La CSA di Roma: la comunità che supporta l’agricoltura e costruisce nuovi legami.

Nella campagna a nord di Roma ha preso vita una comunità fondata sulla fiducia, la condivisione e la coltivazione del cibo sano. Si tratta della CSA Semi di Comunità, un modello di produzione e distribuzione dei prodotti alimentari nonché un esperimento sociale di successo da diffondere e replicare. Una delle particolarità della città di Roma (se davvero fosse possibile generalizzare la sua variegata geografia) è la sua capacità di cambiare aspetto da un momento all’altro. Come si usa dire, “tutte le strade portano a Roma” così come molte, allo stesso tempo, partono da qui. Una di queste è la Via Cassia, via di fuga verso Nord dal centro cittadino, che percorro praticamente da sempre. Una delle ramificazioni di questa arteria è la Via Cassia Veientana, al suo inizio caratterizzata da un grande cavalcavia. Per raccontarvi la storia di oggi, per la prima volta ho attraversato questo ponte da sotto, percorrendo una strada di campagna che, quasi in un battito di ciglia, mi ha condotto nel cuore della campagna romana per andare a scoprire un “esperimento sociale” di compartecipazione tra agricoltori e comunità: la CSA Semi di Comunità. CSA sta per “Community Supported Agricolture”, traducibile in italiano come “Comunità che Supporta l’Agricoltura”. Si tratta di un modello di reciproco supporto tra una determinata comunità di persone e una cooperativa di agricoltori: la comunità diventa “proprietaria”, insieme agli agricoltori, di una qualsiasi iniziativa di produzione agricola, investendo una quota per finanziare la produzione e ricavandone in cambio una certa quantità di cibo per la famiglia, regolarmente distribuita. Insieme, dunque, si condividono rischi e opportunità di un’iniziativa del genere, si sperimenta la condivisione in gruppo di decisioni strategiche come, ad esempio, quali colture produrre, quali costi sostenere e quali investimenti programmare, come ripartire le quote tra i diversi soci e quale modello organizzativo scegliere. Stabilite queste basi comuni, non esiste un modello organizzativo comune per tutte le CSA: noi vi abbiamo raccontato, tempo fa, la “madre” di tutte le CSA in Italia, cioè Arvaia, alla quale la CSA romana “Semi di Comunità” si ispira. Vi invitiamo a guardare il video qui da noi realizzato, dove potrete scoprire il modello organizzativo e distributivo che incarna il senso di questa esperienza.

L’asta delle quote: come funziona nella pratica la CSA Semi di Comunità

In “Semi di Comunità” esistono dei concetti cardine: naturalmente la creazione di comunità, come avete potuto vedere all’interno del video. Un altro concetto fondamentale è l’accessibilità al cibo naturale: «Un esperimento che rende ancora più orizzontale il nostro progetto – ci racconta Saverio Carrara, socio lavoratore e Presidente della Cooperativa – è lo strumento dell’asta delle quote. Una volta stabilito il piano economico annuale, i costi e gli investimenti previsti vengono divisi in quote, che ogni singolo socio deve versare. Il problema è che se i costi delle quote sono cari non tutti possono partecipare. Durante l’asta delle quote da noi qualche socio offre un quantitativo di denaro più alto rispetto al dovuto, per permettere così ad altri di partecipare anche con una quota più bassa. Il tutto a parità di prodotto, naturalmente: il quantitativo di verdure rimane lo stesso. Abbiamo usato per la prima volta questo strumento quest’anno ed abbiamo chiuso il nostro piano economico con seicento euro di avanzo. Questo strumento, condiviso da tutto il gruppo, ci ha così consentito di rendere la CSA il più inclusiva possibile, permettendo di raggiungere l’obiettivo fondamentale di rendere il cibo sano e naturale accessibile possibilmente a tutti».

Oggi “Semi di Comunità”, nata a Gennaio 2019, conta circa duecentotrenta soci, contribuendo al fabbisogno alimentare di circa centotrenta famiglie. Il terreno su cui opera è grande circa cinque ettari, di cui tre a seminativo e due a bosco: attualmente sono già giunti alla giusta proporzione tra soci fruitori e capacità produttiva.

La differenza Tra CSA e GAS (Gruppo di Acquisto Solidale)

Perché la CSA rappresenta, probabilmente, l’evoluzione naturale dei Gruppi di Acquisto Solidale, in termini di partecipazione e responsabilizzazione delle persone? Non solo per la compartecipazione al rischio di impresa. «Non è sufficiente acquistare una quota e basta per fare parte di Semi di Comunità – ci spiega il socio Davide Gentili – Siamo divisi in soci volontari e soci fruitori, ma anche il socio fruitore che acquista le quote deve garantire la presenza sui campi almeno quattro volte l’anno. Noi, tutti insieme, stiamo costruendo a partire dal cibo una comunità, perché il cibo sano e genuino rappresenta il collante giusto per tenere unite le persone e condividere momenti insieme. Il nostro è anche un atto politico: è un modo di stare a contatto con i campi diverso,evitando le storture messe in pratica dalla GDO e appoggiando un certo modo di fare agricoltura che sia rispettoso dell’uomo e dell’ambiente circostante. Chiunque può venire sui campi e può partecipare, provare cosa significa fare parte di una comunità inclusiva come questa: il problema è proprio capire come far partecipare tutte le persone che vogliono far parte di questa esperienza».

Altra differenza fondamentale rispetto al GAS è la distribuzione, ben spiegata nel video sopra dal socio volontario Bruno Sclavo: «Alla fine del raccolto, che di solito avviene di martedì pomeriggio o di mercoledì, si effettua la suddivisione delle verdure in base ai nostri otto attuali punti di distribuzione. Questi otto punti di distribuzione sono suddivisi in varie parti di Roma ed ognuno dei soci fruitori si occupa della distribuzione qui in sede. I soci fruitori si recheranno al punto di distribuzione e sapranno la parte che spetta loro: a differenza delle cassette tradizionali su ordinazione, i soci non trovano una cassetta già preparata, ma una tabella con la quantità di ortaggi che possono prendere, componendo loro stessi le proprie cassette. Ciò introduce il discorso della fiducia, altro tassello importante per noi: nessuno controlla il singolo socio fruitore quanto prende per la propria cassetta, ed ognuno si assume la propria responsabilità nella buona riuscita della distribuzione».

La costruzione della Comunità e gli obiettivi futuri

Semi di Comunità non è solo produzione e distribuzione di cibo ma costruzione di reti e relazioni: «io sono venuta a conoscenza di questa realtà tramite mia madre» ci racconta divertita la socia volontaria Marta de Marinis «e sapevo che per diventare almeno socio sostenitore bastava compilare un formulario su Internet. A dir la verità mi sono innamorata di questo luogo frequentandolo prima come volontaria che come socia, perché l’atmosfera che si crea è davvero particolare».

«È come una seconda casa per me, ormai» aggiunge la socia volontaria Giada Serina «e le occasioni di incontro non sono legate solamente al lavoro sui campi e alla produzione di cibo. Anche nella gestione degli spazi qui in sede, vale il discorso della condivisione: ad esempio prossimamente, insieme ai soci volontari, ci ritroveremo a sistemare nuovamente la cucina e gli spazi comuni. Organizziamo eventi di incontro con la comunità come la proiezione di film. E poi ci sono i tornei a biliardino tra di noi, le serate passate a parlare e a godere di tramonti stupendi. È davvero bello trascorrere le giornate qui».

Un altro tentativo per costruire una comunità attiva in Semi di Comunità è stato quello della condivisione dei saperi: «Una volta al mese, prima del lockdown – spiega Saverio – abbiamo organizzato dei corsi di formazione anche non direttamente collegati alla produzione di cibo, come quelli per la costruzione di forni in terra cruda o per produrre saponi naturali . L’idea alla base di questa iniziativa è mettere a disposizione la propria competenza di tutti i soci come dono. Questo significa condivisione pura e possibilità di crescita per tutti, perché la condivisione del sapere aiuta a costruire dei legami forti tra le persone».

A questo link trovate l’intervista integrale.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/csa-roma-comunita-che-supporta-agricoltura-costruisce-nuovi-legami-io-faccio-cosi-298/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Agricoltura contadina e filiera corta possono salvarci. Ma riusciranno a salvare se stesse?

La crisi della filiera alimentare dovuta alla pandemia apre spazi di cambiamento interessanti. Cosa possiamo fare per favorire la nascita di una filiera più resiliente ed equa del cibo? E quali aspetti dell’agricoltura contadina attuale dobbiamo lasciar andare affinché possa cogliere l’occasione che la storia le pone di fronte? Ne parliamo con Nicola Savio, permacultore e vecchia conoscenza di Italia che Cambia, e con Davide Biolghini della Rete Italiana di Economia Solidale. Ne abbiamo sentite e continuiamo a sentirne tante, in questi giorni anomali. Chi è convinto che il virus cambierà il mondo, chi spera in un rapido ritorno alla normalità, chi, portando ottimi argomenti, mette in guardia che “la normalità era il problema”. Stiamo proiettando su questa situazione i nostri desideri più intimi tanto quanto le nostre più profonde paure. È vero, questa pandemia cambierà molte cose, ma la direzione di questi cambiamenti non le deciderà il virus. Le decideremo – più o meno consapevolmente – noi. 

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Uno dei tanti settori in cui si aprono interessanti finestre di cambiamento è quello della produzione, distribuzione e consumo di cibo. Abbiamo osservato con sgomento le code interminabili di fronte ai supermercati, preludio a scaffali spesso semivuoti – dal Regno unito sono arrivate voci di scenari ancor più catastrofici. Consegne in ritardo, shop online intasati e con attese lunghissime. E il peggio potrebbe essere ancora di là da venire: la fuga della manodopera a basso costo – perlopiù stranieri tornati in patria subito prima del lockdown – sta lasciando buona parte dei raccolti a marcire nei campi mettendo a rischio la sicurezza alimentare. La crisi sanitaria ha messo a nudo la totale inadeguatezza della filiera alimentare, costruita per massimizzare l’efficienza a discapito della resilienza. In questo contesto parlare di come produciamo e distribuiamo il nostro cibo diventa improvvisamente un argomento centrale per tutti. Per capire quali sono i problemi e le opportunità di questa situazione nuova mi sono fatto due chiacchierate, la prima con Nicola Savio, agricoltore esperto di permacultura e vecchia conoscenza di Italia che Cambia, la seconda con Davide Biolghini, membro del consiglio direttivo della Rete Italiana di Economia Solidale. Provo a mettere insieme i pezzi e riassumervi quello che ho capito.

Crisi o opportunità?

«In questo periodo – mi spiega Davide – la domanda di prodotti biologici e anche di sistemi di distribuzione locale come quelli dei Gruppi d’acquisto solidali (Gas) sta crescendo. Buon Mercato, ad esempio, l’esperienza di ‘supergas’ nel corsichese, ha visto aumentare del 30-40% gli ordini da parte di famiglie nuove che si sono avvicinate in questa circostanza». Come spesso accade, la crisi è stata occasione per mettere in atto soluzioni creative: «Da un lato c’è stata disponibilità da parte di alcuni piccoli e medi produttori di aumentare i punti di distribuzione: La Terra e il Cielo, ad esempio, ha iniziato a consegnare gli ordini in più punti diversi, evitando ai gasisti di doversi recare tutti assieme al punto di raccolta, che per alcuni era persino fuori dal proprio comune di residenza. Alcune persone, poi, si sono offerte di fare consegne a domicilio a famiglie o gruppi di famiglie che avevano particolari difficoltà. Anche alcuni produttori ora fanno la consegna a domicilio, cosa che prima non veniva fatta».

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Davide Biolghini

Anche Nicola mi conferma una crescita notevole delle richieste nei confronti di molte aziende agricole medio-piccole. «Oltre a me – spiega – penso ai miei amici di Prati al Sole, che vista la situazione hanno provato a riorganizzarsi per fare consegna a domicilio: hanno finito tutta la produzione che avevano programmato per quella settimana in 24 ore. E in un raggio dall’azienda di due chilometri. E come loro molti altri: chi si è organizzato con gruppi Whatsapp, chi con gruppi Facebook. In momenti di crisi la creatività viene fuori, se si hanno gli occhi per vedere le opportunità».

Tuttavia non tutta l’agricoltura contadina sembra godere di vento favorevole. Molti produttori stanno soffrendo per la chiusura dei mercati all’aperto, compresi quelli contadini e rischiano di buttare parte del raccolto. Altri chiedono l’intervento dello Stato, con finanziamenti mirati a sostenere le aziende in difficoltà. Tuttavia la riapertura dei mercati e i finanziamenti sono soluzioni che possono tamponare l’emergenza, ma difficilmente possono migliorare la situazione a medio-lungo termine. «Ho l’impressione – continua Nicola – che stiamo provando a risolvere un problema non classico adottando soluzioni classiche. Non ci siamo mai trovati in una situazione del genere, è totalmente nuova, molte cose si sono stravolte. Il problema è cosa fare di questo stravolgimento. Se le uniche richieste dei piccoli agricoltori sono i finanziamenti pubblici e la riapertura dei mercati non abbiamo risolto niente. È come mettere un cerotto su un taglio che i parte dall’inguine e arriva fino al collo.»

Nicola Savio

È possibile prendere il meglio che questa occasione ci offre e cambiare la filiera alimentare? O la pandemia segnerà il tracollo dell’agricoltura contadina? «Secondo molti – chiosa Davide – ci sono tre scenari: o si cerca di tornare al prima, alla cosiddetta normalità, o ci sarà uno strapotere delle filiere lunghe dell’agroindustria, nonostante siano concausa dei cambiamenti climatici e in maniera indiretta anche della diffusione delle pandemie; o si coglie l’occasione di questo spazio per dare maggiore peso alle pratiche dell’economia sociale e solidale, dell’agricoltura contadina e dei sistemi di economia locale». 

Cosa dobbiamo cambiare

Cosa possiamo fare per favorire la nascita di una filiera più resiliente ed equa del cibo? E quali aspetti dell’agricoltura contadina attuale dobbiamo lasciar andare affinché possa cogliere l’occasione che la storia le pone di fronte? «Un primo aspetto in cui è necessario un salto di qualità è la pianificazione. Noi agricoltori – mi spiega Nicola – non siamo abituati a pianificare. L’idea di base è sempre stata: io produco, poi se vendo bene, altrimenti mi arrabbio e chiedo gli aiuti allo stato. Aiuti che per i piccoli, fra l’altro, si sono fatti negli anni sempre più risicati e inarrivabili. Ma così viene meno l’obiettivo vero dell’agricoltura, che sarebbe quello di sfamare le persone. Per tornare a svolgere un ruolo centrale e utile la piccola agricoltura deve ritrovare la capacità di pianificare la produzione».  

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Matteo Mazzola dell’Azienda agricola Iside con uno degli attrezzi agricoli per una agricoltura a bassissimo impatto che Nicola Savio vende tramite Officina Walden.

Un secondo aspetto da lasciar andare, sempre secondo Nicola, sono le colture iperspecializzate. Se l’agroindustria produce cibo tutto uguale su larga scala per sfamare la massa, un ramo della piccola agricoltura ha ripiegato (ingolosita dai finanziamenti) sul produrre prodotti di alta qualità per piccole nicchie benestanti. Anche in questo caso vengono a galla tutti i limiti delle politiche agricole: «L’agricoltura dovrebbe essere l’apice della resilienza: diversificare, in modo che se non va bene una coltivazione ne va bene un’altra. E se proprio va malissimo mangio io e dopo vediamo. Invece i finanziamenti ti portano a fare scelte sbagliate. Fra l’altro vista dall’ottica di questi piccoli produttori adesso sarà dura: se hai piantato solo prodotti di nicchia che vendi a caro prezzo, chi te li compra adesso che siamo in piena crisi di liquidità?»

Quali modelli per il futuro?

Quali soluzioni abbiamo nel cappello, o per meglio dire nel paniere? «Più che soluzioni – continua Nicola – possiamo osservare i modelli che stanno funzionando e prenderne spunto. Penso alle CSA (Comunità che supporta l’agricoltura, un modello comunitario di gestione dei terreni e di pianificazione della produzione, ndr), o a soluzioni simili. In generale i modelli che stanno funzionando di più sono quelli che costruiscono una relazione diretta e continuativa con i clienti o soci, adattandosi alle loro esigenze. Spesso si vendono dei pacchetti annuali, che prevedono una fornitura settimanale.»

Anche i Gas si stanno muovendo in direzione simile, e da tempo è in corso un ripensamento del loro modello per trasformarli in qualcosa di più vicino a una Csa. Mi dice Davide: «Da tempo stiamo proponendo dei patti tra consumatori consapevoli e produttori responsabili, in cui cambia la relazione fra i due soggetti, che attualmente è ‘liquida’ e spesso sbilanciata a favore dei gasisti che hanno maggiore potere e scelgono di volta in volta quali prodotti acquistare, quando e come. Rispetto a questo sistema di relazioni il patto impegna ambedue le parti: il gas ad acquistare una certa quantità di prodotti, magari anche con anticipo di una quota, il produttore a rendere trasparente ed equa la formazione del prezzo». 

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La Terra e il Cielo

Attualmente Co-energia, l’associazione di Gas e Des che si occupa di patti e convenzioni nel campo della produzione del cibo e della energia (di cui Davide è presidente) gestisce due patti principali, uno storico con La Terra e il Cielo, e l’altro più recente con i piccoli agricoltori campani della La Buona Terra – in quest’ultimo caso il patto prevede anche l’anticipo del 40% rispetto agli ordini previsti per garantire i piccoli produttori nella semina e nella coltivazione dei prodotti. «La cosa che mi sembra molto importante sottolineare – continua Davide – è che i patti alimentano un fondo di solidarietà che permette di finanziare progetti di economia solidale.» 

C’è poi l’ultimo sviluppo dei gruppi d’acquisto, i condomini solidali, nati da un’iniziativa della Rete di economia sociale e solidale di Roma. Sono condomini che si organizzano per farsi consegnare gli ordini a domicilio dai produttori. Per il produttore diventa più conveniente perché accorpa vari ordini in un’unica consegna, mentre per i condomini può diventare un modo per rafforzare le relazioni di vicinato. «Ne esistono già alcuni attivi a Roma e adesso abbiamo anche una mappa che geolocalizza tutti i punti di ordine/consegna/ritiro dei condomini.» L’idea del condominio sembra interessante anche per la possibilità di coinvolgere persone che normalmente non si iscriverebbero a un gas, ma che potrebbero essere ugualmente interessate a una fornitura di cibo locale e di qualità. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/05/agricoltura-contadina-filiera-corta-possono-salvarci-riusciranno-salvare-se-stesse/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Raccolta lampadine esauste: occhio al furgone ECOLAMP-AMSA

Continua fino a marzo 2014 l’iniziativa Consorzio RAEE-AMSA per la raccolta differenziata delle lampade a basso consumo e dei neon esausti, davanti le scuole e vicino ai punti vendita della grande distribuzione. La postazione mobile è un’alternativa in più alle riciclerie. Il calendario delle tappe, con orari e siti, sino al 20 dicembre376495

Continua fino a marzo 2014 l’iniziativa AMSA-Ecolamp (Consorzio senza scopo di lucro dedito al recupero e al riciclo delle sorgenti luminose esauste), di raccolta straordinaria di lampade esauste a Milano. Si tratta di un’attività sperimentale in cui un veicolo opportunamente attrezzato viene posizionato su strada presso diversi punti strategici della città, scuole e punti vendita della Distribuzione.  Il furgone si ferma nei giorni stabiliti presso le scuole nell’orario mattutino, dalle 7.45 alle 8.45, mentre nei siti prossimi ai punti vendita della grande distribuzione,nell’orario 9.30-13.30. Sono una cinquantina le tappe ancora previste, tra ottobre e dicembre, in tutte le 9 Zone di Milano. L’iniziativa Ecolamp-AMSA mira ad incrementare le possibilità di conferimento delle lampade a basso consumo esauste, che attualmente si basa sulla consegna presso le 5 riciclerie, il Centro Ambientale Mobile (CAM) o i punti vendita, dove è in vigore la raccolta con la modalità dell’“uno contro uno” (consegna del RAEE al momento dell’acquisto di un nuovo prodotto della stessa tipologia). Durante le fermate del furgone, sarà quindi possibile conferire le lampade a basso consumo e i neon in appositi contenitori in presenza di un addetto AMSA, a disposizione degli utenti per rispondere a domande relative alla raccolta dei rifiuti e per distribuire flyer informativi a chiunque ne faccia richiesta. Il recupero dei RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), iniziato in Italia nel recente 2008, ha osservato in questi anni una progressiva crescita, e una specifica categoria di questi rifiuti, le lampade, nel 2012 ha registrato un ulteriore miglioramento della raccolta differenziata.  Ecco il link al calendario con le tappe del furgone Ecolamp-AMSA, davanti scuole e punti vendita GD, sino al 20 dicembre.

Ulteriori informazioni su www.amsa.it e www.ecolamp.it

Fonte: ecodallecittà