Ricicla rifiuti per creare case per senzatetto

Un artista californiano realizza piccole abitazioni trasportabili e destinate a chi non ha una dimora fissa. Geniale, vero? Ecco perché Gregory Kloehn ha lanciato questo progetto di solidarietà. “Homeless Home Project“: questo il nome dell’iniziativa sorta a favore dei senza fissa dimora che vivono al sud della West Coast. Il progetto porta la firma dell’artista californiano Gregory Kloehn che ricicla rifiuti e scarti di vario tipo per costruire vere e proprie casette per senzatetto.  L’uomo, in giro tra discariche abusive e sversato i vari distribuiti sul territorio, riesce sempre a trovare tutti i materiali possibili da assemblare per confezionare poi dei rifugi per chi non possiede quattro mura in cui dormire. Alla struttura portante fatta con vecchi pallet, Kloehn aggiunge infatti tutto ciò che la creatività e l’immaginazione gli propongono. Dall’oblò di una lavatrice che può diventare un infisso allo sportello anteriore di un frigorifero che assume le sembianze di una porta d’ingresso.

Si tratta di case trasportabili e create con materiale riutilizzato: le “little homeless homes”.1-_CASE_PER_SENZATETTO

(Fonte foto: Sito web Gregory Kloehn)

Un’idea sostenibile e green, ma allo stesso tempo di natura solidale.

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(Fonte foto: Sito web Gregory Kloehn)

Grandi quanto un sofà, queste case presentano tutte un tetto spiovente per far defluire l’acqua piovana e delle rotelle per spostarle da un posto all’altro. L’idea è partita quando un giorno, affacciandosi dal suo studio, un senzatetto chiese a Gregory una coperta per ripararsi dal freddo.

Oggi l’artista ha avviato una vera e propria campagna di sensibilizzazione a cui è possibile contribuire cliccando su questa pagina. 

Il progetto “Homeless Home Project” aiuta molti clochard ad imparare le tecniche per costruirsi un rifugio autonomamente e allo stesso tempo innesca un ciclo virtuoso per lo smaltimento dei rifiuti abbandonati. Due piccioni con una fava.
fonte: strabiliami.it

La mappa delle discariche abusive in Italia

Dal Veneto alla Sicilia, sono 188 e ci costano oltre 40 milioni ogni sei mesi. Che l’Italia sia costellata di discariche abusive non è certo una novità. Così com’è una novità che ci costino un sacco di soldi, visto che ogni sei mesi il nostro paese si vedrà recapitata una multa da circa 43 milioni di euro in seguito alla condanna della Corte Europea, che risale allo scorso dicembre. Quello che ancora non si sapeva era dove fossero con precisione queste discariche abusive, mancava una vera e propria mappa che permettesse di capire quali sono gli enti territoriali che, per primi, dovrebbero intervenire ed evitare che il territorio venga deturpato e inquinato in questo modo. Ora una mappa è saltata fuori: a ottenerla è stata la deputata del Movimento 5 Stelle Claudia Mannino richiedendola al dipartimento Ambiente della Commissione europea. Un elenco che era stato soprannominato “desaparecido”, perché per lungo tempo introvabile. E allora, dove sono le discariche abusive in Italia? Prima di tutto, va detto che sono 188 e che puntellano tutta Italia, con le soli eccezioni della Valle d’Aosta e del Trentino Alto Adige. Le regioni che ospitano il maggior numero di discariche abusive si concentrano nel centro-sud: Campania (48), Calabria (43), Abruzzo (28), Lazio (21), Puglia (12) e Sicilia (12). Ce ne sono però anche nove in Veneto (di cui cinque a Venezia) e ce ne sono anche in alcuni borghi che hanno una grande importanza dal punto di vista turistico e paesaggistico, tra cui Matera e l’Isola del Giglio. Una prima conseguenza di questa mappatura è che ora sarà possibile chiedere il conto del loro operato a tutti gli amministratori coinvolti. Anche perché se si vuole evitare che l’Italia incorra in altre sanzioni pecuniare, il tutto dovrebbe essere messo in sicurezza o bonificato entro il 2 giugno 2015. Scrive Il Fatto Quotidiano:

Con la sentenza del 2 dicembre 2014, infatti, la Corte di Giustizia aveva accertato l’omessa esecuzione da parte della Repubblica italiana (e per essa, dei Governi succedutisi nell’arco di oltre 7 anni) della decisione della stessa Corte del 26 aprile 2007, che aveva dichiarato l’inadempienza dell’Italia, a partire dal 9 febbraio 2004, agli obblighi di attuazione di alcune disposizioni delle direttive comunitarie in materia di gestione dei rifiuti e delle discariche. La Corte Ue aveva usato la mano pesante con l’Italia, rifilandole una multa di 40 milioni di euro

La prima regione che dovrà rispondere del suo operato è la Sicilia. La deputata Mannino ha già chiesto all’assessore all’Ambiente di quella regione, Maurizio Croce, di far sapere se gli interventi necessari saranno completati per tempo. La seconda regione che sarà messa sotto osservazione sarà probabilmente la Calabria, per la semplice ragione che le due regioni portano oltre il 90% dei rifiuti in discariche abusive, a fronte di una media nazionale del 37%. Il ministro dell’Ambiente Galletti, a dicembre, segnalava però come la situazione fosse migliorata: “La sentenza sanziona una situazione che risale a sette anni fa. In questo tempo l’Italia si è sostanzialmente messa in regola. Siamo passati da 4.866 discariche abusive contestate, a 218 nell’aprile 2013. Cifra che si è ulteriormente ridotta a 45″. Una cifra, quest’ultima, evidentemente troppo ottimistica.Schermata-2015-03-18-alle-19.17.21

Fonte: ecoblog.it

Amianto, scoperte due discariche abusive in Alto Adige e Campania

A Bolzano e Giugliano scoperti due smaltimenti abusivi in prossimità, rispettivamente, di un frutteto e di una scuola. Dopo il caso di alcuni giorni fa nel pavese, altre due discariche abusive di amianto sono state scoperte in Campania e in Alto Adige. Il fenomeno dello smaltimento abusivo dell’asbesto è dovuto agli alti costi delle operazioni di bonifica e di stoccaggio e chi vuole abbassare i costi della decontaminazione utilizza canali illegali. A Bolzano, in via Resia, sono stati stoccati ben 200 sacchi contenenti amianto, fra l’altro a pochi metri dai frutteti. Si tratta di centinaia di tonnellate di materiale che dovranno essere esaminate per comprenderne la provenienza e per accertare eventuali responsabilità: innanzitutto occorrerà verificare l’appartenenza del terreno oggetto della discarica e capire chi ordinò di scaricare l’amianto e compattarlo insieme a vetro e altro materiale di scavo. Secondo il direttore dell’ufficio provinciale rifiuti Giulio Angelucci potrebbe configurarsi il reato penale di omessa bonifica. I rifiuti potrebbero essere stati interrati fra gli anni Settanta e Ottanta. Decisamente più recente è stato effettuato lo smaltimento abusivo scoperto davanti a una scuola di Giugliano in Campania, in provincia di Napoli. Venerdì scorso, all’ingresso del Quinto Circolo Didattico di Giugliano sono stati rinvenute diverse lastre di amianto coperte da teli speciali. I tecnici dell’Arpac sono intervenuti tempestivamente e, di concerto con gli agenti della Municipale, hanno messo in sicurezza gli ambienti adiacenti all’istituto scolastico. Il problema delle discariche abusive di amianto e rifiuti tossici è stato più volte denunciato da don Maurizio Patriciello, il parroco di Caivano che da anni denuncia gli interessi delle ecomafie nella Terra dei Fuochi.450965461-586x400

Fonte:  Alto Adige Il Mattino

© Foto Getty Images

Discariche illegali: l’Ue multa l’Italia per i rifiuti

La Corte di Giustizia europea multa l’Italia per il mancato rispetto della normativa sulla gestione dei rifiuti e delle discariche: 40 milioni a forfait, 42,8 milioni a semestre fino al rispetto della sentenza del 2007. L’Italia è stata multata dalla Corte di giustizia europea per il mancato rispetto della normativa Ue in materia di gestione dei rifiuti e delle discariche. Il nostro Paese sarà assoggettato a una multa forfettaria di 40 milioni di euro, a cui si aggiungeranno penalità fino a un massimo di 42,8 milioni per ogni semestre che passerà dalla sentenza fino alla messa in regola delle 218 discariche illegali presenti sul nostro territorio. I giudici europei hanno sentenziato che le procedure italiane non garantiscono la salute umana e la protezione dell’ambiente, soprattutto a causa dei mancati controlli sui rifiuti pericolosi e per l’assenza di un sistema che eviti la proliferazione delle discariche abusive. La Corte, già nel 2007, aveva constato l’inadempimento italiano alle direttive sui rifiuti. Oggi arriva la multa, frutto di sette anni di richiamo. “Le operazioni sono state compiute con grande lentezza, tanto che un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane”scrivono da Lussemburgo.

La sentenza del 2007

Era il 2007 quando la Corte dichiarò che l’Italia era “venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi stabiliti dalle direttive sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sulle discariche”. Sei anni dopo,
la Commissione Ue ha verificato l’inadempienza del nostro Paese alla sentenza. E ha segnalato le 218 discariche situate in 18 regioni, non conformi alla direttiva rifiuti. Non solo: 16 discariche contenevano pure rifiuti pericolosi e, per cinque discariche, l’Italia non aveva dimostrato che fossero state oggetto di riassetto o di chiusura, come richiesto dall’Ue. La Commissione ha quindi denunciato che 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva. L’Italia è stata pertanto condannata a una multa iniziale di 40 milioni di euro e a versare una penalità di 42,8 milioni per ogni semestre, a partire dal 2 dicembre e fino all’esecuzione della sentenza del 2007. Dai 42,8 milioni, ogni volta che una discarica con rifiuti pericolosi sarà messa a norma, verranno detratti 400 mila euro. Saranno detratti 200 mila euro per ogni altra discarica che verrà messa a norma.

Cosa ha fatto l’Italia

Intendiamoci, qualcosa l’Italia ha fatto. Secondo il rapporto Ispra di gennaio scorso, le discariche restano il metodo più diffuso di smaltimento dei rifiuti in Italia (40%). Rispetto al 2011,c’è stato un calo dell’11,7%. La peggiore performance va al Centro Italia (56% dei rifiuti in discarica), poi c’è il Sud (51%) e il Nord (22%). Nel 2012, la regione con il maggior numero di impianti era l’Emilia Romagna (18), poi il Piemonte (16). Sempre nel 2012, la regione che aveva smaltito in discarica la minor quantità di rifiuti urbani prodotti era il Friuli Venezia Giulia (7%), seguita da Lombardia (8%) e Veneto (11%). Al Sud, invece, i dati sono ben diversi. Il Molise era addirittura al 105%, con il 60% proveniente dall’Abruzzo, la Calabria all’81%, la Sicilia all’83%. Dal 2003 a oggi, sono state chiuse 288 discariche, di cui 229 al Sud, 43 al Nord e 16 al Centro. Ancora troppo poco per i parametri Ue, che ora chiede all’Italia di pagare un prezzo molto alto.

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Fonte: ecoblog.it

Italia dei veleni: bambini a rischio, ma la ricerca non viene finanziata

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In questi ultimi mesi, purtroppo, ci siamo abituati a scoprire, giorno dopo giorno, un’Italia avvelenata, dove convivono le Terre dei Fuochi, le discariche abusive, i terreni contaminati, le persone che muoiono di tumore. A dare un quadro ancora più netto della pericolosità insita di questi luoghi, un tempo decantati per la loro bellezza, arriva in questi giorni il terzo dossier “Sentieri” dell’Istituto superiore di Sanità, sugli effetti sulla salute delle popolazioni esposte ai Sin, i Siti di interesse nazionale per le bonifiche. Lo studio ha il compito di approfondire il livello di compromissione della salute dei 5 milioni di italiani che vivono in territori tendenzialmente pericolosi, in prossimità di discariche, di industrie e di terreni inquinati. I risultati, come ci si poteva aspettare, non sono rincuoranti. La cosa che stupisce ancora di più, però, è che l’importanza di sviluppare questo filone di ricerche per comprendere meglio l’incidenza che questi veleni hanno sui nostri bambini viene, tutt’oggi, sottovalutata. Spesso non ci facciamo caso, ma i bambini corrono, giocano e respirano quell’aria malsana ricca di inquinanti. Il loro metabolismo è più veloce del nostro, per questo sono più esposti a rischi di malattia.

Quelli che vivono vicino alle aree contaminate hanno un rischio di morte più alto del 4%, già nel primo anno di vita. Oltre a questo, però, non ci è dato sapere, visto che il primo progetto di studio epidemiologico dedicato ai bambini che vivono in queste aree compromesse continua a giacere nei cassetti dell’Istituto superiore di Sanità. Parte di questi dubbi e l’assoluta necessità di indagare gli effetti di tutti questi veleni sulla salute dei bambini lo sono chiari nel nuovo rapporto “Sentieri”, di cui abbiamo parlato prima. Il settimo capitolo, in particolare, affronta questo tema, poco esplorato e soprattutto delicatissimo, dei rischi per la salute infantile. Per poter condurre la terza parte dello studio, i ricercatori dell’ISS hanno lavorato su tre banche dati diverse, incrociando le rilevazioni sulla mortalità aggiornate al 2010, l’incidenza oncologica per gli anni 1996-2005 e dati di ospedalizzazione relativi al periodo 2005-2010. Dalle analisi emergono con forza: la gravità dell’esposizione all’amianto, che genera mesotelioma e tumore maligno della pleura; una maggiore incidenza di tumore del fegato, legato a un “diffuso rischio chimico nei SIN”; le patologie del sistema urinario, per le quali si ipotizza un nesso causale legato ai solventi alogenati dell’industria calzaturiera. Non ultime le malattie respiratorie e i tumori al polmone. Le conclusioni di questi dati dovrebbero fungere da campanello d’allarme per la politica sanitaria e ambientale, spingendo chi di dovere ad acquisire maggiori conoscenze dei contaminanti presenti nei territori e delle conseguenze a essi legate. Ma non solo. Si sa che sono 5 milioni gli italiani che vivono in uno dei 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche (Sin); di questi, un quinto sono bambini e giovani al di sotto dei 20 anni d età, la fascia più fragile ed esposta. Tuttavia su di loro grava un buco informativo che si spera possa essere colmato nel più breve tempo possibile. La sottostima di questo problema, fa notare il Fatto Quotidiano, era già nota agli esperti italiani.

Un anno fa, durante un workshop organizzato dal Dipartimento ambiente e prevenzione primaria (Ampp)dell’Iss, erano state descritte le evidenze epidemiologiche disponibili sui fattori di rischio ambientale per l’insorgenza dei tumori infantili riferiti a 23 siti, su 44, di interesse nazionale per le bonifiche e coperti dalla Rete dei registri tumori (Airtum).

Secondo i dati, in quei particolari siti, “sono stati registrati circa 700 casi di tumori maligni tra i ragazzi di età compresa tra 0 e 19 anni (più di 1.000 casi includendo anche i giovani adulti, 0-24 anni). Con picchi nelle realtà più compromesse della mappa dei veleni: a Massa Carrara, area interessata dal siderurgico e petrolchimico, le esposizioni agli inquinanti hanno portato a un eccesso di mortalità del 25% nei bambini sotto l’anno di vita e del 48% in quelli da 0 a 14 anni. A Taranto gli stessi valori sono superiori del 21% e del 24%, a Mantova – tra industrie metallurgiche e cartarie, petrolchimico e discariche e area portuale – addirittura del 64 e 23%”.

Il progetto per colmare questo buco informativo, nonostante la sua complessità, ha costi molto ragionevoli: costerebbe circa 350mila euro. Nulla, in confronto ai 250 milioni che nel bilancio del Ministero della sanità vanno sotto la voce “tutela della salute pubblica”. Poco rispetto allo studio approvato sulla sigaretta elettronica (415mila euro) o sul Piano di monitoraggio e di intervento per l’ottimizzazione della valutazione e gestione dello stress lavoro correlato proposto da Inal (480mila euro). Eppure, ad oggi, lo studio proposto dagli epidemiologi su tutti i bambini dell’Italia dei veleni non ha ancora trovato posto. I proponenti si limitano a dire: “Finora, in effetti, non abbiamo avuto fortuna. Abbiamo avuto un momento di gloria nel 2006-2007 con la ricerca finalizzata, poi nel 2009 col Ccm e adesso fatichiamo un po’ ma non demordiamo, stiamo continuando a fare richieste”. Anche perché, fare prevenzione per i bambini, significa fare prevenzione per tutti e quei dati che allo stato attuale non ci sono, potrebbero essere importantissimi. Anche considerato il fatto che ogni giorno, in un punto diverso d’Italia, si scoprono nuovi veleni, nuovi siti contaminati. L’ultimo, quello che riguarda Cassino, nella zona agricola di Nocione, dove un’area di 10mila metri quadrati, intrisa di veleni, dove pascolavano le pecore è stata recintata. Rifiuti ospedalieri e discariche abusive hanno contaminato terra e acqua. Un disastro annunciato, e denunciato ad esempio da Legambiente nel 1998, perpetrato per oltre due decenni e che, ad oggi, richiede almeno 213 mila euro di spesa preventivata per gli interventi.

(Foto: AZRainman)

Fonte: ambientebio.it

Roma, parte la raccolta a domicilio per gli ingombranti

Il 2 aprile Ama inaugura il nuovo servizio di raccolta a domicilio dei rifiuti ingombranti: Divani, tavoli, vecchi televisori, lavatrici: basta prendere appuntamento, portare gli oggetti fino al piano stradale e gli operatori passeranno a ritirarli per avviarli agli impianti di riciclaggio

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Parte il 2 aprile un nuovo servizio Ama: la raccolta dei rifiuti ingombranti a domicilio, completamente gratuita e solo per le utenze domestiche. Divani, tavoli, vecchi televisori, lavatrici: basta prendere appuntamento, portare gli oggetti fino al piano stradale e ci pensa Ama a ritirarli e ad avviarli agli impianti di riciclaggio. Il servizio, predisposto da Ama e da Roma Capitale, punta a intercettare maggiori quantità di rifiuti da differenziare e a contrastare le discariche abusive. La raccolta a domicilio affianca gli altri sistemi di smaltimento degli ingombranti, ma con il suo avvio scompaiono le 186 postazioni mobili di quartiere (dal 30 aprile). Si possono consegnare ogni volta oggetti fino a 2 metri cubi di volume: ad esempio un divano a tre posti (2 metri cubi), un tavolo più un televisore oltre i 29 pollici (1 metro cubo ciascuno), una lavatrice e una lavastoviglie (pure un metro cubo ad apparecchio). Resta attiva la raccolta a pagamento per i casi non contemplati dal nuovo servizio: utenze non domestiche, utenze domestiche ma per il ritiro al piano (o nei box e nelle cantine) o per volumi superiori ai due metri cubi.

Come funziona il servizio 

Il servizio funziona su appuntamento tutto l’anno dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18, il sabato dalle 9 alle 16 ed è chiuso nei giorni festivi. Per soddisfare il maggior numero possibile di cittadini è stato posto un tetto individuale: il singolo utente può servirsi della raccolta gratuita fino a un massimo di 12 volte l’anno e non più di due volte al mese.
Come prenotare: chiamando lo 060606 (il contact center di Roma Capitale, attivo 24 ore su 24) o compilando l’apposito modulo nella sezione “Servizi online” di http://www.amaroma.it. Al momento della prenotazione si deve fornire il codice utente riportato in alto a destra nella bolletta della tariffa rifiuti. All’arrivo, gli operatori Ama saranno identificabili dal giubbotto (il “fratino”) e da un badge di riconoscimento. Dopo la raccolta, l’utente riceverà copia del Fir (Formulario di Identificazione Rifiuto) con l’indicazione dell’impianto di trattamento e recupero cui è stato destinato il materiale.

Che cosa posso consegnare

I materiali da consegnare, come si accennava, sono quelli che per il loro volume non possono e non devono venir gettati nei cassonetti e, al tempo stesso, sono riciclabili. E dunque gli ingombranti tradizionali come tavoli, armadi, letti, reti, sedie, divani, porte, E poi gli apparecchi elettrici ed elettronici: lavatrici, frigoriferi, congelatori, lavastoviglie, computer, monitor, stampanti, televisori, impianti hi-fi, ventilatori, asciugacapelli.

Che cosa NON posso consegnare

Non si possono invece affidare alla raccolta a domicilio indumenti usati, scarpe, borse e accessori di abbigliamento (per questi ci sono gli speciali contenitori gialli su strada). Idem per gli oli da cottura (e simili) e naturalmente per i rifiuti tossici e pericolosi: farmaci scaduti, pile e batterie scariche, batterie auto al piombo, consumabili da stampa, cartucce di toner; materiali contenenti eternit, amianto o mercurio; neon e tubi fluorescenti; vernici, solventi e tutti i rifiuti etichettati T o F. Tutte categorie di rifiuti da smaltire presso i centri di raccolta o nei contenitori dedicati su strada, come quelli per le pile esaurite. Escluso anche il ritiro di oggetti bruciati, bagnati o con muffa.

Fonte: eco dalle città