Maltempo: foreste italiane devastate da vento di oltre 140 km/h

PEFC Italia: “Ci vorranno 100 anni perché la situazione torni in equilibrio”

Il forte vento di scirocco, che ha colpito il 30 ottobre tutta l’Italia del Nord con raffiche stimate intorno ai 140 km orari, ha provocato ingenti danni alle aree forestali italiane, percepiti tuttavia in maniera minore rispetto ai danni alle alberature cittadine.

I numeri però sono impietosi: in un giorno sono stati abbattuti tanti alberi quanti se ne abbattono in tutta Italia in un anno di attività selvicolturale, per una quantità di circa otto milioni di metri cubi di legno. Il solo Trentino (Val di Fiemme, Val di Fassa) ne ha persi 1,5 milioni, quantità di poco inferiori in Alto Adige; stessa situazione in Veneto (Altopiano di Asiago, Feltrino, Agordino, Comelico) e in Friuli Venezia Giulia (Carnia, Dolomiti Friulane, Cansiglio). Soprattutto abeti rossi, ma anche abeti bianchi e faggi, a seconda delle zone; e centinaia di chilometri di strade forestali da risistemare. Quasi tutte sono aree gestite in maniera sostenibile secondo gli standard internazionali del PEFC, organizzazione non governativa che rappresenta la certificazione di gestione sostenibile delle foreste e della filiera dei prodotti forestali; quindi la causa di questa situazione non è sicuramente attribuibile all’abbandono.

“La situazione è gravissima, sia dal punto di vista  economico, che ambientale e sociale: ci vorranno 100 anni per far sì che la situazione torni in equilibrio”, commenta Antonio Brunori, segretario generale di PEFC Italia. “Ambientalmente abbiamo intere aree montane che nei prossimi periodi non avranno più una copertura vegetazionale a proteggere i versanti dalle piogge e dalla corrivazione rapida delle acque superficiali; inoltre, se non si provvederà rapidamente all’esbosco del legname, la grande quantità di biomassa legnosa provocherà il pullulare del bostrico tipografo (nome scientifico Ips typographus), un piccolo coleottero di mezzo centimetro che colpisce in particolare gli abeti rossi e già considerato il flagello delle foreste europee. Inoltre parliamo di zone boschive che rappresentavano rifugio di animali e uccelli, oltre che aree di importantissima rilevanza paesaggistica. Proprio questa devastazione avrà conseguenze anche per il turismo, che vede nei boschi la principale attrazione estiva per migliaia di turisti ed escursionisti delle aree interne montane”.

Ma il danno è anche per l’intera filiera del legno. “Dalle Alpi si ricava la quasi totalità del legno da opera italiano di cui l’industria nazionale necessita, e che costituisce un quinto del fabbisogno complessivo – prosegue Brunori – Con questa situazione di calamità, probabilmente ci sarà una quantità elevatissima di legname disponibile (facendone abbassare il costo) nei prossimi due anni, per poi averne scarsità negli anni a venire. Salteranno quindi tutte le pianificazioni strategiche ed economiche fatte negli anni passati, compresi tanti posti di lavoro nel settore delle utilizzazioni boschive. Questo rappresenta il pericolo per il tessuto sociale della montagna, che sopravvive alle dure leggi del mercato anche grazie alla diversificazione stagionale, dove anche il legno e la gestione delle foreste sono un tassello fondamentale per il lavoro di tante aziende.”

Questo disastro ambientale poteva essere evitato? “Sicuramente il ruolo del cambiamento climatico in atto, con eventi estremi sempre più frequenti e con forza distruttiva raramente vista sulle Alpi, ha un suo ruolo importante”, aggiunge Maria Cristina d’Orlando, presidente del PEFC Italia. “Certo è che se nel passato ci fosse stata una visione più lungimirante e più attenta alla gestione attiva delle risorse forestali, sarebbero stati effettuati  più interventi di sfollo e diradamento in molte delle foreste che ora sono abbattute da vento, interventi selvicolturali che forse avrebbero rese queste formazioni più resilienti ai disturbi climatici. Attraverso un’adeguata viabilità forestale è possibile fare una manutenzione continua e puntuale dei boschi e dei territori. La gestione attiva delle foreste e l’utilizzo del legno locale possono aprire la strada ad un’economia sostenibile delle zone montane, così come al ripopolamento che sarebbe fondamentale per presidiare e monitorare queste aree. Servono investimenti per questi territori, non per intervenire nei momenti di emergenza, ma per programmare e prevenire”.

Questi temi saranno al centro del Congresso nazionale di Selvicoltura a Torino la prossima settimana (dal 5 al 9 novembre ), dove 500 esperti di scienze forestali si riuniranno per parlare di selvicoltura, di gestione delle foreste e del nuovo Testo unico Forestale, cioè della gestione del 39% del territorio italiano, nell’anno in cui la superficie a bosco ha superato la superficie agricola. Un segno dei tempi, dove purtroppo questo sorpasso è nato dall’abbandono della coltivazione delle terre montane e collinari e dalla conquista dei terreni da parte di formazioni arboree pioniere, senza un controllo o pianificazione da parte dell’uomo, con conseguenti problemi di frane, incendi e improvvise alluvioni a valle per il mancato controllo e manutenzione del territorio a monte.t

Asiago (foto di Vittorio Poli)

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Val d’Assa (foto di Anna Sella)

Chi è PEFC Italia

PEFC Italia è un’associazione senza fini di lucro che costituisce l’organo di governo nazionale del sistema di certificazione PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), cioè il Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale. Il PEFC è un’iniziativa internazionale basata su una larga intesa delle parti interessate all’implementazione della gestione forestale sostenibile a livello nazionale e regionale. Partecipano allo sviluppo del PEFC i rappresentanti dei proprietari forestali e dei pioppeti, organizzazioni ambientaliste, dei consumatori finali, degli utilizzatori, dei liberi professionisti, della ricerca, del mondo dell’industria del legno e dell’artigianato. Tra i suoi obiettivi si segnala quello di migliorare l’immagine della selvicoltura e della filiera foresta–legno-carta, fornendo di fatto uno strumento di mercato che consenta di commercializzare legno, carta e prodotti della foresta derivanti da boschi e impianti gestiti in modo sostenibile.

Fonte: agenziapressplay.it

 

“Verde brillante”, come ciò che ci dà la vita

Che cosa sono esattamente l’intelligenza e la sensibilità? Viene spontaneo chiederselo dopo che si è finito di leggere un libro come “Verde brillante”. E da quelle, sorgono altre domande, una fra tutte: è una forma di intelligenza pensare di poter vivere devastando l’ambiente che ci circonda?

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Marìca Spagnesi collabora anche con il progetto llht.org

Leggere “Verde brillante”, di Stefano Mancuso e Alessandra Viola, mi ha spinto a cercare qualche definizione precisa di cosa siano l’intelligenza e la sensibilità. Le definizioni, però, sono moltissime e ci si perde facilmente perché non ci sono spiegazioni universalmente accettate. Per sintetizzare direi che quello che si intende comunemente è: «L’intelligenza è quel processo mentale che permette di acquisire nuove idee e capacità che consentono di elaborare concetti e i dati dell’esperienza per risolvere in modo efficace diversi tipi di problemi». La sensibilità, invece, è la «capacità, l’attitudine a ricevere impressioni attraverso i sensi. Facoltà di un essere vivente di conoscere per mezzo dei sensi e di provare il piacere o il dolore accompagnanti le sensazioni». Se intelligenza e sensibilità sono questo, non si capisce come mai non siamo abituati a considerare queste due facoltà come appartenenti anche al mondo vegetale. Al contrario, termini come “vegetare” o “essere ridotti a un vegetale” vengono usati proprio per definire uno stato di inerzia e di passività. Stefano Mancuso e Alessandra viola ci accompagnano in un vero e proprio viaggio all’interno del mondo delle piante. Questo libro ci svela una sorta di insospettato universo verde: le piante sono organismi senzienti, comunicano con i loro simili e con gli animali, hanno una e vera e propria vita sociale, sono in grado di risolvere problemi complessi mettendo in atto strategie elaborate e raffinatissime. Si tratta di esseri perfettamente capaci di scegliere, calcolare, apprendere e memorizzare. A differenza dell’uomo, si sono evolute costruendo i loro organismi in maniera modulare, privi di organi singoli, essenzialmente perché non si spostano. Sono, infatti, preda degli animali erbivori e se fossero provviste di organi singoli come per gli umani il cuore o il cervello, un attacco da parte di un predatore risulterebbe fatale. E invece le piante sono in grado di sopravvivere anche a predazioni multiple e continue proprio grazie al loro essere “divisibili”e dotate di diversi “centri di comando”. Le piante sono esseri dotati di sensibilità. Hanno a disposizione esattamente tutti e 5 i nostri sensi ma sono molto più sensibili degli esseri umani: sono in grado di calcolare la gravità, l’umidità, di sentire i campi elettromagnetici nonché di riconoscere ed analizzare molte sostanze chimiche con cui vengono a contatto. Possiedono almeno quindici sensi che noi non abbiamo. Quello che ci sorprenderà di più, però, sarà scoprire che i vegetali hanno una e vera e propria vita sociale. Le piante si orientano, comunicano con altri esseri viventi: altre piante e animali scambiandosi informazioni preziose per la sopravvivenza attraverso molecole chimiche. Le piante si parlano, riconoscono i loro simili, sono capaci di generosità o di opportunismo, esattamente come nel mondo animale. Esse sono in grado di ampliare il loro raggio di esplorazione ben oltre l’area occupata dal loro organismo, utilizzando le piante vicine, gli insetti e altri animali, come informatori e collaboratori. Perché è così importante imparare a conoscere un po’ più da vicino il mondo vegetale? Se ci pensiamo, l’essere umano dipende strettamente da loro fin dalla sua comparsa sulla Terra. Senza la fotosintesi non sarebbe stata possibile la presenza di ossigeno che ha permesso la vita degli animali sul nostro pianeta. E ancora adesso da loro dipende la nostra sopravvivenza futura: sono, infatti, anche alla base della catena alimentare e all’origine dei combustibili fossili. Si tratta di materie prime indispensabili per respirare, mangiare, curarci, produrre energia e materiali. La nostra vita è legata a doppio filo alla loro presenza sul nostro pianeta e rendercene conto pienamente il prima possibile sarà, nel prossimo futuro, sempre più importante. Considerato l’impatto dell’uomo sulla Terra e, in particolare,  la sua capacità di inquinare, bisognerebbe considerare la capacità straordinaria di alcune piante di trasformare in sostanze innocue alcuni degli inquinanti più pericolosi. Il potenziale tecnologico di questo tipo di biotecnologie non è, però, ancora sviluppato e “al ritmo con cui lasciamo che le specie vegetali si estinguano, è probabile che anche in questo campo si stia rinunciando a chissà quante soluzioni inesplorate e alla nostra futura possibilità di disinquinare efficacemente, a costo contenuto e senza alcun impatto per il nostro pianeta”. Quando distruggiamo il nostro ambiente disboscando intere foreste e danneggiando interi ecosistemi delicatissimi ed essenziali per la nostra stessa vita dovremmo ricordarci che «in generale, le piante potrebbero benissimo vivere senza di noi. Noi, invece, senza di loro, ci estingueremmo in breve tempo».

Fonte: ilcambiamento.it

Il nuovo governatore della Pennsylvania ha vietato il fracking in foreste e parchi pubblici

Ora non sara’ piu’ possibile cercare gas e petrolio sotto alle foreste demaniali, nemmeno trivellando da terre private confinanti. Un brutto colpo per l’industria del fracking. Il nuovo governatore della Pennsylvania, il democratico Tom Wolfha firmato un ordine esecutivo per vietare il fracking su tutte le foreste e i parchi pubblici. In questo modo ha iniziato a rovesciare la politica pro-fracking del suo predecessore, il repubblicano Corbett. Fino ad ora le compagnie potevano usare il fracking su terre pubbliche a patto che trivellassero orizzontalmente da terre private confinanti. Ora questo non e’ piu’ possibile. Ben due terzi delle foreste pubbliche della Pennsylvania sono situate sopra al giacimento Marcellus Shale; si comprende quindi bene quanto fosse grande il rischio di inquinamento e devastazione delle risorse boschive e quale enorme affare abbiano visto sfumare i petrolieri. Il fracking ha portato occupazione nello stato, ma anche enormi problemi ambientali e per la salute, dal metano nell’acqua potabile e nelle urine, ai gravi danni all’industria casearia, alle migliaia di violazioni di sicurezza. E’ da notare che in Pennsylvania tuttora non esiste alcun registro epidemiologico dei problemi di salute legati alle trivellazioni. Wolf e’ su posizioni piu’ moderate rispetto a Cuomo, governatore di New York, che nel dicembre scorso ha vietato tout court il fracking in tutto lo stato. Sta pero’ rendendo piu’ difficile l’attivita’ di fracking, anche con la proposta di alzare le tasse per le concessioni, in modo da poter finanziare l’educazione pubblica.Tom-wolf

Fonte: ecoblog.it

“On our land”, il documentario che racconta il furto della terra

“On our land” è un documentario prodotto dall’Oakland Institute che racconta come le comunità rurali di Papua Nuova Guinea siano state private, illegalmente, della loro terra.on_our_land

Le comunità rurali di Papua Nuova Guinea sono state private della loro terra e delle risorse naturali attraverso operazioni illegali; la conseguenza è stata la distruzione delle comunità stesse e la devastazione dell’ambiente. Il documentario “On our land” dà voce alle popolazioni che hanno subìto questa ingiustizia e che, grazie ad alcune organizzazioni non governative locali, combattono per i loro diritti e perché sia loro restituito quanto sottratto. “On our land” è stato prodotto dall’Oakland Institute in collaborazione con il Pacific Network on Globalisation e il Bismark Ramu Group. L’Oakland Institute è un ente indipendente impegnato nella sensibilizzazione sui temi di maggiore impatto sociale, economico e ambientale. Il Pacific Network on Globalisation (PANG) è un network nato nelle regioni del Pacifico che promuove la sovranità e l’autodeterminazione economica e la giustizia sociale. Il Bismarck Ramu Group lavora con le comunità locali di Papua Nuova Guinea per assicurare alle popolazioni indigene informazioni sui loro diritti e la possibilità di riottenere il controllo delle loro terre e delle risorse per poter governare il proprio futuro.

Guarda il documentario.

Fonte: ilcambiamento.it

L’emergenza clima devastante anche per gli animali

L’allarme è lanciato dal Wwf: “Accoppiamenti e periodi riproduttivi sempre più spesso alterati dai cambiamenti climatici”. Le emissioni di gas serra aumentano e gli effetti del cambiamento climatico toccano anche gli animali e la loro riproduzione: cambiano le abitudini migratorie e riproduttive di molte specie, soprattutto degli uccelli.clima_riproduzione_animali

L’allarme è lanciato dal Wwf: “Accoppiamenti e periodi riproduttivi sempre più spesso alterati dai cambiamenti climatici”. Le emissioni di gas serra aumentano e gli effetti del cambiamento climatico toccano anche gli animali e la loro riproduzione: cambiano le abitudini migratorie e riproduttive di molte specie, soprattutto degli uccelli. “La deposizione anticipata delle covate in risposta ai cambiamenti climatici è ampiamente documentata: le urie nord-americane hanno anticipato la riproduzione di 24 giorni nell’’arco di 10 anni; i fringuelli inglesi anticipano la data di riproduzione al crescere della temperatura primaverile”” sottolinea Fabrizio Bulgarini, Responsabile Programma Biodiversità WWF. I pinguini delle Galapagos sono diminuiti del 50% dal 1979 a causa dei prolungati fenomeni del Niño e conseguenti bassi livelli di riproduzione; le berte cuneate australiane non hanno avuto cibo sufficiente per i pulcini nel 2002 a causa dell’’innalzamento della temperatura del mare. “Uno studio ha monitorato con osservazioni satellitari quattro colonie di pinguini imperatore in Antartico: ebbene, alcune di esse hanno spostato il loro sito tradizionale di riproduzione negli anni (2011, 2012) in cui lo strato di ghiaccio che usualmente utilizzavano tardava a formarsi, per l’’aumento delle temperature. In questo caso i pinguini hanno utilizzato la banchisa polare”.
“Anche nelle Oasi WWF, dove da qualche anno è attivo l’’Osservatorio Oasi si riscontrano novità. “Oggi, nella loro anomalia, è quasi normale assistere a fioriture precoci o ad anticipi nelle migrazioni e nella riproduzione degli animali”” sottolinea Antonio Canu, Presidente di WWF Oasi.

Fonte: il cambiamento

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ISFORT: Ci si sposta meno per lavoro. E sempre meno in bici e a piedi.

Isfort analizza gli spostamenti per lavoro degli italiani: nell’ultimo anno 1 italiano su 4 non è uscito di casa in un giorno medio feriale. Nonostante la crisi, 3 spostamenti lavorativi su 4 sono con l’auto privata, e a calare di più sarebbero i tragitti in bicicletta e a piedi: gli unici gratuiti…375311

Ci si muove sempre meno, e sempre meno per lavoro: una fotografia triste e nota quella dell’Osservatorio Mobilità di ISFORT, che tuttavia segnala anche alcuni aspetti su cui vale la pena riflettere. Perché in tempi di crisi così acuta, si sceglie sempre meno di andare al lavoro a piedi o in bicicletta? Almeno apparentemente, perché si va sempre più lontano. Sul totale degli spostamenti dovuti al lavoro la percentuale di quelli che prevedono l’allontanamento dal comune in cui si vive sono aumentati e raggiungono oggi il 52,3% del totale. Solo due anni fa erano il 46,2%: un salto di 6,1punti percentuali. Eppure resta pur sempre un 47,7% di persone che lavorano nel comune di residenza, e che percorrono circa 7 km di media: un tragitto che secondo Isfort viene coperto in un tempo che varia tra i 15 e i 19 minuti ad una velocità media inferiore ai 30  km/h. Apparentemente le condizioni ideali per scegliere la bicicletta, escludendo le categorie di lavoratori che necessitano obbligatoriamente del proprio veicolo per il trasporto merci. Nonostante le premesse, la percentuale di spostamenti totali a piedi o in bici è calata fino al 7,8%. Era il 10% nel 2006. Un calo che è più accentuato di quello che proporzionalmente ci si attenderebbe dato l’aumento della distanza tra casa e luogo di lavoro. (Facendo i calcoli, la percentuale dovrebbe essere almeno all’8,8%). Pur con tutte le cautele d’obbligo vista la metodologia del sondaggio (Ricordiamo che Isfort si avvale di campionamenti telefonici su una base di circa 15.000 intervistati), l’impressione è che il risparmio economico non sia una priorità nella scelta del mezzo con cui muoversi. “Tra i mezzi utilizzati per andare al lavoro – scrivono i ricercatori – il distacco è evidente: 3 spostamenti su 4 sono con l’auto privata. In tempi di crisi il mezzo pubblico conquista circa 4 punti percentuali passando dal 9,7% del 2006 al 13% del 2012, ma in realtà l’aumento delle quote percentuali del trasporto pubblico è(prevalentemente)dovuto ad una forte diminuzione, in termini assoluti, dell’uso dell’auto privata. Infatti, nel 2006 per andare al lavoro si registrano 16,5 milioni di spostamenti con il mezzo privato e 2,1 con il mezzo pubblico; nel 2012 quest’ultimi passano a 2,2 milioni, mentre quelli con l’auto privata crollano a 12,4 milioni”. Insomma, nonostante la crisi e il caro carburante, gli Italiani continuano a scegliere prevalentemente l’auto. Servizio pubblico devastato dai tagli o problema culturale?

fonte: eco dalle città

 

Fermato oleodotto in Canada, brutto colpo per le lobbies delle sabbie bituminose

Lo stop al Enbridge Northern Gateway rappresenta una battuta di arresto per le aziende petrolifere che stanno devastando la foresta canadese per estrarre petrolio di bassa qualità dalle sabbie bituminose: senza uno sbocco al mare per una veloce esportazione l’attività diventa sempre meno redditizia.

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Il governo della British Columbia ha bloccato il progetto di un oleodotto di oltre 1000 km che avrebbe dovuto trasportare il petrolio delle sabbie bituminose dell’Alberta verso il Pacifico e i mercati asiatici. Lo stop all’ Enbridge NorthernGateway rappresenta un brutto colpo per le brame di espansione dell’industria petrolifera ed è una bella vittoria degli ambientalisti. Il progetto è stato fermato perchè non presentava garanzie ambientali sufficienti in caso di perdite di greggio, nè un adeguato piano di risposta. Questa decisione rappresenta un fattore importante nella battaglia per fermare un altro e ben più devastante progetto, l’oleodotto Keystone XL, che dovrebbe trasportare il greggio canadese per 3500 km fino in Texas e che è fortemente contestato dalla popolazione americana. Non si tratta di uno stop definitivo, ma ora i costi del progetto lieviteranno, i piani di sviluppo verranno rallentati, mentre il prezzo del greggio canadese continua a scendere in mancanza di una via di esportazione affidabile.

L’industria delle sabbie bituminose è una delle più inquinanti del pianeta: per ricavare una tonnellata di petrolio occorre scavare 14,6 tonnellate di sabbie, spendere 0,21 t equivalenti di petrolio con l’emissione di 0,58 t di CO2. L’industria petrolifera dell’Alberta ha devastato 715 km² di foreste ed è responsabile dell’ 8% delle emissioni dell’intero Canada. Con una certa velleità secessionista, lo stato dell’Alberta si vanta di essere la terza “nazione” al mondo per riserve di petrolio, dopo Arabia Saudita e Venezuela, con 23 Gt sepolte nelle sabbie bituminose: non è vero, per due motivi:

·                                 la cifra di 23 Gt potrebbe essere gonfiata, visto che in un solo anno, tra il 1998 e il 1999, la valutazione delle riserve è curiosamente passata da 6 a 23 Gt .

·                                 spendendo 1t di greggio se ne ricavano 4,76 (è il concetto di EROEI), per cui soltanto il 79% dell’energia è di fatto disponibile, ovvero 18 Gt (l’EROEI del greggio saudita è pari a 10, cioè è disponibile al 90%).

Come giustamente fa notare il NY Times, lo stop agli oleodotti potrebbe mettere fine non solo alla devastazione ambientale del Canada, ma anche alla sua erosione democratica; il governo conservatore minoritario canadese ha la sua base elettorale proprio nell’Alberta e nell’appoggio delle lobbies petrolifere. Non è un caso che abbia ridotto i finanziamenti alla ricerca sul clima e stia trasformando il Canada in un petro-stato come il Texas. Speriamo che il 60% dei canadesi che non li hanno votati riescano presto a trovare un accordo.

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Fonte:ecoblog