Rifiuti: la soluzione è ridurre alla fonte, non contrapporre discariche e inceneritori

Uscire dalla contrapposizione tra discariche e inceneritori e scegliere la strada della riduzione massiva della produzione di rifiuti alla fonte è ciò che permetterà di trovare la vera soluzione al problema.

Può sembrare assurdo parlare di ambiente in un momento in cui tutto è dominato dall’emergenza sanitaria del Covid-19. Ma non dobbiamo mollare, occorre continuare a lavorare per un mondo migliore, sicuramente più pulito. E, come molti ormai stanno sempre più evidenziando, un mondo meno inquinato resiste meglio alle avversità, anche sanitarie, oltre che essere più bello. E’ importante, quindi, che non si abbassi adesso la guardia sui temi ambientali, anche per evitare che in momenti particolari come questi, ove l’attenzione è rivolta ad altro, si possano avallare scelte e decisioni di cui pentirsi subito dopo. Un tema ambientale che merita di essere seguito con attenzione riguarda la gestione dei rifiuti nell’ambito della nuova direttiva 2018/850 sulle discariche che rappresenta uno dei cardini del pacchetto sull’economia circolare adottato nel 2018.  Tale pacchetto, che ha come sottotitolo “un programma rifiuti zero per l’Europa”, ha, tra le sue originali intenzioni, proprio quella di sottolineare la sinergia tra l’attuazione di strategie che mirano ad azzerare la quantità di rifiuti prodotti e una visione circolare dell’economia. Se gli obiettivi generali della nuova direttiva vanno nella stessa direzione di quelli già definiti con la direttiva 1999/31/EC, tra gli obiettivi specifici del nuovo pacchetto sull’economia circolare troviamo l’obbligo di raccolta differenziata dell’organico in tutta Europa a partire dal 2024, il riuso e riciclo dei rifiuti urbani (almeno il 65% entro il 2035) e dei rifiuti da imballaggio (almeno il 70% al 2035), e la minimizzazione del ricorso alla discarica per i rifiuti urbani (massimo il 10% entro il 2035). Proprio su quest’ultimo punto, cogliamo l’occasione del recente policy briefing  redatto da Enzo Favoino, uno dei massimi esperti di economia circolare, per conto di Zero Waste Europe, per fare chiarezza. In tale analisi, infatti, si ipotizza una contraddizione tra l’obiettivo fissato nella direttiva e il concetto stesso di economia circolare. Sebbene l’obiettivo di minimizzazione dell’uso delle discariche sembra essere in linea con gli obiettivi strategici della direttiva quadro sui rifiuti , e cioè la massimizzazione delle attività propedeutiche al riciclaggio e al riutilizzo e gli obblighi di raccolta differenziata per specifiche tipologie di rifiuti, il nuovo obbligo genera anche obiettivi operativi che potrebbero contraddire i principi generali dell’economia circolare dettati dalla stessa Unione Europea.

Alcuni casi concreti evidenziano che il raggiungimento della soglia del 10% della quantità di rifiuti da conferire in discarica è estremamente impegnativo e ciò potrebbe spingere i decisori ad investire sull’incenerimento dei rifiuti in modo da ridurre al minimo tale quantità. Si potrebbe quindi determinare una situazione di stallo, con i rifiuti costretti ad andare verso l’incenerimento, contravvenendo però a questo punto ai principi e agli obiettivi strategici dello stesso pacchetto sull’economia circolare. Inoltre, la soglia definita in percentuale potrebbe anche scoraggiare le misure di riduzione dei rifiuti in quanto, con questa lettura, non sarebbe più rilevante quanti rifiuti produciamo, l’importante è che se ne conferiscano in discarica al massimo il 10% del totale.

Per questo motivo, l’associazione Zero Waste Europe ritiene importante modificare la direttiva in modo da allinearla ai principi generali e agli obiettivi strategici dell’agenda europea sull’economia circolare. Sono due i suggerimenti proposti:

● impostare l’obiettivo del conferimento in discarica facendo riferimento ad un anno base specifico, anziché a “ogni dato anno”. Ciò premierebbe gli sforzi di riduzione, azione questa che si attua prima nella ben nota gerarchia sulla gestione dei rifiuti e che dovrebbe essere sempre il faro per ogni politica di settore;

● adottare un obiettivo di conferimento in discarica espresso in kg di rifiuti per persona all’anno, anziché in percentuale, in modo da premiare quelle aree (comunità, autorità locali) che stanno attuando strategie di gestione dei rifiuti che mirano a ridurre al minimo la generazione di rifiuti residui. L’obiettivo espresso in kg/persona/anno dovrebbe quindi sostituire quello in percentuale.

La logica stessa dell’utilizzo degli inceneritori contraddice la nuova politica sull’economia circolare. Gli impianti di incenerimento, che alcuni definiscono termovalorizzatori per sottolineare la produzione di energia dalla combustione dei rifiuti, sono molto costosi da realizzare e così, al fine di ripagare gli investimenti fatti e avere un margine di profitto, essi devono avere garantiti una certa quantità di rifiuti. Tale garanzia viene data dalla sottoscrizione di contratti a lungo termine (20-30 anni) con le autorità locali per la fornitura di determinate quantità di rifiuti, pena il pagamento di penali per compensare l’azienda che gestisce l’inceneritore per i mancati profitti. Quindi, con tali contratti, le autorità locali si trovano a dover produrre una certa quantità di rifiuti invece che a diminuirne l’ammontare ed incrementare il tasso di riciclaggio. Una evidente contraddizione nell’attuazione di norme europee. Esempi concreti in tutta Europa dimostrano che esistono alternative. In Italia, ad esempio, secondo i dati dell’ultimo rapporto sui rifiuti urbani di ISPRA, ben sedici provincie hanno superato il livello del 75% di raccolta differenziata di cui quattro sopra l’80% e due addirittura sopra l’85%. Tra le migliori, la provincia di Treviso che attualmente si attesta sui 49 kg/persona/anno di rifiuti residui e, in particolare, vi sono 45 Comuni trevigiani con meno di 40 kg di rifiuti residui e 12 addirittura con meno di 30 kg. Questi dati fanno capire il potenziale che c’è dietro programmi di economia circolare ispirati dal concetto “zero-waste” che puntano a minimizzare il conferimento in discarica mettendo in evidenza la reale quantità che si conferisce e, di conseguenza, la mole di rifiuti che non viene più prodotta. Approccio diverso da quello previsto dalla direttiva sulle discariche che, riferendosi ad un valore percentuale, non stimola la riduzione dei rifiuti a monte. L’analisi condotta da Zero Waste Europe mette chiaramente in evidenza la differenza tra alcune aree. La Danimarca, per esempio, ha puntato sull’incenerimento dei rifiuti e riesce a rispettare il target del 10% in discarica; in realtà questa percentuale si traduce in una quantità di scorie e ceneri post combustione, pari a 98 kg/persona, molto più alta, praticamente il doppio, rispetto ai 49 kg/persona prodotti, ad esempio, nella provincia di Treviso a seguito dell’attuazione di una politica che punta alla riduzione, riuso e riciclaggio dei rifiuti. Ovviamente, la differenza parte dall’inizio: nella provincia di Treviso si registrano solo 288 kg/persona di rifiuti all’anno contro i 766 in Danimarca. E’ questa la strada da percorrere: ridurre massivamente la produzione dei rifiuti, che veramente può arrivare a cifre molto vicine allo zero, e solo dopo occuparci di come gestire la piccola frazione residua che scaturisce a valle dei processi di riduzione, riutilizzo e riciclo. Ciò deve tradursi in un radicale ripensamento del modo di produrre e di consumare. Dobbiamo metterci in testa che è necessario cambiare il nostro comportamento e, quindi, l’attuale modello di sviluppo. E programmando bene le cose, in pochi anni si può fare, salvaguardando al contempo la nostra salute, l’ambiente e i posti di lavoro. Zero Waste Europe ha messo a disposizione un toolkit  ove in 10 azioni è possibile pianificare un Piano comunale verso l’obiettivo “rifiuti zero”, sfatando miti e tabù che circondano questo concetto.

Fonte: ilcambiamento.it

La “crescita verde” è una contraddizione in termini: è impossibile

Le lobby del profitto, del business, i cavalieri del capitalismo sfrenato non si arrendono nemmeno di fronte alla constatazione che la crescita infinita è impossibile. E si inventano la “crescita verde”, che di verde e di “green” non ha proprio nulla.

I malati del profitto, del business, coloro per i quali il denaro è l’alfa e l’omega della vita, le inventano tutte pur di glorificare la sacra trinità: Denaro, PIL e Crescita. Visto che molti si stanno  accorgendo in maniera sempre più chiara che la crescita è un cancro che significa esclusivamente la devastazione del mondo rendendolo una discarica dove le persone sono cavie per le malattie prodotte dal cancro, si cerca in ogni modo di indorare la pillola per continuare imperterriti a guadagnare e fare il proprio comodo. Si sprecano quindi gli ossimori, le contraddizioni in termini e si parla indifferentemente di economia circolare e crescita oppure addirittura di crescita verde, che sono la negazione l’una dell’altra. Ricordiamo infatti, soprattutto a beneficio di coloro che hanno studiato nelle prestigiose università di economia e quindi sono inconsapevoli delle basi stesse dell’economia, che la crescita presuppone uno sfruttamento infinito di persone e risorse naturali per produrre profitto. Le persone possono essere sfruttate all’infinito, basta metterle in grado di comprare i gadget giusti; ma la natura e le risorse non possono essere sfruttate infinitamente, perché sono finite, per ovvi motivi. Infatti degli squilibrati stanno pensando di colonizzare Marte perché la terra la stiamo già esaurendo. Come se ciò non bastasse, la crescita produce una quantità di rifiuti che nessuna capacità di riciclo potrà mai ridurre considerevolmente. Capacità di riciclo che non si può spingere più di tanto perchè altrimenti la crescita avrebbe una contrazione, stessa cosa che avverrebbe con l’economia circolare se si applicasse in tutti i settori. Quindi non solo gli apostoli della crescita non vogliono che si ricicli o si riusi granchè, ma la terra non è in grado di assorbire la immensa massa di rifiuti che viene prodotta. Infatti mari, fiumi e terre sono ormai delle discariche. Se ne deduce in maniera ovvia, senza bisogno forse nemmeno della quinta elementare, che una crescita verde è semplicemente impossibile poichè le due cose assieme fanno a pugni.  La crescita per sua natura non ha nulla di green, perché sfrutta tutto come risorsa o come pattumiera. Ci possono essere una prosperità verde, un futuro verde, magari anche una economia verde se si intende l’accezione etimologica di economia che è la cura della casa, ma è inutile arrampicarsi sugli specchi, fare capriole, giravolte, salti mortali all’indietro, doppi e tripli, non si può barare: la crescita verde è impossibile. Per giustificarla e quindi apparire paladini dell’ambiente, ci si daranno riverniciatine green come fanno i maggiori inquinatori del pianeta a iniziare ad esempio dall’ENI che ci bombarda con campagne pubblicitarie, ma sotto la patina il risultato è sempre lo stesso: devastazione della natura e guerra alla salute delle persone. Questi cantori della crescita verde o meno verde non si fermeranno da soli, non possono per loro natura, quindi vanno fermati; va tolto loro qualsiasi potere, qualsiasi appoggio, con un’obiezione di coscienza sistematica. Allo stesso tempo, occorre costruire luoghi, società, progetti, lavori, formazione, educazione che non abbiano la crescita e il dio denaro come faro, bensì la qualità della vita, il benessere, una vita dignitosa per tutti e la salvaguardia della nostra casa cioè l’ambiente in cui viviamo. Allora sì che avrà senso parlare dell’unica crescita accettabile e sensata che è quella dei valori e della ricchezza personale intesa come spirituale.

Fonte: ilcambiamento.it

Legambiente: «Sul referendum trivelle allarmismo strumentale»

Referendum 17 aprile. Legambiente: «Allarmismo strumentale, l’alternativa al gas delle trivelle esiste già, con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalla piattaforme entro le 12 miglia. Ma il governo blocca gli investimenti nel biometano».

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L’alternativa alle trivellazioni di gas in Italia esiste già: con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalla piattaforme entro le 12 miglia, creando più lavoro e opportunità per i territori. “Il vero grande giacimento italiano da sfruttare – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – non è sotto i nostri mari ma nei territori, e nella valorizzazione del biogas e del biometano prodotti da discariche e scarti agricoli”.

All’allarme, sollevato sul referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare entro le 12 miglia, su un’Italia messa in ginocchio senza il gas estratto da quelle trivelle e costretta ad aumentare le importazioni dall’estero via nave, Legambiente risponde che sono tutte bugie, citando numeri e studi. Il gas estratto nelle piattaforme oggetto del referendum non arriva al 3% dei consumi nazionali. E, com’è noto, il gas nel nostro Paese arriva attraverso i gasdotti.

“I numeri sono chiarissimi – prosegue Zanchini – già oggi si produce elettricità in Italia con impianti a biogas che garantiscono il 7% dei consumi. Ma il potenziale per il biometano, ottenuto come upgrading del biogas e che può essere immesso nella rete Snam per sostituire nei diversi usi il gas tradizionale, è in Italia di oltre 8miliardi di metri cubi. Ossia il 13% del fabbisogno nazionale e oltre quattro volte la quantità di gas estratta nelle piattaforme entro le 12 miglia oggetto del referendum. Il problema è che questi interventi sono bloccati proprio dalle scelte del Governo”.

Legambiente ha messo a confronto i dati sulle estrazioni di gas nei mari italiani con il potenziale di sviluppo del biometano in Italia, calcolato dal Cib (Consorzio italiano biogas), e i risultati fanno comprendere il grande vantaggio che l’Italia trarrebbe da questa scelta. Si potrebbero, infatti, realizzare impianti distribuiti in tutto il Paese per produrre biogas e biometano, dalla digestione anaerobica dei rifiuti o di biomasse e scarti agricoli, con vantaggi rilevanti nei territori, sia in termini economici che occupazionali, che di risoluzione dei problemi di smaltimento dei rifiuti. Secondo i dati dell’Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) gli occupati nelle piattaforme oggetto del referendum sono 3mila, ossia già oggi meno dei 5mila occupati nel biogas, con la differenza che questi ultimi possono arrivare a superare i 12mila occupati stabili e con potenzialità maggiori proprio al Sud‎ e nelle aree agricole. Ma il problema, denuncia Legambiente, è che questi investimenti sono bloccati da barriere assurde. In primis il fatto, incredibile, che il biometano non possa essere immesso nella rete Snam. Da anni viene, infatti, ritardata l’approvazione di un decreto che dovrebbe permettere qualcosa di assolutamente scontato e nell’interesse generale. Uno stop che ha come unica motivazione quella di non aprire alla concorrenza nei confronti di quei gruppi che distribuiscono gas, come Eni, che sono proprio coloro che possiedono larga parte delle concessioni di gas nei nostri mari. Non si comprende la ragione dei rinvii da parte del Governo Renzi, come dei provvedimenti che hanno tagliato gli incentivi alle rinnovabili, se non con una politica che ha guardato solo a favorire le fossili come quella che, a partire dal decreto Sblocca Italia, ha caratterizzato l’azione del Governo. Del resto, a dimostrare i privilegi di cui godono le estrazioni di idrocarburi è un dato che ha dell’incredibile: 20 delle 26 concessioni che estraggono gas entro le 12 miglia dalla costa non pagano le royalties. La ragione sta nel fatto che sotto una certa quantità l’estrazione è “gratis”, come se quelle risorse non appartenessero agli italiani ma fossero proprietà privata dei gruppi energetici. “Altro che referendum inutile – aggiunge Edoardo Zanchini -. In Italia è in corso un vero e proprio conflitto tra interessi. Fino ad oggi il Governo Renzi, con lo Sblocca Italia e le scelte contro le rinnovabili, è stato dalla parte dei grandi gruppi energetici che controllano petrolio e gas. Il 17 aprile si vota anche per dare un segnale chiaro al Governo, perché l’interesse dei cittadini italiani è quello di cambiare questa realtà fatta di rendite e privilegi e di puntare sulle fonti rinnovabili per creare lavoro in Italia, opportunità per i territori e fermare davvero i cambiamenti climatici”.

 

Fonte: ilcambiamento.it

I rifiuti radioattivi del fracking sono finiti nelle discariche di New York

Nonostante il divieto di trivellazione, 460000 tonnellate di rifiuti tossici e radioattivi da fracking sono arrivati in sette discariche dello stato. Per decisione del governatore democratico andrew Cuomo, lo Stato di New York ha recentemente vietato il fracking su tutto il suo territorio. Tuttavia cio’ non e’ bastato a mettere al riparo il territorio dai danni di questa tecnologia devastante dal punto di vista ambientale. Come documentato dal gruppo ambientalista Environmental Advocates of New York (EANY), 7 discariche dello stato hanno accettato i fanghi di scarto del fracking della vicina Pennsylvania, circa 460000 tonnellate di rifiuti solidi e 23 barili di rifiuti liquidi. Questi materiali di scavo contengono metalli pesanti e radioattivi (vedi video in alto). Secondo EANY il Dipartimento di Protezione Ambientale non ha adeguatamente monitorato la situazione permettendo lo stoccaggio di rifiuti pericolosi. Il Dipartimento rigetta le accuse, sostenendo che si tratta solo di materiale di scavo superficiale e di fanghi essiccati che non contengono reagenti chimici. Conferma pero’ il rischio di radioattivita’. Secondo il gruppo ambientalista, il governatore dovrebbe vietare lo scarico di scarti da fracking. Questo rappresenterebbe un ulteriore difficolta’ per l’industria petrolifera che evidentemente non riesce piu’ a smaltire i rifiuti in Pennsylvania se deve sobbarcarsi il costo del trasporto. La trivellazione di un pozzo genera circa 400 m³ di materiale di scarto e in Pennsylvania ne sono stati trivellati 9000.

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Fonte: ecoblog.it

Conai: in Italia recuperati 3 imballaggi su 4

Grazie all’attività del consorzio per il recupero degli imballaggi si è evitata la costruzione di 500 discariche01-2-586x439

Quasi 8 milioni e mezzo di tonnellate sono stati recuperati nel corso del 2012, una cifra pari al 75,3% degli oltre 11 milioni di tonnellate immesse sul mercato. È questo il dato che emerge dal bilancio consuntivo 2012 di Conai che tiene contro sia del riciclo che del recupero energetico dei rifiuti di imballaggio in acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro. Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi) è un consorzio privato senza fini di lucro, costituito dai produttori e utilizzatori di imballaggi che hanno finalità di perseguire obiettivi di recupero e riciclo dei materiali di imballaggio. Anche il dato che riguarda il solo riciclo dei rifiuti di imballaggio è confortante con ben7.342.000 tonnellate riciclate pari al 65,6% di quanto immesso al consumo. In quattordici anni il recupero degli imballaggi è passato dal 33% al 75% con una ricaduta positiva sull’ambiente e uno “snellimento” dei quantitativi che finiscono il loro ciclo vitale in discarica. Merito dell’adesione di circa un milione di imprese al sistema consortile. Secondo quanto previsto dal consorzio Anci-Conai, i corrispettivi erogati ai Comuni in convenzione sono stati 323 milioni di euro nel 2012, con un incremento del 10,8% rispetto al 2009 e del 4,5% rispetto al 2011. Questi corrispettivi vengono erogati sulla base della quantità e qualità delle raccolte: minori sono le frazioni estranee contenute nei rifiuti di imballaggio, maggiore è il corrispettivo economico riconosciuto. Si tratta di una strategia utilizzata da Conai per incentivare la qualità della raccolta e aumentare, dunque, la quota di riciclo. Dall’inizio dell’attività (1997) il consorzio è riuscito ad aumentare del 61% il volume di recupero dei rifiuti di imballaggio: un beneficio economico quantificabile in 12,7 miliardi di euro e un guadagno ambientale che ha permesso di evitare la costruzione di 500 discariche e l’emissione di 82 milioni di tonnellate di CO2.

Fonte:  Conai

Fiducia a un governo ambientalista. Firma

Una petizione lanciata da un gruppo di ambientalisti ed operatori economici verdi per mettere l’Italia sulla rotta giusta. Si invitano tutti i cittadini a sottoscrivere su Change.org in favore di una “soluzione verde” alla crisi politica italiana

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La crisi economica e la crisi politica dell’Italia richiedono e suggeriscono una soluzione nel segno dell’ecologia e dell’ambientalismo.

Per firmare la petizione clicca qui

Avevano detto le associazioni ambientaliste con l’ECOTELEGRAMMA che in un mese di campagna elettorale la parola ambiente è stata trascurata. (“Eppure la qualità dell’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, l’acqua che beviamo, il diritto a non essere sommersi dai rifiuti, la possibilità di scegliere un’energia pulita prodotta in Italia, la tutela del nostro territorio, del nostro patrimonio naturale e dei nostri beni culturali e colturali sono temi centrali della vita quotidiana. Assieme a quello, sempre più drammatico, del lavoro che in questi ultimi anni è cresciuto soltanto nei settori della green economy e dell’agricoltura di qualità”). Ora i risultati delle elezioni – con tutto il problema della mancanza di una maggioranza al Senato – creano un situazione nuova, difficile da un lato, ma anche carica di opportunità. Non c’ è dubbio che tra le motivazioni degli elettori, ma soprattutto nelle intenzioni programmatiche del Movimento5 stelle, i temi dell’ambiente, delle energia e di una nuova economia verde siano molto importanti. Senza entrare nel dettaglio di questioni come il voto di fiducia e le alleanze sistematiche o episodiche, ci troviamo di fronte a un’occasione da non perdere, a un bivio storico. I soggetti che si occupano di ambiente e risorse naturali, di produzione e consumo di cibo di qualità, di energie rinnovabili e sostenibilità, di beni culturali, identità territoriali e turismo, di legalità e giustizia, di lotta agli sprechi, nonché alcune sigle del mondo imprenditoriale che è riuscito a tradurre queste visioni in fatturato e nuovi posti di lavoro, insieme con i cittadini più attivi nelle battaglie per la difesa della salute e del territorio possono oggi unirsi e farsi sentire perché si avvii una legislatura finalmente attenta all’ambiente e affinché le forze di Italia Bene Comune e del Movimento 5 Stelle trovino il modo di avviarla. Ricordiamo alcuni impegni chiari contro lo spreco di ambiente, territorio, energia e futuro da prendere già nel primo anno di governo:

1) garantire la legalità e la giustizia, la trasparenza e l’equità nelle filiere agricole ed alimentari, ambientali ed energetiche, aumentando efficienza ed efficacia dei controlli con un’adeguata tutela penale dell’ambiente;
2) fissare l’obiettivo del 100% rinnovabili, procedendo alla chiusura progressiva delle centrali alimentate con combustibili fossili, rinunciare al piano di sviluppo delle trivellazioni petrolifere in mare e definire una roadmap per la decarbonizzazione che sostenga la green economy, e per il risparmio energetico

3) spostare i fondi stanziati per strade e autostrade verso il trasporto sostenibile(ferrovia, nave, bici, mezzi elettrici e a basso impatto ambientale, car sharing) e il trasporto pendolare nelle aree urbane, definendo un piano nazionale della mobilità che superi definitivamente il programma delle infrastrutture strategiche;

4) rendere compatibili le scelte economiche e di gestione del territorio con la conservazione della biodiversità naturale attribuendo un ruolo centrale ai parchi, e varare un piano della qualità per il settore turistico per valorizzare i beni culturali e ambientali;

5) approvare un pacchetto di interventi per favorire l’occupazione – soprattutto giovanile – in agricoltura, sostenere le colture biologiche, biodinamiche e a basso impatto ambientale e promuovere modelli di consumo alimentare sostenibili;

6) approvare una legge che fermi il consumo di suolo e aumentare i vantaggi fiscali che derivano dalla scelta a favore del recupero e della ristrutturazione, dell’architettura bioclimatica e dell’urbanistica mirata all’abbattimento dell’inquinamento e alla riqualificazione energetica e ambientale del patrimonio edilizio;

7) incentivare non solo la raccolta differenziata, il riuso, il riciclo e il recupero dei materiali ma anche la lotta agli sprechi in ottica preventiva, cominciando a tagliare il sostegno agli inceneritori e alle discariche.


Andrea Bertaglio, giornalista ambientale

Tullio Berlenghi, esperto diritto ambientale

Paola Bolaffio, giornalista ambientale

Gian Maria Brega Promotore Labelab

Roberto Cavallo, Presidente ERICA e AICA

Alessio Ciacci, Assessore all’Ambiente di Capannori, Personaggio Ambiente 2012

Maurizio Cossa, Decrescita Felice Torino

Michele D’Amico, giornalista ambientale

Alessandro Fabrizi, comunicazione ambientale

Simona Falasca, Direttore Greenme

Alessandro Farulli, Direttore di Greenreport

Sergio Ferraris, Direttore responsabile ed editoriale QualEnergia

Marco Fratoddi, Direttore di La Nuova Ecologia

Marika Frontino, giornalisti ambientali

Giuseppe Gamba, presidente Azzero CO2

Paolo Hutter, Direttore Eco dalle Città

Lidia Ianuario, Direttrice Responsabile NeWage

Giuseppe Iasparra, giornalista ambientale e blogger

Bianca Laplaca, giornalista ambientale

Giuseppe Lanzi, AD Sisifo Italia (Green Economy)

Simonetta Lombardo, giornalista ambientalista

Paolo Piacentini , Presidente Federtrek

Letizia Palmisano, giornalista, vicepresidente di Econnection

Raphael Rossi, manager pubblico esperto rifiuti

Roberto Rizzo, giornalista ambientale e scientifico

Mauro Spagnolo, Direttore Responsabile Rinnovabili.it

Alessandro Tibaldeschi, ufficio stampa green Press Play

NOI ESTENSORI DI QUESTO APPELLO CHIEDIAMO il pronunciamento e l’appoggio DELLE PERSONE RICONOSCIUTE E IMPEGNATE NEL CAMBIAMENTO ECOLOGICO IN ITALIA, e più in generale la firma dei cittadini che condividono questa idea di “soluzione verde” alla crisi politica.

Fonte: eco dalle città

 

Potocnik: Ue pronta a cofinanziare impianti riciclo rifiuti in Italia

Il commissario Ue all’Ambiente, Janez, sulla gestione dei rifiuti in Italia: “Non ci saranno più soldi per le discariche, ma saremo più che felici di cofinanziare strutture per il riciclo, che aiuteranno ad andare nella direzione che stiamo promuovendo oggi”

 

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“Saremo più che felici di cofinanziare impianti per il riciclo” in Italia. Questo il messaggio lanciato oggi a Bruxelles dal commissario Ue all’Ambiente, Janez Potocnik, in occasione della pubblicazione del Libro verde per promuovere il recupero, il riuso e il riciclo dei rifiuti plastici in Europa. Potocnik, che ieri è stato informato brevemente dal ministro italiano dell’Ambiente, Corrado Clini, “sugli ultimi sviluppi anche connessi alla gestione dei “rifiuti a Roma“, ha sottolineato come anche nel Sud Italia ci siano esperienze locali di successo nel campo del riciclo dei rifiuti.
“E’ veramente una questione di organizzazione e volontà – ha spiegato Potocnik – e si lega anche ai finanziamenti: per questo faccio appello ad un chiaro uso dei fondi strutturali e di coesione, specialmente perché in futuro questi fondi saranno concessi in linea con la gerarchia dei rifiuti”. “Non ci saranno più soldi – ha concluso il commissario Ue all’ambiente – per le discariche, ma saremo più che felici di cofinanziare strutture per il riciclo, che aiuteranno ad andare nella direzione che stiamo promuovendo oggi“.

Fonte: eco dalle città