L’esempio delle donne messicane: sposano gli alberi per combattere il disboscamento

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Il problema del disboscamento in Messico è una questione annosa, che desta molta preoccupazione. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, un gruppo di attivisti di Oaxaca ha deciso di intraprendere un’iniziativa all’apparenza strana: celebrare dei matrimoni tra persone e alberi.

Ecco cos’è successo a San Jacinto Amilpas.

Combattere il disboscamento con creatività

«Sposare un albero è un modo per protestare, per dire che dobbiamo smettere di sterminare la Madre Terra ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo».

Queste parole sono state pronunciate da Dolores Leycigi, una delle attiviste che a febbraio scorso ha deciso di sposare un albero per combattere il disboscamento. E Dolores non è la sola. Nello stato di Oaxaca, ben 30 attivisti ambientali si sono legati in matrimonio ad altrettanti alberi. L’evento, che prende il nome di Marry a Tree, è volto a sensibilizzare l’opinione pubblica contro il disboscamento illegale e la deforestazione nello stato di Oaxaca. Non è la prima volta che in Messico un uomo si lega a un albero. È tuttavia la prima volta che accade un evento di gruppo del genere.

La cerimonia

La cerimonia è stata celebrata da Richard Torres, attore e ambientalista peruviano che nel 2014 aveva già sposato un albero a Bogotà, in Colombia, nel tentativo di incoraggiare i ribelli delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia di piantare alberi invece di incitare alla guerra.

In Messico, la cerimonia a cui le spose hanno partecipato con tanto di vestito matrimoniale, si è svolta nel municipio di San Jacinto Amilpas, parte della grande area metropolitana della città di Oaxaca.

«Siamo riuniti per compiere questo grande atto di amore eterno, consacrazione e impegno con gli alberi», ha affermato Torres durante la cerimonia, pensata per sensibilizzare e mettere in guardia le persone contro la crisi ecologica nel paese. Alla fine della cerimonia, i partecipanti hanno anche piantato 16 alberi.

Disboscamento e crisi ambientale in Messico

I matrimoni non sono ovviamente vincolanti da un punto di vista legale, ma sembrano essere un ottimo modo per attirare l’attenzione pubblica su un tema importantissimo in Messico.

«La pratica di trasportare e vendere illegalmente legname ha avuto un impatto ambientale devastante in Messico ed è ritenuta la causa di un aumento della siccità», osserva l’ Huffington Post . E in effetti, il disboscamento illegale sta infliggendo un duro colpo alle foreste messicane. In parte anche a causa del commercio illegale di legname.

Una crisi ambientale che rischia di diventare irreversibile.Secondo Torres, parte della colpa sarebbe della classe politica e degli interessi economici in ballo. La protezione dell’ambiente dovrebbe essere uno dei principali impegni della classe politica “perché sono stati scelti dal popolo”, ha detto Torres, che guida il gruppo di difesa ambientale Corazones Verdes (Green Hearts).

Fonte: ambientebio.it

L’industria della carta divora una delle ultime grandi foreste del pianeta

Una delle più grandi distese di verde della Taiga russa sta scomparendo a causa del disboscamento dell’industria della carta. E in Brasile la foresta non conosce sorte migliore: sempre meno protetta.9510-10266

«Numerose società produttrici di carta e derivati sono collegate ad aziende che stanno distruggendo una delle ultime e più grandi foreste vergini d’Europa, nella Taiga russa»: a denunciarlo è il rapporto “Eye on the Taiga”, diffuso da Greenpeace International.

«La Taiga russa è parte dell’ecosistema della Grande Foresta del Nord, che si estende per 16 milioni di chilometri quadrati dall’Alaska alla Russia, passando per il Canada e la Scandinavia – spiegano da Greenpeace International – La Grande Foresta del Nord rappresenta un terzo delle foreste rimaste sulla Terra ed è il secondo più grande ecosistema terrestre del mondo, dopo le foreste tropicali. Circa il 60 per cento della Grande Foresta del Nord (950 milioni di ettari) si trova proprio in Russia, dove però le blande leggi forestali permettono la frammentazione o la radicale trasformazione delle foreste, spingendo le aziende del settore del legno e della carta a spostare la loro attenzione verso le foreste vergini o Paesaggi Forestali Intatti, come vengono definiti scientificamente. Ad esempio la regione russa di Arcangelo, che si estende per 31 milioni di ettari, è vista dall’industria del legno e della carta come una “miniera di legname”. In particolare, fanno parte di questa regione gli 835 mila ettari del Paesaggio Forestale Intatto conosciuto come Foresta Dvinsky, divenuti ormai il fulcro di un acuto conflitto tra gli interessi di conservazione forestale e le mire del settore del legname e della carta. Fra il 2000 e il 2015 la Foresta Dvinsky ha perso oltre 300 mila ettari di Paesaggi Forestali Intatti, mettendo a rischio l’habitat di una delle ultime popolazioni di renne selvatiche, già in via d’estinzione».

«Per quanto la foresta boreale russa possa sembrare lontana, sono state le aziende europee, statunitensi e australiane a far crescere a dismisura la domanda di prodotti provenienti da quest’area», afferma Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. «Arkhangelsk Pulp & Paper Mill (APPM), che commercia principalmente cellulosa e carta, è una delle società che sta ostacolando la protezione ufficiale della Foresta Dvinsky. Tra i clienti di APPM troviamo l’azienda italiana Fornaroli Carta SpA, e Kiev Cardboard and Paper Mill – con sede in Ucraina, ma controllata dall’austriaca Pulp Mill Holding GmbH – che vende i propri prodotti a famosi marchi come McDonald, PepsiCo, Nestlé, Unilever, Mondelez e Auchan».

Greenpeace ha scritto alle società citate nel rapporto e ha chiesto loro di unirsi agli sforzi per salvare la Foresta Dvinsky e tutte le altre preziose foreste vergini della Grande Foresta del Nord.

«La distruzione della Foresta Dvinsky e degli altri Paesaggi Forestali Intatti della regione di Arcangelo si fermerebbe se venisse interrotto il flusso di prodotti derivati da questa deforestazione verso i mercati internazionali, compresa l’Unione europea e l’Italia», continua Borghi. «È dovere di queste aziende fermare la distruzione di una delle ultime foreste vergini d’Europa e preservare aree forestali intatte che non hanno eguali in Europa in termini di dimensioni e biodiversità», conclude Borghi.

Leggi il report “Eye on the Taiga”.

Ma anche in Brasile la foresta sta scomparendo, giorno dopo giorno.

Nonostante in Amazzonia la deforestazione sia aumentata del 75 per cento tra il 2012 e il 2015, il governo brasiliano starebbe pensando di ridurre la protezione di alcune aree intatte della foresta. Greenpeace è andata sul posto per documentare cosa si rischia di perdere.

«Il governo Temer starebbe infatti per presentare al Congresso Nazionale una proposta per ridurre le Conservation Units – un potente strumento contro la distruzione delle foreste. Si prevede di cancellarne una e ridurre la superficie di altre quattro del 40 per cento – spiegano sempre dall’associazione ambientalista – In una sola mossa si potrebbe togliere la protezione a un’area grande sei volte l’area metropolitana di Londra: circa un milione di ettari di foresta. La protezione di queste aree è vista come un ostacolo agli investimenti. Se questa ipotesi dovesse diventare realtà, si consegnerebbe alla distruzione un patrimonio inestimabile di biodiversità. Per questo Greenpeace ha sorvolato la foresta nello stato di Amazonas, per mostrare quanto si perderebbe se questi piani dovessero diventare realtà e qual è lo stato di salute di queste aree».

«Riducendo le Conservation Units, il presidente del Brasile, Michel Temer, incoraggerebbe chi distrugge la foresta e tradirebbe chi ha lavorato per preservarla», spiega Cristiane Mazzetti, della campagna Amazzonia di Greenpeace Brasile. «Ridurre queste aree protette in un momento in cui la deforestazione è tornata a salire vuol dire proporre l’opposto di quanto serve ora al Brasile per contrastare la distruzione delle foreste. Ora più che mai, è importante fare pressione sul governo per fermare questa proposta e tornare a ridurre la deforestazione».

«Lo stato di Amazonas ospita la più grande area continua di Foresta Amazzonica e ancora molte aree di foresta intatta. Se queste dovessero essere distrutte, molti benefici ambientali per il Pianeta andrebbero perduti. Nel solo 2016 la deforestazione nello Stato di Amazonas è cresciuta del 54 per cento rispetto all’anno precedente». Le immagini catturate per Greenpeace dal fotografo Daniel Beltra mostrano ampie zone di foresta in pericolo, con evidenze della presenza di attività umane, come l’estrazione di oro e presenza di strade. Intorno al confine delle Conservation Units, sono inoltre visibili anche tracce di recente deforestazione e alcune aree bruciate da poco, probabilmente per lasciare spazio a nuove aziende agricole o all’industria del legno.

«La creazione delle Conservation Units è stata una mossa vincente, che tra il 2005 e il 2012 ha contribuito a ridurre il tasso di deforestazione. Con questa proposta invece il governo potrebbe dare luce verde alla deforestazione selvaggia», conclude Mazzetti.

Fonte: ilcambiamento.it

Amazzonia, deforestazione da record

Il disboscamento torna ai ritmi da record del passato: ogni ora si perde una superficie pari a 210 campi da calcio.

La Foresta amazzonica continua a essere in pericolo. Le numerose campagne ambientaliste e i piani di conservazione messi in campo dalla politica non riescono a evitare che questo patrimonio mondiale di biodiversità sia progressivamente rosicchiato, albero dopo albero, kmq dopo kmq. Sia in Brasile che in Perù sono tante le storie di attivisti uccisi per essersi opposti ai mercanti di legname. E dopo qualche anno di “tregua” relativa, il disboscamento è tornato a essere selvaggio. Le ultime brutte notizie arrivano dal Brasile, dove si trova il 60% della foresta amazzonica. Qui a settembre la deforestazione è cresciuta del 290% su base annua, distruggendo un’area boschiva di 402 km quadrati, vale a dire una superficie come quella di Milano, Firenze e Napoli messe insieme. L’ennesimo allarme arriva da Imazon, un’organizzazione no profit brasiliana che, dati satellitari alla mano, ha quantificato le perdite di area boschiva. I 402 km quadrati sono stati interamente disboscati per destinare il terreno ad altro uso. A questi si aggiungono le aree degradate, quelle cioè molto colpite dal disboscamento oppure arse. La superficie interessata nel mese scorso è stata di 624 km quadrati, con una crescita esponenziale rispetto ai 16 km quadrati del settembre 2013. Le norme che tutelano la foresta pluviale non mancano, ma farle rispettare non sembra facile: contadini e boscaioli sono andati avanti abbattendo aree inferiori ai 25 ettari, rimanendo al di sotto della soglia che riusciva a monitorare il sistema satellitare usato dal governo brasiliano fino a poco tempo fa. La settimana scorsa gli attivisti di Greenpeace hanno scoperto un traffico illecito di legname usando i localizzatori gps, installati su camion sospettati di usare rotte proibite per far uscire dal Brasile gli alberi abbattuti e venderli in altri mercati, anche europei. Monitorare l’area verde considerata il “polmone della Terra”, del resto, è un’impresa ardua. L’Amazzonia si estende su una superficie di oltre 7 milioni di km quadrati, di cui 5,5 milioni di zona boschiva. Negli ultimi 50 anni, come più volte denunciato dal Wwf e dalle altre associazioni ambientaliste, la foresta ha perso quasi un quinto della sua superficie. Nonostante 53 milioni di ettari nel solo Brasile siano protetti, ogni minuto viene bruciata o tagliata una superficie grande quanto tre campi e mezzo di calcio. In un’ora sono 210 campi da calcio. Il 60% della Foresta amazzonica si trova in Brasile, dove per otto anni consecutivi, fino al 2012, la deforestazione aveva mostrato un decremento grazie a politiche più stringenti. Nel 2013, tuttavia, il tasso di disboscamento è tornato a crescere, con un +29% su base annua. Un’inversione del trend che, molto probabilmente, verrà confermata anche quest’anno.52222601-586x390

Fonte:  Ansa

© Foto Getty Images

Zambia verso la desertificazione: 300mila ettari di foresta in meno all’anno

Lo Zambia è il quarto Paese al mondo come area di disboscamento: mantenendo il ritmo di 300mila ettari deforestati ogni anno, fra 15 anni sarà completamente deserto88080259-586x427

Lo Zambia si avvia verso la desertificazione. I primi campanelli d’allarme sono stati suonati nel 2008, quando l’agenzia Misna denunciò la deforestazione e il disboscamento di 850mila ettari di foresta ogni anno. Le foreste zambiane sono un vero e proprio scrigno di biodiversità, messo in pericolo da un disboscamento che non è causato soltanto da motivi di sussistenza, ma ha responsabilità globali. Secondo il Global Climate Change Initiative di UsaAid“lo Zambia rischia di trasformarsi in un deserto entro i prossimi 15 anni se non verranno ridotti gli attuali livelli di deforestazione”. Secondo il Daily Nation, in Zambia l’80% della popolazione rurale dipende totalmente dal legname, sia per il riscaldamento che per la preparazione degli alimenti e questa necessità provoca una deforestazione che si assesta sui 300mila ettari l’anno. Lo Zambia dispone di circa 5 milioni di ettari di foreste  il che significa che con questo ritmo, nel giro di quindici anni il Paese sarà totalmente desertificato. Questa politica fa sì che lo Zambia sia fra i Paesi che contribuiscono maggiormente al global warming:

Una delle più grandi fonti delle emissioni di gas serra del mondo è la deforestazione ed il degrado dei suoli. La domanda di carbone della crescente popolazione urbana è enorme, il che aggrava la deforestazione nel Paese, 

spiega Anna Toness, a capo del team di Global Climate Change Initiative di UsaAid. Anche se c’è stata una drastica riduzione del disboscamento rispetto a quello che veniva registrato fino al 2008, lo Zambia resta sotto monitoraggio: 1) perché è il quarto Paese al mondo come area di disboscamento, 2) perché è fra i dieci Paesi al mondo che hanno maggiormente contribuito alla produzione di gas serra a causa delle deforestazione.

Fonte:  Vanguard

Carne, e non sai cosa mangi

Emissioni, disboscamento, sofferenza di milioni di animali nonché rischi per la salute umana. Con il collasso del sistema alle porte, come possiamo fermare tutti i problemi derivanti dall’eccessivo consumo di carne? Semplice, mangiandone molto meno o diventando vegetariani o vegani.

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Ormai si è perso il conto di quanti scandali vedono coinvolti alimenti adulterati. La carne, così come succede per l’ennesima volta in questi giorni, è spesso protagonista di questi scandali. Dato che il profitto è l’unica legge da rispettare, nella carne ci si può mettere qualsiasi cosa, ad iniziare dal mangime animale per erbivori che determinò il morbo della mucca pazza per finire alle ultime new entry come la carne di cavallo un po’ ovunque dove non dovrebbe essere o alla carne di maiale nel kebab. Libri fondamentali come EcocidioSe niente importaThe China Study, solo per citarne alcuni, forniscono una lucida ed esaustiva analisi di come l’impero della carne sia causa di gravi problemi da ogni punto di vista, sanitario e ambientale e di come sia necessario ed inevitabile un progressivo indirizzarsi verso il vegetarianesimo e veganesimo. Le motivazioni per ridurre drasticamente il consumo di carne sono molteplici, tra cui: disboscamento, erosione dei suoli, emissioni effetto serra, malattie di vario tipo e in particolare cardiovascolari, sovra sfruttamento idrico e inquinamento di falde acquifere, epidemie e malattie animali che possono trasmettersi alle persone, sottrazione di terra per coltivare alimenti per l’allevamento, sofisticazioni, sofferenza e uccisione di milioni di animali.

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Fortunatamente ci sono i limiti del pianeta in qualità di terre da pascolo disponibili che speriamo contribuiranno all’abbandono dell’orgia carnivora. Già un terzo delle terre disponibili sono adibite a pascolo, il peso complessivo degli animali da allevamento supera quello della popolazione umana, oltre il 40% dei cereali a livello mondiale viene dato agli animali e non alle persone. È quindi evidente che è un modello improponibile da seguire ancora. Visto che la domanda di carne a livello mondiale cresce a ritmi vertiginosi dove andremo a trovare le terre per fare pascolare ancora altri animali? Dove troveremo campi per coltivare il foraggio laddove ci sono già milioni di persone che muoiono di fame? Siamo di fronte a limiti ineludibili oltre che a gravi questioni morali ed etiche. Poi quando qualche luminare o ‘esperto’ parla di sovrappopolazione come grande problema, non si pensa mai che con tutto il mangime che va agli animali potremmo tranquillamente sfamare non solo la popolazione attuale ma anche di più. Il presidente della Coldiretti di Verona intervistato recentemente da Repubblica fornisce dati che sono di una chiarezza disarmante: un vitello mangia al giorno 1,2 chili di paglia di frumento, 3 chili di mais, 2 chili di polpa da barbabietole e 5 chili di mangime preparato con granturco, girasole, soia, frumento e sali. Sono tante le persone che si sfamerebbero con quello che mangia un bovino in un solo giorno. Il collasso del sistema è alle porte, siamo solo all’inizio e la Cina già quest’anno supererà del doppio il consumo di carne degli Stati Uniti e gli altri paesi in via di sviluppo (meglio dire in via di suicidio) stanno anche loro aumentando esponenzialmente il consumo di carne.

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Come possiamo fare a fermare tutti i problemi derivanti dall’eccessivo consumo di carne? Semplice, mangiandone molto meno o diventando vegetariani o vegani anche perché con l’aumentare della consapevolezza e informazione su questi temi, ormai le storielle sulle mancanze nutrizionali o simili, sono buone per le chiacchiere da bar. Se la dieta è equilibrata, varia ed attenta, una alimentazione vegetariana/vegan ci dà tutto quello che ci serve. Ormai i vegetariani in Italia sono milioni e non ho notizie di morti di massa per carenze alimentari. Anzi sempre più una sana alimentazione prevalentemente vegetariana aiuta a rimanere in salute. Senza carne si spende e ci si ammala di meno, si controlla quello che si mangia, si evitano sofisticazioni alimentari, si argina l’effetto serra e la distruzione delle foreste per fare spazio ai pascoli, e per chi ha a cuore il problema, si riduce la sofferenza e la morte degli animali. Ci sarebbe poi da riflettere sul fatto che chi mangia carne e ha cani o gatti non si sognerebbe mai di mangiarseli, anzi, spesso diventa feroce se vede qualcuno che li maltratta. Allora perché alcuni animali sì e altri no? Del resto gli animali di cui ci si nutre sono poche specie e sostanzialmente sempre quelle, invece di vegetali ce ne sono un assortimento innumerevole e innumerevoli sono le varietà antiche abbandonate che potremmo riscoprire utilizzando e quindi facendo rinascere quei terreni impoveriti dall’allevamento. Mangiamo carne in maniera eccessiva solo da qualche decennio, prima era evento raro e quello della carne è un altro esempio per cui si deve tornare indietro per andare avanti. Per chi vuole provare un’alternativa proponiamo una Pasqua senza agnelli sacrificali, una Pasqua tutta vegan al Parco delle Energie Rinnovabili dove assieme al super team di Vegan riot si faranno corsi di cucina e con i tecnici del PER si impareranno i metodi di conservazione naturale degli alimenti.

Fonte: il cambiamento

Pensare come le Montagne

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