Contro la distruzione dell’Amazzonia, boicottare i killer del pianeta

La paura di finire arrostiti da un effetto serra ormai fuori controllo inizia a crescere sempre di più, se pure personaggi come Madonna, Ronaldo, Ferragni, che con il loro stile di vita sono fra i più inquinanti del pianeta, hanno fatto appelli per fermare gli incendi in Amazzonia…

La paura di finire arrostiti da un effetto serra ormai fuori controllo inizia a crescere sempre di più, se pure personaggi come Madonna, Ronaldo, Ferragni, che con il loro stile di vita sono fra i più inquinanti del pianeta, hanno fatto appelli per fermare gli incendi in Amazzonia. Incredibilmente pure l’Unione Europea con a capo la Finlandia, che detiene la presidenza a rotazione, sta valutando se fermare le importazioni di carne dal Brasile. Un lampo di genio è passato nelle menti dei parlamentari Europei? Chissà, staremo a vedere. Intanto lo spettro di sanzioni internazionali (cioè commerciali) sta facendo tremare il presidente del Brasile Bolsonaro e dimostra ancora una volta quale sia l’unico elemento che produce risultati: colpire i killer del mondo sui soldi. A poco infatti servono proteste, richiami ufficiali, manifestazioni e lamentale, l’unica cosa che li frena è togliergli la terra sotto i piedi, senza violenza ma solo con intelligenza.  Le multinazionali killer ambientali vivono del supporto dei consumatori, senza di noi, loro sono spacciate nonostante sembrino invincibili. E’ risaputo infatti che un arma potente sono proprio i boicottaggi. Tu mi avveleni, inquini, distruggi il pianeta? E io non compro più nulla da te e condivido questo mio gesto dandone il più ampio risalto possibile. Differentemente da quanto si pensa, anche piccole percentuali di boicottaggio sono fastidiose per i grandi killer, perché subiscono soprattutto perdite di immagine, si pensi alle campagne contro la Shell, McDonald’s o le campagne contro l’olio di palma. Si dirà ad esempio che McDonlad’s comunque continua ad operare e a fare profitto, certo ma la sua immagine è compromessa da decine di campagne di boicottaggio e il suo nome è associato immediatamente a cibo spazzatura e attacco all’ambiente, di certo non è una bella reputazione. E infatti cerca in tutti i modi di darsi una impossibile immagine sostenibile.  L’Amazzonia brucia perché un personaggio di nome Bolsonaro, votato dai suoi concittadini amanti del suicidio, ha dato ulteriore via libera all’agroindustria per fare piazza pulita di “inutili” alberi, persone e animali che abitano nella foresta amazzonica e sostituirli con allevamenti e produrre foraggio con in primis la soia. Foraggio che va ad alimentare gli animali che mangiano soprattutto gli occidentali e i cinesi. La distruzione della vita e le conseguenze drammatiche che ci sarebbero nella fine di uno dei polmoni del pianeta con la sua biodiversità di valore inestimabile, per il presidente del Brasile sono dettagli trascurabili, stupidaggini degli ambientalisti da salotto, come li chiama Salvini. Il prode padano che asfalterebbe definitivamente tutta l’Italia da Trapani ad Aosta, compreso il Mar Mediterraneo, così facciamo circolare più merci e il prodotto interno lordo aumenta. E quando il prodotto interno lordo aumenta, bisogna iniziare a farsi il segno della croce e pregare perché i tempi si fanno durissimi. Ma non bisogna però pensare che Bolsonaro improvvisamente sia impazzito, prosegue e accelera solo il lavoro che i governi di pseudo sinistra precedenti hanno portato avanti tranquillamente e il filo che lega entrambe le azioni è proprio la stessa trinità che adorano gli schieramenti di destra e sinistra: crescita, denaro e PIL. Infatti Marina Silva che è stata ministra dell’Ambiente del governo Lula, anch’esso al servizio dell’agroindustria, si dimise proprio in polemica con le politiche di distruzione della foresta amazzonica.  Le azioni veramente efficaci quindi per fermare questa follia, sono quelle di andare a cercare tutti i supporti economici che ha chi sta dietro alle devastazioni e boicottarli. Non solo boicottare le aziende che agiscono direttamente ma anche le banche che le sostengono. Infatti nessuna multinazionale esisterebbe senza il sistema finanziario che la tiene in vita. Non ci vuole molto, non serve nemmeno scendere in piazza a manifestare se poi con il proprio stile di vita si sostengono coloro contro i quali si è manifestato. Servono azioni concrete ed efficaci, non slogan se poi si foraggiano i killer del pianeta come se nulla fosse.

Fonte: ilcambiamento.it

I parassiti distruggono gli alveari italiani: è allarme

Da una parte la Vespa velutina, o calabrone asiatico, dall’altro la Aethina tumida, un coleottero africano: stanno distruggendo gli alveari italiani.api_in_pericolo

La situazione è veramente preoccupante, lo segnalano le associazioni di apicoltori e le Agenzie regionali per l’ambiente. I predatori delle api stanno aumentando e a ciò si vanno ad aggiungere i pericoli insiti negli insetticidi neonicotinoidi con cui vengono trattate le piante. Insomma, per le api scatta l’allerta, è allarme rosso. Eppure se ne parla poco, forse non ci si rende conto di quale importanza fondamentale abbiano le api per la sopravvivenza stessa del sistema produttivo alimentare e del genere umano. Già dal 2005 ha fatto la comparsa in Francia la Vespa velutina, o calabrone asiatico, attivo predatore di api operaie che causa gravi perdite negli alveari; si è poi rapidamente diffusa in Europa, anche nel nostro paese. A fine 2013 la presenza del calabrone asiatico è stata accertata con sicurezza in Liguria, soprattutto in provincia di Imperia, e in Piemonte, nella parte meridionale della provincia di Cuneo. La rapidità di espansione è dovuta al trasporto passivo delle nuove regine, allevate dalle colonie a fine stagione, che si rifugiano in materiali di varia tipologia per trascorrere il periodo invernale. Il calabrone asiatico è un attivo predatore di api operaie, soprattutto bottinatrici di ritorno all’alveare, che cattura librandosi in volo davanti al predellino, ma può anche entrare in alveari deboli. L’attività di predazione causa disturbo alle api che riducono la loro attività con la conseguenza di minori produzioni e l’accumulo di scorte invernali più scarse, ma può causare anche la morte delle famiglie. In Francia le api rappresentano fino ai due terzi delle prede catturate e sono segnalate perdite di alveari che arrivano fino al 50%. Tra gli insetti predati compaiono anche molte specie utili come gli impollinatori selvatici e altre specie di vespe che si nutrono di insetti nocivi. Gli insetti che la vespa velutina cattura, insieme con frammenti di carne che possono strappare da animali morti, servono per l’alimentazione delle larve; gli adulti si nutrono quasi esclusivamente di sostanze zuccherine (nettare, melata, polpa di frutti maturi) da cui ottengono l’energia necessaria per volare e svolgere le loro altre attività. «L’individuazione e la distruzione dei nidi del calabrone asiatico è, al momento, il metodo di lotta più efficace, purché venga messo in pratica prima del mese di settembre, quando cominciano a comparire le nuove regine destinate a svernare» spiegano le Arpa. Purtroppo, i nidi primari, di piccole dimensioni e abitati da pochi individui, passano facilmente inosservati, mentre quelli secondari, molto più grandi e popolosi, sono nascosti dal fogliame degli alberi su cui sono costruiti. Una volta individuato un nido, questo deve essere distrutto in modo completo. Anche un altro pericolo incombe sugli alveari. Nel settembre scorso ha fatto la sua comparsa in Calabria la Aethina tumida, coleottero africano, che si è poi estesa anche in Sicilia e sta risalendo la penisola. Questo parassita si nutre di polline e miele e ne causa la fermentazione, rendendolo invendibile. La Regione Calabria è intervenuta ordinando di bruciare gli apiari se in un’arnia viene riscontrata la presenza dell’insetto. Una sola arnia di api può contenere dalle 50 alle 100 mila api! Il coleottero entra nell’alveare dove riesce a farsi nutrire dalle api; depone le sue uova dalle quali dopo pochi giorni nascono le larve che escono dall’arnia e cadono nel terreno circostante dove si trasformano in insetti adulti completando il ciclo. Ma si dice che possa completare il ciclo biologico anche all’interno di frutta e verdura in decomposizione. La Aethina tumida ha colonizzato molti apiari e si sposta volando anche a 15-20 chilometri di distanza. Gli alveari distrutti finora ammontano ad oltre 2500; le istituzioni promettono di risarcire gli apicoltori, ma su questo c’è grande diffidenza. Si veda per maggiori informazioni: Aethina tumida. Situazione epidemiologica

Ispezione dell’alveare

La vespa velutina all’attacco degli alveari in Liguria

Fonte: ilcambiamento.it

I servizi resi ogni anno dalla natura valgono il doppio dell’economia mondiale

Si tratta di circa 125000 miliardi di dollari all’anno. Negli ultimi 15 anni questo valore è diminuito del 14% a causa della distruzione degli habitat.

Occorrerà decisamente rivedere il detto il denaro non cresce sugli alberi, dal momento che l’economia della specie umana può funzionare solo grazie ai servizi resi ogni anno dall’ecosistema: assorbimento della CO2, purificazione dell’acqua, impollinazione, protezione dalle tempeste, prevenzione dell’erosione del suolo e molti altri. Si può dare un valore economico a questi servizi che la natura ci fornisce “gratuitamente”? Uno studio interdisciplinare realizzato da sei diverse università ha stimato questo valore in 125 T$all’anno (1 T$ = 1000 miliardi di dollari), otto volte il PIL USA, il doppio dell’economia mondiale(1). Il valore dei servizi marini è pari a 50 T$, di cui 22 dagli oceani e 28 dalle zone costiere; in questo gruppo le barriere coralline valgono ben 10 T$ per la loro straordinaria biodiversità, nonostante occupino una porzione minuscola del pianeta. Gli ecosistemi terrestri contribuiscono per 75 T$. A sorpresa, il contributo maggiore non viene dalle foreste (16 T$), ma dalle zone umide (26 T$) e dalle praterie (18 T$). Negli ultimi quindici anni la distruzione degli habitat naturali per fare posto a urbanizzazione, agricoltura e pascoli ha determinato una perdita di servizi naturali pari a 20 T$ all’anno, cioè il 14% del valore del 1997. Le perdite maggiori riguardano la distruzione delle barriere coralline e delle foreste costiere di mangrovie, causate dalla creazione di acquacoltura di gamberetti. Stiamo erodendo il capitale naturale della terra ad un ritmo assurdo e insostenibile. Dandogli un valore economico, è possibile parlare nel linguaggio degli economisti per sperare di fare loro capire che oggi ogni ulteriore crescita economica può solo avvenire a spese del capitale naturale. (2) Detto altrimenti, il costo delle esternalità che imponiamo alla natura determinerà, più prima che poi, il collasso dell’economia e della società.Servizi-economici-ecosistemi

(1) Dollari costanti del 2007. Questo lavoro aggiorna un precedente lavoro del 1997 che stimava il valore dei servizi naturali in 46 T$. Per l’inflazione questo valore sarebbe oggi cresciuto a 145 T$, ma la perdita di numerosi habitat terrestri e marini ha fatto calare il valore a 125 T$.

(2) Da un punto di vista fisico ed ecologico, avrebbe più senso valutare le basi materiali ed energetiche dell’economia, piuttosto che dare un valore monetario alla natura, ma dal momento che le decisioni a livello mondiale vengono prese sulla scorta di valutazioni che attengono solo alla sfera dell’economia, è necessario includere il valore dei servizi naturali nei bilanci delle aziende e delle nazioni.

Fonte: ecoblog.it

Indipendenza energetica, il primo passo verso la distruzione dell’economia: l’allarme di Noam Chomsky

Noam Chomskly illustre professore al MIT spiega come mandare in rovina l’economia mondiale in 3 mosse.

La conferenza Noam Chomsky l’ha tenuta lo scorso 10 febbraio al Third Boston Symposium on Economics alla Northeastern University Economics Society a Boston e il tema era Come mandare in rovina l’economia in 3 mosse. Il discorso non è molto complicato e si basa sostanzialmente sull’accaparramento e sfruttamento delle risorse naturali. In effetti tutto parte dalla ricerca di energia a buon prezzo necessaria a sostenere la crescita e lo sviluppo e dunque la stessa economia. Ma questa energia non è a impatto zero e costa in termini ambientali.

La premessa che fa Chomsky è questa:

Supponiamo che per qualche motivo perverso siamo interessati a rovinare una economia e una società e per renderlo interessante, selezioniamo la società più ricca e più potente della storia, con vantaggi incomparabili, con la fortuna a portata di mano – vale a dire la nostra (quella americana NdR).US linguist, philosopher and political a

Sostanzialmente le risorse ci sono e per tutti, così come il lavoro, ma spiega Chomsky:

nascosto dove non è possibile accedere, nelle tasche traboccanti dei super-ricchi, in particolare le grandi banche , che sono state generosamente ricompensati per aver creato una crisi tanto grave da aver quasi fatto crollare l’economia nazionale e globale.

Spiega Chomsky che tutto ciò non accade all’improvviso ma è diretta conseguenza delle politiche liberiste adottate dalla generazione passata. Il primo passo per distruggere un economia consiste nel tagliare sulla ricerca sostenuta dallo Stato; il secondo passo riguarda il favorire la crescita di istituzioni finanziarie tenendo il mercato sotto prezzo attraverso interventi statali e il terzo e ultimo passo riguarda il convincere l’opinione pubblica che queste scelte non hanno impatto sul futuro. Chomsky ha portato l’esempio dell’euforia attualmente in corso negli Stati Uniti in merito alla indipendenza energetica per cui ci si paragona all’Arabia Saudita. Sappiamo che questa indipendenza energetica si basa sulle estrazioni di gas scisto attraverso la tecnica del fracking che genera un notevole impatto ambientale.

Conclude quindi Chomsky:

La società è impegnata in una grande campagna di propaganda per convincere la gente che il cambiamento climatico, se esiste, non deriva da attività umane. Nel caso di collasso climatico globale, tuttavia, la rovina andrà ben oltre l’economia.

Fonte: Raw Story

Gelicidio in Slovenia: le foreste distrutte

Le foreste in Slovenia in questi giorni vengono distrutte da un fenomeno che fatica ad apparire naturale, ma i media nazionali non informano. Lo fa Il Cambiamento.gelicidio_slovenia

La Slovenia è una piccola nazione ricoperta di prati e foreste nei quali sorgono piccoli paesi e cittadine le cui genti sono legate profondamente alla terra e ai prodotti che questa produce. Nelle grandi estensioni di boschi vivono animali rari e affascinanti, come l’orso bruno o la lince che in questa nazione di poco più di due milioni di abitanti riescono a sopravvivere molto bene, grazie ad una attenta gestione del territorio.  Montagne dal profilo dolce ricoperte di faggi, abeti, tigli e aceri si estendono a perdita d’occhio, aprendosi di tanto in tanto in ampi prati carsici da cui si godono delle viste mozzafiato. In queste foreste si possono osservare le impronte di lupi e linci, avvistare orsi e allocchi degli Urali, ascoltare il tamburellare del picchio nero sul tronco di qualche albero antico. Ma di alberi antichi ed anche giovani negli ultimi giorni ne sono rimasti in piedi assai pochi. Sulla Slovenia infatti si è abbattuto uno dei più terribili fenomeni meteorologici di sempre: la tempesta di ghiaccio, detta anche gelicidio.   Si tratta di un fenomeno che nei Balcani non è nuovo, ma non si è mai mostrato così devastante come in questi terribili giorni. In pratica una massa di aria fredda con temperature abbondantemente sotto lo zero stazionava da tempo ed in modo consueto su buona parte di Slovenia, Croazia, Bosnia e Ungheria. Un’altra massa di aria decisamente più calda e molto umida, portata dai venti di scirocco, si è insinuata in queste zone producendo intense piogge. Le gocce di pioggia, la cui temperatura era al di sopra dello zero, una volta arrivate al suolo si congelavano producendo una coltre apocalittica e mortale che in poche ore ha ricoperto gran parte della Slovenia e lembi delle nazioni confinanti. Il risultato è stato un disastro senza precedenti. Quasi il 40% delle foreste è stato distrutto o fortemente danneggiato. Il peso dei blocchi di ghiaccio ha infatti abbattuto o distrutto gli alberi, che nel migliore dei casi hanno perso tutti i piccoli rami mostrandosi ora come mostruosi scheletri.  Quasi 500.000 ettari di foresta (più della superficie dell’intero Molise), pari a circa la metà di tutto il patrimonio forestale sloveno, sono stati coinvolti, con molti milioni di metri cubi di vegetazione persa, e con essa migliaia di uccelli, piccoli mammiferi come scoiattoli e ghiri, e poi cervi, caprioli e i grandi predatori che hanno perso il loro habitat. E l’uomo? Per quanto sia meno importante e decisamente rimediabile, a differenza della distruzione di foreste ricche di grandi alberi e di biodiversità, è giusto citare il fatto che da giorni 12.000 chilometri di strade sono impraticabili per il ghiaccio e il legname abbattuto, 240.000 persone sono senza elettricità né riscaldamento, le autostrade sono impraticabili e soggette al passaggio degli animali che vagolano spaesati, centinaia di chilometri di linee telefoniche ed elettriche sono completamente distrutte dal peso del ghiaccio, stabilimenti industriali tra i più importanti del paese sono fermi o lavorano a rilento, le ferrovie sono congelate e ci vorranno mesi prima che le più piccole comunità possano tornare alla normalità. Ma questo fenomeno è naturale? Non pare proprio! È un fenomeno che parrebbe proprio essere conseguenza dell’effetto serra nella sua dirompenza e che potrebbe verificarsi anche in Italia, soprattutto nelle regioni del nord, compresa la popolosa Pianura Padana. Questi fenomeni, peraltro non isolati, di sovvertimento del clima e delle caratteristiche usuali delle stagioni, non possono non essere correlati con l’antropizzazione esasperata e l’inquinamento, i SUV che circolano dissennatamente in Europa, gli spensierati viaggi in aereo che consumano tonnellate di carburante, la frutta e verdura che abbonda sulle nostre tavole dopo aver percorso migliaia di chilometri da un continente all’altro. Siamo più o meno tutti colpevoli e saremo più o meno tutti coinvolti da fenomeni come questi o ancora peggiori, che potrebbero nell’arco di un decennio compromettere la produzione agricola mondiale e la salute di interi ecosistemi. Sta a noi iniziare il cambiamento, anche se non è facile ed occorre impegno e perseveranza. Bisogna iniziare dalle cose più semplici come andare in bicicletta o in autobus invece che in auto o in aereo, fino ad arrivare a rinunce più importanti e complesse. Lo dobbiamo a noi stessi ed anche alle linci e agli orsi della Slovenia.

Fonte: il cambiamento

Una Scomoda Verità

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Da Mastrapasqua alle alluvioni. C’è un’Italia che non vuole cambiare

Scandali, corruzione, distruzione del territorio: le cronache continuano a metterci sotto gli occhi un’Italia che non vuole cambiare. Ma i grandi media dimenticano che c’è anche un’Italia, forte, capillare e radicata, che sta già cambiando: l’economia solidale, i Gas, le comunità di base, l’associazionismo e l’ambientalismo sono il nostro presente e la nostra speranza.italia

Il 21 ottobre 2012, più di un anno fa, la trasmissione televisiva Report, con la puntata “Dirigenti di classe” denunciava i venticinque incarichi del Presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua. Venticinque incarichi: presidente dell’Inps; commissario del SuperInps; vicepresidente di Equitalia; Direttore generale dell’Ospedale Israelitico di Roma; Amministratore Unico della Litorale Spa; e poi altri venti, tra consigli di amministrazione, collegi sindacali e presidenze. Un anno e tre mesi dopo, ovvero venerdì scorso, 31 gennaio, il Governo presentava alle Camere un disegno di legge, con procedura di urgenza, in base al quale il presidente di un ente pubblico nazionale non deve avere altre cariche in conflitto di interessi. E così, il primo febbraio il presidente dell’Inps prendeva la decisione di dimettersi. Ma non certo a causa (o per merito?) di Report. Nè tantomeno delle varie trasmissioni politiche, da Servizio Pubblico a Virus, da La Gabbia a Piazza Pulita. Passando per Ballarò. Ma per l’operato della magistratura, che ha iscritto nel registro degli indagati Mastrapasqua per abuso d’ufficio e falso, in qualità di direttore generale dell’Ospedale Israelitico di Roma; si sono finalmente accesi i riflettori su questo scandalo. Sempre venerdì 31 gennaio l’Italia è stata colpita da una forte perturbazione atmosferica che ha portato alle ennesime inondazioni da Nord a Sud. “Maltempo, migliaia di evacuati. Paura a Roma. Treno deraglia a Viterbo”, scrive Il Corriere della Sera; “Bomba d’acqua sul centro nord. Massima allerta in sei regioni”, titola La Repubblica; “Nubifragi, allagamenti, frane e paesi isolati. Mezza Italia bloccata, l’Arno fa paura”, pubblica La Stampa. Ennesime inondazioni. Ennesimi allarmi. Ennesime presenze di esperti e tecnici in televisione, pronti a spiegare agli italiani il perché di queste catastrofi.  Due solo esempi (per ragioni di spazio), Mastrapasqua e alluvioni. Ma punte di un iceberg di dimensioni esagerate. Sembra di vivere nel Truman Show. Un giorno uguale all’altro. In un Paese completamente immobile. Mastrapasqua (e quanti altri a partire dalla moglie…) ha venticinque incarichi? Bene. Se ne parla su tutti i media, si organizzano trasmissioni televisive, si grida allo scandalo, in un’Italia che fa fatica ad arrivare a fine mese, ma il giorno dopo tutti sembrano dimenticare, come fossero completamente ovattati, in un’Italia automa e intimamente corrotta. Il clima sta cambiando? Andremo incontro sempre più frequentemente a piogge torrenziali? Fa niente. In Italia è meglio curare che prevenire. Con l’unica differenza che la cura ahimè non esiste. Disboschiamo, cementifichiamo, violentiamo la natura. Poi ne mettiamo una toppa. Con le conseguenze devastanti che abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi. Storie già vissute. Filmati già visti. Articoli già letti. Danni e disastri continui. Senza che niente cambi. Mentre la vita del Paese scorre liscia, come l’olio. In uno spaventoso lassismo. C’è un’Italia che non vuole cambiare. Ed è quella fatta dalle istituzioni, tutte. E, dispiace scriverlo, anche da milioni di italiani. Che rimangono fermi a guardare, lamentandosi e dichiarandosi impotenti di fronte a questi scenari. Ad uno spettatore esterno che osserva questo spettacolo deprimente verrebbe da pensare che noi italiani siamo un popolo di masochisti. Ci piace soffrire. Non arrivare a fine mese. Vedere la gente morire per lo straripamento di un fiumiciattolo. O per i veleni di una fabbrica. Un popolo dalle mille qualità e dai milioni di difetti. Ma, fortunatamente, come scriviamo ormai da anni sul nostro giornale, c’è anche un’Italia, piccola ma forte, che non sta ferma, che non aspetta la manna dal cielo. Che si mette all’opera e cerca di cambiare. E non è poi così difficile. A volte basta solamente copiare. Copiare chi è già cambiato. E chi ha già cambiato modo di vivere e di affrontare la vita quotidiana. E questo consiglio noi lo rivolgiamo non solo al popolo, ma anche ad imprenditori e politici. Ad Hannover, in Germania, l’assessore all’ambiente e all’economia (che strano connubio che sarebbe questo in Italia…) è tra i fondatori del Centro per l’Energia e l’Ambiente che dal 1981 pratica la vera politica dell’ambientalismo, le cui soluzioni sono diventate pratici esempi ripresi dalla legislazione nazionale. Sempre in Germania la ditta Solvis è leader nella produzione di pannelli solari. Quel che stupisce è che consuma l’80% in meno rispetto ad industrie simili. Due soli esempi per spiegare che si possono realmente abbattere i consumi, in un periodo di crisi economica dove sprecare meno è fonte di guadagno, senza però produrre inquinamento. E poi ci sono le persone, quelle normali, che hanno deciso di non sottostare più ai ricatti di questa classe politica. Chi andando via dal nostro Paese (sempre di più), chi invece mettendosi all’opera per cambiarlo. Pensiamo ai GAS, Gruppi di Acquisto Solidale, che si stanno sempre più diffondendo in Italia con ottimi risultati. O al cohousing. Come lo Urban Village, nato nel  2009 nel quartiere Bovisa di Milano. O semplicemente a chi ha ricominciato daccapo, cambiando vita. In meglio.  Come le 26 testimonianze raccolte da Giuseppe Canale e Massimo Ceriani nel libro “Contadini per scelta”, 332 pagine che raccontano le storie di chi ha deciso di dedicarsi all’agricoltura in un modo nuovo. «Quando sono su, a mille metri di altezza, lavoro – afferma Tiziana De Vincenzi, allevatrice di bovini nella Val Di Vara a Varese Ligure (La Spezia) – Arrivo alla sera stanca morta, non ne posso più, mi sdraio a letto e sono contenta. È assurdo ma è così, nessuno mi costringe ad alzarmi alle sei di mattina, ma quando vado su in azienda sto bene, nessuno mi rompe». Un mondo radicalmente diverso da quello della produzione agricola industriale, dove al centro c’è il contadino con la sua manualità, le sue idee, la sua cultura. Questa Italia sa che Mastrapasqua uscirà dalla porta per entrare dalla finestra (a proposito, resterà titolare degli altri 24 incarichi?). Sa che domani un’altra regione italiana soffrirà la piena di un fiume. Ma questa Italia, consapevole del proprio malessere, si muove e non rimane ferma a guardare. Il cambiamento non verrà certo dall’alto, da questa classe politica totalmente incompetente e indifferente alla situazione sociale e idrogeologica del Paese. Il cambiamento verrà da noi. Da questa Italia, piccola ma forte.

Fonte: il cambiamento

Armi chimiche dalla Siria distrutte nel Mar Mediterraneo, il carico prelevato in Italia

Le armi chimiche sequestrate alla Siria, circa 700 tonnellate a base di gas nervino saranno smaltite nel Mar Mediterraneo a bordo della nave Cape Ray. A gestire l’intera operazione l’Opac Nobel per la Pace nel 2013cape-ray-armi-chimiche

Ci siamo: tra due settimane arriva in Italia forse all’Isola Santo Stefano nell’Arcipelago della Maddalena o forse in Sicilia,la nave cargo Cape Ray in prestito alla Marina Militare Usa per prelevare 700 tonnellate di armi chimiche. Già sono piovute interrogazioni parlamentari in merito verso il ministro degli Esteri Emma Bonino per chiedere conto di questa pericolosa operazione militare ancora top secret.

La Cape Ray , gli FDHS sono stati caricati a bordo

Il carico è di 1500 container che proteggono contenitori sigillati e a doppia camera stagna filtrata con carbone attivo per evitare che i gas letali come iprite o gas mostarda e sarin possano contaminare persone o ambiente fino a che non saranno resi inefficaci. Lo rende noto l’OPACl’Organizzazione per la proibizione delle Armi Chimiche Nobel per la Pace nel 2013 spiegando che il primo lotto è già stato trasferito dalla Siria su una nave danese. Il programma prevede che sulla base della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2118 (2013) e decisioni del Consiglio Direttivo OPCW, le armi chimiche della Siria devono essere distrutte entro il 30 giugno 2014. La nave danese ha lasciato il porto di Latakia il 7 gennaio e è diretta verso l’Italia in una destinazione nota solo al ministero della Difesa che si pensa possa essere l’Isola Santo Stefano nell’Arcipelago della Maddalena dove i veleni saranno trasbordati sulla nave americana Cape Ray. Nel mentre si attende l’arrivo della Cape Ray, che presumibilmente arriverà a la Maddalena tra non meno di due settimane, le sostanze chimiche saranno tenute a deposito in uno dei bunker dell’Isola Santo Stefano ex base per i sommergibili nucleari Usa fino al 2008. Il perché debbano essere trasferiti sulla Cape Ray è presto detto: su questa nave sono stati installati due sistemi Field Deployable idrolisi System (FDHS) per lo smaltimento degli agenti chimici pericolosi messo a punto per l’occasione dai militari americani dello US Army Edgewood Chemical Biological Center in Maryland. L’FDHS neutralizza gli agenti chimici mescolandoli con acqua ed altri reagenti come idrossido di sodio e ipoclorito di sodio e poi riscaldandoli fino a trasformare composti” non utilizzabili come armi e l’efficienza di distruzione sarebbe pari al 99,9 per cento. Il sistema è in uso da 10 anni presso la Difesa americana e ogni FDHS costa circa 5 milioni di dollari Usa. Come ha avuto modo di spiegare Frank Kendall direttore al ministero della Difesa e implicato nello scandalo dei magneti cinesi sugli F-35:

L’FDHS per 10 anni è stato usato per distruggere le nostre scorie chimiche.

L’FDHS è stato dunque caricato sulla M/V Cape Ray a Portsmouth in Virginia , ed è questa appunto la novità: le scorie chimiche non viaggeranno alla volta degli Stati Uniti o della Russia ma saranno smaltite direttamente sulla nave in una località, per ora ignota a noi, al centro del Mare Mediterraneo. A bordo della Cape Ray un contingente di 63 chimici specializzati che per la prima volta lavoreranno in mare aperto. Stati Uniti e Russia con altri 187 paesi hanno deciso di eliminare i loro arsenali con armi chimiche dopo la firma nel 1993 della Convenzione sulle armi chimiche (CWC). Nessuno dei due paesi, tuttavia, è riuscito a mantenere nei tempi previsti le scadenze di disattivazione, soprattutto a causa problemi tecnici, politici e ambientali. L’eliminazione totale delle armi chimiche in Russia sarà completata nel 2027 mentre negli Stai Uniti terminerà nel 2023. La Siria è uno dei sette paesi che non ha firmato l’accordo CWC e che ha continuato a produrre sarin, tabun, VX e gas mostarda. Il Segretario di Stato John Kerry ha recentemente dichiarato che gli agenti chimici della Siria sono pari a 1.000 tonnellate la maggior parte dei quali in serbatoi di stoccaggio non miscelato.

Fonte:  CNN, GizMag

L’economia che distrugge e la via d’uscita

La schiera di oppositori del modello di società liberista sta crescendo in tutte le correnti di pensiero, a destra come a sinistra. La dimostrazione sempre più selvaggia che questo sistema economico sta causando danni irreversibili alla società umana e al pianeta è ormai sotto gli occhi di tutti. Dal papa a Naomi Klein, sono molti i protagonisti anche impensabili di questo dissenso che ci avverte che questa economia uccide.economia-sumergida

A partire dal papa, primo esponente del mondo conservatore cattolico, fino alla giornalista Naomi Klein, una delle persone più radicali del panorama alternativo mondiale, l’opinione è ormai diffusa: questa economia uccide. Che ciò avvenga veramente, è sotto gli occhi di tutti. Un sistema che ha il profitto come unica fede non può che travolgere qualsiasi ostacolo sul suo percorso, proprio così come sta facendo in maniera sempre più dannosa e distruttrice, mettendo in serio pericolo le basi stesse della vita sulla terra. Recentemente, sia papa Francesco che la Klein hanno usato parole chiare per descrivere la situazione, parole che sono state riprese da molti mass media. Nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium il papa ha affermato che l’attuale sistema economico «È ingiusto alla radice» e che . «Questa economia uccide». Parla inoltre di «mercato divinizzato» dove impazzano la speculazione finanziaria, l’evasione fiscale selvaggia ed egoista e la corruzione capillare. Le dichiarazioni di Naomi Klein in alcuni suoi recenti scritti comparsi su alcune fonti mediatiche molto note sono molto simili. Riportando i risultati di alcune ricerche sul clima da parte di alcuni scienziati che sono scesi in prima linea sul fronte dell’attivismo politico-ambientalista, la Klein sostiene che «A chiunque nutra in cuor suo un impulso di ribellione e abbia sognato di rovesciare l’attuale ordine economico per introdurne uno che non spinga al suicidio i pensionati, questo lavoro dovrebbe risultare particolarmente interessante. Perché dimostra che l’aspirazione a disfarsi di questo sistema spietato per sostituirlo con uno nuovo (e magari, lavorandoci molto, anche migliore) non è più questione di orientamento ideologico, ma è piuttosto una necessità per la sopravvivenza della specie umana» (qui la traduzione) (fonte primaria: New Statesman). Nell’articolo in questione, pubblicato originariamente sul New Statesman, e tradotto poi da Internazionale, è chiaro sin dal titolo (“Solo una rivoluzione salverà il pianeta. La crescita ad ogni costo sta uccidendo la Terra. Anche i climatologi sono arrivati alla conclusione che il sistema economico capitalista non è più sostenibile”) che le soluzioni tiepide non sono più possibili. Nel pezzo della Klein, attraverso la voce e le ricerche di eminenti studiosi e scienziati, si dimostra che solo una mobilitazione planetaria potrà arrestare una situazione ormai fuori controllo. Quindi, altro che riforme o blande leggine: solo un cambiamento radicale potrà agire in questo senso. Cambiamento auspicato non da facinorosi terroristi, bensì da distinti e razionali ricercatori accademici. Del resto, lo sappiamo bene, i tempi di reazione della politica sono biblici, anche perché i suoi protagonisti sono proni ai desideri e dettami dell’economia che uccide. Dunque, la speranza di un cambiamento di rotta risiede in ognuno di noi e in una azione diretta, individuale e collettiva. Naomi Klein identifica nelle manifestazioni, nella resistenza, nel moltiplicarsi di gruppi che ovunque nascono per opporsi, la chiave di volta del tanto atteso cambiamento. Di sicuro, le azioni di chi si oppone sono importanti, ma io credo che, almeno nei nostri paesi occidentali, anche l’opposizione plateale non sia così risolutiva. Se veramente si vuole combattere l’economia assassina, occorre affrontarla sul suo stesso piano, cioè prevalentemente appunto quello economico. Non è molto utile partecipare a mille manifestazioni di piazza se poi con i nostri soldi siamo i primi ad alimentare lo stesso sistema che diciamo di combattere. Non serve dire che l’Enel inquina e poi continuare a pagarle le bollette, senza cambiare fornitore di corrente elettrica. Non serve urlare contro la finanza internazionale e poi avere il conto corrente nelle solite banche che fanno il suo gioco. Non serve atteggiarsi a fare gli “alternativi” e poi lavorare per qualche datore di lavoro, multinazionale o azienda a cui dell’ambiente e delle persone non interessa nulla. La vera risposta è quindi la creazione di una cultura completamente diversa, che non pensa che il massimo che si possa fare per contrastare questo tipo di degrado socio-ambientale sia una manifestazione, una raccolta di firme o il dare il voto a qualcuno, ma che ponga le basi etiche, sociali, economiche, lavorative per il vero cambiamento radicale di cui ha necessità il mondo intero, partendo proprio da azioni personali concrete e da scelte di vita. Certo, è più difficile costruire che protestare, è più difficile pensare in modo indipendente e realizzare alternative dirette che delegare qualcuno che faccia e pensi per noi, ma a quanto pare non abbiamo grandi scelte: o agiamo noi direttamente oppure verremo spazzati via, per quante manifestazioni o proteste potremo fare. La Grecia degli ultimi mesi ce lo insegna. Ai giganti del profitto si può solo sottrar loro la terra da sotto i piedi. Occorre agire con intelligenza, perseveranza e tenacia. Un nuovo mondo non nasce dal nulla, non nasce solo dalla rabbia, ma dalla attenta costruzione di valori molto diversi da quelli che ci vogliono divisi e arrabbiati. Anche perché poi, quasi automaticamente, se non si costruisce una alternativa tutti assieme, spunteranno sempre dei capi, dei leader, dei guru che cercheranno di condurci per strade che rispondono solo ai loro interessi, che siano economici, politici o di ego smisurato. Le alternative però ci sono già ora, sono percorribili e praticabili, assai più di quello che normalmente si è portati a pensare. Basti pensare a cosa, dal 2002 ad oggi, è riuscita a mettere in piede la vasta alleanza di gruppi e comitati che hanno costituito la Rete di Economia Solidale, realtà che si sta spendendo per la costruzione di una economia “altra”, a partire dalle mille esperienze di economia solidale attive in Italia. Sono state attivate reti locali, i cosiddetti distretti, come passaggio fondamentale per la costruzione di una futura rete italiana di economia solidale. Collegarsi a e supportare oggi queste realtà, grazie a possibilità di comunicazione un tempo inimmaginabili, è molto facile. Basta solo una determinata volontà interiore e un minimo di azzardo rispetto alla sicurezze precedenti che imprigionano noi e un pianeta avvilito.

Fonte: il cambiamento

 

Biodiversità a rischio: “distrutto il 60% degli ecosistemi”

Negli ultimi 50 anni è andato distrutto il 60% degli ecosistemi terrestri. È dunque necessario “aumentare la percentuale di superficie delle aree protette e investire per conservare il grande patrimonio naturale rilanciando così anche l’economia del Paese”. È quanto sostiene Legambiente che anticipa i primi dati del rapporto sulle specie e habitat in pericolo in Italia e nel mondo.biodiversita_8

È uno dei più importanti hot spot di biodiversità in Europa, ma il suo ricco patrimonio naturale è a rischio. A detenere questo primato europeo è l’Italia, che ospita circa 67.500 specie di piante e animali, circa il 43% di quelle descritte in Europa e il 4% di quelle del Pianeta. Al Belpaese spetta però anche il record delle specie a rischio: nell’Unione Europea il maggior numero di animali e piante minacciati, circa il 35%, si trova proprio nell’area del Mediterraneo, in particolare in Italia. Ma anche nel resto del mondo la situazione non è delle migliori: la perdita di biodiversità del pianeta avanza con tassi che incidono da 100 a 1000 volte più del normale. Negli ultimi 50 anni, si è degradato il 60% degli ecosistemi terrestri con pesanti ripercussioni socio economiche. È quanto emerge dal Rapporto Biodiversità a Rischio di Legambiente, che traccia un quadro aggiornato sulla situazione della biodiversità in Italia e nel mondo e raccoglie due interessanti approfondimenti sulle zone umide e la biodiversità in Abruzzo. Il dossier, i cui dati sono anticipati in vista della Giornata Mondiale della Biodiversità in programma domani 22 maggio, vuole riportare in primo piano il tema della biodiversità, capitale naturale del pianeta, risorsa fondamentale per lo sviluppo e la ricchezza economica. “Frenare la perdita di biodiversità – spiega Antonio Nicoletti, responsabile Aree Protette di Legambiente – è una delle sfide più grandi da affrontare attraverso l’adozione di misure concrete, che seguano le tante buone intenzioni proposte fino ad ora e che invece non hanno trovato un’effettiva attuazione. Il deludente risultato della Conferenza delle Nazioni Unite Rio+20, che ha portato alla sottoscrizione di un debole documento privo di impegni concreti e copertura finanziaria, accelera ancora di più la necessità di attuare interventi concreti per rilanciare l’economia, mitigare gli effetti del cambiamento climatico e fermare la perdita di biodiversità, importante capitale naturale su cui fondare il nostro sviluppo economico e benessere sociale.muschi_licheni

In questo percorso di rilancio,tutela e conservazione della biodiversità, le aree protette hanno un ruolo chiave nella conservazione e valorizzazione della natura, ma a loro spetta anche il compito di diventare un organismo moderno di gestione integrata e sostenibile del territorio cercando di far crescere, entro il 2020, la percentuale della loro superficie a livello mondiale (il 17% delle aree terrestri e il 10% di quelle marine) come stabilito dall’Onu”. Dal rapporto emergono bellezze naturali e criticità dell’Italia, un Paese dove sono presenti un’enorme varietà di ambienti naturali con ben 130 gli habitat individuati dalla Direttiva europea Habitat 92/43. La fauna italiana rappresenta più di un terzo dell’intera fauna europea con 57.468 specie e sono state censite 6.711 piante vascolari. Abbiamo, inoltre una delle più ricche flore europee di muschi e licheni. Questo ricco patrimonio è però sotto scacco: secondo i dati della Lista Rossa Nazionale delle specie minacciate, elaborata dal Comitato Italiano dell’IUCN, delle 672 specie di vertebrati valutate (576 terrestri e 96 marine), 6 sono estinte nella regione in tempi recenti. Le specie minacciate di estinzione sono 161 in totale (138 terrestri e 23 marine), pari al 28% delle specie valutate. Il 50% circa delle specie di vertebrati italiani non è invece a rischio di estinzione imminente. Complessivamente però le popolazioni dei vertebrati Italiani, soprattutto in ambiente marino, sono in declino. Per quanto riguarda i dati emersi dalla Lista Rossa parziale della flora d’Italia, invece, emerge che due specie endemiche sono completamente estinte a livello globale, mente altre sopravvivono solo ex situ nelle collezioni di giardini botanici. Questi dati evidenziano dunque la necessità di intensificare nei prossimi anni l’impegno dell’Italia per garantire che la biodiversità e i molti servizi che essa offre siano meglio integrati in tutte le altre politiche a livello nazionale e internazionale, in modo che la biodiversità diventi il fondamento su cui poggia il nostro sviluppo economico e il nostro benessere sociale. I fattori di perdita di biodiversità e le conseguenze economiche. I cambiamenti climatici, l’introduzione di specie aliene, il sovra sfruttamento e l’uso non sostenibile delle risorse naturali, le fonti inquinanti e la perdita degli habitat sono le principale cause di perdita di biodiversità. I soggetti più esposti agli effetti negativi della perdita di biodiversità sono le popolazioni che dipendono direttamente dai beni e dai servizi offerti degli ecosistemi. Ad esempio, la deforestazione mette a rischio un miliardo e mezzo di persone che vivono grazie ai prodotti e ai servizi delle foreste, le quali proteggono anche l’80% della biodiversità terrestre. La pressione intorno alle risorse idriche, inoltre, cresce sia in termini di quantità sia di qualità in molte zone del mondo. E il sovra sfruttamento eccessivo della pesca ha conseguenze economiche disastrose per l’intero settore. Senza contare che la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi comportano anche dei costi economici, di cui fino a poco tempo fa non si teneva praticamente conto. La perdita annua di servizi ecosistemici viene stimata a circa 50 miliardi di euro; ed entro il 2050 si stima che le perdite cumulative, in termini di benessere, potrebbero essere equivalenti al 7% del PIL.orso__marsicano7

Approfondimento zone umide. Quest’anno il Rapporto Biodiversità a Rischio contiene anche due interessanti approfondimenti. Il primo riguarda le zone umide, preziosi ecosistemi che forniscono acqua potabile, producono il 24% del cibo del Pianeta, servono all’irrigazione delle colture, fanno da barriera e da magazzini naturali di acqua in caso di inondazioni e sono importanti serbatoi di CO2. La complessità ecologica rende però le zone umide ambienti estremamente delicati e vulnerabili a una vasta gamma di pressioni antropiche su scala globale (bonifiche, urbanizzazione, artificializzazione in senso lato, pesca sportiva) e locale (stress idrico, inquinamento, agricoltura, pascolo, fruizione non controllata). A questi elementi di minaccia, bisogna poi aggiungere l’introduzione delle specie alloctone invasive come la nutria (Myocastor coypus), specie introdotta dall’America meridionale come animale da pelliccia, e la testuggine della Florida (Trachemys scripta), originaria dell’America centro-settentrionale e commercializzata in Italia come animale d’acquario. Approfondimento Abruzzo. Malgrado l’Abruzzo sia la regione con il più alto tasso di specie protette in Italia, la preziosa fauna abruzzese, tra cui lupo e orso bruno marsicano, è a rischio a causa delle costanti aggressioni di origine antropica. Solo da gennaio 2012, infatti, sono stati 44 gli esemplari di lupo trovati morti nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, di cui 36 solo dall’inizio del 2013. Nello stesso lasso di tempo sono deceduti anche 3 cervi e 2 esemplari di orso bruno marsicano. Questi dati dimostrano quanto ci sia da fare per riuscire a debellare una vera e propria piaga che, se non affrontata, rischia di vanificare gli sforzi di quanti si adoperano, con volontà e spirito di sacrificio, per salvaguardare il nostro importante patrimonio naturalistico. Da ricordare, infine, che ci sono anche buone notizie: la prima riguarda il ritorno nei mari italiani della Foca Monaca, una delle specie a maggior rischio di estinzione nel Mediterraneo, che ha scelto come rifugio una grotta sulla costa delle isole Egadi, in Sicilia al largo di Trapani. La presenza di questo animale testimonia dunque l’ottimo lavoro svolto dall’Area marina protetta in questi ultimi anni e dimostra come, con una corretta e attenta gestione del territorio, sia possibile far convivere la qualità ambientale ed elementi di grande naturalità con il turismo, la nautica da diporto e un’attività di pesca sostenibile importante qual è quella condotta nel mare delle Egadi. La seconda buona notizia è il ritorno della lince nell’Appennino. L’esemplare, un maschio adulto, è stato avvistato e fotografato sull’Appennino forlivese nei pressi di Santa Sofia, uno dei comuni del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. L’avvistamento del grande predatore è una notizia eccezionale, dato che l’animale si riteneva estinto in buona parte del territorio nazionale. Una notizia che deve spronare l’intero mondo dei Parchi e la ricerca scientifica a proseguire le importanti azioni intraprese a favore della conservazione della biodiversità.

Fonte: il cambiamento