Maltempo, FIMA: strage figlia di abusivismo e dissesto idrogeologico

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“La strage di questi giorni di maltempo è figlia del dissesto idrogeologico, della mancata manutenzione del territorio, dei cambiamenti climatici, dell’abusivismo edilizio. Altro che dell’ambientalismo da salotto, di cui ha parlato il vicepremier Matteo Salvini.” È quanto afferma Roberto Giovannini, giornalista de La Stampa e presidente della Fima, la Federazione Italiana dei Media Ambientali, l’associazione che raccoglie in giornalisti e i comunicatori che si occupano di ambiente e sostenibilità.

“È vero l’esatto opposto – prosegue Giovannini – La colpa è dell’anti-ambientalismo militante che da sempre si è disinteressato di mettere in sicurezza il territorio, ha minimizzato i cambiamenti climatici, e ha varato ripetuti condoni. Un virus perverso che infetta questo governo, viste le sanatorie in arrivo per Ischia e le zone terremotate dell’Italia centrale”.

La Fima ricorda che dalla fine della guerra al 2012, secondo calcoli di Legambiente, sono 61,5 i miliardi di euro spesi soltanto per fronteggiare i danni provocati dagli eventi estremi nel territorio italiano. E che l’Italia è tra i primi Paesi al mondo per risarcimenti e riparazioni di danni da eventi di dissesto, con circa 3,5 miliardi di spesa l’anno.

“Quanti morti e quante tragedie – è la conclusione del Presidente di Fima – dovranno ancor accadere prima che si comprenda che la vera e unica opera pubblica che è necessaria al Paese è la messa in sicurezza dei territori?”

Cos’è la FIMA – Federazione Italiana Media Ambientali

La Federazione Italiana Media Ambientali (FIMA) è stata fondata il 24 aprile 2013 durante il “Festival internazionale del giornalismo” di Perugia. Ha lo scopo di promuovere e migliorare la comunicazione ambientale, diffondere la cultura della sostenibilità, anche in collaborazione con analoghe organizzazioni di altri paesi, concorrendo in questa maniera alla tutela e valorizzazione dell’ambiente.

Fonte: agenziapressplay.it

“Il Green Act che serve all’Italia”. Legambiente presenta a Roma la controproposta al governo Renzi

 

Fiscalità ambientale, città, bonifiche, energia, rifiuti, mobilità nuova, trasporti, dissesto idrogeologico, natura, turismo, fondi strutturali: proposte concrete e misure immediatamente applicabili per far ripartire il Paese. Il presidente Cogliati Dezza: “Non abbiamo bisogno di un green washing della politica governativa ma di azioni utili per cambiare l’Italia”382058

L’Italia è tra i paesi europei maggiormente colpiti dalla crisi, dove la recessione ha fatto esplodere tutti i fattori di debolezza economica, sociale e istituzionale esistenti, eppure, l’Italia ha la concreta possibilità di avviare una ripresa “ambientale” dell’economia e dei consumi. Nel corso della recessione, infatti, gli elementi di efficienza e sostenibilità ambientali si sono irrobustiti. Nonostante l’assoluta mancanza di politiche esplicite e di idonee scelte di governo, l’economia e la società italiana hanno gestito in maniera più efficiente le risorse, hanno consumato meno energia, prodotto più energia da fonti rinnovabili e riciclato più rifiuti, trasformato stili di consumo in un senso più sostenibile. A differenza di altri paesi ciò non è avvenuto per una scelta deliberata ma è ugualmente avvenuto.
Partendo dall’analisi dello stato del Paese, confermata dai parametri di Ambiente Italia 2015, il rapporto annuale sullo stato del Paese realizzato dall’istituto Ambiente Italia e Legambiente, l’associazione ambientalista ha presentato oggi a Roma “Il Green Act che serve all’Italia”, un documento che avanza proposte concrete e misure immediatamente applicabili per affrontare le sfide del futuro. In 11 schede sono stati presentati i temi fondamentali per realizzare la svolta di cui c’è bisogno e che quindi dovrebbero trovare cittadinanza nel Green Act annunciato dal Premier Renzi per marzo 2015, traducendosi anche in proposte legislative: fiscalità ambientale, città , bonifiche, energia, rifiuti, mobilità nuova, trasporti, dissesto idrogeologico, natura, turismo, fondi strutturali. Tutti temi che hanno strettamente a che fare con lo sviluppo economico del Paese, con la possibilità di creare filiere produttive e nuova occupazione, di produrre più benessere per tutti nel momento stesso in cui garantiscono risposte ai bisogni dei cittadini in termini di sicurezza, salute e qualità della vita. Al convegno, aperto da Duccio Bianchi, dell’Istituto Ambiente Italia e Vittorio Cogliati Dezza, Presidente nazionale Legambiente, hanno partecipato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, il Sottosegretario al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Ilaria Borletti Buitoni, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Gianluca Galletti e poi Paolo Acciai (Segretario Filca Cisl), Catia Bastioli (AD Novamont), Marino Berton (Coordinamento Free), l’on Chiara Braga, l’on Pippo Civati, Erasmo D’Angelis, Capo Struttura Missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche di Palazzo Chigi, Roberto Della Seta (Green Italia), il Sindaco di Pavia Massimo De Paoli, Stefano Landi (Economista Luiss Roma), Gaetano Maccaferri (Vicepresidente Confindustria), l’on Giulio Marcon, la sen Paola Nugnes, l’on Ermete Realacci (Presidente Commissione Ambiente e Territorio Camera dei Deputati), Fabio Refrigeri (Assessore Infrastrutture, Politiche Abitative, Ambiente – Regione Lazio), Riccardo Sanna (Coordinatore politiche economiche CGIL), Paolo Buzzetti (Presidente Ance), Maurizio Marcelli (Responsabile Ufficio Salute, ambiente, sicurezza Fiom Cgil).  Dalla foto scattata da Ambiente Italia 2015 vediamo che il Pil procapite nel 2014 è sceso poco sotto la media europea (prima della crisi era superiore del 10%). La disoccupazione è cresciuta e a fine 2014 il tasso ha raggiunto il 12,8% (il 21% nel Mezzogiorno), rispetto al 10% della media europea. Ma il problema principale dell’Italia è la non occupazione: nel 2014 le persone occupate sono meno del 56% della popolazione tra i 15 e i 64 anni con una distanza marcatissima dall’Unione Europea (il 65,5%). Ancora più marcata è la differenza nel tasso di occupazione femminile (il 46%). Recessione e politiche di austerità hanno causato l’incremento delle persone in condizioni di deprivazione materiale e di esclusione sociale, con una incidenza molto accentuata nel Mezzogiorno (il 46% della popolazione). Sono cresciute le diseguaglianze nella distribuzione del reddito. In Italia il 10% più povero detiene il 2,2% dei redditi, mentre il 10% più ricco ne detiene il 24,6%. Cala drammaticamente la qualità del capitale umano: l’Italia è, tra i 28 paesi dell’Ue, quello con il più basso tasso di istruzione universitaria tra i giovani e uno dei cinque – con Spagna, Malta, Portogallo e Romania – con il più alto tasso di giovani (18 – 24 anni) che non frequentano o che sono privi di un titolo di studio di scuola media secondaria. Abbiamo un crescente ritardo nell’innovazione tecnologica e di prodotto con la completa stasi della capacità brevettuale: mentre in tutti i paesi vi è stata negli ultimi dieci anni una crescita del numero di brevetti (globalmente il 50% in più, il 20% in più nella UE), in Italia il numero resta fermo, meno di 5.000 annui. E’ il sintomo inequivocabile della marginalità tecnologica del Paese. Se non produciamo innovazione è anche perché non investiamo in ricerca e sviluppo. Complessivamente gli investimenti sono pari all’1,2% del Pil e sono rimasti statici durante la recessione (mentre in Europa sono cresciuti). La spesa per ricerca e sviluppo in Italia è pari al 62% della media europea, al 40% c.a di quella della Germania e della Svezia. Ma la vera emergenza per il futuro è rappresentata dai Neet, not (engaged) in Education, Employment or Training. Il 26% di coloro che hanno tra 15 e 29 anni non studiano, non lavorano, non sono in un qualche processo formativo. A parte la Grecia, è il massimo valore registrato in tutta l’Unione Europea. E il Mezzogiorno è di gran lunga l’area europea con i più alti livelli di esclusione. In questa situazione di recessione abissale, l’economia italiana ha ottenuto risultati sorprendenti in alcuni settori ambientali, una conversione ecologica sostanzialmente spontanea, in parte determinata dalla recessione stessa che ha spinto le aziende verso comportamenti più attenti e virtuosi. In Europa tra il 2004 e il 2013 il consumo di materia si è ridotto del 15% ma in Italia i progressi sono stati maggiori: il consumo assoluto è diminuito del 32% (255 milioni di ton di materiali in meno all’anno estratti dal pianeta) e la produttività delle risorse è cresciuta ben del 40%. Ciò grazie soprattutto alla riduzione dei consumi energetici, dei consumi di metalli (con un maggior riciclo) e dell’attività edilizia. Nel 2013 i consumi lordi di energia primaria sono scesi a 173 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, l’1,9% in meno rispetto al 2012 e per il 2014 si prevede una ulteriore contrazione. E’ proseguita una forte contrazione dei consumi petroliferi e di gas e una crescita delle fonti rinnovabili. E’ tornata a migliorare l’efficienza energetica dei processi di produzione e di consumo. Nel 2014, invece, ha fortemente rallentato la corsa delle rinnovabili, che pure continuano a crescere sia in termini assoluti che come quota sul totale della produzione energetica. In termini di produzione elettrica è ancora cresciuto il fotovoltaico (+10%), ed è rimasta stabile la produzione eolica. Nel 2014, il 44% della produzione nazionale di energia elettrica deriva da fonti rinnovabili (102.000 GWh da idroelettrico, geotermico, eolico e fotovoltaico e circa 17.000 stimate da biomassa, rifiuti e bioliquidi), il massimo mai raggiunto, in crescita ulteriore rispetto al 2013 (era circa il 39%). Nel settore elettrico, in particolare, l’Italia diventa il terzo principale produttore europeo di elettricità derivante sia dall’insieme delle rinnovabili (dopo Germania e Svezia) sia dalle rinnovabili non idroelettriche (dopo Germania e Spagna). Nel 2012, secondo i dati Eurostat, in Italia sono stati riciclati oltre 53 milioni di tonnellate di rifiuti. In valore assoluto, l’Italia è il Paese europeo con le maggiori quantità recuperate dopo la Germania. Ciò dipende soprattutto dalla specificità del sistema industriale italiano che consente un elevato riciclo interno degli scarti industriali e addirittura richiede una consistente importazione di materie seconde. La recessione e la conversione energetica hanno poi consentito all’Italia di abbattere significativamente negli ultimi anni le emissioni climalteranti. Dopo una forte crescita tra il 1990 e il 2005, nel 2013 le emissioni climalteranti sono il 16% inferiori a quelle del 1990. Ciò che è straordinario è che tutto ciò è avvenuto in assenza di politiche pubbliche e di investimenti mirati tanto che in Italia alcune questioni ambientali continuano a ripresentarsi sostanzialmente senza soluzione: la concentrazione di PM10 (e delle frazioni più fini), resta elevata e il 30% della popolazione è esposto a concentrazioni superiori alla norma; nel settore dei rifiuti urbani siamo in affanno. Nell’insieme, l’Italia giunge a poco meno del 40% di raccolta differenziata e a poco più del 40% a discarica (la Germania arriva a poco meno del 65% di differenziata e a poco più dell’1% a discarica). Il consumo di suolo rimane un problema: tra il 1989 e il 2006 il suolo consumato sale al 6,6%, al ritmo di 265 kmq all’anno e poi rallenta per giungere al 2010 al valore del 6,9%. Un fenomeno particolare è quello dello sprawling: la crescita di case sparse e di piccoli nuclei abitati, la proliferazione di capannoni, svincoli, parcheggi, centri commerciali. A peggiorare la situazione, l’urbanizzazione delle aree costiere e l’abusivismo. Il ricco patrimonio culturale e paesaggistico dell’Italia ha poi un impatto economico diretto marginale (le entrate dei musei e monumenti statali ammontano a soli 126 milioni di euro) e lo stesso turismo italiano conosce una forte stasi, sia in termini di visitatori che di fatturato. In rapporto agli abitanti, le presenze turistiche dell’Italia sono inferiori del 25% a quelle della Spagna o della Grecia. “Il Green Act che serve all’Italia – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – deve rappresentare una scossa e aprire un nuovo indirizzo di politica economica, fiscale, industriale, culturale. Serve un disegno strategico che avvii un percorso organico fatto di misure concrete, da subito operative per realizzare quel cambio di passo necessario a rompere con le idee di sviluppo del Novecento, perché dal boicottaggio delle rinnovabili allo Sblocca Italia non c’è stato nessun segnale di cambiamento, come se questi temi non fossero urgenti e non rappresentassero una parte sostanziale del rilancio del Paese. Eppure oggi nell’edilizia nell’energia, nei rifiuti come in agricoltura è evidente che vi sia spazio solo per chi punta su innovazione e qualità ambientale. Il mondo è cambiato e l’Italia oggi ha una reale possibilità di trovare una propria bussola nella globalizzazione valorizzando quelle risorse, vocazioni e talenti che tutto il mondo ci invidia e utilizzando la chiave del clima come opportunità per permettere a famiglie e imprese di ridurre consumi energetici e importazioni di fonti fossili. Ma per fare ciò occorre accompagnare e promuovere il cambiamento con una chiara prospettiva di investimenti e regole”.  Affinché il Green Act possa dispiegare fino in fondo le sue potenzialità e rappresentare l’avvio di una strategia complessiva che coinvolge il sistema paese e che gli fa fare un salto di qualità, ci sono anche alcune precondizioni imprescindibili, che determineranno il successo o il fallimento di ogni politica di innovazione. Parliamo di questioni strutturali che riguardano l’assetto di base del paese come legalità, istruzione, cultura.

I temi e le proposte di Legambiente:

#1 _ FISCALITÀ AMBIENTALE: chi inquina paga, chi innova risparmia In Italia ogni anno vengono stanziati 5,7 miliardi di euro di sussidi alle fonti fossili.

Le proposte:

Adeguare i canoni delle concessioni demaniali. Eliminare i sussidi alle fonti fossili.

Eliminare la possibilità per i Comuni di utilizzare gli oneri di urbanizzazioni per le spese correnti.

Applicare subito l’Articolo 15 della Delega Fiscale (fiscalità ambientale ed energetica).

#2_ CITTÀ: rigeneriamole

Solo nelle città metropolitane italiane vivono 20 milioni di persone.

Le proposte:

Una struttura di missione per indirizzare e coordinare interventi di rigenerazione urbana

Disincentivare consumo del suolo, incentivare e semplificare le procedure per la riqualificazione dei condomini
Rendere operativo il fondo per l’efficienza energetica e stabilire i criteri per l’accesso di privati e enti pubblici.
Escludere dal patto di stabilità gli interventi di riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio edilizio pubblico.
Approvare subito il DL in materia di “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”.
#3_BONIFICHE: risanare le ferite

Sono oltre 100mila gli ettari di terreno da bonificare. Solo il 3% è stato ad oggi bonificato.

Le proposte:

Istituire un fondo nazionale per le bonifiche dei siti orfani (modello Superfund).

Trasparenza negli appalti, legalità, fine dei commissariamenti, maggiori controlli ambientali.

Puntare sulle bonifiche in situ.

#4_ENERGIA: Italia rinnovabile

Nel 2014 il 44% della produzione nazionale di energia elettrica è derivato da fonti rinnovabili. L’efficienza energetica per unità di prodotto e di servizio è +9,5% nel periodo 2000 – 2013.

Le proposte:

Introdurre regole chiare e trasparenti per l’approvazione dei progetti da rinnovabili

Garantire e semplificare l’autoproduzione di energia per Comuni, famiglie, aziende

Cancellare miliardi di euro di sussidi alle fonti fossili dalle bollette.

#5_RIFIUTI: ridurre e riciclare prima di tutto In Italia il conferimento di rifiuti in discarica costa al massimo €25 per tonnellata; il 37% dei rifiuti urbani viene ancora smaltito in questo modo, in Sicilia il 93%.

Le proposte:

Penalizzare lo smaltimento in discarica con un aumento dei costi di conferimento (ecotassa).

Eliminare gli incentivi per il recupero energetico dai rifiuti Incentivare e premiare la riduzione dei rifiuti, il recupero di materia, gli acquisti verdi.

Rispetto delle scadenze e delle multe per gli obietti della raccolta differenziata.

#6_MOBILITÀ NUOVA: pedoni, pedali, pendolari

La mobilità urbana assorbe il 97% di tutti gli spostamenti.

Le proposte:

Fissare target nazionali di spostamenti individuali su mezzi privati a motore, per ridurli drasticamente.
Far viaggiare in sede protetta e in corsie preferenziali almeno un terzo dei percorsi della rete di trasporto pubblico di superficie.
Introdurre nel nuovo Codice della Strada, attualmente in discussione in Parlamento, un nuovo limite di velocità a 30km orari su tutta la rete viaria dei centri abitati.

#7_TRASPORTI: #cambiareverso alle infrastrutture

Sono tre milioni i pendolari che ogni giorno si muovono in treno in Italia. Rispetto al 2009 le risorse da parte dello Stato per il trasporto pubblico su ferro e su gomma sono diminuite del 20%.

Le proposte:

Priorità alla mobilità nelle aree urbane: 50% della spese per opere pubbliche.

Aumentare e ammodernare i treni in circolazione e rendere competitivo il servizio ferroviario.

Regioni: razionalizzare orari e linee, aumentare investimenti (5% del bilancio)

Superare il fallimento della Legge Obiettivo

#8_ DISSESTO IDROGEOLOGICO: azioni per prevenire

Sono 6 milioni gli italiani che vivono o lavorano in aree ad alto rischio idrogeologico.

Le proposte:

Basta con i vecchi progetti rimasti nei cassetti per anni, serve qualità nella progettazione

Non più difesa passiva ma politiche di prevenzione: spazio ai fiumi e naturalizzazione del territorio.

L’unità di missione garantisca l’efficacia a scala di bacino, non solo interventi puntuali

Istituire le Autorità di distretto, con strumenti adeguati per raggiungere gli obiettivi delle direttive comunitarie.

L’adattamento ai cambiamenti climatici e la riduzione del rischio procedano insieme e non più su binari separati

#9_NATURA: investire sulla biodiversità conviene

I parchi hanno attirato il 3,7% dei pernottamenti nazionali, pari a 14 mln di presenze.

Le proposte:

Garantire una fiscalità di vantaggio per le comunità che custodiscono i servizi ecosistemici.

Completare l’istituzione della Rete Natura 2000 e delle aree protette marine e terrestri.

Evitare nuove procedure di infrazione da parte dell’UE per la mancata applicazione delle Direttive in materia.

#10_TURISMO: l’Italia oltre la grande bellezza

Secondo l’Eurobarometro 2012, ambiente e natura sono il primo fattore di fidelizzazione turistica.

Le proposte:

Integrazione delle diverse vocazioni e risorse territoriali per diversificare e destagionalizzare.

Sostenere e incrementare i servizi per il turismo dolce e non motorizzato.

Incentivare l’adozione di un sistema di indicatori per la gestione sostenibile delle destinazioni

Favorire l’acquisizione di competenze turistiche anche a professionisti di altri settori (agricoltori) e mettere ordine nei sistemi regionali delle guide turistiche.

#11_ RISORSE EUROPEE 2014-2020: sfide e opportunità

Oltre 100 miliardi di risorse resi disponibili dal quadro finanziario europeo per il periodo 2014-2020.

Le proposte:

Allocare almeno il 20% delle risorse disponibili per il clima il 5% per lo sviluppo urbano sostenibile.

Stabilire target ambiziosi e obbligatori per tutti i fattori fisici (es. tonn. di CO2 eq. di risparmio)

Semplificare i processi decisionali, mettere in atto sistemi di monitoraggio e verifica della spesa.

I fondi siano volano delle politiche ordinarie, per spenderli bene e spenderli tutti.

Fonte: ecodallecitta.it

Il ministro Galletti fa il punto: “Dissesto idrogeologico priorità nazionale”

Il Ministro dell’Ambiente al Forum Ansa: dall’inquinamento al dissesto idrogeologico, le emergenze ambientali d’Italia Il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha partecipato quest’oggi ad un forum con la redazione dell’agenzia stampa Ansa nel quale ha affrontato diversi temi di matrice ambientale: dall’inquinamento al riciclo dei rifiuti, delle trivelle in Adriatico e nel canale di Sicilia fino a quella che è stata individuata come emergenza nazionale principe: il dissesto idrogeologico. Una questione, quella del dissesto, che riguarda in diverse percentuali tutto il territorio nazionale, da nord a sud, per il quale Galletti ha descritto la stesura di un progetto strategico che possa risolvere quella che per il governo Renzi è una priorità in materia ambientale. Già dopo le alluvioni di questo autunno infatti la questione dissesto idrogeologico era finita prepotentemente sia sul tavolo del Consiglio dei Ministri che direttamente nell’agenda del Presidente del Consiglio, il quale ha visitato in particolare le aree del barese colpite dalle piogge incessanti a cavallo tra estate ed autunno.img1024-700_dettaglio2_Gianluca-Galletti-imago-620x350

Galletti ha spiegato ai giornalisti dell’Ansa di aver messo mano al problema in modo concreto:

“Abbiamo messo attenzione particolare e abbiamo individuato il problema: da un lato le poche risorse e dall’altro la governance del processo; abbiamo messo mano a entrambe. […] Prima c’erano i commissari straordinari esterni e la cosa non funzionava perché con una figura esterna in più il sistema va in tilt. Abbiamo riportato la figura all’interno: abbiamo nominato i governatori di Regione commissari e allo stesso tempo abbiamo semplificato molto il lavoro. […] abbiamo lavorato a un Piano strategico che nasce dall’esigenza di puntare a tutte le priorità che le regioni ci hanno inviato: abbiamo messo risorse per quei 2,3 miliardi e 5 miliardi dai Fondi di coesione che andranno a finanziare un piano settennale per quello che è un vero e proprio intervento straordinario”.

ha spiegato Galletti, annunciando comunque di avere già messo in spesa un miliardo di euro (svincolato dal patto di Stabilità) per l’avvio dei cantieri più importanti ed urgenti. Sui cambiamenti climatici invece il ministro pone come “data storica” la firma di Bruxelles apposta da Renzi sull’accordo europeo per contenere le emissioni, una questione sulla quale è intervenuta recentemente anche Naomi Klein. La scrittrice e giornalista canadese aveva parlato proprio delle politiche del governo Renzi e della contradditorietà degli annunci dell’esecutivo italiano con il decreto sblocca-Italia: in realtà secondo molti già quell’accordo di ottobre è in verità una pietra tombale su tutto ciò che riguarda green economy e sostenibilità, visto che secondo gli analisti una larga parte dell’accordo va incontro alle richieste dei signori del carbone polacchi.

“La riduzione sul CO2 non si fa in tempi brevi, noi però alcuni interventi in questo senso li abbiamo già fatti. Tra questi mi piace ricordare ciò che è avvenuto col dl competitività, dove abbiamo messo 350 milioni per l’efficientamento delle scuole e più in generale degli edifici pubblici. E io, vorrei sottolinearlo, credo che l’efficientamento energetico sia una delle strade principali per arrivare alla riduzione di CO2”.

Sulle grandi navi nel canale di Venezia Galletti ha spiegato che vigerà, anche nel 2015, un regime di proroga alle norme già applicate lo scorso anno, che puntano a ridurre il traffico in laguna dei condomini galleggianti mentre su Ilva il ministro sembra essere decisamente più categorico:

“Non ci sarà salvataggio dell’Ilva se non ci sarà anche la realizzazione del piano ambientale. Questo lo sanno tutti e lo sa anche chi vuole investire nell’Ilva. Le due cose stanno insieme. Nessuno può pensare di fare un’azienda lì se non c’è una completa salvaguardia dell’ambiente […] abbiamo una scadenza che è il 30 agosto del 2016, da questa non si scappa: entro quella data dobbiamo realizzare un Piano ambientale che è molto ambizioso. […] Mi auguro che il Parlamento abbia la responsabilità di convertire quel DL nei tempi previsti, qui stiamo discutendo di un’azienda che impiega 12 mila famiglie. […] Sta andando in porto il sequestro di 1,2 miliardi dei Riva da parte del tribunale di Milano e quei soldi andranno alla realizzazione del piano ambientale”.

Il tema dell’anno (e forse del governo) era e resta l’ExPo milanese che partirà a maggio: una scadenza chiave per Palazzo Chigi, che su questo ha oramai fatto terra bruciata (sia nel corpo giudiziario dello Stato che in quello politico) al grido di “se fallisce Expo fallisce l’Italia”. Sul tema Galletti sembra mostrare molta sicurezza, sia sulla reale consegna (nei tempi dovuti) delle opere in costruzione, sia sulla centralità di “temi etici e morali” nella grande kermesse internazionale:

“Io penso che sarà una grande occasione non solo economica per il Paese perché dal punto di vista dell’Ambiente rimarrà un grande messaggio etico che abbiamo messo al centro dell’Expo, quello contro lo spreco alimentare. […] Se c’è un mondo che butta via il cibo e chi muore di fame siamo in un sistema economico che non sta in piedi: è un sistema ingiusto. E’ inaccettabile che ci siano milioni di persone che muoiano di fame. A Expo dobbiamo dirlo con forza. Poi c’è tutto il resto, metteremo in mostra le nostre eccellenze. Ma credo che il primo tema sia etico e morale. […]”

Un tema tipicamente italiano e noto a livello internazionale è invece quello, drammatico, legato alla Terra dei Fuochi, un argomento sul quale Galletti si esprime in modo piuttosto definitivo:

“Non chiamiamola più Terra dei Fuochi […] Posso dire con tranquillità che prodotti che vengono da lì sono prodotti sani: chi dice il contrario dice una falsità”.

Fonte:  Ansa

Dissesto idrogeologico: 7 miliardi in 7 anni per la manutenzione del territorio

Il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti promette lo stanziamento di 7 miliardi di euro nei prossimi sette anni.

Allunga i tempi di una promessa e a mantenerla dovrà essere, molto probabilmente, qualcun altro. La tecnica molto attuale e, soprattutto, molto renziana è quello di rimandare e dilazionare nel tempo le urgenze e di rendere urgenti le grandi opere che urgenti e necessarie non lo sono. Un paradosso avallato dai Governi bipartisan dell’ultimo decennio, se non nelle azioni quantomeno nelle intenzioni. A erogare l’ultima promessa del Governo Renzi è Gian Luca Galletti, titolare del dicastero dell’Ambiente che ha annunciato lo stop ai condoni edilizi, veri e propri “tentati omicidi alla tutela del territorio” e un piano da 7 miliardi di euro in sette anni per le opere necessarie alla messa in sicurezza del territorio. Il dissesto idrogeologico materia per sua natura politica è sempre stata relegata nei recinti dell’associazionismo e dell’ambientalismo, come se le istanze di chi voleva tutelare il paesaggio fossero mere speculazioni di animi contemplativi. Eppure adesso la frittata viene abilmente rigirata dalla politica principale (se non unica) responsabile dei disastri degli ultimi giorni: sono necessari gli Stati generali del dissesto idrogeologico, una pianificazione della sicurezza che, secondo il capo della struttura #ItaliasicuraErasmo D’Angelis, andrebbe pianificata 365 giorni l’anno e dovrebbe far sì che “tutti si assumano le responsabilità, cittadini compresi”. Secondo il sottosegretario Delrio il piano è affidabile, integrato ed efficiente e consentirà di non piangere più vittime. Stop all’abusivismo e pugno di ferro contro chi inquina e non tutela il territorio. In tutto il piano prevede 9 miliardi di euro: ai 5 dei fondi di sviluppo e coesione si sommano i 2 del co-finanziamento delle regioni e dei fondi europei a disposizione delle regioni stesse. Poi ci sono i 2 recuperati dai fondi a disposizione per le opere di messa in sicurezza e non spesi fino a oggi. Entro la fine del 2014 verranno aperti 654 cantieri e altri 659 apriranno nei primi mesi del 2015, per una spesa, rispettivamente, di 807 e 659 milioni. Il tutto in un contesto di emergenza quotidiana frutto di un attendismo che continuerà a mietere vittime anche nel caso il sistema dovesse mettersi in moto con efficienza.img_41985-586x439

Fonte:  La Stampa

© Foto Getty Images

Geologi: più agricoltura per combattere il dissesto idrogeologico

Dice il presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi: “Se avessimo coltivato interamente a cereali i 70 ettari di suolo perso ogni giorno”

Coltivare il suolo che perdiamo ogni giorno, parliamo di 70 ettari quotidiani, per recuperare non solo denaro ma anche la stabilità dei terreni. E’ la ricetta che fornisce Gian Vito Graziano Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi che ha tenuto ieri un intervento alla Conferenza nazionale acque irrigue:

Dobbiamo far riemergere dal territorio la sua capacità di produzione di ricchezza. Se avessimo coltivato interamente a cereali i 70 ettari di suolo perso ogni giorno, avremmo goduto di una produzione di 450.000 tonnellate nel periodo 2009-2012, con un ricavo esclusivamente economico di 90 milioni di Euro e la conseguente diminuzione della dipendenza italiana dalle importazioni di cereali. Invece continuiamo ad impermeabilizzare ed a far perdere ai nostri terreni la loro capacità di ritenzione idrica, con le conseguenti immense difficoltà di dover gestire quantitativi sempre maggiori di acqua che può più infiltrarsi. La perdita di capacità di ritenzione dovuta all’impermeabilizzazione giornaliera dei 70 ettari di suolo è stimata in quasi 100 milioni di tonnellate d’acqua all’anno

Graziano parla di “sbornia di cemento” riferendosi alle eccessive costruzioni che si sono avute dal 2009 al 2012 e che hanno trasformato completamente il territorio italiano. Non solo: le emissioni di CO2 in atmosfera, in quel periodo, sono state pari a 21 milioni di tonnellate ovvero a 4 milioni di utilitarie (l’11% dei veicoli circolanti nel 2012) il che ha portato a un costo pari a 130 milioni di euro. la soluzione però la individua nelle aree rurali e nell’agricoltura per andare a ristabilire quell’equilibrio ormai compromesso.

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Il suolo consumato è carissimo e non solo in termini ambientali. Infatti riferisce uno studio del Central Europe Programme che:

un ettaro di suolo consumato comporta una spesa di 6.500 euro solo per la parte relativa al mantenimento e la pulizia di canali e fognature, stima che il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012 sia intorno ai 500 milioni di Euro.

Ora resta da ricostruire e rivedere gli investimenti nel territorio valutando il bilancio ambientale e le risorse disponibili. Un territorio urbano è complesso ma va gestito tenendone appunto conto e lasciando ampi spazi alle aree rurali.

Fonte:  CNGeologi

Ispra, Consumo di suolo, non lo frena nemmeno la crisi: in 3 anni divorata un’area grande come 5 città

Nonostante la crisi, è ancora record: non accenna a diminuire la superficie di territorio consumato: ricoperti, negli ultimi 3 anni altri 720 km2, pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo. La velocità del consumo è di 8m al secondo | Il nuovo rapporto ISPRA378640

Non accenna a diminuire, anche nel 2012, la superficie di territorio consumato: ricoperti, negli ultimi 3 anni, altri 720 km2, 0,3 punti percentuali in più rispetto al 2009, un’area pari alla somma dei comuni di Milano,
FirenzeBolognaNapoli Palermo. In termini assoluti, si è passati da poco più di 21.000 km2 del 2009 ai quasi 22.000 km2 del 2012, mentre in percentuale è ormai perso irreversibilmente il 7,3% del nostro territorio.
Nonostante la crisi, è ancora record. A dimostrarlo, anche la velocità con cui si perde terreno che, contrariamente alle aspettative, non rallenta e continua procedere al ritmo di 8m al secondo. Ma non è solo colpa dell’edilizia. In
Italia si consuma suolo anche per costruire infrastrutture, che insieme agli edifici ricoprono quasi l’80% del territorio artificiale (strade asfaltate e ferrovie 28% – strade sterrate e infrastrutture di trasporto secondarie 19%), seguite dalla presenza di edifici (30%) e di parcheggi, piazzali e aree di cantiere (14%).
Forti gli impatti sui cambiamenti climatici: la cementificazione galoppante ha comportato dal 2009 al 2012, l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2 – valore pari all’introduzione nella rete viaria di 4 milioni di utilitarie in più(l’11% dei veicoli circolanti nel 2012) con una percorrenza di 15.000 km/anno – per un costo complessivo stimato intorno ai 130 milioni di euro.  A segnalare l’avanzata del cemento a discapito delle aree naturali e agricole è l’ISPRA che, per la prima volta con un Report, ricostruisce l’andamento – dal 1956 al 2012 – del consumo di suolo in Italia. L’indagine, la più significativa collezione di dati a livello nazionale, analizza i valori relativi alla quota di superficie “consumata”, fornendo un quadro completo del fenomeno. Il Report rappresenta un valido strumento per l’individuazione di strategie utili a contrastare le minacce dovute alle attività antropiche. è solo attraverso la conoscenza dell’intero sistema e dei processi che lo governano che sarà possibile porre le basi per interventi concreti sulle cause del suo deterioramento ed alterazione. Il Rapporto dell’ISPRA non si configura soltanto come raccolta di dati e informazioni validate, rese interoperabili e condivise, ma sarà un tassello fondamentale, con il contributo di tutti gli altri soggetti istituzionalmente preposti, per fornire una visione complessiva dei processi fisici, chimici e biologici che governano il suolo e l’ambiente nella sua totalità, a supporto di chi dovrà decidere e operare scelte in questi settori. A livello regionale, Lombardia e Veneto, con oltre il 10%, mantengono il “primato nazionale” della copertura artificiale, mentre Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia si collocano tutte tra l’8 e il 10%. I comuni più cementificati d’Italia rimangonoNapoli (62,1%), Milano (61,7%), Torino (54,8%), Pescara (53,4%), Monza (48,6%),Bergamo (46,4) e Brescia (44,5).  La trasformazione del suolo agricolo in cemento non produce impatti solo sui cambiamenti climatici, ma anche sull’acqua e sulla capacità di produzione agricola. In questi 3 anni, tenendo presente che un suolo pienamente funzionante immagazzina acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro – circa 400 mm di precipitazioni – per via della conseguente impermeabilizzazione abbiamo perso una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, deve essere gestita. In base ad uno studio del Central Europe Programme, secondo il quale 1 ettaro di suolo consumato comporta una spesa di 6.500 euro (solo per la parte
relativa al mantenimento e la pulizia di canali e fognature), il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012, è stato stimato intorno ai 500 milioni di Euro. Ancora, il consumo di suolo produce forti impatti anche sull’agricoltura e quindi sull’alimentazione: solo per fare un esempio, se i 70 ettari di suolo perso ogni giorno fossero coltivati esclusivamente a cereali, nel periodo 2009-2012 avremmo impedito la produzione di 450.000 tonnellate di cereali, con un costo di 90 milioni di Euro ed un ulteriore aumento della dipendenza italiana dalle importazioni.
Disponibile anche una App per segnalare nuove perdite di terreno. I ricercatori hanno messo a punto un’applicazione per individuare nuove zone consumate. Attraverso uno smarthphone, basta inserire coordinate e foto per vederle subito on line sulla mappa dell’ISPRA (www.consumosuolo.isprambiente.it).  “Difendere il suolo dalle aggressioni indiscriminate – spiega il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – significa tutelare non solo una risorsa economica strategica, ma anche proteggere il Paese dalla minaccia del dissesto idrogeologico che, proprio a causa dell’uso dissennato del territorio, spesso ha conseguenze gravissime, soprattutto in termini di perdita di vite umane. Per questo il Rapporto dell’ISPRA – continua – assume particolare rilievo; è la dimostrazione che in Italia esiste un sistema pubblico in grado di assicurare elevati standard di qualità nel monitoraggio dell’ambiente e di rendere disponibile una base informativa utile alla valutazione del fenomeno”.

Fonte: ecodallecittà.it

“L’Italia oltre la crisi”. Legambiente presenta il rapporto ‘Ambiente Italia’

Forti diseguaglianze generazionali e di genere, tasso di occupazione tra i più bassi in Europa, mobilità privata ai vertici, industria in crisi, dissesto idrogeologico senza freni, illegalità ambientale al top, concentrazione di polveri e metalli ancora elevati. In positivo aumentano le rinnovabili, si riduce la produzione di rifiuti e le emissioni inquinanti, e risultano in aumento anche le vendite di biciclette. È quanto emerge dal rapporto di Legambiente ‘Ambiente Italia 2013’.

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Le città soffocano per traffico e smog; la raccolta differenziata arranca in buona parte del Paese nonostante i 1300 comuni ricicloni e il calo nella produzione dei rifiuti (dovuto alle politiche locali oltre che alla crisi nonostante l’assenza delle politiche nazionali); il dissesto idrogeologico incombe sulla vita delle persone e l’economia del Belpaese; l’occupazione cala drammaticamente con il settore manifatturiero e industriale ridotto al lumicino; le ecomafie, intanto, in splendida forma, continuano a realizzare business milionari a scapito del territorio e dell’intera comunità, dove le diseguaglianze aumentano, con effetti particolarmente gravi nelle regioni del Sud. Che l’Italia stia attraversando un periodo di profonda crisi, è noto. Come è noto anche il fatto che i tagli e i sacrifici, spesso pesantissimi, imposti a tutti non siano riusciti a risolvere la situazione. L’Italia oltre la crisi, edizione 2013 del rapporto di Legambiente [1] realizzato in collaborazione con l’Istituto Ambiente Italia, presenta un’analisi degli ultimi dieci anni di “non governo” del territorio e delle politiche sociali attraverso una serie di indicatori sociali e ambientali e propone idee e proposte concrete per avviare una economia low carbon attenta alle persone e ai territori, perché uscire dalla crisi è possibile e alcuni segnali positivi di cambiamento stanno già emergendo. Ambiente Italia 2013 è stato presentato oggi a Roma in un convegno che ha visto la partecipazione di: Vittorio Cogliati Dezza, presidente Legambiente, Edoardo Zanchini, vice presidente Legambiente, Ermete Realacci, responsabile green economy del Pd, Duccio Bianchi, dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia, e gli onorevoli Giulio Marcon e Gea Schirò (Camera dei Deputati). “Questa crisi è figlia di politiche scellerate che hanno considerato l’ambiente come un freno per lo sviluppo economico o un lusso da rinviare a tempi migliori – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Dalla crisi che sta attraversando il Paese invece si potrà uscire solo con idee differenti e con il coraggio di cambiare sul serio. Dobbiamo puntare a una alleanza tra lavoro e ambiente per cercare di rispondere adeguatamente alla drammatica situazione attuale per cui aumentano le diseguaglianze e la crisi climatica incombe. Oggi c’è una sola ricetta per uscire dalla crisi, ed è quella di una Green economy che incrocia le domande e i problemi dei territori, i ritardi del paese e le paure del futuro, le risorse e le vocazioni delle città e che vuole rimettere al centro la bellezza italiana”. “Forse addirittura più grave della crisi economica è la mancanza di idee per cambiare la situazione attuale, per restituire una speranza ai precari, ai giovani senza lavoro, a chi vive in città inquinate – ha dichiarato il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini -. Non possiamo accontentarci di un dibattito politico senza sbocchi tra tagli alla spesa pubblica e agli investimenti e promesse su Imu, Iva e Irpef. Questa prospettiva condannerebbe l’Italia a altri dieci anni di declino, quando c’è invece bisogno di un cambiamento radicale.

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Servono risorse per la ricerca, la cultura, l’istruzione e per la messa in sicurezza del territorio in modo da dare all’Italia gli strumenti per uscire dalla crisi. Non è un sogno, ma una prospettiva lungimirante che passa per l’aumento della fiscalità sulle risorse energetiche, togliendo tutti i sussidi alle fonti fossili, in modo da ridurla sul lavoro, e per una tassazione finalmente adeguata e trasparente sulle risorse ambientali e i beni comuni (dal consumo di suolo ai materiali di cava, all’imbottigliamento di acque minerali alle spiagge), spingendo sul ripristino della legalità e fermando lo sperpero di denaro pubblico destinato a inutili e devastanti grandi opere”. “Misurata sugli 8 indicatori quantitativi dell’Agenda Europa 2020 – ha dichiarato Duccio Bianchi, dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia -, l’Italia mostra una forte debolezza rispetto a molte altre società europee soprattutto sul fronte dell’inclusione sociale e della costruzione di una “economia della conoscenza” fondata sull’innovazione tecnologica e scientifica. Ma anche una (inattesa) opportunità sotto il profilo ambientale. Noto – e peggiorato – risulta il gap con gli altri paesi nella spesa in ricerca e sviluppo e nella presenza di industrie e servizi ad alto contenuto tecnologico. Ed è preoccupante che questo avvenga anche nei settori dove oggi l’industria italiana è tra i leader europei: nelle energie rinnovabili (ha il 13% del fatturato europeo ma genera meno del 6% dei brevetti). Con una spesa per l’istruzione in declino, abbiamo solo il 20% dei giovani laureati e scontiamo un quasi drammatico “digital divide”, con solo il 66% degli adulti che utilizza internet (a fronte dell’82% dell’Europa e di quasi il 100% dei paesi nordici). D’altro canto va segnalato come il pilastro della sostenibilità ambientale abbia inevitabilmente “beneficiato” della recessione. Non solo perché sono diminuiti i consumi e quindi i prelievi e le emissioni ambientali. Ma, soprattutto, perché dentro la crisi si è talora avviato un cambiamento che se sostenuto da politiche intelligenti e adeguate potrebbe durare e divenire strutturale”. L’analisi dei parametri sociali rivela che l’Italia presenta forti diseguaglianze generazionali nell’accesso al lavoro, alla casa e ai sistemi di protezione sociale. Tra il 2008 e il 2011 il tasso di occupazione dei giovani è sceso dal 24% al 19%, un valore tra i più bassi in assoluto all’interno dell’Unione europea (la media è di oltre il 33%), con quattro regioni italiane (Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia) che si collocano tra le regioni europee a più bassa occupazione giovanile. Il fenomeno che dovrebbe destare maggiore preoccupazione è l’alto livello di giovani che non lavorano né studiano né sono attivi disoccupati (i NEETs). In Italia, il loro livello, già elevato nel 2008 (16,6%), è esploso dopo la crisi raggiungendo il 20% nel 2011. Un valore ben superiore non solo alla media UE (13%), ma anche a quello del Portogallo (12%), della Grecia (17%) o della Spagna (18%). Si è quindi bloccata la mobilità sociale dell’Italia, già non particolarmente elevata.

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L’Italia, come e peggio di altri paesi mediterranei europei, mostra poi un forte gap tra uomini e donne nell’accesso al lavoro (il tasso di occupazione femminile è il 70% di quello maschile) e al reddito. Il reddito femminile è il 54% di quello maschile), sia nell’accesso alle responsabilità politiche e istituzionali e manageriali (dove le donne sono il 50% degli uomini). Particolarmente drammatica è la condizione di esclusione delle donne che si registra nelle regioni meridionali. Nel 2011, il più basso tasso di occupazione femminile in tutta l’Unione europea si registra in tre regioni italiane: Campania, Sicilia e Puglia. Puglia e Campania sono anche le regioni con il più ampio gap occupazionale tra uomini e donne. A livello di mobilità invece, la motorizzazione privata e le percorrenze in auto in Italia sono sempre tra le più alte d’Europa. Nonostante il declino delle nuove immatricolazioni, il tasso di motorizzazione continua a crescere e rimane ai vertici dell’Unione europea e del mondo. Nel 2011 siamo ormai sopra le 60 auto ogni 100 abitanti, rispetto alle 50 della Germania e alle 47 della media dell’Unione europea. Anche le percorrenze automobilistiche in Italia sono superiori alla media europea (il 22% in più) e a quelle della maggior parte degli altri paesi europei. Più rilevante, invece, è la differenza per il trasporto pubblico urbano, soprattutto nelle principali città, dove in altri paesi europei è più rilevante sia la quota di movimenti ciclabili sia quella con mezzi pubblici (in particolare tram e metropolitane). Nel 2011 inoltre, per la prima volta, le vendite di biciclette nuove hanno superato in Italia le immatricolazioni di nuove auto. Le nuove immatricolazioni sono passate dalle 42-43 auto ogni 1.000 abitanti degli inizi 2000 (a fronte di una media di 38 auto per 1.000 abitanti nell’area euro) al minimo di circa 29 auto ogni 1.000 abitanti raggiunto nel 2011. Le vendite di biciclette invece, storicamente pari a circa i 2/3 delle nuove auto, hanno subito un rallentamento meno vistoso e in quell’anno hanno uguagliato e superato quelle delle auto. Comunque le vendite di biciclette sono largamente inferiori alla media europea.

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Sul fronte energetico, nel 2012 è proseguita la discesa dei consumi energetici nazionali. La crisi economica e le condizioni meteorologiche sono importanti fattori della riduzione ma la riduzione è anche il segno dell’introduzione di misure di efficienza energetica che hanno portato i consumi a valori inferiori a quelli del 2000. Il petrolio resta ancora la principale fonte (37,5%), essenzialmente per gli usi come carburante. Il 35% dei consumi derivano dall’impiego di gas naturale mentre il 13,3% è dato dalle rinnovabili e il 9% dall’uso di carbone. Nel bilancio energetico nazionale cresce la produzione da fonti rinnovabili, quasi raddoppiata rispetto a 10 anni or sono. Nella produzione elettrica nazionale, al 2012 le fonti rinnovabili valgono per il 28% della produzione e sono ancora in rapidissima crescita la produzione eolica (+34%) e quella fotovoltaica (+72%). Nel 2011 le emissioni di CO2eq sono stimate a 490 milioni di tonnellate, circa il 5% in meno del livello 1990. Nel 2011 la produzione di energia ha rappresentato il 31% del totale delle emissioni climalteranti italiane, i trasporti il 27%, l’energia per usi civili il 20%, l’energia per l’industria il 14%, l’agricoltura il 7,8%, i processi industriali il 7,5% e, infine, i rifiuti il 4,2%. L’Italia rimane il quarto paese europeo per emissioni dopo Germania, Regno Unito e Francia. Le riduzioni più consistenti si registrano per quei composti di cui è stato eliminato o fortemente ridotto l’utilizzo (come il piombo o l’anidride solforosa) o per cui sono state imposte specifiche misure di controllo e depurazione. Di gran lunga meno efficaci i risultati sulle emissioni polveri sottili – particolarmente rilevanti sotto il profilo sanitario – che si sono ridotte su scala europea del 26% (del 17% in Italia) sul periodo 1990-2010, ma sono cresciute nel 2010 rispetto al 2009 (sia nella Ue sia in Italia). La riduzione delle emissioni di metalli pesanti, in alcuni casi altamente tossici e cancerogeni, è stata rilevante su scala europea, ma molto più bassa in Italia. Anche per gli inquinanti organici persistenti, come i PCB o le diossine, le riduzioni conseguite in Italia sono state meno ampie rispetto a quelle medie europee. Nel settore dei rifiuti, nel 2011 la produzione di quelli urbani ha subito una caduta, grazie ai primi risultati delle politiche degli enti locali ma anche per effetto della riduzione dei consumi, attestandosi (sulla base dei comuni capoluogo) a circa 31,5 milioni di tonnellate. Il pro capite scende a poco più di 510 kg/ab, il valore più basso dal 2000. Negli anni 2000-2009 in Italia la produzione dei rifiuti urbani aveva continuato a crescere con un tasso quasi doppio rispetto al Pil: +11% la produzione dei rifiuti, +5,2% il Pil. Prosegue invece, anche se senza grandi balzi in avanti, la percentuale delle raccolte differenziate stimata al 37% nel 2011, con un modesto incremento sul 2010. Permane ancora un grande scarto tra le regioni settentrionali – in gran parte oltre il 50% – e le regioni centro-meridionali con tassi di riciclo più modesti e nelle regioni meridionali generalmente inferiori al 20% (con la sola eccezione della Sardegna). La tassazione ambientale nel 2011 è stata pari a 43,9 miliardi di euro, composta per il 75% (33 miliardi di euro) da tasse energetiche, e in particolare dalle accise petrolifere, per il 23,5% da tasse automobilistiche (10,3 miliardi di euro) e per il resto (meno di 500 milioni di euro) da tributi di discarica e altre imposte. Le tasse ambientali sono oggi significativamente inferiori rispetto agli inizi degli anni 2000 (nel 2001 erano il 3% del Pil e il 10,5% del totale delle entrate). In tutta l’Unione europea, tra il 1995 e il 2010, l’Italia è il paese con la maggiore contrazione dell’incidenza delle tasse ambientali sul Pil e, assieme a Grecia e Portogallo, dell’incidenza sulle entrate tributarie.

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Il declino del Belpaese negli ultimi 10 anni è evidente in alcuni settori come l’industria, dove dai grandi poli chimici e manifatturieri del passato si è passati ad avere solo grandi aree inquinate da bonificare, zone depresse dal punto di vista occupazionale e nessuna prospettiva di sviluppo del settore. Gli effetti sono ora sotto gli occhi di tutti, da Taranto a Brindisi, da Porto Vesme in Sardegna a Piombino fino alla Ferriera di Servola a Trieste, dai poli chimici o petroliferi di Gela, Augusta-Priolo-Melilli fino a Porto Torres e Terni senza dimenticare la raffineria Api di Falconara e il petrolchimico di Porto Marghera. Tutti poli industriali realizzati durante il boom economico anche in luoghi pregiati che hanno sversato per anni grandi quantitativi di inquinanti nell’ambiente, colpendo duramente il territorio e le comunità, e che pur essendo inseriti sin dal 1998 nel Programma di Bonifica del Ministero dell’Ambiente, risultano ancora ben lontani dal risanamento. Eppure, far ripartire il settore in Italia è possibile, come dimostrano, per esempio, alcune esperienze innovative (dalla Archimede Solar Energy di Massa Martana alla 3Sun in Sicilia che fa pannelli fotovoltaici a film sottile, dalle nuove bioraffinerie a Porto Torres fino a quella di Crescentino). L’illegalità ambientale in questi ultimi 10 anni non è mai diminuita: le infrazioni accertate nel 2001 erano 31.201, oggi, nonostante l’accresciuta sensibilità e la diffusione delle informazioni sulla gravità del problema, sono 33.817. Le persone denunciate o arrestate erano 25.890 mentre oggi sono 28.274. Assai preoccupante, nello stesso periodo, l’aumento dei numeri relativi alle quattro regioni tradizionalmente a rischio (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) con le infrazioni che passano da 15.708 a 16.116; le persone denunciate o arrestate che passano da 9.794 a 12.824 e i sequestri che salgono da 3.919 a 4.395. Anche nel ciclo dei rifiuti le infrazioni sono aumentate, passando da 1.734 a 5.284 (da 687 a 2.039 nelle 4 regioni a rischio), così come per l’annoso problema (tutto italiano) dell’abusivismo edilizio che grazie ai reiterati annunci di condono edilizio e alla scarsa attuazione della politica degli abbattimenti, ha visto il fenomeno passare dalle 25 mila infrazioni del 2001 alle 27 mila attuali mentre il business totale delle ecomafie è aumentato dai 14,3 miliardi di euro del 2001 ai 16,6 miliardi di euro del 2011. In tema di dissesto idrogeologico, se fino al 2000 le alluvioni e le frane coinvolgevano mediamente 4 regioni ogni anno, negli ultimi dieci anni il numero di territori coinvolti è raddoppiato, passando a 8. Così come sono aumentati i fenomeni meteorici che prima risultavano eccezionali. Nel contempo però la prevenzione tarda ad arrivare. Negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati effettivamente erogati per attuare gli interventi previsti dai Piani di assetto idrogeologico redatti dalle Autorità di bacino (PAI), per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro. Decisamente troppo pochi se si considera quanto invece sono costati, in termini di danni, i dissesti che si sono verificati nel corso degli anni. Nell’ultimo ventennio i danni da frane ed alluvione corrispondono a circa 30 miliardi di euro (fonte Ispra) e solo negli ultimi tre anni lo Stato ha speso circa un milione di euro al giorno per coprire solo parte dei danni provocati su tutto il territorio.

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L’Italia oltre la crisi però guarda avanti e presenta una serie di idee e proposte per mettere in moto gli interventi indispensabili per cambiare il futuro.

1) Ridisegnare la fiscalità per spingere l’innovazione ambientale e creare lavoro. Fare delle emissioni di CO2 il criterio per ridefinire accise e Iva che gravano su impianti da fonti fossili, autoveicoli, prodotti e consumi. In questo modo si premia l’efficienza energetica e si spingono gli investimenti, generando nuove risorse da utilizzare per ridurre la tassazione sul lavoro; rivedere canoni e tasse sull’uso dei beni comuni, intervenendo sui regimi di tutela. Per uscire dallo scandalo della gestione di cave, sorgenti di acque minerali, discariche, spiagge. In modo da fermare gli abusi, ridurre gli impatti, premiare l’innovazione; recupero urbano invece del consumo di suolo. Per recuperare miliardi di Euro da utilizzare per interventi  di riqualificazione ambientale e edilizia.

2) Fermare le ecomafie. L’ecomafia è la zavorra che impedisce concretamente alla Green economy di esprimere tutte le sue potenzialità: ogni tonnellata di rifiuti sottratta alle filiere legali è una tonnellata in meno per la filiera del recupero, riuso e riciclo; ogni metro quadrato in più di cemento illegale è un metro quadrato in meno di territorio agricolo o protetto; ogni pala eolica costruita con i soldi o l’intermediazione della mafia è una pala in meno per le imprese pulite delle energie rinnovabili. Sanzioni penali adeguate, misure preventive e patrimoniali, obbligo di ripristino dello stato dei luoghi, ravvedimento operoso o, addirittura, non punibilità se l’artefice del danno all’ambiente si autodenuncia e poi bonifica l’area interessata: ecco quanto prevede la proposta di legge di Legambiente per l’inserimento dei delitti contro l’ambiente nel codice penale.

3) Rilanciare gli investimenti, per rimettere in modo il paese. Tornare a investire per rilanciare l’economia e creare lavoro fermando la politica di tagli trasversali e indiscriminati: le risorse per contrastare il dissesto idrogeologico, investire in ricerca e green economy, realizzare bonifiche partendo dai siti orfani, acquistare treni e autobus, si possono reperire cambiando le priorità di spesa e intervenendo con coraggio sulla spesa pubblica, dove vi sono enormi sperperi di risorse in mala gestione, grandi opere, sussidi alle fonti fossili, armamenti.

4) Premiare l’autoproduzione energetica da rinnovabili e la riqualificazione del patrimonio edilizio. La rivoluzione energetica è già in corso con una produzione arrivata al 28% dei consumi elettrici nel 2012, ma oggi si deve fare un passo avanti per aiutare famiglie e imprese premiando l’autoproduzione da fonti rinnovabili e la gestione di impianti efficienti e puliti attraverso smart grid private e facilitando lo scambio con la rete. Tutti interventi oggi vietati che aprirebbero prospettive straordinarie di riduzione dei consumi da fonti fossili; puntando alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio quale scenario per far uscire dalla crisi il settore delle costruzioni con nuove politiche che diano certezze agli investimenti per ridurre i consumi energetici nelle ristrutturazioni degli alloggi e dei condomini secondo il modello inglese del “green deal”.

5) Mettere al centro le città. Solo investendo nelle città l’Italia può riuscire a muovere un’innovazione che non rimanga un concetto vago e astruso. Ed è la qualità e quantità del welfare, dal trasporto pubblico agli asili, dall’istruzione alla cultura, a determinare la competitività di una economia e di un territorio. Per questo serve una regia e una politica nazionale, per non perdere le risorse dei fondi strutturali europei 2014-2020 e realizzare finalmente interventi di riqualificazione ambientale e sociale delle periferie, per la casa e la mobilità sostenibile.

Fonte-. Il cambiamento