Usa, alcuni stati spingono per il diritto alla riparazione dei prodotti elettronici. Apple si oppone.

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Sono otto gli stati americani che vogliono una legge nazionale sul “Right to Repair” per eliminare la prassi delle riparazioni consentite solo alla casa produttrice e ai centri autorizzati, che fa lievitare i costi. Apple sarebbe pronta a contrastarli. In queste settimane è rimbalzata la notizia sulla legge svedese che riduce le tasse a chi ripara invece di comprare un bene nuovo. Gli obiettivi sono la riduzione degli sprechi e dei rifiuti ma anche la crescita del mercato della riparazione e dell’artigianato. La Francia ha una legge contro l’obsolescenza programmata dei dispositivi elettronici e in Italia si attendono politiche più coraggiose che premino chi sceglie la riparazione. Ma è dagli Stati Uniti che arrivano le notizie più interessanti su questo fronte, perché coinvolgono uno dei colossi della tecnologia globale, la Apple di Cupertino.  Al centro della vicenda c’è il cosiddetto Digital Right to Repair Bill, ovvero la legge sul diritto alla riparazione. La norma ha lo scopo di obbligare i produttori a vendere i propri pezzi di ricambio autorizzati anche ai negozi di riparazione indipendenti e ai consumatori. In più i produttori dovrebbero mettere a disposizione del pubblico anche i manuali. Il provvedimento vuole fermare la prassi del settore dei dispositivi elettronici che consente di riparare i prodotti solo dalla società di produzione o tramite centri di riparazione autorizzati. Apple chiaramente non ci sta, perché l’apertura verso processi di riparazione liberi dal giogo della casa madre è una minaccia per i propri fatturati. Facciamo un esempio. L’azienda di Cupertino è proprietaria di tutte le componenti dell’iPhone. Se il telefono ha dei problemi Apple raccomanda di rivolgersi ai centri autorizzati che però subiscono un controllo fortissimo su tutte le componenti, con la conseguente lievitazione dei costi di riparazione. Con la nuova legge questo potrebbe cambiare, perché chi compra uno smartphone, un tablet o un portatile non dovrà più pagare i prezzi ingenti imposti dalle aziende per riavere i propri dispositivi funzionanti. Sono già otto gli stati Usa che hanno un disegno di legge sul right to repair. Secondo alcune fonti, Apple starebbe preparando una strategia di opposizione al provvedimento. Oltre allo Stato del Nebraska – che ha già programmato un’audizione per il 9 marzo – ci sono anche Minnesota, New York, Massachusetts, Kansas, Wyoming e qualche settimana fa si sono aggiunti anche Illinois e Tennessee.  Dietro la presentazione dei disegni di legge c’è Repair.org, un’organizzazione molto attiva nel settore della riparazione indipendente che lamenta danni dovuti al monopolio delle attività di riparazione detenuto dai produttori. Secondo fonti non ufficiali Apple – e probabilmente anche AT&T, una compagnia telefonica statunitense con sede in Texas – avrebbe programmato un intervento durante l’audizione del 9 marzo a Lincoln, la capitale del Nebraska, con l’intenzione di rivolgersi ai legislatori dello stato facendo leva sui pericoli che potrebbero derivare dalle riparazioni eseguite dai centri indipendenti.  Questa non è la prima volta che Apple si oppone ad un disegno di legge simile con la scusa che per motivi di sicurezza è necessario il controllo da parte del’azienda su tutta la filiera di produzione e riparazione, fino alle singole viti.  Ma Gay Gordon-Byrne di Repair.org, che testimonierà all’udienza in Nebraska del 9 marzo, sottolinea che la scusa della sicurezza è ormai diventata vecchia. Apple e le altre società che si oppongono al right to repair sono accusate di pensare più all’effetto negativo del disegno di legge sui propri ricavi miliardari, invece di prendersi cura dei propri clienti.

Fonte: ecodallecitta.it

 

CO2: perché non se ne parla (quasi) più? Intervista a Gianni Silvestrini

Le emissioni di gas serra hanno raggiunto un nuovo record mondiale, ma in Italia pochi sembrano ancora interessati a parlarne. Come mai? Eco dalle Città lo ha chiesto a Gianni SIlvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club ed esperto internazionale di energia e cambiamento climatico379359

 

Di emissioni di CO2 e cambiamento climatico, tranne alcune eccezioni come il recente allarme di Luca Mercalli, si parla meno di qualche anno fa. Eppure, i dati parlano di concentrazioni record di gas serra in atmosfera e di rischi concreti di un surriscaldamento del Pianeta e di un aumento degli eventi meteorologici estremi. Perché allora tanto disinteresse? Eco dalle Città lo ha chiesto a Gianni SIlvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club ed esperto internazionale di energia e cambiamento climatico.

Nel quadro globale di aumento delle emissioni climalteranti (con il nuovo record della CO2 atmosferica raggiunto ad aprile), l’Europa e l’Italia devono ormai considerarsi “incolpevoli”, visti i loro risultati recenti in termini di riduzione dei gas serra?

Negli ultimi anni, la crescita della CO2 a livello globale è stata esponenziale, fino a raggiungere un ritmo del 2,8% annuo, anche se dopo gli ultimi segnali i tempi potrebbero essere finalmente maturi per una inversione di tendenza. Mi riferisco soprattutto al recentissimo annuncio di Obama, che bypassando il Congresso ha varato un decreto anti-inquinamento che prevede un taglio del 30% dell’anidride carbonica emessa dalle centrali elettriche entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005. In questo scenario, l’Europa ha fatto buoni passi avanti, e altri ne potrà fare se i prossimi impegni al 2030, con un obiettivo del -40% che al momento sembra abbastanza condiviso, saranno all’altezza. Anche l’Italia ha visto un continuo calo del gas serra, sia per effetto della crisi che per l’incremento delle rinnovabili elettriche (FER, ndr) e dell’efficienza energetica. Ma il nostro paese potrebbe comunque fare di più, perché ad esempio la crescita delle FER è stata scomposta e va regolamentata, o perché le rinnovabili termiche sono indietro. Vedremo cosa si riuscirà a fare con il testo sull’efficienza energetica degli edifici, di prossima uscita, anche se le anticipazioni non fanno pensare a un provvedimento molto ambizioso.

Quale dovrebbe essere il nostro ruolo rispetto ai paesi emergenti? E i suddetti paesi emergenti, che per inciso hanno ancora emissioni pro capite inferiori rispetto ai paesi occidentali, hanno il “diritto” di inquinare, a questo punto della storia dell’umanità?

In realtà molto sta cambiando nell’atteggiamento dei paesi cosiddetti emergenti, e non tanto perché l’Europa eserciti il suo ruolo diplomatico, ma perché loro stessi non possono non sapere che non contribuiscono anche loro, la partita è persa. Paesi come il Sud Africa, il Brasile, il Cile, diversi stati del Nord Africa, etc, stanno iniziando a modificare il loro atteggiamento rispetto al cambiamento climatico e alle emissioni perché a loro conviene fare così. Perché il mercato va in quella direzione. La Cina stessa, del resto, sta lanciando segnali sempre più forti in questo senso: nel 2013, la nuova potenza rinnovabile annua ha superato quella proveniente dal carbone, e gli obiettivi relativi alle rinnovabili diventano sempre più ambiziosi. Pechino non sta cambiando rotta per le spinte dell’UE, ma perché deve fronteggiare un inquinamento urbano spaventoso e favorire la green economy.

I gas serra – e il cambiamento climatico in generale – sembrano scomparsi o quasi dal dibattito mediatico e politico nazionale? È un’impressione giusta? E come si spiega questo fenomeno?

La tendenza in effetti è quella. E in parte si spiega con la campagna portata avanti da una parte dei media che si ostina a far passare informazioni sbagliate, ad esempio facendo credere che la comunità scientifica sia divisa a proposito della questione del cambiamento climatico. Però credo che nei prossimi mesi e nei prossimi anni, grazie a una serie di appuntamenti internazionali che riporteranno l’attenzione su questi temi (la Conferenza di Parigi sul clima del 2015 e, ancora prima, la riunione preparatoria di New York, ndr), anche i media italiani dovranno tornare ad occuparsi di emissioni e cambiamento climatico.

Si spiega con questo deficit di informazione il fatto che i cittadini “profani” sembrano più indifferenti alle questioni riguardanti la salute del clima che ad altre problematiche di carattere ambientale? Se, ad esempio, sul riciclo dei rifiuti c’è un’attenzione sempre più diffusa, difficilmente sulle scelte di consumo incide la consapevolezza delle emissioni legate al ciclo di vita di un prodotto (al massimo si ragiona di efficienza e rinnovabili nell’ottica di un risparmio economico più o meno immediato): come mai?

In effetti l’informazione ha avuto un ruolo chiave da questo punto di vista, anche se in realtà gli italiani dovrebbero essere estremamente attenti a certe questioni, visto che il nostro paese è interessato da fenomeni meteorologici e idrologici direttamente legati al cambiamento climatico. Ripeto però che c’è la speranza concreta che la situazione cambi, e che il problema dei gas serra diventi appannaggio e interesse di tutti.

Passando a una questione più tecnica, al di là dei vari meccanismi incentivanti per le rinnovabili e l’efficienza, come sta andando il Mercato delle emissioni?

Il Mercato delle emissioni (meccanismo basato sulla quotazione monetaria delle emissioni e sul commercio delle quote di emissione tra stati diversi, per il rispetto di ciascuno di questi dei vincoli ambientali imposti dal protocollo di Kyoto, ndr) non ha funzionato perché, sotto pressione dell’industria, gli stati sono stati troppo generosi e la CO2 ha finito col raggiungere una quotazione troppo bassa. C’è da riflettere sul fallimento del meccanismo e sulla sua rimodulazione, ad esempio introducendo una carbon tax a livello europeo (in Italia se ne parlerà perché il tema è presente nella delega fiscale).

(Foto mediterraneo.blog.rai.it)

 

Fonte: ecodallecittà.it

Amianto, un piano nazionale per le bonifiche

Fra le proposte della seconda conferenza internazionale Lotta all’amianto: il diritto incontra la scienza, c’è la creazione di una piattaforma online che consenta ai cittadini la segnalazione in tempo reale di amianto sul territorio

Riceviamo dalla segreteria generale dell’ONA Onlus e volentieri pubblichiamo la seguente precisazione:

Il senatore Felice Casson non ha partecipato ai lavori della Seconda Conferenza Internazionale “Lotta all’amianto: il diritto incontra la scienza”, organizzata dall’Osservatorio Nazionale sull’Amianto e tenutasi il giorno 20 Marzo 2014 presso l’Auletta dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati. La posizione del senatore Casson sulla tematica è di piena condivisione del Piano Nazionale Amianto approvato dal Governo Monti e che tale Piano è stato ampiamente criticato durante i lavori della Conferenza, in quanto inadeguato e parziale rispetto alle reali necessità, a tal punto che l’Osservatorio Nazionale sull’Amianto ha presentato un proprio Piano alternativo. Alla seconda conferenza internazionale Lotta all’amianto: il diritto incontra la scienza svoltasi la scorsa settimana esperti di diritto del lavoro, medici, scienziati, rappresentanti delle istituzioni e del mondo politico si sono confrontati sul dramma dell’asbesto e sulle modalità per affrontare in modo il concreto la bonifica dei luoghi di vita e di lavoro. Il risultato è un Piano Nazionale Amianto da proporre al Governo Renzi e inclusivo di una piattaforma online che consenta a ogni cittadino la segnalazione in tempo reale di amianto sul territorio nazionale. Dall’entrata in vigore della messa al bando dell’amianto, nel 1992, sono 500mila le tonnellate di materiale killer che sono state bonificate, appena il 2% di quello presente sul territorio italiano. Le cifre parlano di 5mila morti l’anno per malattie asbesto-correlate e di ben 2400 edifici scolastici non del tutto bonificati. Alla politica e al Parlamento il presidente dell’Ona, Ezio Bonanni ha chiesto l’istituzione di una “Commissione d’inchiesta sui tempi della giustizia e sull’uniformità di applicazione delle norme in materia di riconoscimento delle patologie asbesto correlate da parte dell’Inail”. Il senatore Felice Casson, vicepresidente della Commissione Giustizia del Senato, ha sottolineato, in alcune dichiarazioni riportate da L’Espresso, la necessità

che parlamento e governo agiscano in fretta, per intervenire sui conflitti di interesse, ottemperare alle sentenze e ai risarcimenti, oltre che per promuovere la procura nazionale sui danni ambientali e da lavoro.

Come? Quattro sono le vie maestre da seguire secondo Casson, peraltro già stabilite dalla conferenza nazionale indetta nel 2012 dall’allora ministro della Salute Renato Balduzzi: 1) accelerazione delle bonifiche, 2) completamento della mappatura degli edifici inquinati, 3) individuazione di cave adatte allo smaltimento di scarti pericolosi, 4) razionalizzazione della normativa di settore con investimento in ricerca sulle malattie legate all’amianto. Il piano è rimasto sulla carta per mancanza di fondi, ma per Casson – la cui posizione è di piena condivisione del Piano Nazionale Amianto approvato dal Governo Monti ampiamente criticato nel corso della conferenza perché ritenuto “inadeguato e parziale rispetto alle reali necessità” – i fondi vanno trovati, anche perché la piaga-amianto ha costi altissimi sulla sanità pubblica. Altro passaggio importante è, secondo Casson, l’adeguamento del Fondo per l’amianto, attualmente limitato ai lavoratori, a tutte le persone che si ammalano perché finite a contatto con l’eternit a casa, a scuola o anche soltanto nel paese in cui vivono. Per completare la bonifica ci vorranno anni e milioni di euro: i siti industriali di Broni Casale Monferrato sono inseriti fra i siti di interesse nazionale da bonificare al più presto, ma dalla chiusura dello stabilimento casalese è passato più di un quarto di secolo. E nella mappa delle bonifiche ci sono 116 scuole, 37 ospedali e case di cura, 86 uffici pubblici, 27 impianti sportivi e 8 biblioteche che attendono di essere risanate. Un’impresa che non può essere portata avanti che con l’appoggio della politica.146635841-586x390

Fonte:  Comunicato stampa , Espresso

Diritto al cibo sicuro: Milano sarà centro del dibattito mondiale

Al convegno “Innovazione nell’agro-alimentare. Ricerca e imprese verso Expo” del Comitato Scientifico Universitario del Comune, il sindaco Pisapia ricorda come Milano si prepari ad essere centro del dibattito globale sul diritto al cibo sicuro, con grande attenzione a problemi socioeconomici e giuridici come l’accaparramento di terre da parte dei Paesi più ricchi377910

“Innovazione, ricerca e imprese del settore agroalimentare saranno protagoniste a Expo 2015. Il convegno organizzato dal Comitato scientifico del Comune di Milano è quindi un importante contributo al dibattito sui temi strategici dell’Esposizione universale di cui Milano diventerà centro mondiale. Grande eredità di Expo saranno proprio le proposte concrete che emergeranno dall’azione di analisi e di confronto delle migliori pratiche mondiali per affrontare le emergenze della sicurezza alimentare e dello sviluppo sostenibile. Con un’attenzione anche ai problemi, socioeconomici e giuridici, derivanti dall’accaparramento di terre da parte dei Paesi più ricchi a scapito di quelli più poveri. Un fenomeno che riguarda già decide di milioni di ettari solo in Africa”. Lo ha dichiarato il Sindaco Giuliano Pisapia, aprendo il 23 gennaio a Palazzo Reale i lavori del Convegno organizzato dal Comitato Scientifico Internazionale del Comune “Innovazione nell’agro-alimentare. Ricerca e imprese verso Expo 2015”.
“Per Milano l’Esposizione sarà una spinta ulteriore per il ripensamento di tutta la filiera alimentare urbana, un passaggio significativo nella costruzione della Smart City cui stiamo lavorando. La città intelligente e sostenibile che dovrà garantire una qualità di vita migliore ai suoi cittadini ed essere competitiva nel mondo globale. Per Milano,seconda città agricola d’Italia, con i suoi 2.910 ettari di superficie agricola utilizzata su una superficie comunale totale di 18.175 ettari (180 km2) e con le 117 aziende agricole attive sul suo territorio, si tratta di una sfida importante. Una sfida che non è fatta solo di alimenti a km zero e di agricoltura periurbana. Ma è soprattutto la creazione di un rapporto nuovo e positivo tra chi produce, chi distribuisce e chi regola i rapporti con il consumatore. A questo stiamo lavorando. In collaborazione con le eccellenze della ricerca, le imprese e le associazioni attive in questo campo”, ha concluso il Sindaco Pisapia. Il Comitato Scientifico Internazionale per EXPO del Comune di Milano, è stato istituito sulla base di un accordo con i rettori delle sette Università milanesi, e sta realizzando un vasto programma scientifico e culturale, in preparazione dell’Esposizione Universale del 2015.

Per ulteriori informazioni:

Comitato Scientifico Internazionale per EXPO del Comune di Milano


Via San Tomaso, 3 – 20121 Milano
 Tel. +39 02 884 53166-56207
comitatoscientifico.expo@comune.milano.it

 

Fonte: ecodellacittà

Il Movimento per il diritto alla buona nascita

L’idea è venuta a Clara Scropetta, doula e autrice del libro “Accanto alla madre”: lanciare la creazione di quello che ha chiamato un Movimento per i diritti umani focalizzato al primo periodo della vita. Una buona nascita, che può essere garantita solo dalla libertà per la donna di partorire come desidera e dalla libertà per l’ostetrica di decidere secondo scienza e coscienza.donnaincinta

Clara Scropetta è una doula, figura che supporta la donna in tutto il periodo perinatale fino al parto senza essere una figura sanitaria. Vive nell’ecovillaggio di Avalon in Toscana ed è autrice del libro “Accanto alla madre”. Clara ha lanciato un appello che noi vi riportiamo.

«Vorrei lanciare la creazione di un movimento per i diritti umani focalizzato sul primo periodo della vita, con l’obiettivo di una mobilitazione pubblica per l’applicazione delle linee guida del ministero della salute e dell’Oms e per l’adeguamento alla delibera del tribunale europei per i diritti umani di Strasburgo in merito alla libertà di scelta della donna su luogo, modalità del parto e chi avere accanto a sè in quel  momento. Raccomando la visione del documentario “Freedom for birth”, che narra la storia di un’ostetrica agli arresti domiciliari a Budapest e di una madre ungherese che va a Strasburgo a reclamare giustizia. Questo documentario ha il pregio di trasmettere con molta forza un messaggio importante: la libertà per il parto è un diritto umano fondamentale e va di pari passo con la libertà dell’ostetrica. Questa forza mi ha animata a passare all’azione e lanciare questo appello. Tanti i meriti di questo documentario e alcuni limiti: nessun accenno alle condizione necessarie affinchè il parto sia il più facile e rapido possibile (ovunque, a casa come in ospedale); nessun accenno al fatto che ne va della salute del bambino e quindi della società, e non solo della libertà di scelta della donna. Con l’applicazione delle linee guida nazionale e internazionali, e quindi con il passaggio delle cure pre- peri e post- natali all’ostetrica così com’è raccomandato, potrebbe proprio accadere quello che io desidero, assieme a tante altre:

– che a ogni donna vengano offerte condizioni appropriate durante il parto (e anche durante la gravidanza e nel puerperio)
– che ci sia una presa di coscienza nella classe politica, nella società, nei media, dell’importanza del primo periodo della vita per la salute

Tutto ciò può accadere se viene ripristinata l’autonomia professionale dell’ostetrica, un’ostetrica che senza essere subordinata a nessuno decide donna per donna in base alla sua esperienza e all’evidenza scientifica come procedere, sia come dipendente all’interno del servizio sanitatio che nella libera professione. questa autonomia va di pari passi con la tutela legale e con una revisione dei piani di studio con maggior attenzione alla fisiologia. Chiedo a tutti coloro che si riconoscono in questa istanza di diffondere questo appello il più possibile e a rispondermi per dar vita al gruppo che lavorerà su un documento da presentare pubblicamente». Chi volesse contattare Clara Scropetta può farlo al numero di telefono 393 3158706 oppure scrivendo una e-mail a clara_scropetta@hotmail.com

Fonte: il cambiamento