Dress for success: donne che aiutano le donne a trovare lavoro

Aiutare le donne a realizzarsi nella vita e nel lavoro. Questo l’obiettivo dell’associazione internazionale Dress for Success che da anni e in molti Paesi del mondo promuove l’indipendenza economica e l’uguaglianza di genere offrendo una rete di supporto, programmi di crescita personale e professionale nonché l’abbigliamento gratuito da indossare durante la prima settimana lavorativa. È una delle sue tante figlie – centocinquanta – sparse per il mondo ed è la prima a nascere in Italia, più precisamente a Roma. Dress for success, che prende il suo nome dall’omonima ONG americana, ha sede negli uffici del MoVI Lazio (Movimento Volontariato Italiano) e ha poco più di sei mesi di vita.

“Sono venuta a conoscenza di Dress for Success grazie ad un’amica che si è trasferita a New York e che ha iniziato a fare volontariato presso l’associazione americana”, racconta Francesca Jones, fondatrice della filiale romana. “Quando ho scoperto che non c’era una realtà simile in Italia, ho deciso di scrivere alla casa madre e di aprire una filiale qui a Roma”.

Un’associazione di donne che aiutano altre donne (in difficoltà) e che ha deciso di ‘vestire’ il loro successo in ambito lavorativo. Come? Supportandole in tutte le fasi della carriera, dalla ricerca del lavoro fino al supporto anche quando il lavoro lo hanno trovato. Passando, però, attraverso un impegno singolare, che mette l’abito per il colloquio al centro di questo sistema: “Abbiamo solo i primi dieci secondi per fare una bella impressione”, ci racconta ancora Francesca “e sì, l’abito fa il monaco”. È per questo che Dress for success regala, alle donne che segue, abito e accessori per presentarsi al colloquio di lavoro, approfondendo questo momento anche per esaltare le capacità della candidata: come presentarsi al meglio? Quale la gestualità migliore, cosa proporre, come presentarsi al futuro datore di lavoro?

Le fasi in cui ogni donna viene seguita sono tre: dal suiting (scelta di abito, accessori, scarpe), al career center (che è il momento della ricerca del lavoro) al professional women group (che è l’ultima fase che segue la donna anche durante il periodo lavorativo). Ma non sono slegate fra loro e ogni passo ha un unico senso: costruire la fiducia delle donne in se stesse. Una fiducia che hanno perso o che forse non hanno mai avuto, così come il lavoro.dress-for-success-roma

La prima assemblea di Dress for success Rome

Le donne che si rivolgono a Dress for success, infatti, possono essere precarie di cinquant’anni che faticano a stare al passo coi tempi della tecnologia e che non riescono a trovare un impiego per via dell’età, ma anche giovani donne, straniere e italiane, che non riescono a trovare lavoro e che cercano una via diversa dal semplice assistenzialismo. “Miriamo a costruire la fiducia in se stesse per intero, grazie ad una rete di supporto. In America utilizzano il concetto di sisterhood e noi questo intendiamo fare: essere una famiglia”.

“Quello che veramente sentiamo è che in questo periodo storico le donne si sentono sole”, spiega Rosalba Saltarelli, vicepresidente di Dress for success Rome. “Non è solo la mancanza di lavoro, la crisi o la perdita di lavoro, ma proprio la solitudine che emerge dalle parole di queste donne che cercano il nostro supporto”. Quello che emerge da Clodiana, giovane donna che ha già iniziato un percorso con l’associazione, è proprio questo: “Quando sei solo è tutto più difficile, non credi più in te stessa, ma qui non mi sento sola. Ora mi sento pronta a tutto”. E dopo una pausa aggiunge: “E appena troverò un lavoro, farò la volontaria, perché sostenere ed essere sostenuti è bellissimo”.dress-for-success

L’associazione è nata a Manhattan nel 1996 dall’idea di una studentessa universitaria, Nancy Lubin che, guardandosi intorno, si è resa conto di un bisogno cruciale: il raggiungimento dell’indipendenza economica da parte delle donne. Così con l’eredità del bisnonno ha aperto il suo primo magazzino di abiti usati ma in ottimo stato (donati da privati e aziende) e li ha messi a disposizione delle donne con meno possibilità economiche e alla ricerca di un nuovo impiego. Mettendosi in contatto con altre associazioni ed enti, Nancy ha quindi dato vita ad un sistema di supporto per fare formazione alle donne interessate, incrementare la fiducia in loro stesse e trovare nuovi sbocchi.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/04/io-faccio-cosi-207-dress-for-success-rome-donne-che-aiutano-donne-lavoro/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

I soldi pubblici per i diritti, la pace e l’ambiente. La contro-finanziaria di Sbilanciamoci

E’ un appuntamento imperdibile quello con la contro-manovra finanziaria della Campagna Sbilanciamoci, alleanza di cui fanno parte 49 organizzazioni, parlamentari, sindacalisti e rappresentanti delle autonomie locali. E la Campagna ha presentato anche per questo 2013-2014 la sua “ricetta” per un paese che sia finalmente sostenibile ed equo. Il Cambiamento vi propone di sottoporre alla presidenza del Consiglio queste proposte, chiedendo le risposte che vi spettano. Ecco come.campagna_sbilanciamoci_2013

“Con una patrimoniale, una tassazione sui capitali scudati e un’imposta maggiore sulle transazioni finanziarie sarebbe possibile ricavare denaro per sperimentazione il reddito minimo garantito e avviare un piano del lavoro e di investimenti in istruzione e ricerca”. Le idee, è evidente, sono chiarissime. La manovra, per complessivi 26 miliardi, è all’insegna della giustizia sociale e va in tutt’altra direzione rispetto a quella segnata dall’attuale governo. Cambiare è possibile, basta volerlo.“Per andare in questa direzione proponiamo una patrimoniale, una tassazione sui capitali scudati, una più efficace tassazione delle transazioni finanziarie, il blocco delle grandi opere, il taglio delle spese militari, il taglio ai finanziamenti a scuola e sanità private e ai Centri di identificazione ed espulsione. E proponiamo di usare tali risorse per una sperimentazione sul reddito minimo garantito, per avviare un piano del lavoro, per gli investimenti nell’istruzione, nella ricerca, nella cultura, nelle politiche di assistenza e di inclusione sociale, nella tutela dell’ambiente e dei beni comuni, nella mobilità sostenibile, nel rilancio dell’edilizia popolare pubblica e nel sostegno alle forme di altraeconomia, dalla finanza etica ai distretti di economia solidale”.Il volto dell’Italia è oggi è cupo, disperato. “A settembre 2013 la disoccupazione in Italia ha superato il 12%, quella giovanile il 40% – dicono i promotori della campagna – Dopo anni di recessione, le indicazioni che arrivano dal governo sembrano a senso unico: dobbiamo continuare a stringere la cinghia e accettare i piani di austerità e i vincoli macroeconomici imposti dalla Troika e dall’Ue. Il mantra ripetuto quotidianamente è che non ci sono alternative: è l’Europa che ce lo chiede”. Ma l’Italia può, e deve, chiedere una radicale inversione di rotta. “Il paese è in ginocchio e le misure previste dal governo non sono solo devastanti dal punto di vista sociale, ma nocive anche da quello macroeconomico. E’ una risposta sbagliata a una diagnosi ancora più sbagliata. Non è vero che c’è un eccesso di welfare. Non è vero che la crisi è colpa delle finanze pubbliche. Non è vero che i Paesi del Sud Europa hanno le maggiori responsabilità. Non è vero che il rapporto debito/Pil è il parametro di riferimento da tenere sotto controllo. Non è vero che i piani di austerità funzionano per diminuire tale rapporto. L’austerità è il problema, non la soluzione. Eppure da parte dei burocrati europei, a metà 2013, nessun ripensamento, nessuna alternativa. Si continua ad applicare una teoria economica fallimentare con un’ostinazione che rasenta il fanatismo. Deve essere il gigantesco casinò finanziario che ci ha trascinato nella crisi a sottoporsi a rigide misure di austerità, non cittadini, lavoratrici e lavoratori che hanno già pagato, diverse volte, per una crisi nella quale non hanno alcuna responsabilità. Ma ammesso e non concesso che si vogliano accettare i vincoli e le imposizioni della Troika, non è comunque vero che “non ci sono i soldi”. Con la legge di stabilità il governo propone al Parlamento e al paese scelte precise su come allocare le risorse pubbliche, ovvero i soldi delle nostre tasse. Scelte che hanno impatti di enorme rilevanza sulle nostre vite. Dal 2001 la campagna Sbilanciamoci! mostra che decisioni radicalmente differenti sarebbero possibili, sia dal lato delle entrate, sia da quello delle uscite. Occorre prendere i soldi dove ci sono e impiegarli dove sono necessari. La nostra è una manovra che assume come priorità la lotta alle diseguaglianze. Una manovra che va in direzione diametralmente opposta a quella del governo, che garantisce enormi sconti sulle multe che devono pagare i gestori di slot-machine e propone una “valorizzazione” del patrimonio pubblico per fare quadrare i conti”. Di fronte a questa lucida analisi, è legittimo domandarsi: com’è possibile che i governi italiani, uno dopo l’altro, nessuno escluso, restino ostinatamente ciechi, sordi e muti? Allora Il Cambiamento lancia anche un’idea che ci può rendere militanti, oltre che spettatori. Scrivete al presidente del Consiglio, Enrico Letta, e sottoponetegli tutti i punti che la contro-finanziaria di Sbilanciamoci mette in evidenza. E chiedetegli perché l’Italia non può essere questa, ma deve essere per forza tutt’altra.

La mail è: centromessaggi@governo.it

Fonte. Il cambiamento

Bangladesh, grandi marchi firmano accordo per la sicurezza sul lavoro

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In seguito alla tragedia avvenuta il mese scorso in Bangladesh, diversi marchi dell’abbigliamento internazionale hanno siglato un accordo per migliorare la sicurezza delle fabbriche tessili in Bangladesh, nelle quali sono impiegate oltre 3 milioni di persone, spesso in condizioni di lavoro disumane. Tra le aziende firmatarie vi sono l’italiana Benetton, le spagnole Inditex e Mango, la britannica Marks and Spencer e la svedeseH&M. Mancano invece alcuni nomi, come l’americana Wal Mart, o il gruppo Gap, o la francese Carrefour che sta ancora studiando l’accordo. L’iniziativa è stata lanciata da UNI Global Union alla quale aderiscono 20 milioni di lavoratori e di industriali, con 50 milioni di affiliati in 140 Paesi. “Sono contento – dichiara il segretario generale dell’Uni – che così tanti marchi nel mondo abbiano sottoscritto l’accordo. Appena due giorni fa non avrebbe firmato nessuno. Adesso abbiamo circa 30 firme fra i gruppi più importanti”. L’accordo per la sicurezza e la prevenzione degli incendi in Bangladesh è stato firmato dalle grandi aziende, tra cui l’italiana Benetton, grazie anche alla Campagna Abiti Puliti. L’accordo, si legge sul sito della campagna, prevede la formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e l’obbligo di revisione strutturale degli edifici e obbligo per i marchi internazionali di sostenere i costi e interrompere le relazioni commerciali con le aziende che rifiuteranno di adeguarsi, al fine di rimuovere alla radice le cause che rendono le fabbriche del paese insicure e rischiose per migliaia di lavoratori. “Il cuore dell’accordo – spiega Deborah Lucchetti – è l’impegno delle imprese internazionali a pagare per la messa in sicurezza degli edifici, unitamente ad un ruolo centrale dei lavoratori e dei loro sindacati. Solo attraverso una diretta partecipazione dei lavoratori del Bangladesh sarà possibile costruire condizioni di lavoro sicure e mettere la parola fine a tragedie orribili come quella del Rana Plaza”. “Dal 2005 – si legge ancora sul sito – più di 1700 lavoratori tessili in Bangladesh sono morti a causa della scarsa sicurezza degli edifici. Ora si apre una fase nuova, nella quale i marchi si sono impegnati ad essere parte attiva e collaborativa. Tutti insieme siamo riusciti a creare un precedente storico di mobilitazione dal basso che difficilmente potrà essere ignorato d’ora in avanti”.

A.P.

Fonte. Il cambiamento

L’amianto e il mondo. Comunità e diritti, salute, ambiente, lavoro

Dove: Corso Stati Uniti 23, Torino1742

Il Centro Studi Sereno Regis, L’Ecoistituto del Piemonte e Medicina Democratica invitano la cittadinanza ad un seminario per discutere di partecipazione, prevenzione e promozione della salute come strumento e obiettivo di democrazia e delle lotte dei movimenti e delle comunità per l’affermazione dei diritti alla pace, alla salute, al lavoro e all’ambiente

Seminario/dibattito
L’amianto e il mondo. Comunità e diritti, salute, ambiente, lavoro

Venerdì 17 maggio 2013, h. 15:00

Sala incontri Regione Piemonte Corso Stati Uniti 23 – Torino

Dal mese di febbraio 2013 sono in corso a Torino le udienze del processo di appello per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche contro i proprietari e amministratori dell’Eternit, la multinazionale dell’amianto. La giustizia segue il suo corso, la sentenza è attesa a inizio giugno, ma non risolverà tutti i problemi: nei luoghi infestati dalle fibre d’amianto ci si continua ad ammalare e si muore, in attesa delle risorse per la bonifica e l’attuazione del Piano Nazionale di coordinamento per l’assistenza, la ricerca e la cura delle malattie da amianto. Occorre mantenere l’attenzione sul processo e su questa vertenza democratica, che non è solo torinese e italiana ma universale, perché l’unica risposta possibile alla globalizzazione degli interessi del mercato – rappresentati dai proventi enormi dell’amianto – è la globalizzazione dei diritti alla salute, all’ambiente salubre e a un lavoro non nocivo e solidale. A partire dalla vertenza Eternit, che ha introdotto elementi chiave nella gestione dei procedimenti sulle condizioni di lavoro e di rispetto ambientale, e dalle linee del Piano Nazionale Amianto, che riconosce il ruolo svolto dalle realtà sociali e dalle comunità locali, “senza le quali la battaglia sanitaria, culturale e giuridica non si sarebbe mai realizzata”, il Centro Studi Sereno Regis, L’Ecoistituto del Piemonte e Medicina Democratica invitano la cittadinanza al Seminario “L’amianto e il mondo. Comunità e diritti, salute, ambiente, lavoro”, venerdì 17 maggio, h: 15.00, presso il Centro Incontri della Regione Piemonte in corso Stati Uniti n. 23, Torino, per discutere di partecipazione, prevenzione e promozione della salute come strumento e obiettivo di democrazia e delle lotte dei movimenti e delle comunità per l’affermazione dei diritti alla pace, alla salute, al lavoro e all’ambiente. Parteciperanno la professoressa Bice Fubini dell’Università di Torino e il professor Benedetto Terracini ex direttore di Epidemiologia e Prevenzione, le associazioni Sicurezza e lavoro, AFEVA (Associazione familiari e vittime amianto di Casale Monferrato), LegambienteAIEA (Associazione Italiana Esposti Amianto), ISDE (International society of doctors for the environment). Al dibattito, aperto al pubblico sono stati invitati gli Assessorati Sanità Regionali e la Commissione Sanità della Regione Piemonte. A margine della manifestazione, si segnala l’esposizione della mostra “L’Italia che muore al lavoro. Tragedie sul lavoro e malattie professionali in Italia”, a cura di Sicurezza e Lavoro, periodico per la promozione di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Giorni 14, 15 e 16 maggio 2013, dalle h. 11:00 alle h. 17:00 presso i locali del Centro studi Sereno Regis, via Garibaldi 13, Torino. Il 17 maggio dalle h. 15:00 alle h. 19:00 presso Centro Incontri Regione Piemonte, corso Stati Uniti 23, Torino In collaborazione con Cinemambiente, rassegna di documentari sull’amianto ”Da Casale a Mumbay”: lunedì 3 giugno e mercoledì 5 giugno, h. 14:00 – 17:00, sala Gandhi, Centro studi Sereno Regis, via Garibaldi 13, Torino.

Fonte: eco dalle città

Le Nazioni Unite approvano la Carta contro la violenza sulle donne

Il 15 marzo scorso è stata firmata all’ONU la Carta per l’eliminazione e la prevenzione di ogni forma di violenza sulle donne e sulle bambine e per la salvaguardia dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali.

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È stata una giornata storica quella dello scorso venerdì a New York durante la cinquantasettesima sessione della Commissione della condizione della donna che si è conclusa con un emozionate e lunghissimo applauso. La Carta contro la violenza viene infine approvata con il voto di 131 paesi su 198. Non può che commuovere fortemente il raggiungimento di questo primissimo traguardo storico e simbolico. Occorre avere la consapevolezza che l’emozione e la contentezza sono istantanee e momentanee perché, resta inteso, la Dichiarazione che condanna ogni forma di violenza alle donne, è solo un punto di partenza sul quale, si spera, potere costruire un nuovo mondo e una nuova maniera di intendere la vita e il vivere. Del resto, lo dimostra anche l’iter che ha portato a questo risultato; contrariamente a quanto si possa pensare non si è trattata di un’approvazione immediata né tanto meno semplice e scontata. Lo dimostra il numero di paesi favorevoli, di quelli sfavorevoli e di quelli che hanno opposto obiezioni o espresso contrarietà su vari punti della Carta, lo confermano le tensioni durante lo svolgimento dei lavori della Commissione e infine, più in generale, ne sono una prova sconfortante i decenni di disaccordi su una materia che è assolutamente legittima e indiscutibile. In altre occasioni, per esempio nel 2003 e poi nel 2012, gli Stati membri dell’ONU si erano riuniti per affrontare la problematica della violenza sulle donne senza mai arrivare ad un accordo. La violenza contro le donne è un tema universale e secolare che tocca e riguarda ogni paese del pianeta, nessuno escluso.

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L’accordo approvato qualche giorno fa ha un carattere esortativo e non è vincolante per gli Stati membri, ma è lo start di un processo che paradossalmente sarà lungo e difficoltoso che mira a scardinare quelle mentalità e quelle culture ancora molto radicate che discriminano le donne. La Carta esorta ogni paese ad agire per eliminare gli usi, i costumi, le tradizioni o le considerazioni religiose che portano alla violenza nei confronti delle donne e che divergono dagli intenti stabiliti dalla Dichiarazione dell’ONU e dalla Carta universale dei diritti umani. Il testo adottato si focalizza sulla prevenzione, attraverso l’istruzione e la sensibilizzazione, sulla lotta alle ineguaglianze sociali, politiche e economiche e pone l’accento su un maggiore impegno nell’assicurare l’accessibilità delle vittime alle vie della giustizia. Sottolinea inoltre l’importanza di creare dei servizi multi settoriali per le vittime di violenza in grado di offrire supporto medico, psicologico e sostegno sociale e incentiva a muoversi per sanzioni più dure per gli aggressori ma, ancor prima, a combattere la frequente impunità degli autori dei crimini. Nel documento, i paesi membri, che ribadiscono l’anacronismo della discriminazione e della violenza sulle donne e le bambine, assumono l’impegno e la responsabilità di dare vita ad azioni concrete per eliminarle. Occorrono azioni concrete ed esempi che possano sancire definitivamente la valenza e la validità della Carta delle Nazioni Unite e degli accordi presi dalla maggior parte dei paesi del mondo. Atti reali, cambi di atteggiamento e di comportamenti sia a livello istituzionale che individuale che possano tracciare adesso il cammino legislativo e sociale internazionale di condanna alla violenza contro le donne per non rischiare di assistere a dei pericolosi retromarcia per l’intera umanità.

Fonte: il cambiamento

Ginocidio
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