L’uomo è certamente l’essere
vivente più strano e inconcepibile che ci sia sulla faccia della terra. Di
sicuro non il più intelligente, dato che sta riuscendo ad autodistruggersi come
specie e portando con sé innumerevoli altri esseri viventi nella sua follia
suicida: sta provocando le sesta estinzione di massa.
L’uomo è certamente
l’essere vivente più strano e inconcepibile che ci sia sulla faccia della
terra. Di sicuro non il più intelligente, dato che sta riuscendo ad
autodistruggersi come specie e portando con sé innumerevoli altri esseri
viventi nella sua follia suicida: sta provocando le sesta estinzione di massa. Ci
sono tanti esempi eclatanti che dimostrano che dobbiamo ancora evolverci e
parecchio pure. Sulla terra l’80% della popolazione, che non vive nell’attico
del restante 20%, è in situazioni molto difficili o drammatiche a seconda dei
casi. Miseria, fame e disperazione determinati dal modello di sviluppo del
ricco 20% sono la quotidianità di miliardi di persone e i più cinici fra i
nostri simili dicono pure che è colpa loro, che sono sottosviluppati, che non
si danno da fare. Di fronte a tale situazione (che dovrebbe vederci tutti
impegnati fino a che l’ultimo dei nostri simili abbia una vita degna di questo
nome, cibo, riparo e serenità), si sprecano soldi, risorse, energia e
competenze nelle maniere più assurde e insensate in spregio e sdegno alla gente
in condizioni spaventose.
Uno dei modi più
eclatanti per sputare sulla povertà e dignità umana è la corsa fra le nazioni
per mandare equipaggi nello spazio. Conosciamo pochissimo della nostra terra, degli animali, dei vegetali,
dei processi naturali, ma nonostante ciò vogliamo andare nello spazio, senza
nessun motivo razionale e intelligente. Andare nello spazio è
estremamente dispendioso, non serve e in più è pericoloso perché lassù non ci
sono le condizioni per sopravvivere all’esterno nemmeno un minuto. La
mentalità tipicamente maschile di prevalere e primeggiare la si ha anche nella
corsa allo spazio, cioè la corsa al nulla. Gli americani andarono sulla luna
esclusivamente per farlo prima dei russi, piantarono una bandiera
americana (in un luogo dove non c’è letteralmente niente, il che già dà
la dimensione della follia) e se ne tornarono a casa. Come i cani che fanno la
pipì per marcare il territorio, solo che in questo caso la cosa è assai più
dispendiosa. Che non servisse a nulla andarci è dimostrato anche dal fatto che
sulla luna non c’è mai più andato nessuno. Ma ogni paese che abbia una potenza
economica ragguardevole cerca di entrare a fare parte del club dei marcatori
del territorio in qualche modo. Adesso l’obiettivo si è anche spostato ed è
diventato ancora più impegnativo e costoso. Qualche ricco miliardario ha deciso
che bisogna andare su Marte o fare passeggiate ed escursioni spaziali e quindi
via ad investimenti stellari per questa spaziale idiozia. Ma con tutti
i gravi problemi che ci sono nel mondo e negli stessi Stati che
concorrono alla corsa nello spazio, possibile non si capisca che tutti quei
soldi buttati in questa demenza potrebbero essere usati per risolvere i tanti e
drammatici problemi in cui quotidianamente si dibattono le persone a cui dello
spazio interessa più o meno che zero? Ma qui entra in gioco un fattore
fondamentale che è quello della immaginazione umana purtroppo indirizzata verso
direzioni assai discutibili. Lo spazio è l’ignoto e nell’ignoto si può
immaginare tutto quello che si vuole e quindi cinematografia, televisione e
letteratura ci hanno ricamato molto. E quando c’è di mezzo il condizionamento
dei media, del cinema, si accetta che si buttino soldi invece di utilizzarli in
maniera sensata. L’immaginazione, la fantasia, il sogno utilizziamoli per
fare stare meglio ogni persona e salvaguardare il nostro ambiente.
Scegliamo il tutto del pianeta Terra e non il nulla dello spazio. Anche perché
se non siamo capaci di preservare il nostro di pianeta e i suoi abitanti con
quale senso andiamo a colonizzare altri pianeti? Per rendere una pattumiera
pure loro? Meglio di no, meglio rimanere con i piedi ben piantati per terra e
la mente rivolta al benessere di tutti.
È in corso di esame alla CommissioneAffari Sociali della Camera la proposta di legge che introduce l’obbligo ditrasparenza nei passaggi di denaro tra aziende farmaceutiche e medici. Tra le organizzazioni e le associazioni del settore c’è chi è completamente favorevole e chi esprime anche “timori”…
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È all’esame della
Commissione Affari Sociali della Camera la proposta di legge soprannominata “Sunshine
Act italiano”, dal testo di legge analogo vigente in America che
detta le regole per la trasparenza nel passaggio i denaro tra Big Pharma e gli
operatori sanitari.
L’associazione “No Grazie Pago io” (operatori sanitari e medici che rifiutano qualsiasi
erogazione dalle aziende farmaceutiche) ha partecipato alle audizioni davanti
alla Commissione come parte della delegazione della Rete Sostenibilità e Salute (RSS), collaborando alla stesura e alla presentazione di una memoria messa
agli atti dalla commissione.
«La nostra memoria
– spiegano i NoGrazie – guarda con favore alla proposta di legge per un
Sunshine Act italiano; chiede che l’iter per la sua approvazione sia rapido e
che siano presi in considerazione altri attori, oltre a industria del farmaco e
medici, per esempio l’industria degli alimenti per l’infanzia e le associazioni
di pazienti». Anche Slow Medicine faceva parte della delegazione RSS; la loro
memoria è leggibile QUI
Le audizioni hanno
riguardato anche altri soggetti.
La FNOMCEO, per
esempio, ha sottolineato che “il Codice di deontologia medica già prevede
apposite disposizioni in materia di conflitto di interessi” e che “il Codice di
comportamento dei dipendenti pubblici … prevede che il dipendente pubblico deve
rispettare i principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità,
obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e agire in posizione di
indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi”, ma
“al tempo stesso non possiamo accettare che passi una cultura di criminalizzazione
e di pregiudizio nei confronti della intera categoria professionale medica. Noi
crediamo che eventuali strumentalizzazioni possano incrinare il rapporto di
fiducia che esiste tra medico e paziente e non siano funzionali al sistema
salute”.
La proposta di
legge per il Sunshine Act, tuttavia, riguarda solo la trasparenza delle
transazioni finanziarie tra industria e medici, senza criminalizzare o
strumentalizzare nessuno. Anche la Fondazione GIMBE ha partecipato alle
audizioni, facendo un
appello ad “evitare di demonizzare i trasferimenti di denaro, che non
necessariamente sono correlati a fenomeni corruttivi”.
«Rispettiamo
ovviamente tutte le posizioni – dicono i NoGrazie – ma non capiamo perché la
trasparenza incuta tanti timori».
Ecco il testo della
Memoria presentata dalla Rete Sostenibilità e Salute.
«Nel 2012, negli
USA, l’industria farmaceutica ha speso circa 27 miliardi di dollari in
promozione, di cui 3 per la promozione diretta al pubblico e 24 per quella
diretta ai medici (1). Dato che la spesa totale per farmaci è di circa 300
miliardi di dollari, la promozione rivolta ai medici vale circa l’8% di questa
spesa. Non è facile, e forse non è nemmeno possibile, trovare dati sulla spesa
per la promozione ai medici in Italia. Ma se la percentuale fosse simile a
quella USA, si tratterebbe di circa 2.4 miliardi di euro su una spesa
annuale per farmaci che si aggira sui 30 miliardi. E stiamo parlando solo
di farmaci, ai quali bisogna sommare la spesa per la promozione di tutti gli
altri dispositivi sanitari, per la diagnostica, per terapie non farmacologiche
di vario tipo, per la riabilitazione, per la nutrizione (compresa quella
infantile), ecc. Come sono spesi questi 2.4 miliardi di euro? Difficile
saperlo, ma dato che l’industria farmaceutica è globale, sono probabilmente
globali anche le strategie di marketing. La torta, quindi, non sarà molto
diversa da quella degli USA, nella figura qui sotto. Circa la metà dei soldi
potrebbero essere spesi per le attività dei rappresentanti, solo in Italia
chiamati informatori scientifici. Altre fette importanti riguardano la
distribuzione di campioni, il finanziamento di eventi formativi e la spedizione
di materiale promozionale di vario tipo. Vale la pena notare che a pagare per
tutto ciò sono i cittadini, visto che la spesa per marketing è sicuramente
integrata nel prezzo dei farmaci, sia che lo paghi direttamente il consumatore
sia che lo finanzi il sistema sanitario nazionale (SSN).
Che la spesa per
marketing dia un ritorno è più che certo. Nessun amministratore delegato potrebbe essere confermato da un’assemblea
annuale di azionisti se non potesse dimostrare che per ogni euro speso in
marketing ne introita 2 o 3 (questa è una stima, perché non ci sono dati a
disposizione, ma è una stima considerata verosimile). Questo ritorno si basa
ovviamente su un aumento di vendite dei prodotti oggetto di promozione
commerciale. Una revisione sistematica pubblicata nel 2017 mostra che le
attività mostrate nella figura qui sopra sono invariabilmente associate a un
aumento delle prescrizioni (in media di due volte e mezza), spesso
inappropriate e di minore qualità, e a un aumento relativo dei costi (2).
Prescrizioni con percentuali più elevate di farmaci ancora sotto brevetto
rispetto alle alternative equivalenti. Non stupisce che la spesa per il
marketing possa superare anche di due o tre volte quella per la ricerca e lo
sviluppo di nuovi farmaci (3).
La RSS ritiene che,
ai fini della sostenibilità del SSN, sia necessario regolare in maniera
restrittiva il marketing dei farmaci e di tutti gli altri dispositivi sanitari
e tecnologie diagnostiche, con l’obiettivo di ridurre l’eccesso, spesso
inutile o dannoso, e in ogni caso costoso, di prestazioni sanitarie (4). Ma per
regolare il marketing, bisogna conoscerlo. È quindi necessario, in primo luogo,
sapere nel modo più accurato possibile come l’industria della salute spende i
soldi che investe per la promozione rivolta ai medici e ad altri operatori
sanitari. Per questo, la RSS è favorevole al Sunshine Act (usiamo questo
termine per brevità e perché è ormai entrato nel linguaggio comune di chi si
occupa di questi temi), una legge che imponga trasparenza su tutte le
transazioni finanziarie (in denaro, beni o servizi) tra produttori di farmaci,
dispositivi medici o altri prodotti sanitari e operatori, associazioni e
istituzioni sanitarie.
Per essere
efficace, questa legge deve avere, secondo la RSS, le seguenti caratteristiche:
• obbligare a
notificare tutte le transazioni finanziarie, di qualsiasi tipo e per
qualsiasi valore che superi i 10 euro per singola transazione, o i 100 euro
annuali nel caso di ripetute transazioni di scarso valore.
• imporre severe
sanzioni in caso di mancata notificazione, o di tentativi di aggirare la
legge (per esempio con transazioni in nero, o a prestanome, o su conti esteri,
ecc.).
• inserire tutte le
transazioni, con dati identificativi da stabilire (compresa la ragione di ogni
transazione) in un registro pubblico che possa essere facilmente
consultabile e analizzabile da chiunque, dai semplici cittadini ai
rappresentanti delle istituzioni, passando per ricercatori e giornalisti.
Dovrebbe inoltre
applicarsi a transazioni finanziarie da parte di qualsiasi industria in qualche
modo relazionata con la salute. Per esempio, molte attività educative e di
ricerca dei pediatri sono sponsorizzate, oltre che dai produttori di farmaci
e vaccini, da quelli di alimenti per l’infanzia (Nestlé,
Mellin/Danone, Plasmon, Humana, ecc.), con conseguenze negative su inizio,
esclusività e durata dell’allattamento, e relativi danni alla salute di madri e
bambini (5,6). Queste transazioni devono essere coperte dalla legge. Infine,
dovrebbero ricadere nell’ambito della legge anche le transazioni nei confronti
delle associazioni di pazienti; alcune di queste sono infatti finanziate
dall’industria farmaceutica che ne approfitta per promuovere l’uso dei suoi
prodotti (7).
È fattibile mettere
in pratica un Sunshine Act italiano? Il fatto che una legge simile sia già
applicata in altri paesi da alcuni anni depone a favore di una risposta
positiva a questa domanda. Come si sa, il Sunshine Act è in vigore dal 2011
negli USA ed include attualmente informazioni sulle transazioni di oltre 2000
ditte con oltre 900.000 medici, per un totale annuale di circa 25 miliardi di
dollari (8). Ha permesso a ricercatori accademici, per esempio, di analizzare i
flussi finanziari a seconda della specializzazione dei medici (9,10). Ha
permesso ad associazioni per la difesa dei diritti dei cittadini di comprovare
che i medici che ricevono più soldi dall’industria farmaceutica tendono a
prescrivere più farmaci di marca (11). Ha permesso a giornalisti di
scoprire che un famoso oncologo di New York aveva omesso di dichiarare i
suoi conflitti d’interesse, del valore di oltre 3 milioni di dollari, nel
firmare articoli per importanti riviste scientifiche e nel promuovere
specifiche terapie per il carcinoma del seno in numerosi congressi, terapie che
avevano alternative meno costose e che si sarebbero per di più rivelate di
scarsa validità. L’oncologo ha dovuto rassegnare le dimissioni dopo che il New
York Times ha svelato i suoi legami con l’industria (12).
Leggi simili al
Sunshine Act USA sono in vigore da alcuni anni anche in alcuni paesi
dell’Unione Europea: Francia, Portogallo, Danimarca, Grecia, Romania, Lituania
e, ultimo arrivato, Belgio. La legge francese è più ampia di quella
statunitense e ha dei criteri di notificazione più stringenti, ma le multe in
caso di inadempienze sono minori (13). Sfortunatamente, oltre ai rapporti
annuali dell’amministrazione francese sui dati inseriti nel registro, non sono
disponibili articoli che analizzino volumi e distribuzione dei pagamenti ai
medici. Considerazioni simili valgono per le leggi negli altri paesi citati
dell’Unione Europea (14).
Anche se è presto,
eccetto per USA e Francia, per un giudizio sulla fattibilità di un Sunshine
Act, tutte le informazioni che abbiamo finora a disposizione tendono verso una
risposta positiva. Anche l’Unione Europea sembra convinta della fattibilità
della legge, visto che, attraverso il Progetto Anticorruzione e Trasparenza, ha
finanziato in Colombia l’elaborazione del Sunshine Act, e del relativo registro
pubblico delle notificazioni (15). Se si può fare in Colombia, è molto
probabile che si possa fare anche in Italia. Ci sono alternative? Alcune
multinazionali del farmaco, come per esempio la GlaxoSmithKline, hanno
dichiarato l’impegno a una totale trasparenza, in alcuni paesi, nei riguardi
delle loro transazioni finanziarie con medici e altri operatori sanitari. Un
simile impegno, a livello europeo, è stato preso da EFPIA (la Federazione
Europea delle Industrie e delle Associazioni Farmaceutiche) nel 2013. Si tratta
di un codice etico volontario, sia per le ditte sia per i medici, che facilita
la pubblicazione delle transazioni finanziarie su qualche tipo di registro
privato, cioè di proprietà delle ditte. Questa proposta è stata fatta propria in
Italia da Assobiomedica (16). Peccato che non funzioni. Innanzitutto perché il
fatto che sia volontario, e non obbligatorio, rende la trasparenza incompleta
per definizione. Poi perché la consultazione e l’analisi dei database è
praticamente impossibile: i dati sono in formato pdf, a volte non si può
nemmeno scaricare un file pdf ma si deve procedere a forza di screenshot, in
alcuni casi i dati sono in ordine alfabetico per nome e in altri per cognome,
in altri casi nomi e cognomi sono preceduti da prof e dott (per cui è
impossibile seguire un ordine alfabetico), raramente si riesce a scaricare i
dati in un formato analizzabile (tipo excel), per cui si dovrebbe copiarli uno
a uno. Si immagini il tempo di lavoro che ciò comporterebbe se si volessero
analizzare le transazioni finanziarie delle oltre 200 imprese che operano in
Italia (17).
L’inferiorità di un
sistema basato su codici volontari rispetto ad uno ispirato al Sunshine Act è
stata recentemente confermata da uno studio che ha condotto un’analisi comparata
in 9 paesi europei: Francia, Germania, Olanda, Gran Bretagna, Lettonia, Svezia,
Spagna, Portogallo e Italia.18 Oltre alla completezza, sempre superiore nei
sistemi di legge rispetto a quelli volontari, lo studio conferma la difficoltà
di accedere e soprattutto di analizzare i dati in questi ultimi. Gli autori
raccomandano un Sunshine Act europeo che standardizzi i registri sulle
transazioni finanziarie tra industria e medici in tutti i paesi, facilitando
così il compito di cittadini, giornalisti, associazioni, ricercatori e
istituzioni che desiderino analizzare i dati per semplice curiosità o per
capire se e come porre dei limiti a questo enorme passaggio di denaro, per
ridurne le conseguenze dannose. In conclusione, la RSS è a favore di una legge
come il Sunshine Act, purché sia efficace, risponda cioè alle caratteristiche
sopra elencate. La RSS, tuttavia, ritiene che il Sunshine Act non risolva tutti
i problemi. Dopo i primi due anni di funzionamento negli USA, per esempio, non
ha (ancora) portato a una riduzione delle transazioni finanziarie né in
quantità né in valore (19). Il Sunshine Act rende solo trasparenti queste
transazioni, permette di sapere quanto denaro passa di mano, da chi a chi e per
quali ragioni. Permette di identificare i conflitti di interesse finanziari
creati da queste transazioni. Potrebbe avere effetti a medio termine, come
conseguenze di scelte di consumatori più consapevoli, raggiunti da informazioni
più trasparenti relative a produttori ed erogatori di prestazioni sanitarie. Ma
in ogni caso, alla fin fine, spetterà al legislatore e a chi amministra il SSN,
auspicabilmente su pressione di gruppi di cittadini, decidere se transazioni e
conflitti d’interesse stanno causando danni alla salute dei cittadini e alla
sostenibilità del sistema, ed agire di conseguenza con altri interventi
2 Brax H et al. Association between physicians’ interaction with
pharmaceutical companies and their clinical practices: A systematic review and
meta-analysis. PLoS ONE 2017;12(4): e0175493
3 Gagnon MA, Lexchin J: The cost of pushing pills: a new estimate of
pharmaceutical promotion expenditures in the United States. PLoS Med
2008;5(1):e1
5 Piwoz EG, Huff man SL. The impact of marketing of breast-milk substitutes
on WHO-recommended breastfeeding practices. Food Nutr Bull 2015;36:373-86
6 McFadden A et al. Spotlight on infant formula: coordinated global action
needed. Lancet 2016;387:413-5
7 McCoy MS. Industry support of patient advocacy organizations: the case
for an extension of the Sunshine Act provisions of the Affordable Care Act. Am
J Public Health 2018; 108:1026-30
8 Litman RS. The Physician Payments Sunshine Act: implications and
predictions. Pediatrics 2018;141: e20171551
9 Agrawal S, Brown D. The Physician Payments Sunshine Act: two years of the
open payments program. N Eng J Med 2016;374:906-9
10 Parikh K et al. Industry relationships with pediatricians: findings from
the open payments Sunshine Act. Pediatrics 2016;137:e20154440
12 Top cancer researcher fails to disclose corporate financial ties in
major research journals. By Charles Ornstein and Katie Thomas, New York Times,
September 8, 2018
Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, non ha dubbi: «La finanza etica, cioè un modo equo di usare il denaro a beneficio della comunità, non è solo il futuro, è anche il presente. E ci attendiamo che anche la politica se ne accorga».
Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, rilancia sul presente e sul futuro, a fronte di risultati notevoli e importanti, indici di una sempre più diffusa sensibilità e consapevolezza dei benefici di un uso etico del denaro.
Qual è il valore oggi della finanza etica in un contesto che “vende” ben altri valori?
La finanza – se usata bene – è uno strumento efficace per far girare l’economia. Permette a chi ha del denaro che non gli serve nell’immediato di metterlo a disposizione – tramite istituti finanziari che offrono prodotti con diversi gradi di rischio e di rendimento – di chi invece ha bisogno di finanziamenti per avviare un’attività economica o comprare una casa. L’uso distorto e opaco di strumenti finanziari sempre più complessi ha portato a una deriva negativa della finanza, e l’ha allontanata dalle esigenze vere delle persone e delle comunità. La finanza etica nasce negli anni ‘90 proprio per proporre una finanza pulita, al servizio dell’economia reale e capace di selezionare i progetti su cui investire considerando non solo i ritorni economici, ma anche e soprattutto l’impatto sociale e ambientale. La finanza etica, in poche parole, offre a risparmiatori e investitori la possibilità di gestire il proprio denaro – tanto o poco che sia – con la certezza che esso sarà utilizzato per finanziare progetti che non danneggiano l’ambiente e fanno bene alle comunità. Ad esempio: non finanziamo centrali nucleari o a carbone, ne produttori di armi, ma diamo credito ad asili nido, imprese per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, startup innovative sul piano sociale, imprese che producono e distribuiscono energia da fonti rinnovabili o gestiscono in sicurezza il ciclo dei rifiuti. Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito a una forte crescita dell’attenzione e dell’interesse delle persone, delle imprese e delle istituzioni per le tematiche di responsabilità sociale e ambientale: quindi non direi che vendiamo valori poco condivisi, anzi!
Il “sistema” per come lo conosciamo vi ritiene un pericolo?
Quando Banca Etica è nata, 20 anni fa, il sistema bancario tradizionale più che vederci come un pericolo, pensava che non ce l’avremo fatta. E invece Banca Etica ha dimostrato rapidamente di essere in grado di stare in piedi sulle sue gambe. Il capitale sociale, la raccolta di risparmio, gli impieghi, i dipendenti: continuiamo a crescere anno dopo anno, anche nel pieno della crisi. E facciamo anche utili, che reinvestiamo per migliorare le nostre attività. Oggi il sistema si è appropriato dei nostri temi, e usa il nostro stesso linguaggio: anche se per ora spesso si tratta solamente di operazioni di greenwashing, ne siamo soddisfatti. L’effetto contagio era uno degli obiettivi che ci eravamo dati quando abbiamo fatto nascere Banca Etica.
I decisori politici vi hanno sempre visto con diffidenza o sono state anche adottate misure che agevolano la scelta della finanza etica? Se sì, quali?
Negli ultimi anni abbiamo ottenuto importanti riconoscimenti legislativi. A fine 2016 il parlamento italiano è stato il primo in Europa a riconoscere e definire per legge le banche etiche (per ora in Italia siamo solo noi). A fine 2017 un’altra legge ha stabilito che gli investimenti in finanza etica vanno esclusi dalle partecipazioni che gli enti locali sono obbligati a dismettere in virtù della legge Madia. Anche in Europa, stiamo riscontrando un forte interesse da parte della Commissione UE sulle nostre attività.
Quali sono i temi e le misure più urgenti, nel vostro campo, di cui secondo voi il prossimo governo italiano dovrebbe curarsi?
Ai partiti che si candidano a Governare l’Italia per i prossimi 5 anni chiediamo impegni sul piano nazionale e internazionale per arginare la speculazione finanziaria, anche attraverso una Tobin Tax; per porre un serio argine all’emorragia di risorse per il bene comune causata dai paradisi fiscali. Sul piano operativo chiediamo che vengano approvati i decreti attuativi della legge italiana sulla finanza etica e che – a fronte di una definizione seria di quali si possono veramente definire investimenti e prodotti finanziari etici – venga previsto qualche incentivo fiscale per i risparmiatori che scelgono la finanza etica.
Avete fiducia nella politica e c’è qualcuno nel panorama politico attuale che vede positivamente il vostro lavoro?
Noi parliamo spesso di “voto con il portafoglio” per dire alle persone che possono contribuire a tracciare la direzione in cui va il mondo in cui viviamo, non solo quando vanno nelle urne, ma ogni giorno, quando scelgono cosa comprare, come consumare e come investire. Detto ciò, abbiamo fiducia nella politica, che è alla base dei sistemi democratici. Tra i politici italiani che ne sono tanti che sono soci e clienti di Banca Etica e che rappresentano per noi interlocutori importanti con le istituzioni. Appartengono a diversi schieramenti.
Gli investimenti e il risparmio “etico” crescono costantemente e molte banche tradizionali fiutando il business hanno istituito investimenti ad hoc. Come vi differenziate?
Siamo felici che le tematiche di responsabilità sociale e ambientale siano oggi al centro delle azioni di marketing di molti istituti finanziari che si sono accorti del grande interesse del pubblico. Noi siamo diversi da tutti gli altri perché siamo nati esclusivamente per fare finanza etica. Le altre banche – per ora – trattano il prodotto di investimento etico come uno dei tanti prodotti a scaffale. E’ come essere al supermercato: puoi scegliere il cioccolato equo e solidale o quello prodotto sfruttando i lavoratori. Da noi c’è solo quello equo e solidale. Inoltre la nostra analisi è molto scrupolosa e a 360°. Abbiamo notato che invece alcune banche propongono come investimento etico quello che per esempio esclude i produttori di armi, ma non le centrali nucleari. Credo anche che ci differenziamo dagli altri per un continuo e concerto sforzo di trasparenza verso i clienti: vogliamo che siano realmente consapevoli dei costi, e dei rischi dei prodotti finanziari che sottoscrivono.
Sono ormai circa venti anni dalla nascita di Banca Etica, vi aspettavate di avere una risposta così positiva dalle persone in merito alla vostra proposta di una finanza diversa?
A livello mondiale l’1% di persone detiene una ricchezza pari a quella del restante 99%: la questione delle disuguaglianze è un tema assai dibattuto, ma ci si dovrebbe chiedere chi contribuisce a fare diventare i ricchi sempre più ricchi.
Se ad esempio mangio da Mc Donald’s, bevo Coca Cola, acquisto prodotti della Nestlè, investo in azioni speculative, metto i miei soldi in banche ben poco etiche, non potrò poi sorprendermi che immense ricchezze siano in pochissime mani che sempre più si arricchiscono e sempre più impoveriscono gli altri; non potrò sorprendermi dell’effetto serra, della desertificazione dei suoli, dell’inquinamento massiccio, dello sfruttamento di schiavi in tutto il mondo, perché io contribuisco indirettamente a tutto questo. Nel mondo vetrina in cui l’unica cosa che conta sono i soldi, chi è già ricco, grazie alla finanza, al controllo dei mass media, attraverso la politica connivente e alla pubblicità, avrà sempre più possibilità di arricchirsi. Nella legge del mercato chi è grande vuole diventare più grande per mangiarsi gli altri. E’ esattamente il nostro sistema di competizione, dove la distruzione della concorrenza è obiettivo prioritario e dove plotoni di coach, counselor, esperti e consiglieri vari, forniti di lauree e lunghi pedigree, attraverso grandi sorrisi e metodologie spesso made in USA, suggeriscono alle ditte e ai manager in ogni modo possibile, comprese le varie trovate mistiche, meditative e new age, su come prevalere sui concorrenti e vendere alla gente qualsiasi prodotto. E alla fine della catena chi c’è? Ci sono il consumatore e l’investitore che con le loro scelte consentono a chi è già ricchissimo di diventarlo ancora di più. Un sistema che non mette nessun freno alla crescita dei patrimoni, che benedice il denaro, che santifica chi è capace di arricchirsi velocemente e lo tratta come un genio o un divo, è chiaro che si sta facendo del male da solo. Poiché ci si dimentica che chi fa tanti soldi, veloce e in fretta, di solito non si comporta in maniera filantropica o con attenzione all’ambiente e se sporadicamente lo fa è solo per ragioni di immagine, non certo perché ha a cuore gli altri o il mondo, altrimenti molto probabilmente si sarebbe posto ben altri obiettivi che non esclusivamente arricchirsi. Da un punto di vista culturale sarebbe poi assai educativo smettere di pensare che chi è ricco e ha successo attraverso i soldi, sia una persona da imitare, da prendere ad esempio. Spesso chi fa tanti soldi non ha altra motivazione e scopo, come fosse una droga, una malattia e ne ha così tanti che non sa più nemmeno come spenderli.
Quindi, chi fa diventare i ricchi sempre più ricchi, almeno nei paesi occidentali e nei cosiddetti paesi emergenti che ci seguono nella strada del consumismo folle, è proprio gran parte della popolazione che si lamenta che i ricchi sono sempre più ricchi. Per farli diventare meno ricchi e diminuire le disuguaglianze, basterebbe comprare il meno possibile i loro prodotti e investire il meno possibile nelle loro azioni. In fondo non è difficile, ormai in rete si trovano notizie di qualsiasi patrimonio, ditta, banca e multinazionale per rendersi conto a chi si stanno dando i propri soldi. Se ciò non bastasse, ormai da anni è disponibile la guida al consumo critico che facendo un lavoro egregio dà dettagliate informazioni su multinazionali e affini.
In genere si pensa che la soluzione alle diseguaglianze sia redistribuire la ricchezza, il che sarebbe giusto per chi non ha nulla o quasi nulla; ma che senso ha dare più denaro a chi ne ha e li spreca costantemente? Uno dei motivi dei grandi disastri ambientali e sociali è proprio il consumismo. Avere a disposizione maggiori soldi spesso significa maggiori consumi e di conseguenza ingrassare ancora di più l’1%. Se non si cambia profondamente il sistema di valori, più soldi si distribuiscono, a chi comunque ha già tutto e più si comprano merci superflue arricchendo gli stessi responsabili delle disuguaglianze. Invece che maggiori soldi si dovrebbero avere meno esigenze, soprattutto se indotte da un sistema pubblicitario martellante e costante che ci fa nascere bisogni assolutamente non necessari ma altamente impattanti. Basta guardare le pubblicità in televisione, internet, giornali e riviste per rendersene conto: su 100 pubblicità ce ne potrà essere forse solo una di un prodotto che serve realmente. Tutto il resto è costituito da prodotti di cui potremmo benissimo fare a meno e, non comprandoli, ci basterebbero meno soldi per vivere e dovremmo lavorare meno. Non si capisce infatti come mai si dica che siamo in crisi e allo stesso tempo siamo sommersi di pubblicità di automobili, profumi e cosmetici, gioielli, orologi di marca, vestiti e moda in genere, accessori per cani e gatti (indispensabili in tempi di carestia) costantemente in crescita, giochi d’azzardo, cellulari sofisticatissimi e via di questo passo. Se avessimo più soldi li getteremmo ulteriormente in tutti questi e altri oggetti simili che servono solo ad arricchire chi è già ricco sfondato. E dando meno soldi a loro si riducono anche gli abusi, gli sfruttamenti degli schiavi che lavorano per i super ricchi e ci permettono di avere moltissimi prodotti a prezzi irrisori che riempiono le nostre case. Per fermare i giganti dell’1% che grazie anche alla nostra complicità, sfruttano, affamano e non hanno nessun rispetto per l’ambiente, bisogna togliere loro il nostro appoggio, comprare il meno possibile i loro prodotti, non investire nelle loro azioni e non supportare le banche che li tengono in vita.
Sembra un passo piccolo e insignificante ma invece è l’inizio di un cammino di liberazione.
Grandi ong, miliardari, fondazioni, denaro: ecco la fitta rete di rapporti e relazioni che unisce chi il potere e il denaro li ha e li usa.
Trilateral Commission, giugno 1991. David Rockfeller dice: “Siamo grati al Washington Post, al New York Times, a Time Magazine e ad altre importanti pubblicazioni i cui direttori hanno partecipato alle nostrie riunioni e rispettato la promessa di discrezione per quasi quarant’anni… Sarebbe stato impossibile per noi sviluppare il nostro piano mondiale se fossimo stati esposti alle luci della pubblica opinione in questi anni. Ma il mondo ora è più evoluto e preparato a imcamminarsi verso un governo mondiale. La sovranità sovranazionale di un’élite intellettuale e degli uomini d’affari mondiali è sicuramente preferibile alla sovranità nazionale praticata nei secoli passati”.
La Commissione Trilaterale è una di quelle istituzioni sovranazionali con le quali i potentati economici pensano di dominare il mondo: uno strumento di elaborazione e progettazione della dittatura mondiale. Va da sé che i “mezzi di comunicazione di massa” non possono non avere un ruolo fondamentale per chi vuole dominare il mondo.
“Cosa facciamo stasera, prof? Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo! Tentare di conquistare il mondo!”
Giornali, radio e televisioni (e internet per quanto possibile) devono essere sotto il loro controllo. E così è. “Siamo grati al Washington Post… e ad altre importanti pubblicazioni”. Non è il caso di elencarle tutte, evidentemente. In realtà, il dominio funziona solo se i popoli si sottomettono, ma ingannarli, confonderli, frastornarli, fuorviarli con “notizie false, esagerate, tendenziose” aiuta molto a renderli passivi, confusi, divisi, pieni di contraddizioni. In una parola, a sottometterli. L’inganno, l’occulta censura, la mistificazione sono uno strumento imprescindibile per i dominatori. Dire il falso, tacere il vero: questo potrebbe essere il motto, oggi, dei grandi mezzi di comunicazione. Quando l’Impero però comincia a decomporsi, quando per tenere in piedi la sua struttura scricchiolante e marcescente deve vessare e opprimere e distruggere senza più alcuna mediazione o inibizione, l’inganno diventa più difficile, il malcontento e la diffidenza popolare diventano imponenti e problematici da contrastare o “convogliare”. Allora l’inganno diventa un’arte e richiede nuovi attori. Per questo nella “troupe” a quel punto entrano le grandi ONG, o associazioni non-profit, o “Charity” come dicono gli inglesi. Associazioni di “carità”; cioè che chiedono a noi la carità mentre i loro funzionari e dirigenti, detti “volontari”, prendono stipendi invidiabili o addirittura, i dirigenti, barche di quattrini. Volontari. Non deve essere difficile trovare chi abbia una tale volontà. E come fanno a diventare grandi, le grandi ONG? Coi soldi degli stati e dei capitalisti.
Amnesty International è finanziata dalla Commissione Europea, dal governo britannico, dalla Open Society Georgia Foundation del famigerato benefattore internazionale George Soros, solo per citarne alcuni. Irene Khan, direttrice di Amnesty, suscitò lo sdegno degli stessi attivisti andandosene con una “liquidazione” di 500.000 sterline nel 2009. Suzanne Nossel, altra direttrice di Amnesty nel 2012-2013, aveva prima lavorato per multinazionali USA della comunicazione, per il Wall Street Journal, per il Dipartimento di Stato USA dove si era distinta per le sue posizioni filoisraeliane e a favore dell’intervento USA in Afganistan. Non per niente Colin Powell dichiarò che “le ONG sono per noi una forza altrettanto importante dei combattenti armati”. L’attuale direttore di Amnesty, Salil Shetty, prende uno stipendio annuale di 210.000 sterline. Passiamo a Save the Children, cacciata da Pakistan e Siria con l’accusa di lavorare per la CIA, che prende soldi da: Chevron, Exxon Mobil, Merck Foundation, Bank of America e molte altre multinazionali citate come sponsor sul suo sito, tra le quali naturalmente varie industrie chimiche e chimico farmaceutiche, oltre che dall’immancabile Soros e dai due benefattori mondiali Bill e Melinda Gates, dall’Unione Europea e dal governo britannico (alla faccia delle organizzazioni non governative). Uno dei suoi passati direttori, Justin Forsyth nel 2013 prendeva un salario di 185.000 sterline per salvare i bambini. Era stato prima direttore di Oxfam, poi consigliere di Tony Blair, poi direttore delle “campagne strategiche di informazione” di Gordon Brown; adesso è direttore UNICEF. Decisamente un uomo per tutte le stagioni. O forse è sempre la stessa? Nel 2014 lo stipendio (chiamiamolo così) massimo di un dirigente di Save the Children UK era di 234.000 sterline. Nel bilancio di Save the Children International il dirigente con la paga più alta prendeva 387.000 dollari. Medici senza Frontiere nel 2010 aveva un bilancio di 1,1 miliardi di dollari. Nel 2014 il direttore di MSF USA (Doctors Without Borders) prendeva uno stipendio di 164.000 dollari l’anno, però per risparmiare viaggiava in aereo in “economic class”. Tra i finanziatori di Medici Senza Frontiere ci sono Goldman Sachs, Citigroup, Bloomberg, e Richard Rockfeller, padrone e dirigente di svariate multinazionali, è stato per ventun anni presidente della filiale USA di questa organizzazione caritatevole che si è trovata spesso in situazioni ambigue sui teatri di guerra, accusata di essere di parte e non necessariamente dalla parte giusta. Accusata di lanciare falsi allarmi per false epidemie che però richiedevano vere campagne di vaccinazione. Naturalmente, anche qui non mancano Soros e Bill Gates.
E via incamerando. E redistribuendo, perché no? Vaccini a vagonate, per esempio.
Bill Gates e consorte sono proprietari delle ditte farmaceutiche che producono vaccini, danno soldi a Save the Children e Medici senza Frontiere, che ne trattengono quel che serve per i propri stipendi e il resto lo restituiscono ai patron Gates comperando i loro vaccini. I Gates scalano dalle tasse le “donazioni” che sono rientrate nelle loro tasche, i bambini africani e indiani vengono rimpinzati di vaccini e tutti vivono felici e contenti. O no?
Della Commissione Trilaterale, lo dice la parola stessa, fanno parte tre “branche” del dominio: uomini d’affari (e con questo s’intende dirigenti e padroni di multinazionali private e pubbliche), politici (ma solo del tipo che rappresenta gli interessi dei succitati uomini d’affari), intellettuali (idem). Degli intellettuali membri della tribù trilaterale (loro sì che “fanno rete”!) fanno parte qualche vagone di docenti universitari e rettori di università di tutto il mondo, camionate di giornalisti e direttori di giornali e media vari e… parecchi funzionari della CIA. Ma è interessante notare come la maggior parte di costoro saltellino dall’uno all’altro dei tre rami dell’albero trilaterale come allegri uccellini. Forse per ingannare la vista.
Ed è quello che fanno anche i dirigenti delle grandi e ricche ONG. Paolo Magri, segretario generale del gruppo italiano della Trilateral Commission, è direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, docente di Organizzazioni internazionali all’università di Pavia, docente al master in Comunicazione per le Relazioni Internazionali della IULM, membro della consulta tecnica della fondazione Giordano dell’Amore (microfinanza) e del consiglio d’indirizzo della fondazione Italia-Russia, funzionario dell’ONU e collaboratore della Italcementi e… vicepresidente del CESVI. Una delle più grosse e importanti ONG italiane, che “risponde alla fame nel mondo, all’assistenza sanitaria e alle emergenze umanitarie”.
Il capitalismo globale sa che l’inganno e il tradimento sono armi fondamentali per vincere le guerre e, nella sua guerra globale, le utilizza a piene mani. Sa anche che il lavoro d’équipe è quello che dà i migliori risultati. In questo lavoro d’équipe le grandi ONG sono il nuovo strumento dell’imperialismo e del neocolonialismo. Dietro le apparenze, che ingannano tante brave e generose persone, volontari e donatori, ci sono interessi economici, politici e strategici perseguiti con maschere ingannevoli (ma sempre meno ingannevoli) e dietro regie occulte (ma sempre meno occulte).
Un’organizzazione indigena del Perù ha fatto causa al governo per non aver protetto le tribù incontattate dalle invasioni e dalle prospezioni petrolifere. Perché il denaro non valga più dei diritti umani…
AIDESEP, l’organizzazione nazionale indigena, sta portando in tribunale il Ministero della Cultura del Perù per non aver rispettato l’obbligo legale di mappare e creare cinque nuove riserve indigene, e di proteggere i popoli estremamente vulnerabili che vi vivono. Lo fa sapere l’organizzazione Survival International.
«Nel 2007, il Perù aveva concesso alla compagnia petrolifera canadese Pacific E&P il diritto di effettuare esplorazioni a Yavari Tapiche, un’area all’interno della frontiera dell’Amazzonia incontattata già proposta come riserva indigena – spiega l’associazione per i diritti del popoli indigeni – L’AIDESEP chiede da 14 anni che la riserva venga istituita, mentre Survival International sta conducendo una campagna internazionale per il diritto dei popoli incontattati a determinare autonomamente il proprio futuro. I ricercatori temono che gli Indiani incontattati che vivono nell’area possano essere spazzati via dalla violenza di esterni e da malattie verso cui non hanno difese immunitarie. Gli operai che lavorano all’estrazione del petrolio rischiano di entrare in contatto con i popoli isolati; inoltre, il processo di prospezione petrolifera prevede la detonazione di migliaia di cariche sotterranee che fanno fuggire la selvaggina da cui gli Indiani dipendono».
«I Matsés, che vivono vicino all’area proposta come riserva, protestano contro il governo, che non ha proibito le prospezioni petrolifere. Nel corso di una recente riunione indigena, un uomo della tribù ha dichiarato: “Non voglio che i miei figli siano distrutti dal petrolio… Ecco perché ci stiamo difendendo… E perché noi Matsés ci siamo uniti. Le compagnie petrolifere… ci stanno insultando e noi non resteremo in silenzio mentre ci sfruttano nelle nostre terre ancestrali. Se necessario, moriremo lottando contro il petrolio.” Un’altra organizzazione indigena, ORPIO – prosegue ancora Survival – sta portando in tribunale un altro caso contro la minaccia di prospezioni petrolifere». «Le tribù incontattate sono i popoli più vulnerabili sul pianeta, ma sembra che le autorità del Perù considerino i profitti della compagnia petrolifera più importanti della terra, delle vite e dei diritti umani dei popoli” ha commentato Stephen Corry, Direttore generale di Survival. «Il fatto di non aver creato riserve indigene non è solo una catastrofe ambientale, ma potrebbe anche spazzare via per sempre intere popolazioni».
In sintesi:
– AIDESEP è l’organizzazione nazionale del Perù per gli Indiani amazzonici. Lavora per difendere i diritti umani degli indigeni peruviani.
– AIDESEP ha presentato una Domanda legale di Adempimento (Demanda de Cumplimiento) alla Corte Superiore di Giustizia di Lima, con il sostegno dell’organizzazione legale IDL.
– Il Ministero peruviano della Cultura è responsabile della mappatura e della protezione dei territori indigeni. In Perù, le terre delle tribù incontattate dovrebbero essere protette per legge ma, in realtà, questa protezione è spesso inadeguata o inesistente.
– Il Perù ha inoltre ratificato la Convenzione ILO 169, la legge internazionale per i popoli indigeni, che richiede di rispettare i diritti umani e territoriali dei popoli indigeni.
– Tra le tribù incontattate della frontiera dell’Amazzonia incontattata che potrebbero essere spazzate via senza una solida protezione territoriale ci sono anche membri incontattati dei Matsés.
– Molti Matsés furono contattati con la forza dai missionari americani nel 1969, a seguito di violenti scontri con i coloni dell’area. Il contatto ha portato violenze e malattie, e ha ucciso molti membri della tribù.
– Le cinque riserve proposte sono: Yavari Tapiche, Yavari Mirim, Sierra del Divisor Occidental, Napo Tigre e Cacataibo.
Delle tribù incontattate sappiamo molto poco. Ma sappiamo che nel mondo ce ne sono oltre un centinaio. E sappiamo che intere popolazioni sono sterminate dalla violenza genocida di stranieri che le derubano di terre e risorse, e da malattie, come l’influenza e il morbillo, verso cui non hanno difese immunitarie. I popoli incontattati non sono arretrati o primitivi, né reliquie di un remoto passato. Sono nostri contemporanei e rappresentano una parte essenziale della diversità umana. Quando i loro diritti sono rispettati, continuano a prosperare. Le loro conoscenze, sviluppate nel corso di migliaia di anni, sono insostituibili. Sono i migliori custodi dei loro ambienti. E le prove dimostrano che i territori indigeni costituiscono la migliore barriera alla deforestazione.
Al giorno d’oggi sembra che tutto sia basato sul denaro e che creare qualcosa senza l’ausilio di quest’ultimo sia impossibile. Ma c’è anche chi non la pensa in questo modo e crede fortemente che i soldi non siano così indispensabili, al punto da riuscire a realizzare una comunità che mette il dono come filosofia di vita e di crescita reciproca. È la storia del gruppo ALVISE, nato per volontà di Marco Conti, 49 anni, di Alpignano in provincia di Torino.
MarcoConti è il fondatore del gruppo ALVISE e ci racconta come è partito il progetto e come si è evoluto.
“Tutto è nato 2 anni fa grazie alla lettura del libro L’uomo senza soldi. Vivere facendo completamente a meno del denaro di Mark Boyle. La base è la freeconomy, la gratuità, che si realizza con lo scambio di beni materiali e di abilità intellettuali e manuali. Volevo fondare un gruppo in cui la generosità, l’atto di dare senza aspettarsi nulla in cambio, costituisse le fondamenta. Il denaro non è infatti indispensabile per vivere: anche se non esistesse, l’esistenza dell’uomo sulla terra potrebbe comunque continuare grazie agli scambi e al baratto. L’avvio del gruppo è stato un po’ travagliato: ne avevo inizialmente parlato a un amico che aveva le mie stesse esperienze nell’ambito ecologico e da questo scambio di opinioni ne è emersa una prima riunione in cui abbiamo aderito in otto. Purtroppo non si riusciva facilmente a trovare delle linee guida e per questo le iniziative non partivano: facevamo continue riunioni senza concludere nulla e presto l’entusiasmo iniziale si spense. La svolta c’è stata nel gennaio 2016, quando il gruppo iniziale ha abbandonato ALVISE decretandone la fine. Io invece ne ho visto il potenziale e da solo ho ripreso la situazione, dapprima con laboratori di autoproduzioni, poi con i corsi di yoga, reiki e meditazione che hanno incrementato notevolmente il numero degli iscritti. Non c’è un direttivo, ma ci si basa sulla voglia di fare e di trovarci insieme.”
Cosa significa il nome ALVISE e su cosa si basa?
“ALVISE è un acronimo che sta per “ALpignano VIve SEnza”, cioè senza denaro, senza spreco e senza inquinamento: è un gruppo spontaneo autogestito di mutuo aiuto senza scopo di lucro che comunica principalmente su WhatsApp (standard e broadcast) libero a tutti, che conta ora circa 330 iscritti in continuo aumento. C’è chi dona il proprio sapere e tempo conducendo corsi e lezioni, chi mette a disposizione gli spazi, chi prepara piacevoli aperitivi autoprodotti da consumare a fine incontro, chi regala oggetti che non utilizza più affinché trovino una nuova vita. Insieme diamo corpo a un’economia del dono, della condivisione, dello scambio e del baratto degli oggetti ed organizziamo incontri dove ognuno di noi porta ed acquisisce saperi e conoscenze.”
Quali sono le iniziative che avete organizzato finora e quali quelle in programma in futuro?
“Abbiamo fatto corsi di autoproduzione (tortelli, sapone, detersivi, gelato, pizza) ed esperienziali (thai chi, medigym, yoga, meditazione, reiki, seduzione, musica, postura), parlato di risparmio energetico e di alimentazione, visionato documentari ed approfondito stili di vita a noi vicini come la Semplicità Volontaria. Non sono mancati momenti di svago con cene vegetariane/vegane, gite culturali e visite ad ecovillaggi. Altri ambiti del nostro agire sono la sostenibilità ambientale, il rispetto per tutti gli animali (umani e non), la lotta allo spreco alimentare e la riduzione dei rifiuti. Tra dicembre ’16 e gennaio ’17 abbiamo in programma esperimenti di socializzazione, una costellazione familiare, lezioni di acrobazia aerea, appuntamenti con psicologhe ed osteopata, la presentazione di un libro, conosceremo il Metodo Bates x migliorare la vista in modo naturale. Ad ALVISE occorrono solo dai 3 ai 5 giorni da quando si pensa a quando si realizza un evento. In genere ci ritroviamo presso parchi pubblici o in case private in modo da non dover sostenere i costi per l’affitto di una sala: cucine, sale da pranzo, tavernette, orti e giardini vengono usati per le varie attività. In questo modo le persone aprono le loro porte per accogliere sconosciuti che possono diventare nuovi amici. Agli incontri c’è sempre tanta voglia di stare insieme e di rivedersi.”
Da chi è composto il gruppo?
“Principalmente sono donne, per il 78% degli iscritti. In generale, i membri del gruppo hanno in media un’età compresa tra i 40 ed i 60 anni e sono laureati per il 90%. Tra di noi ci sono insegnanti, architetti, medici, infermieri, registi, ecodesigner, farmacisti, inventori, ingegneri, avvocati, psicologi, antropologi ed anche operai, casalinghe e pensionati.” Insomma, è un gruppo molto ricco e variegato. Quali sono i costi per portare avanti tutti questi progetti?
“Tutte le iniziative di ALVISE sono gratuite: chi organizza, ospita o partecipa non ssostiene spese: ciò consente a tutti di potervi accedere. Unici requisiti richiesti sono la curiosità e la volontà di fare nuove esperienze e conoscenze. Siamo anche da stimolo verso chi pensa che senza denaro non si possa organizzare nulla. Al centro del gruppo, infatti, c’è la persona e i rapporti che si vengono ad instaurare attraverso una rete di collaborazione e condivisione. ALVISE ALpignano VIve SEnza è un’opportunità di crescita nella ragione in cui sapremo coglierne la forza del progetto, che vediamo espandersi quotidianamente con l’ingresso di nuovi amici, idee, competenze, collaborazioni.”
La gentilezza non ha età: non è mai troppo tardi per fare un gesto disinteressato, come ha dimostrato una coppia non più giovanissima, residente a Grandville, cittadina del Michigan (USA). Un sabato pomeriggio, Riley e Hermi Combs (nella foto sotto) sono usciti di casa e si sono piazzati al centro di un incrocio molto trafficato della loro città ed hanno cominciato a fermare gli automobilisti di passaggio non per chiedere loro soldi, ma – al contrario – per regalarli. La simpatica coppia ha stazionato al semaforo tra Byron Center Avenue e la 44th Street ed ha elargito 100 banconote da 1 dollaro l’una a 100 automobilisti, dapprima sbalorditi e poi divertiti.
E i due coniugi hanno fatto tutto questo tenendo in mano un cartello con la scritta: “NO, NON sono un senzatetto e NON ho fame.Posso darti 1 dollaro?“. La nipote della coppia ha dichiarato alla stampa che i nonni avevano maturato l’idea del semaforo già da qualche settimana e che la nonna si è divertita da matti a metterla in pratica. Mentre Ami, la figlia di Riley e Hermi, ha spiegato che questa non era affatto la prima volta che i suoi genitori distribuivano regali o denaro a perfetti sconosciuti. “Hanno comprato anche biglietti dell’autobus che valevano un mese e li hanno distribuiti in modo del tutto causale”, ha detto Ami. “Sono molto attivi nella nostra comunità. Sono persone davvero fantastiche”.
per rimediare ai propri errori e lo dimostra la storia di un uomo tormentato dal senso di colpa per aver derubato la sua scuola quando aveva solo 12 anni: e così, dopo 17 anni, ha deciso di inviare alla scuola una lettera di scuse e una busta piena di soldi. E’ successo in California, a Nevada City, dove James Berardi – preside della Grizzly Hill Elementary School – si è visto recapitare una lettera scritta a mano, firmata e accompagnata da 300 dollari. Nella lettera, il mittente spiegava che 17 anni fa, quando frequentava la scuola ed aveva solo 12 anni, aveva rubato dei soldi che dovevano essere destinati ad una gita scolastica o alla festa di fine anno. “Ho fatto irruzione a scuola”, ha scritto l’autore della lettera, di cui non è stato reso noto il nome, “poco prima della fine dell’anno scolastico. Ho rubato il denaro di alcune classi (che lo avevano messo da parte per una gita o per la festa di fine anno) e, dall’ufficio del preside, ho rubato alcuni oggetti che erano stati confiscati. Ho rotto qualche serratura e i telai di alcune finestre. Non so esattamente quant’è costato riparare i danni, né quanti soldi avevo rubato. Secondo i miei calcoli, dovrebbero essere 300 dollari. Ho allegato alla lettera questa cifra per rimediare a ciò che ho fatto, per cercare di risarcire i danni e riparare ai miei errori”. La bella missiva, infine, si chiudeva con questa frase: “Se, a scuola, lavora ancora qualcuno che si ricorda di questo episodio e ritiene che 300 dollari non siano sufficienti a coprire i danni, non esitate a contattarmi”. Il preside Berardi ha subito contattato l’ex allievo per ringraziarlo del bellissimo gesto e per comunicargli che i soldi inviati erano più che sufficienti. Ed ha commentato, visibilmente commosso: “Mi auguro che questo gesto gli abbia dato la serenità che stava cercando. Forse l’ha fatto per liberarsi da un grosso peso o dal senso di colpa”. Secondo gli insegnanti della Grizzly Hill School la lettera vale molto più del denaro che conteneva, perché ha dato agli studenti un’importante lezione di vita. “Questa persona ha fatto una cosa sbagliata”, ha sottolineato Willow De Franco, “E forse si è sentita così male e così in colpa per aver fatto scelte sbagliate, che alla fine ha deciso di rimediare al suo errore”.
Un ragazzo di 19 anni, dipendente di una tavola calda ha sorpreso tutti i clienti difendendo un cliente non vedente che aveva appena subito un furto di denaro e compiendo nei suoi confronti un inaspettato atto di altruismo e generosità. Il suo nome è Joey Prusak. Joey vive e lavora ad Hopkins – cittadina del Minnesota, non lontana da Minneapolis – presso una famosa catena di fast food e gelati, fin da quando aveva 14 anni e conosce tutti i clienti abituali, tra i quali un signore non vedente.
Qualche giorno fa è successo che l’uomo, dopo aver fatto lo scontrino, ha accidentalmente fatto cadere a terra una banconota da 20 dollari. Dietro di lui, una signora ha subito raccolto la banconota, ma, invece di restituirgliela, l’ha infilata nel suo portafoglio.Joey ha assistito incredulo a tutta la scena e, quando la signora è arrivata al banco, le ha chiesto di restituire i 20 dollari al legittimo proprietario.
“Mentre metteva in tasca il resto, l’uomo ha fatto cadere a terra una banconota da 20 dollari. Sapevo che non se ne era accorto. La signora che era dietro di lui”, ha raccontato Joey, “ha raccolto i soldi così velocemente che non ho avuto il tempo di dire: Signore, le sono caduti. Lui si stava già allontanando e ho pensato che la signora li avesse raccolti per restituirglieli… e invece li ha infilati nel suo portafoglio”.
Così, quando la donna ha raggiunto il banco per fare l’ordine, Joey non è riuscito a tacere:“Le ho detto: signora, non ho alcuna intenzione di servire una persona maleducata come lei. Se restituisce i 20 dollari, la servo, altrimenti se ne può anche andare. E lei mi ha risposto: i 20 dollari sono miei, poi ha fatto una scenata, ha cominciato ad insultarmi ed è corsa fuori”.
Subito dopo, Joey ha chiesto scusa a tutti per lo spiacevole episodio ed ha ripreso lavorare. Finito di servire i clienti, si è avvicinato al signore non vedente e gli ha spiegato cos’era successo. Poi ha aperto il portafoglio e gli ha dato 20 dollari, che per lui corrispondono a 2 ore di lavoro.
Clienti e colleghi sono rimasti senza parole ed hanno subito cominciato a scattare foto e postarle sui social network. Il sito web della catena di fast food è stato sommerso di commenti positivi per Joey e pare che un cliente abbia anche scritto un’email alla direzione generale segnalando ed elogiando la sua buona azione. Molti clienti, come Angie Rosener, insegnante, hanno voluto complimentarsi personalmente con lui: “Sono rimasta profondamente colpita dal suo gesto e mi sono detta che dovevo scrivergli qualcosa, così gli ho portato un biglietto per dirgli grazie”.
Intervistato dalla TV locale, Joey ha dichiarato di essere ancora sconvolto per aver visto qualcuno rubare soldi ad un cieco e di aver ricevuto numerose telefonate di gente che dice di avergli addirittura spedito del denaro per rimborsargli il corrispettivo delle 2 ore di lavoro “regalate” allo sfortunato cliente.
“Sentivo che la cosa giusta da fare era ridargli i soldi.Tutti pensano che io abbia fatto una cosa bellissima, mentre in realtà era solo la cosa giusta”, ha detto sorridendo. “Ho fatto solo ciò che ritenevo corretto e credo che un sacco di gente la pensi esattamente come me”.