collaborano? Ne abbiamo parlato con Mario Palmieri, Vicepresidente di Unione Italiana Ristoratori.  “Il cliente ha tutto il diritto di portarsi a casa il cibo che non è riuscito a terminare, e – sempre che ne faccia richiesta – la cosiddetta doggy bag, per quanto il termine sia fuorviante, è una prassi condivisa e diffusa fra i ristoratori. Ma è la domanda ad essere scarsissima. Non ci dovrebbe essere nessuna preclusione da parte dei ristoratori, e infatti non c’è, ma sono i clienti a non avere questa abitudine, che invece in altri Paesi, e negli Stati Uniti in particolare, è assolutamente banale. In Italia ci si vergogna. Si ha paura del giudizio, e non solo del ristoratore, ma anche di chi è seduto agli altri tavoli. Farsi impacchettare il cibo avanzato viene ancora percepito come un segno di povertà, di bisogno”.

Secondo un sondaggio on line pubblicato da Coldiretti, un italiano su tre si sarebbe portato a casa gli avanzi almeno qualche volta, e il 10% lo farebbe regolarmente. Un risultato che sembrerebbe trovare ben pochi riscontri empirici…

Infatti non è assolutamente così. Può capitare nei locali più frequentati dai turisti, soprattutto in città come RomaFirenze o Venezia, dove forse si arriverà ad un 15-20% di richieste, ma non certo fra i locali, soprattutto se non sono giovanissimi. Fra i ragazzi è un po’ diverso, ci si fa meno problemi, ma non parlerei certo di una prassi a cui gli italiani siano avvezzi. Va anche detto però che l’opportunità di chiedere una doggy bag dipende anche dal genere di ristorante. Di solito ci si fa incartare il pesce, un buon secondo, piatti di qualità e serviti in porzioni abbondanti. Non avrebbe molto senso farlo in un luogo dozzinale o in un ristorante dalla cucina minimal insomma…
Al di là della timidezza del cliente, i ristoratori sono sempre attrezzati per venire incontro a un’eventuale richiesta?
Sarebbe un guaio se non lo fossero: per impacchettare gli avanzi di un pasto bastano delle vaschette di alluminio, mi sembra improbabile che una cucina di un ristorante non sappia dove trovarle. Oltretutto non sono necessari contenitori che garantiscano particolari prestazioni termiche, a differenza degli imballaggi da asporto per il take away. Se ordino una pizza mi aspetto che il cartone in cui è contenuta non la lasci raffreddare, ma se chiedo che mi mettano da parte gli avanzi di un pasto non pretendo certo che arrivino a casa ancora caldi.

Poco a poco cambieranno idea gli italiani?

Io credo di sì, ma sarebbe importante riuscire a diffondere una nuova filosofia della ristorazione, che in qualche modo aiuti il cliente a fare la richiesta, magari esplicitando questa possibilità per vincere l’imbarazzo.
Se la parola doggy bag è fuorviante, come si potrebbe chiamare?

Forse non ci ha ancora pensato bene nessuno. Così su due piedi, mi viene in mente qualcosa di un po’ buffo, come “fruizione del pasto risparmioso”. O “Spending review menu”. No, non è facile. Ma il concetto deve essere questo: non c’è nulla di cui vergognarsi a portarsi a casa gli avanzi. Al contrario, è un bel messaggio contro lo spreco, di denaro e di cibo.

Fonte: ecodallecitta.it

Lotta allo spreco alimentare: presto in mensa a scuola il sacchetto “salva-cibo”

Milano Ristorazione e Comune stanno approntando un sistema per permettere ai bambini di non gettare ma portare a casa alcuni avanzi del pasto. Almeno frutta, yoghurt, pane e dolci, per evitare un eccessivo spreco di cibo. Abbiamo raccolto le opinioni di alcuni insegnanti sull’iniziativa378185

Quella che in inglese si chiama “doggy bag”, anche se in realtà non è per il cane ma per il padrone che ha gradito una porzione abbondante, ossia la prassi di chiedere al ristorante che ci conservi quanto rimasto del nostro pasto per portarlo a casa, presto diventerà una buona pratica anche nei circa 80.000 pasti quotidiani che Milano Ristorazione cucina per le mense di circa 450 istituti scolastici milanesi.  Per ora si tratterà solo di quello che gli alunni possono portare a casa più facilmente di non deperibile e facilmente conservabile: frutta, pane e dolci. E’ comunque un inizio di lotta allo spreco alimentare sin da piccoli, anche nelle mense scolastiche. Restano infatti alti i numeri dello scarto di cibo riguardo gli 80.000 pasti giornalieri di Milano Ristorazione: circa 8 tonnellate di cibo scartato al giorno. “Un anno fa erano 9”, dichiarano a MiRi, e comunque sulle 32 tonnellate complessive di cibo preparato al giorno, le 8 tonn di scarto, quindi il 25%, sono un dato fisiologico. “Ma ci stiamo impegnando a fare sempre meglio, considerando che ci sono anche norme d’igiene che non favoriscono il recupero (es. considerare non più riutilizzabile il pane una volta toccato dai bambini, NdR). Ad esempio, si sta studiando come recuperare e non gettare il cibo che rimane nelle teglie in cucina”.
L’iniziativa è in via di definizione ed è stata annunciata dalla presidente della società Gabriella Iacono, all’ultima seduta congiunta delle commissioni Educazione e Partecipate a palazzo Marino.
L’iniziativa è naturalmente all’insegna della lotta allo spreco di cibo, ma non solo, perché ci sono sempre più famiglie in difficoltà economiche e bambini per i quali il pranzo in mensa é l’unico pasto completo della giornata. Il piano antisprechi è seguito anche dall’assessore all’Educazione Francesco Cappelli: “Stiamo parlando con i dirigenti scolastici per sensibilizzare i bambini a raccogliere ogni giorno quel che resta sul tavolo per evitare che finisca in pattumiera. Pane, frutta, yogurt e budini, per esempio, potranno essere messi in cestini da portare a casa o da donare alle famiglie povere del quartiere”.  L’iniziativa del Comune e di MiRi non dovrebbe quindi limitarsi alla “doggy-bag”, ma anche permettere ad alcune scuole di destinare i propri avanzi alimentari alla cerchia di persone bisognose del quartiere: gli anziani, oppure i senzatetto assistiti nei centri del volontariato. Abbiamo intervistato due insegnanti di due diversi istituti scolastici di Milano, per capire cosa pensano dell’iniziativa: Giuliana Romano, della primaria dell’Istituto Comprensivo Galvani e Chiara Dominioni, della primaria dell’Istituto Comprensivo Ciresola.  In base alla vostra esperienza, che tipo di accoglienza potrà avere, da parte dei bambini e degli insegnanti, questa proposta di Milano Ristorazione? 

G.R. – Nella nostra scuola, per fortuna, c’è già una certa sensibilità sull’argomento e alcuni bambini, su suggerimento delle insegnanti, sono già abituati a consumare nel pomeriggio, cibi come merenda, frutta e qualche dolce avanzati a pranzo. Devo dire però che non sempre, e non tutti i bambini, apprezzano i pasti della mensa e sono ragionevolmente convinta che difficilmente quello che avanzano possa essere portato a casa volentieri, poiché, di norma, avanzano non tanto perché le quantità di cibo siano eccessive, quanto perché non hanno apprezzato quel piatto.
C.D. – Non sono convinta che possa essere un’iniziativa di successo: mi spiego meglio….parlandone con delle colleghe, in molte esprimevano delle perplessità sulle modalità organizzative: i bambini dovrebbero riportare a casa un contenitore con del cibo che rischia di rovesciarsi in cartella … con tuo figlio questo si può fare, ma se il compito è delle insegnanti, va moltiplicato per ogni bambino della classe …. E rischia di diventare, da un punto di vista pratico-organizzativo, un problema, per quanto, di per sé, l’idea sia un’ottima idea.
G.R. – Credo piuttosto che l’idea di ridistribuire il cibo alle associazioni che si occupano dei poveri, ai senza tetto, ai più bisognosi, possa essere un’ottima cosa; sarebbe così MilanoRistorazione ad organizzare (già lo fa con il programma Siticibo NdR), insieme al personale delle mense, la raccolta del cibo avanzato. Questa potrebbe essere un’iniziativa ben vista e accolta favorevolmente dai presidi.
C.D. – Il nostro Istituto è anche associato a “Il pane quotidiano” che raccoglie ogni giorno pane e frutta avanzate. Sarebbe bello se MilanoRistorazione riuscisse a gestire anche il resto del cibo, raccogliendolo e distribuendolo soprattutto tra i senza tetto, ad esempio. Forse questa è una strada più praticabile e, se ben gestita, anche più efficace.

fonte: ecodallecittà