Chi sono i ricercatori finanziati dalla Coca Cola?

La Coca Cola ha pubblicato una lista, definita “trasparente” dalla stessa multinazionale, dei ricercatori scientifici che finanzia. Ma la rivista Public Health Nutrition ne ha verificato correttezza e completezza e ha scoperto che…Immagine

Un articolo pubblicato su Public Health Nutrition ha cercato di valutare quanto fosse completa la lista, dichiarata come “trasparente” dalla CocaCola, dei 218 ricercatori finanziati dalla stessa. Per far ciò, gli autori dell’articolo hanno considerato tutte le ricerche scientifiche i cui autori avevano dichiarato di aver ricevuto dei finanziamenti dalla CocaCola, pubblicate tra il 2008 e il 2016. Hanno così identificato 389 articoli pubblicati in 169 diverse riviste da 907 autori. Su 331 articoli in cui apparivano finanziamenti da parte della CocaCola, 128 (39%) non avevano tra gli autori uno dei 218 ricercatori della lista “trasparente”, mentre 38 (17%) di questi 218 ricercatori avevano omesso di dichiarare i finanziamenti ricevuti. La lista “trasparente” della CocaCola è quindi alquanto incompleta. Infine, la maggior parte delle ricerche finanziate dalla ditta riguardavano l’attività fisica; la CocaCola si guarda bene dall’analizzare l’associazione tra dieta ed obesità, e soprattutto tra consumo di bevande zuccherate e obesità. Nonostante affermi, dopo i recenti scandali (leggere gli articoli nella lettere 36 di gennaio 2016 e 47 di aprile 2017), di voler essere trasparente, la CocaCola deve fare ancora molta strada per raggiungere questo obiettivo. Un aspetto importante e originale dell’articolo, sottolineato dall’editoriale che lo accompagna, scritto dalla redazione della rivista al completo, è che gli autori pubblicano nomi e cognomi dei 15 ricercatori maggiormente implicati nelle ricerche finanziate da CocaCola in termini di fondi ricevuti e numero di studi realizzati e pubblicati. Tutti e 15 questi ricercatori avevano dichiarato i finanziamenti e facevano parte della lista “trasparente” della ditta. Si tratta quasi sicuramente di un segnale che la Nutrition Society, la società scientifica che pubblica Public Health Nutrition, vuole dare. Non è più sufficiente dichiarare finanziamenti e conflitti d’interesse; bisogna anche smetterla di lavorare per l’industria, soprattutto se si tratta di un’industria invischiata in danni alla salute. Fare i nomi significa additare alla comunità scientifica quei ricercatori che, pur di fare carriera accademica, con i relativi benefici economici, non esitano a collaborare con il diavolo. Se questa strategia, fare i nomi, dovesse diventare comune, forse qualche ricercatore ci penserebbe due volte, prima di imbarcarsi in relazioni pericolose.

Si ringrazia l’associazione No Grazie Pago Io

Fonte: ilcambiamento.it

Più frutta e verdura per una salute (e un pianeta) migliore

L’adozione di una dieta con più frutta e verdura e meno carne potrebbe ridurre fino al 10% la mortalità globale e fino al 70% le emissioni di gas serraverdura

(Immagine: Pixabay)

Frutta e verdura fanno bene. Troppa carne rossa, specialmente lavorata, fa male. Sia alla nostra salute che a quella del nostro pianeta. Già, ma quanto? A rispondere alla domanda ci hanno appena pensato gli esperti della University of Oxford, che in uno studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences hanno stimato, per l’appunto, l’impatto quantitativo di un cambiamento di dieta – che comprenda, tra le altre cose, un aumento del consumo di frutta e verdura e una riduzione del consumo di carne rossa e zuccheri – sulla mortalità globale e sull’inquinamento da gas serra. In particolare, secondo gli autori del lavoro, “passare a una dieta più basata sul consumo di prodotti vegetali, così come raccomandato dalle linee guida alimentari, potrebbe ridurre la mortalità globale del 6-10% e l’emissione di gas serra dovuti alla produzione di cibo del 29-70% entro il 2050 rispetto alle stime di uno scenario di riferimento”, quello elaborato dalla Food and Agricultural Organization (Fao) delle Nazioni Unite.

“C’è un grande potenziale di miglioramento”, spiega Marco Springmann, uno degli autori del lavoro, “sia dal punto di vista della salute umana che dal punto di vista dell’ambiente che da quello economico”. I ricercatori, in particolare, hanno valutato diversi scenari alimentari: il rispetto delle linee guida per una corretta alimentazione (che prevedono, nello scenario esaminato, il consumo di un minimo di cinque porzioni di frutta e verdura al giorno, di meno di 50 grammi di zuccheri al giorno, di un massimo di 43 grammi di carne rossa al giorno e di un massimo di 2200-2300 calorie al giorno), per esempio,  porterebbe a 5,1 milioni di morti in meno l’anno, per un totale di 79 milioni di anni di vita salvati; l’adozione di un’alimentazione vegetariana eviterebbe 7,3 milioni di morti in meno ogni anno; una dieta vegana, infine, permetterebbe di evitare fino a 8,1 milioni di morti l’anno. Le previsioni sono state effettuate in base alla diminuzione dei fattori di rischio noti: più della metà delle morti evitate sarebbe dovuta alla diminuzione del consumo di carne rossa, fino al 35% all’aumento del consumo di frutta e verdura e tra il 19% e il 30% a un minor rischio di obesità – il che si tradurrebbe, stando all’ipotesi di partenza dei ricercatori, in una diminuzione del rischio di malattie cardiovascolari, infarto, cancro e diabete. Anche l’impatto sulle emissioni di gas serra, sempre stando alle stime dei ricercatori, potrebbe essere altrettanto importante: l’adozione di una dieta vegetariana o vegana potrebbe ridurre le emissioni dovute agli allevamenti intensivi, rispettivamente, del 63% e del 70%. Considerando il valore economico della salute umana, in termini di costi per i sistemi sanitari nazionali e di giornate lavorative perse, gli scienziati hanno valutato un risparmio derivante dal cambio di alimentazione che si aggira sui 30 biliardi di dollari ogni anno. Una cifra che potrebbe salire ulteriormente se vi si aggiungesse il costo degli eventi estremi dovuti ai cambiamenti climatici derivanti, a loro volta, dalle emissioni di gas serra – anche se, in questo caso, si tratta di una stima molto più complessa. Gli scienziati, infine, hanno differenziato i potenziali benefici derivanti dal cambio di alimentazione in diverse regioni del mondo: l’estremo Oriente, l’America latina e le nazioni occidentali più ricche avrebbero più benefici per il minor consumo di carne rossa; l’Asia meridionale e l’Africa sub-sahariana, invece, beneficerebbe di più dall’aumento di consumo di frutta e verdura.

Via: Wired.it

Il TTIP può danneggiare gravemente la salute pubblica…e non solo

Il TTIP, trattato USA-UE su commercio e investimenti, oggetto di negoziati a lungo tenuti segreti, getta molte ombre su temi rilevanti per la salute dei cittadini. Un articolo pubblicato su Epidemiologia&Prevenzione analizza ciò che può mettere a rischio non solo la qualità dei cibi, ma anche l’accesso alle cure sanitarie, le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici, la sovranità dei singoli Stati europei. Una minaccia non solo per la salute degli individui, dunque, ma anche per la stessa democrazia in Europa.

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Il potenziale impatto del partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) sulla salute pubblica è il titolo dall’articolo pubblicato da Epidemiologia & Prevenzione, rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, a firma di Roberto De Vogli e Noemi Renzetti (University of California Davis, US) in cui vengono passati in rassegna i diversi capitoli del TTIP che potrebbero interagire con la tutela della salute dei cittadini europei. Il TTIP, versione europea dei trattati di libero commercio (NAFTA e TPP) già in vigore dall’altra parte del mondo, è un documento complesso. Gli autori analizzano i possibili effetti sulla salute dell’introduzione del Trattato scandagliandone meticolosamente il testo, mettendo a confronto le opinioni di sostenitori e detrattori, e sostanziando la loro analisi con esempi concreti.

ACCESSO AI FARMACI E ALL’ASSISTENZA SANITARIA

In teoria, favorendo gli scambi tra le due sponde dell’Oceano e promuovendo una maggiore cooperazione tra le istituzioni governative che sovrintendono alle politiche dei farmaci, il TTIP potrebbe migliorare la cooperazione scientifica nella ricerca farmacologica e ridurre la duplicazione di processi. Ma il capitolo sulla proprietà intellettuale e sugli aspetti commerciali ad essa connessi, che estendono il monopolio dei brevetti, porterebbe a un aumento dei prezzi dei medicinali e, in ultima istanza, a diminuire l’accesso alle cure, soprattutto dei soggetti più svantaggiati. Non solo. Una possibile minaccia viene dal capitolo relativo all’accordo sui servizi che, oltre a prevedere l’apertura dei servizi sanitari pubblici alla concorrenza, anche privata, comprende una clausola cosiddetta «antiarretramento», che impedisce a servizi pubblici che siano stati privatizzati di ritornare in mano pubblica, configurando «una grave violazione contro la libertà delle nazioni di scegliere il proprio sistema sanitario di preferenza».

CONSUMO DI ALCOL E TABACCO

Episodi già verificatisi in diverse parti del mondo dimostrano come politiche attuate per limitare il consumo di alcol e tabacco siano state attaccate in quanto considerate ostacoli al libero commercio. Una situazione aggravata dal capitolo del TTIP riguardante le controversie tra investitori e singoli Stati, che consente agli investitori stranieri di citare in giudizio, di fronte a tribunali internazionali privati, gli stati che abbiano approvato una legge in grado di ridurre il valore del loro investimento. «Un meccanismo che le multinazionali del tabacco hanno già mostrato di essere ben predisposte a sfruttare» sottolineano De Vogli e Renzetti ricordando il caso dell’Uruguay, citato in giudizio da Philip Morris nel 2010 per aver apposto immagini shock sui pacchetti di sigarette a fini dissuasivi.

PATOLOGIE CORRELATE ALLA DIETA E L’AGRICOLTURA

Spingere verso regimi normativi meno restrittivi nel commercio è uno degli obiettivi del TTIP che potrebbe avere riflessi negativi sia sui consumi alimentari sia sulla sicurezza degli alimenti. L’esempio del Messico è illuminante: dalla introduzione del NAFTA, nel 1994, e il conseguente aumento della presenza nel Paese di multinazionali del fast food e dei soft drink, il Messico è al secondo posto nel mondo per consumo di bevande zuccherate e ha una delle più alte prevalenze di diabete nel Pianeta. Ma c’è un altro rischio, questa volta collegato al capitolo “misure sanitarie e fitosanitarie” che riguarda le norme sulla presenza negli alimenti di additivi alimentari, contaminanti, tossine. Il pericolo è che le norme europee vengano annacquate per avvicinarsi a quelle, notoriamente meno restrittive, d’Oltreoceano. Potrebbero così aumentare le importazioni non solo di cibi geneticamente modificati, ma anche di carni bovine trattate con ormoni e di polli trattati con il cloro(pratiche permesse negli Stati uniti).

SALUTE AMBIENTALE

«Il più grave effetto sulla salute del TTIP presumibilmente riguarda la sua capacità di influenzare le politiche ambientali» sostengono gli autori. Per esempio, le disposizioni in merito alle controversie tra investitori e Stati «potrebbero molto probabilmente essere sfruttate da grandi aziende di combustibili fossili per citare in giudizio quei governi che cercano di limitare l’estrazione e l’esportazione dei combustibili stessi», in contraddizione con gli impegni appena presi dalla conferenza sul clima di Parigi.

PROFITTO VS SALUTE 

Gli autori concludono con una valutazione delle possibili ricadute del TTIP sulle politiche interne degli Stati, portando come esempio anche quanto già verificatosi in altri Paesi dove da anni sono in vigore simili trattati di libero scambio (come il NAFTA in Nordamerica). «La nostra analisi» affermano «dimostra come, nonostante i promotori del TTIP sostengano che il trattato produrrà effetti vantaggiosi su fattori in grado di migliorare la salute, come la crescita economica e l’occupazione, l’evidenza storica documenti invece che le politiche di liberalizzazione commerciale tendono a incrementare le disuguaglianze economiche e, con esse, la possibilità di accedere alle cure». E chiosano: «La politica commerciale non dovrebbe considerare le regole dirette a tutelare la salute pubblica come ostacoli tecnici al commercio, e il “diritto a trarre profitto” non dovrebbe avere la priorità sul “diritto alla salute”».

Nell’editoriale che accompagna l’articolo di De Vogli e Renzetti sullo stesso fascicolo di Epidemiologia & Prevenzione, Paolo Vineis, noto epidemiologo italiano che lavora all’Imperial College di Londra, mostra con esempi ben documentati che tutte le strategie razionali per far fronte ai cambiamenti climatici e alla diffusione delle malattie non trasmissibili (co-benefit) vanno in una direzione opposta a quella neoliberista implicita nei trattati internazionali come il TTIP.

La campagna Stoop TTIP Italia organizza per il 7 maggio una mobilitazione nazionale a Roma: QUI gli aggiornamenti

Fonte: ilcambiamento.it

Spesa di stagione: i prodotti del mese di Febbraio

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Frutta tanta frutta, solo frutta! Sì, perché se a febbraio il tempo non accenna a placarsi significa che i malanni di stagione sono sempre dietro l’angolo. Meglio premunirsi e continuare a comprare arance che non solo fanno bene ma allontanano i sintomi del raffreddamento. Se poi siete stanchi  di arance, mandarini e clementine ed avete bisogno di vitamine, i kiwi fanno al caso vostro. PotassioFosforo, Magnesio, Vitamina C, Calcio, Ferro e fibre ecco il patrimonio di questo gustosissimo frutto. I dietologi e i nutrizionisti li consigliano perché ricchi di acqua e proteine e danno un basso apporto calorico, solo 40 calorie per 100 gr di frutto. Ottimi per le diete, i kiwi diventano eccezionali nella prevenzione delle anemie e per contrastare gli effetti dei radicali liberi. Altri frutti di stagione sono le mele, i pompelmi ricchi di fibre,flavonoidi, vitamine A, B, C e pectine, e infine i limoni. Quest’ultimi possono essere utilizzati per delle deliziose insalate, mentre le scorzette possono essere grattugiate e mangiate, ricordate però di accertarvi che il frutto sia biologico. Bere succo di limone poi serve ad abbassare il livello del colesterolo, allevia i sintomi del mal di gola e aiuta a digerire i grassi. Strofinare poi uno spicchio di limone sui denti, una volta alla settimana, li rende più bianchi. Tra le verdure del mese di febbraio troviamo bietole, carciofi, carote, cavoli e cavolfiori, cicoria, cipolle, indivia riccia, lattuga invernale e spinaci. Quest’ultimi  hanno un basso contenuto di calorie, sono ricchi di minerali e fanno bene al cuore e al pancreas. Ricordatevi di comprarli solo se sono freschi e con le foglie verdi. La presenza di foglie gialle e appassite sono infatti sintomo di prodotto scadente. A fine Febbraio poi è possibile raccogliere le foglie del tarassaco ottime da consumare crude, per quanto riguarda invece il pesce, febbraio è il mese ideale per sogliola e spigola mentre sardina, merluzzo e sgombro pur essendo tipici di questa stagione sono considerate specie a rischio di estinzione. Attenti dunque alla spesa, un occhio più attento salvaguarderà la salute e il portafogli.

 

Fonte: tuttogreen.it

Sconfigge un cancro incurabile cambiando la dieta

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E se per curare il cancro fosse sufficiente modificare la dieta? Una recentissima testimonianza supporta questa teoria. La storia ha dell’incredibile: Allan Taylor, un uomo di 78 anni di Middlesbrough, Gran Bretagna, sarebbe guarito del tutto da un cancro ritenuto incurabile semplicemente sostituendo la carne rossa e i derivati del latte con 10 frutti e verdure al giorno. I dottori avevano comunicato al nonnino che purtroppo non c’era più niente da fare per curare il tumore al colon per cui aveva già subito un’operazione e diverse cure, e che ormai si era espanso fino a raggiungere l’intestino. L’infausta notizia gli era stata comunicata per mezzo di una lettera che lo informava che non c’era più motivo di proseguire la chemioterapia e che nemmeno un’operazione avrebbe potuto aiutarlo. “Mi hanno detto che se avessero asportato il cancro, si sarebbe sicuramente sviluppato di nuovo da qualche altra parte”, ha dichiarato Taylor al Sunday Mirror, “ma ero determinato a rimanere ottimista e trovare la mia cura da solo”. Così il signor Taylor non si è dato per vinto e ha iniziato a cercare su internet una cura alternativa per sconfiggere il male per cui i dottori ritenevano non ci fosse più nulla da fare. Dopo un’attenta ricerca, il 78enne ha deciso di cambiare radicalmente la propria dieta – e migliorare così drasticamente la propria condizione clinica. Mr Taylor ha così sostituito la carne rossa e i derivati del latte con 10 porzioni di frutta e verdura tutti i giorni. La sua dieta includeva erbe in polvere, curry, semi di albicocca e pastiglie di selenio. “Il 6 agosto ho ricevuto una lettera dall’ospedale che diceva che dagli esami risultava che il mio cancro fosse completamente sparito. Ero guarito”. Il fortunato ultrasettantenne è convinto che il cucchiaino di orzo in polvere sciolto in acqua calda che beveva tutte le mattine e tutte le sere abbia avuto un ruolo particolarmente cruciale nella sua guarigione. “Non ho nessun dubbio riguardo al fatto che la mia dieta mi abbia salvato la vita” ha dichiarato. “E tutto con un costo di 40€ a settimana!” In conclusione, la notizia è frutto di una testimonianza, riportata fedelmente, ma non ci sono prove scientifiche che sia stata effettivamente la dieta il motivo della guarigione del Signor Taylor – anche se questo è quanto lui afferma. Ciò non toglie che alcune delle sostanze citate dal fortunato 78enne possano sicuramente portare dei benefici alla salute e in particolare:

  • l’orzo in polvere abbatte l’acidità gastrica
  • il curry ha proprietà antinfiammatorie per stomaco e intestino
  • il selenio ha proprietà antiossidanti che proteggono le cellule dai radicali liberi
  • i semi di albicocca contengono la vitamina B17, che sembra reagisca solo in presenza di un enzima contenuto in grandi quantità nelle cellule colpite dal cancro.

Un insieme di fattori da non sottovalutare, anche se solo gli esperti potranno fornirci un verdetto definitivo sulla guarigione di Allan Taylor.

Fonte: http://pianetablunews.wordpress.com/

Scarafaggi e cavallette nella dieta dell’uomo del futuro

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Gli insetti salveranno l’umanità dalla fame! Sono le conclusioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, la FAO, basate sui risultati di una sua ricerca. Gli esperti ritengono che gli insetti siano il cibo del futuro. Il problema della carenza di cibo preoccupa la comunità internazionale non da poco tempo. Non sono state ancora proposte le soluzioni per questo problema. Molte proteste e scandali circondarono a suo tempo il dibattito sull’introduzione nell’agricoltura degli organismi geneticamente modificati, i cosiddetti OGM, immuni da malattie e parassiti. Ora e’ stata introdotta una nuova tendenza: gli esperti della FAO hanno identificato gli insetti come una fonte essenziale e praticamente inutilizzata di proteine. Inoltre, secondo il parere di esperti stranieri, l’allevamento di insetti in futuro potrebbe diventare uno dei settori dell’agricoltura. Nonostante la natura fantastica di tali conclusioni, questa quadro potrebbe tramutarsi presto in realtà, afferma il direttore dell’Istituto di Nutrizione dell’Accademia Russa delle Scienze, l’accademico Viktor Tutelyan:

Dobbiamo sempre essere alla ricerca di nuove tecnologie e di nuove fonti nutrizionali. E’ un problema non solo appartenente ai Paesi in via di sviluppo, ma a tutta l’umanità. Una delle possibilità per risolvere questo problema e’ l’impiego degli insetti nella dieta umana. Hanno le stesse proteine e gli stessi amminoacidi, grassi e carboidrati. Per noi e’ importante assumere la giusta quantità richiesta dall’organismo. Per l’uomo è indifferente la fonte da cui assumere questi elementi. Fino ad una trentina di anni fa non ci cibavamo di frutti di mare, ma ora li mangiamo volentieri. L’idea di mangiare insetti non è nuova, gli scarafaggi e le cavallette si trovano principalmente nei piatti del sud-est asiatico. Tuttavia Viktor Tutelyan non esclude la possibilità che gli insetti, dopo essere opportunamente lavorati e presentati sotto un altro aspetto, possano entrare nella dieta degli abitanti di altre regioni del mondo: Perché gli insetti sono un importante fonte nutrizionale? Si moltiplicano rapidamente, la moderna tecnologia permette di trasformarli in masse insapori contenenti proteine e carboidrati. Possono essere utilizzati come condimento in alcuni piatti, aggiungendo degli aromi, come facciamo ora con i piatti a base di carne e di pesce. Nel frattempo alcuni esperti ritengono che impegnarsi nell’allevamento di massa di alcuni tipi di insetti, per dire la verita’, valga la pena anche per altri diversi motivi. In particolare le api comuni necessitano di nuovi allevamenti, nota il biologo Alexey Shipilov: Esiste una teoria in base a cui se le api scomparissero dalla faccia della Terra, l’umanità vivrebbe letteralmente tre o quattro anni. Avremo cattivi raccolti in tutto il mondo. Ora la popolazione delle api è in forte calo, molto probabilmente a causa dei disturbi elettromagnetici delle apparecchiature elettroniche. In fondo trovano la strada per l’alveare grazie ai poli magnetici della Terra, altrimenti muoiono. Molti insetti sono ricchi di proteine e di grassi utili e possiedono riserve di calcio, ferro e zinco, sostengono gli esperti della FAO. Hanno calcolato che la carne bovina in media contiene circa 6 milligrammi di ferro per 100 g di prodotto secco, mentre le locuste contengono dagli 8 ai 20 milligrammi di ferro a seconda della specie. Tale rapporto indubbiamente non e’ favorevole ai prodotti abituali di carne dell’uomo. Si può solo sperare che le polpette di cavallette e gli gnocchi di scarafaggio non li escludano dal mercato.

Di Grigory Milenin

Fonte: http://pianetablunews.wordpress.com/

Olio extravergine di oliva: quando può definirsi commestibile e salutare?

Negli ultimi 30 anni è radicalmente cambiato il modo di produrre l’olio extravergine di oliva, uno dei prodotti più rappresentativi dell’agricoltura italiana. Soltanto un olio extravergine di oliva biologico o biodinamico può essere considerato commestibile e assolutamente privo di tracce di insetticidi e altri veleni.olio9_

Insieme al vino e al frumento l’Olio extravergine di oliva è il prodotto più importante e più rappresentativo dell’agricoltura italiana. Poche sono le aziende agricole che non lo producono e moltissime sono le famiglie contadine che ne traggono un reddito indispensabile. Il modo di produrre Olio dalle olive è radicalmente cambiato negli ultimi 30 anni, con l’inserimento ormai generalizzato della macinatura meccanica, in sostituzione delle vecchie macine a pietra che avevano il difetto di ossidare eccessivamente il prodotto della spremitura naturale delle olive. Partiamo come al solito dal campo. Troviamo oliveti in pianura, sul mare, sui laghi, in collina, in alta collina e persino in montagna fino a 800 metri sul livello del mare. Il mantenimento della fertilità del suolo da osservare, per definire un prodotto genuino è delegato oltre che all’uso di letame maturo, anche al sovescio di leguminose o di opportuni miscugli di piante adatte ad essere incorporate nel terreno per apportare con l’aiuto di microrganismi ed insetti utili i 30 elementi chimici che compongono ogni singola oliva. Le concimazioni chimiche che mettono a disposizione delle piante solo azoto, fosforo e potassio servono invece a squilibrare e a rendere suscettibili alle più disparate malattie queste piante così longeve, favorendo solo l’uso di rimedi “curativi” altamente tossici per le varie patologie che di conseguenza si manifestano. Molto importanti risultano infine le consociazioni e le naturalizzazioni degli uliveti, si è visto infatti che all’interno di un contesto ricco di biodiversità naturale gli antagonisti delle avversità viventi sono molteplici e ben equilibrati, mentre nelle monocolture intensive e molto estese sono praticamente assenti. Di solito l’altitudine influisce notevolmente sugli attacchi del parassita più temuto: la mosca olearia che, deponendo un semplice uovo nella piccola oliva acerba, permette alla larva che ne fuoriesce di cibarsene (in simbiosi con un batterio) deturparla e sporcarla causando notevoli danni al prodotto finale.pesticidi9_

Salto a piè pari tutto lo scibile scontato dei danni provocati dagli oli di semi estratti con solventi chimici e dalle margarine proposte dagli anni 60 alle nostre massaie e ancora presenti come grassi deidrogenati in molteplici prodotti industriali, causa principale di obesità e disparate disfunzioni. Solo un Olio extravergine di oliva biologico o biodinamico risulta davvero commestibile e assolutamente privo di tracce e cocktail di insetticidi e anticrittogamici, mentre non è escluso che negli olii extravergini, anche IGP e DOP senza distinzione, possano ritrovarsi veleni, normalmente in tracce ammesse, ma comunque consistenti. Oggi sistemi collaudati basati sull’esperienza dell’agricoltore, la raccolta precoce, l’uso di trappole e prodotti che creano confusione sessuale consentono a questo prodotto di essere coltivato senza uso di veleni anche in pianura, rendendo l’olivicoltura convenzionale ormai obsoleta ed inutile. Per avere un prodotto perfetto servono comunque ancora tante attenzioni. Esistono aziende che portano in frangitura le olive il giorno stesso della raccolta. Esistono frantoi che non superano i 28 gradi di temperatura nelle operazioni di spremitura e non vanno oltre i 90 minuti nelle operazioni di separazione dell’olio dalla pasta ottenuta. Queste cure seguite: dall’evitare assolutamente il contatto con la plastica così detta “alimentare” spesso usata a bidoni e puntualmente corrosa e diluita da alcuni dei molteplici acidi presenti soprattutto nei primi giorni di olio nuovo, dal mantenimento dell’olio in bottiglie scure, dall’evitare il più possibile il contatto con l’aria, permettono di ottenere dei prodotti davvero speciali. Esistono infine olii monocultivar con sapori ben chiari e diversificati: favolosa Olivastra seggianese, olii saporiti di solo Olivo Frantoiano, olii indefinibili di Leccino o Moraiolo, Ogliarola barese o Cima di Bitonto, tutti adatti a restituire al nostro palato la capacità di sentire, degustare, osservatore con tutti i sensi quel condimento che previene le malattie, cura da sempre i più svariati squilibri e dona alle pietanze della nostra dieta un sapore che lo rendono insostituibile. Che non senso miscelarlo col falso, rettificarlo, contaminarlo chimicamente, squilibrarlo con fertilizzanti costosi ed inutili! Un prodotto così importante non può essere valutato in base al costo o alla semplice acidità che ne determina l’attuale classificazione in rancido, lampante (buono solo per le lampade ad olio) rettificato (manipolazione chimica e fisica), olio di sansa di oliva, olio d’oliva (un rettificato con 1% di vergine) , vergine (max 2% acidità libera) ed extravergine (max 0,8% acidità libera). Un buon olio si definisce in base agli aromi, ai profumi, alla presenza indispensabile di acidi grassi insaturi, di antiossidanti naturali, di clorofilla e di vitamina E, di enzimi e di vitamine B e C. Così come non ha senso valutarlo in base al costo unitario, molto più sensato calcolarne invece il costo giornaliero pro capite per rendersi conto che bastano pochi centesimi ben spesi per vigilare sulla salute di tutta la famiglia o sulla reale qualità della propria ristorazione. A voi questa volta il compito di riscoprirlo direttamente tra le aziende agricole bio più vicine, nelle molteplici individualità che lo producono, lo accarezzano, lo confezionano per non farlo mai mancare sulle tavole imbandite, dalle minestre dei bambini alle zuppe dei più anziani, dalle ricette dei grandi chef alle pietanze delle più anonime massaie, dai consigli dei nutrizionisti fino ai rimedi dei monaci camaldolesi, che da sempre in tutto il Mediterraneo non c’è miglior aiuto per far partire dalla cucina la salute di ognuno.

Fonte: il cambiamento

Dieci cibi anti-infiammatori naturali

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Curare in modo attento la propria dieta alimentare è uno dei modi migliori, insieme al mantenimento di uno stile di vita sano, per tutelare il proprio stato di salute e prevenire l’insorgere di patologie a vari livelli. Questo dato è ormai dimostrato da molteplici studi che negli anni hanno evidenziato come soprattutto la frutta e la verdura siano gli alimenti più benefici per il nostro organismo. In particolare, possiamo considerare dieci alimenti come i più attivi nello stimolare la capacità del nostro corpo di regolare in modo naturale i processi anti-infiammatori. Proviamo a scoprire insieme quali sono questi dieci ‘miracolosi’ingredienti da non far mancare a tavola:

Cannella: aggiunta a cereali, yogurt ma anche frullati e frappé, questa spezia consente di ridurre le infiammazioni e combattere le infezioni batteriche, oltre a controllare i livelli di zuccheri nel sangue ed aumentare le funzioni cerebrali.

Zenzero: le sue proprietà anti-infiammatorie provengono dalla presenza del gingerolo, una molecola capace di contrastare i dolori articolari e stimolare le funzioni del sistema immunitario.

Cipolla: come l’aglio, il porro ed l’erba cipollina, questo alimento tipico della nostra cucina possiede principi attivi in grado di inibire i processi infiammatori.

Amarene: da gustare sotto forma di succo o essiccate come snack, anche questi frutti garantiscono una potente azione anti-infiammatoria per alleviare i dolori dovuti ad artrite e gotta ma anche conseguenti all’esercizio fisico.

Noci: aggiunte in insalata, allo yogurt o consumate a fine pasto o come snack, contrastano l’infiammazione grazie agli acidi grassi e agli omega-3 contenuti in grandi quantità.

Curcuma: un’altra spezia che non deve mancare nell’aromatizzare le pietanze, fornisce, grazie alla curcumina in essa contenuta, la possibilità di alleviare il dolore cronico.

Ananas: grazie alla bromelina, questo frutto si rivela un vero toccasana contro distorsioni e strappi muscolari.

Semi di lino: altra fonte importante di omega-3, possono essere pestati e utilizzati come olio da condimento.

Carote: come albicocche, pomodori, patate dolci e zucca, contengono importanti sostanze anti-infiammatorie oltre a contrastare i radicali liberi.

Ortaggi a foglie verdi: spinaci, cavolo verde e broccoli sono tutti alimenti ricchi di flavonoidi ed in grado, quindi, di contrastare bene l’infiammazione.

Insomma, ottime ragioni per mangiarne in quantità e diminuire (o addirittura eliminare) il consumo di carne!

Fonte: tuttogreen

Vegani vs Carnivori: chi frequenta chi?

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l numero di vegetariani e vegani nel mondo è in costante aumento. Ma cosa succede se un sostenitore della dieta cruelty-free incontra un partner carnivoro?

Ce lo rivela un sondaggio di Today.com pubblicato da Forbes, il quale evidenzia in modo piuttosto netto come oltre il 30% degli onnivori dichiarerebbe di non voler frequentare un vegetariano o vegano se ne avesse la possibilità.

Intervistando un campione di oltre 4.000 persone, sia maschi che femmine e di età compresa tra i 18 e i 75 anniil 96% dei vegetariani e vegani sostiene, invece, di non aver problemi all’idea di intraprendere una relazione amorosa con un carnivoro.

I perché di una tale ‘discriminazione’ ai danni del mondo veg potrebbero essere molteplici, primo tra tutti la paura dei carnivori di sentirsi additati e continuamente sottoposti a giudizio per le proprie abitudini alimentari. Molti infatti hanno dichiarato che gli amici vegetariani e vegani li sottopongono continuamente a pressioni psicologiche sulla loro dieta e stile di vita, che non hanno nulla del confronto intelligente tra due opposti punti di vista.

D’altra parte sembrerebbe che i vegetariani e vegani ambiscano a frequentare chi non la pensa come loro proprio perché sono fortemente attratti dalla possibilità di convertire il partner al proprio modo di vedere.

Noi pensiamo che in medio stat virtus: in fondo una maggiore apertura reciproca potrebbe consentire di trovare un punto di incontro per evitare discriminazioni amorose di sorta.

Insomma ci auspichiamo che i vegani siano meno pronti a puntare il dito ed ergersi sul piedistallo della virtù ed i carnivori siano più disposti a comprendere una prospettiva diversa dalla propria.

Fonte: tuttogreen

Inquinamento: boom di dermatiti atopiche a causa dello smog

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Sotto i cinque anni un bambino su due soffre di dermatite atopica. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità circa un terzo delle malattie infantili (0-18 anni) in Europa possono essere attribuibili a un ambiente insalubre e all’inquinamento atmosferico che tende a gravare soprattutto sui bambini di età inferiore ai 5 anni. Se si entra nello specifico delle singole malattie si scopre come, nelle ultime tre decadi, sia più che raddoppiata la diffusione della dermatite atopica. Negli Stati Uniti si stima che il peso economico di questa malattia sulle famiglie abbia un costo variabile fra i 100 e i 2000 dollari per paziente all’anno, un miliardo di dollari in termini macroeconomici. Nonostante per la diagnosi sia sufficiente un semplice esame clinico, poche sono le terapie vista l’origine costituzionale e genetica della malattia che resta sensibile sia agli eventi climatici (escursioni termiche, vento), sia all’esposizione alle micropolveri o alle allergie alimentari. Giuseppe Ruggiero, Referente Nazionale della Rete Dermatologica della FIMP, sottolinea come i giovani siano maggiormente esposti a malattie di origine ambientale:

Sono moltissimi i bambini affetti da malattie della pelle di cui non è possibile dare una stima esatta. Ciò che invece è possibile affermare è che queste patologie sono in costante aumento, tanto che oggi il 20-30% delle visite che ogni pediatra esegue nel proprio ambulatorio riguarda problemi dermatologici, con una maggior prevalenza di dermatite atopica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) valuta che circa un terzo di tutte le malattie infantili dalla nascita a 18 anni nella Regione Europea possa essere attribuibile all’ambiente insalubre o insicuro che tende a gravare specie sui bambini al di sotto dei 5 anni, con picchi fino al 43%. La ragione di una percentuale così elevata va ricercata in 4 ordini di fattori:

 1) una maggiore suscettibilità del bambino, poiché gli organi e i sistemi in rapida crescita attraversano periodi di elevata vulnerabilità;

 2) il metabolismo ancora immaturo che può essere meno capace di detossificare ed espellere le sostanze chimiche;

3) la maggiore esposizione per unità di peso corporeo ai danni ambientali (i bambini bevono più acqua, utilizzano più alimenti degli adulti e hanno una frequenza respiratoria maggiore con un più elevato scambio di gas;

4) l’aumentato assorbimento intestinale di molte sostanze chimiche, primo fra tutti il piombo di cui ne assorbono fino al 50% dal cibo (contro il 10% degli adulti).

Il consiglio della FIMP ai genitori è quello di acquisire comportamenti auto-gestionali corretti come l’uso costante di creme emollienti per contrastare la secchezza cutanea o di prodotti anti-infiammatori (come i cortisonici) per le lesioni di origine infiammatoria. Dal punto di vista dell’alimentazione una dieta imperniata sul consumo di frutta, verdura, pesce, grassi vegetali, fibre e cereali, più un costante apporto di acqua può aiutare a prevenire fastidiosi problemi alla cute.

Fonte:  FIMP