Come sarebbe una società senza denaro? Proviamo a immaginarla

Immaginate una società – magari un mondo intero – in cui l’economia si basi sul libero accesso e non sull’acquisto di beni e servizi. Un modello dove volontariato e condivisione sostituiscano avidità e competizione. Utopia o realtà realizzabile? Il thriller solarpunk di Colin R. Turner ci aiuta a capirlo. S’intitola F-Day – il risveglio dell’uomoe si tratta di un romanzo fuori dal comune, che ci aiuta a immaginare un mondo altrimenti inimmaginabile per la maggior parte di noi – non più fondato sulle logiche del profitto e della competizione, organizzato in società senza denaro – e lo fa attraverso una storia avvincente, che tiene la lettrice e il lettore col fiato sospeso fino all’ultima pagina. La scommessa è quella di poter arrivare a creare nuovi immaginari collettivi, coinvolgendo anche persone che non si sono mai interessate prima d’ora a temi di questo genere, in quanto si tratta di una lettura appassionante, ricca di scenari inaspettati. La casa editrice vuole però testare l’interesse del pubblico prima dell’effettiva pubblicazione; in altre parole, si tratta di un libro che verrà stampato e distribuito in tutta Italia, solo se raggiungerà l’obiettivo finale della campagna di crowdfunding: quello di 200 copie pre-ordinate. Ha già superato il 60% , ma restano ancora pochi giorni per permettere a questo progetto ambizioso di raggiungere gli scaffali di una libreria.

Abbiamo intervistato per voi l’autore Colin R. Turner.

Com’è iniziato il percorso che ti ha poi portato a scrivere questo libro?

Ho sempre pensato che potessimo fare di meglio. Quando ero giovane e appresi per la prima volta degli effetti dell’inquinamento sul nostro pianeta, non riuscivo a capire come avessimo potuto permettere che ciò accadesse. Più tardi, crescendo, cominciai a riflettere anche su quanto fosse malsano un sistema lavorativo basato sul ricatto monetario. Come per tutti i creativi, anche per me era difficile guadagnare facendo le cose che amavo, quindi mi risolsi a pensare che per avere successo nella vita, avrei dovuto rinunciare ai miei sogni e alle mie idee e lavorare per qualcun altro. Trovai però il compromesso del lavoro autonomo, in cui potevo almeno fare parte di ciò che amavo, mentre guadagnavo soldi. Nonostante ciò, non riuscii mai a raggiungere la stabilità economica.

Colin Turner

Come si evolvette il tuo rapporto con il mondo dell’economia?

Nel 2010, quando sentii parlare per la prima volta di The Venus Project e di un mondo post-monetario, rimasi molto impressionato. Risuonava in me su più livelli, potendo potenzialmente risolvere problemi quali la povertà, l’avidità e la distruzione ambientale. Fu così che la mia vena creativa mi portò a perseguire questo filo di pensiero e anche ad apportare alcune nuove idee. Nel 2011 creai The Free World Charter (o Lo Statuto del Mondo Libero), un documento che delinea alcuni parametri base per questo nuovo tipo di società, diventando virale e attirando molte migliaia di sostenitori da tutto il mondo. Ho anche realizzato numerosi video e scritto molti contenuti sull’argomento, negli anni successivi. Ma ovviamente l’idea era, ed è tuttora, difficile da comprendere e accettare per la maggior parte delle persone. Sentivo bisogno di esplorare nuovi modi per aiutare le persone a visualizzarla meglio. Dato che stavo già scrivendo molti contenuti online, un giorno un amico che mi seguiva mi suggerì di scrivere un libro: qualcosa che non mi era mai venuto in mente prima di quel momento. E così pensai che non avrei potuto fare di meglio che descrivere una transizione immaginaria da questo mondo a un mondo post-monetario. Non solo avrei potuto descrivere come potrebbe essere quel mondo, ma avrei anche potuto creare un resoconto plausibile su come arrivarci, qualcosa che quasi tutti continuavano a chiedermi quando venivano introdotti all’idea: “Come si arriva da qui a lì?”. E quindi F-Day è la storia di come potremmo andare da “qui a là” e di come appare quel “là” in un’opera narrativa in stile thriller. Ovviamente non è un modello, ma spero possa essere quel trampolino per fare un salto oltre le proprie convinzioni, mentre ci si intrattiene.

Il libro aiuta il lettore a immaginare un sistema socio-economico radicalmente diverso, basato su un’ “economia del libero accesso”: come spiegheresti in poche parole questo nuovo paradigma?

L’economia del libero accesso è basata su una società che ha accesso libero a beni e servizi. Non ci sono cartellini del prezzo, nessun mercato, nessuna occupazione e nessuna bolletta. Tutto è fornito senza precondizioni, la condivisione delle risorse e il volontariato sostituiscono il commercio nella consapevolezza che quando tutti contribuiscono, tutti ne traggono beneficio. Si tratta di insegnare alle persone modi ottimali di comportarsi in un ambiente e in una comunità condivisi con gli altri esseri viventi, cosa che attualmente non facciamo perché la nostra società capitalista è, per impostazione predefinita, basata sull’individualismo e sulla massimizzazione del vantaggio personale.

Se un’economia del libero accesso potesse dimostrare di migliorare la vita di tutti gli esseri viventi e del pianeta, una volta sperimentata e applicata nella pratica, sarebbe difficile giustificare il perché una comunità o Paese non dovrebbe adottarla

Tuttavia, con la giusta educazione e una cultura che la supporti, il volontariato potrebbe diventare il nuovo “lavoro” che ci permette di realizzare i progetti, ma senza il ricatto o l’avidità intrinsecamente legati al sistema monetario. Una società basata sul volontariato diventa automaticamente più efficiente, perché incentiva un impegno condiviso e quindi meno gravoso per tutti, diversamente da come avviene nel nostro modello attuale. Inoltre, una società basata sulla condivisione delle risorse riduce di default l’estrazione, il consumo delle risorse e l’inquinamento. Quindi un’economia ad accesso aperto, per definizione, utilizza meno risorse, richiede meno lavoro e promuove una sana cooperazione tra le persone, piuttosto che la competizione.

Nel libro viene individuato un posto nel mondo in cui, sia per le caratteristiche morfologiche del luogo, che per la tempra della popolazione che lo abita, si potrebbe avviare la prima economia del libero accesso.

Proprio così: nel libro inizia tutto da un Paese – una piccola isola che ha alcuni vantaggi – ma che nel tempo si estende anche ad altri Paesi. Con questo si vorrebbe suggerire che una volta che si dimostrasse che funziona in un posto, potrebbe ispirare altri luoghi nel mondo a replicare, imparando dagli errori commessi da chi ha sperimentato per primo questo nuovo tipo di economia. Come molte cose nella vita, è facile immaginare qualcosa quando è già successa. La maggior parte delle persone probabilmente non avrebbe potuto immaginare il crollo bancario del 2008 o la pandemia di Covid-19 prima che accadessero, eppure ora sono parte della nostra storia e della nostra cultura. Il punto è che siamo molto più flessibili e adattabili di quanto crediamo e, sebbene una società post-monetaria possa sembrare assurda oggi, un giorno potrebbe essere l’opposto: magari una società basata sulla condivisione e sul volontariato sarà la normalità e un’economia monetaria fondata sull’avidità e sulla competizione verrà percepita come primitiva e assurda.

Secondo te, quali possibilità avrebbe l’Italia?

In un Paese grande e complesso come l’Italia, forse dovrebbe succedere quanto accaduto nel libro: dovrebbe essere prima sperimentato su piccola scala, affinché le persone e il Governo prendano in considerazione l’adozione di un sistema del genere su larga scala. E questo non è poi così impensabile, viste le tante realtà virtuose e collaborative di cui voi stessi di Italia Che Cambia siete testimoni e promotori. Dopotutto non dimentichiamoci che le buone idee sono solo idee finché non vengono messe alla prova dei fatti dimostrando che funzionano. Se un’economia del libero accesso potesse dimostrare di migliorare la vita di tutti gli esseri viventi e del pianeta, una volta sperimentata e applicata nella pratica, sarebbe difficile giustificare il perché una comunità o Paese non dovrebbe adottarla. Ciò di cui abbiamo bisogno è un prototipo. Un altro progetto su cui sto lavorando, Sharebay, persegue proprio il tentativo di creare quel prototipo, per vedere se riusciamo a farlo funzionare prima in una comunità ristretta, nella fattispecie organizzata attraverso un sito. Finora sta andando molto bene con oltre 2000 membri, ma c’è ancora molto da fare prima di poterlo dichiarare un successo.

Chi volesse sostenere gli ultimi giorni della campagna di crowdfunding del libro, potrà effettuare qui il pre-ordine, che darà subito accesso alla bozza integrale e successivamente alla copia e-book o cartacea.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/societa-senza-denaro/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Sulla terra si muore di fame ma noi sprechiamo soldi per andare nello spazio

L’uomo è certamente l’essere vivente più strano e inconcepibile che ci sia sulla faccia della terra. Di sicuro non il più intelligente, dato che sta riuscendo ad autodistruggersi come specie e portando con sé innumerevoli altri esseri viventi nella sua follia suicida: sta provocando le sesta estinzione di massa.

L’uomo è certamente l’essere vivente più strano e inconcepibile che ci sia sulla faccia della terra. Di sicuro non il più intelligente, dato che sta riuscendo ad autodistruggersi come specie e portando con sé innumerevoli altri esseri viventi nella sua follia suicida: sta provocando le sesta estinzione di massa. Ci sono tanti esempi eclatanti che dimostrano che dobbiamo ancora evolverci e parecchio pure. Sulla terra l’80% della popolazione, che non vive nell’attico del restante 20%, è in situazioni molto difficili o drammatiche a seconda dei casi. Miseria, fame e disperazione determinati dal modello di sviluppo del ricco 20% sono la quotidianità di miliardi di persone e i più cinici fra i nostri simili dicono pure che è colpa loro, che sono sottosviluppati, che non si danno da fare. Di fronte a tale situazione (che dovrebbe vederci tutti impegnati fino a che l’ultimo dei nostri simili abbia una vita degna di questo nome, cibo, riparo e serenità), si sprecano soldi, risorse, energia e competenze nelle maniere più assurde e insensate in spregio e sdegno alla gente in condizioni spaventose.

Uno dei modi più eclatanti per sputare sulla povertà e dignità umana è la corsa fra le nazioni per mandare equipaggi nello spazio. Conosciamo pochissimo della nostra terra, degli animali, dei vegetali, dei processi naturali, ma nonostante ciò vogliamo andare nello spazio, senza nessun motivo razionale e intelligente.  Andare nello spazio è estremamente dispendioso, non serve e in più è pericoloso perché lassù non ci sono le condizioni per sopravvivere all’esterno nemmeno un minuto.  La mentalità tipicamente maschile di prevalere e primeggiare la si ha anche nella corsa allo spazio, cioè la corsa al nulla. Gli americani andarono sulla luna esclusivamente per farlo prima dei russi, piantarono una bandiera americana  (in un luogo dove non c’è letteralmente niente, il che già dà la dimensione della follia) e se ne tornarono a casa. Come i cani che fanno la pipì per marcare il territorio, solo che in questo caso la cosa è assai più dispendiosa. Che non servisse a nulla andarci è dimostrato anche dal fatto che sulla luna non c’è mai più andato nessuno. Ma ogni paese che abbia una potenza economica ragguardevole cerca di entrare a fare parte del club dei marcatori del territorio in qualche modo. Adesso l’obiettivo si è anche spostato ed è diventato ancora più impegnativo e costoso. Qualche ricco miliardario ha deciso che bisogna andare su Marte o fare passeggiate ed escursioni spaziali e quindi via ad investimenti stellari per questa spaziale idiozia.  Ma con tutti i  gravi problemi che ci sono nel mondo e negli stessi Stati che concorrono alla corsa nello spazio, possibile non si capisca che tutti quei soldi buttati in questa demenza potrebbero essere usati per risolvere i tanti e drammatici problemi in cui quotidianamente si dibattono le persone a cui dello spazio interessa più o meno che zero? Ma qui entra in gioco un fattore fondamentale che è quello della immaginazione umana purtroppo indirizzata verso direzioni assai discutibili. Lo spazio è l’ignoto e nell’ignoto si può immaginare tutto quello che si vuole e quindi cinematografia, televisione e letteratura ci hanno ricamato molto. E quando c’è di mezzo il condizionamento dei media, del cinema, si accetta che si buttino soldi invece di utilizzarli in maniera sensata. L’immaginazione, la fantasia, il sogno utilizziamoli per fare stare meglio ogni persona e salvaguardare il nostro ambiente. Scegliamo il tutto del pianeta Terra e non il nulla dello spazio. Anche perché se non siamo capaci di preservare il nostro di pianeta e i suoi abitanti con quale senso andiamo a colonizzare altri pianeti? Per rendere una pattumiera pure loro? Meglio di no, meglio rimanere con i piedi ben piantati per terra e la mente rivolta al benessere di tutti. 

Fonte: ilcambiamento.it

Trasparenza sui passaggi di denaro da Big Pharma ai medici: perché fa paura il Sunshine Act italiano?

È in corso di esame alla CommissioneAffari Sociali della Camera la proposta di legge che introduce l’obbligo ditrasparenza nei passaggi di denaro tra aziende farmaceutiche e medici. Tra le organizzazioni e le associazioni del settore c’è chi è completamente favorevole e chi esprime anche “timori”…

SONY DSC

È all’esame della Commissione Affari Sociali della Camera la proposta di legge soprannominata “Sunshine Act italiano”, dal testo di legge analogo vigente in America che detta le regole per la trasparenza nel passaggio i denaro tra Big Pharma e gli operatori sanitari.

L’associazione “No Grazie Pago io” (operatori sanitari e medici che rifiutano qualsiasi erogazione dalle aziende farmaceutiche) ha partecipato alle audizioni davanti alla Commissione come parte della delegazione della Rete Sostenibilità e Salute (RSS), collaborando alla stesura e alla presentazione di una memoria messa agli atti dalla commissione.

«La nostra memoria – spiegano i NoGrazie – guarda con favore alla proposta di legge per un Sunshine Act italiano; chiede che l’iter per la sua approvazione sia rapido e che siano presi in considerazione altri attori, oltre a industria del farmaco e medici, per esempio l’industria degli alimenti per l’infanzia e le associazioni di pazienti». Anche Slow Medicine faceva parte della delegazione RSS; la loro memoria è leggibile QUI

Le audizioni hanno riguardato anche altri soggetti.

La FNOMCEO, per esempio, ha sottolineato che “il Codice di deontologia medica già prevede apposite disposizioni in materia di conflitto di interessi” e che “il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici … prevede che il dipendente pubblico deve rispettare i principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e agire in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi”, ma “al tempo stesso non possiamo accettare che passi una cultura di criminalizzazione e di pregiudizio nei confronti della intera categoria professionale medica. Noi crediamo che eventuali strumentalizzazioni possano incrinare il rapporto di fiducia che esiste tra medico e paziente e non siano funzionali al sistema salute”.

La proposta di legge per il Sunshine Act, tuttavia, riguarda solo la trasparenza delle transazioni finanziarie tra industria e medici, senza criminalizzare o strumentalizzare nessuno. Anche la Fondazione GIMBE ha partecipato alle audizioni, facendo un appello ad “evitare di demonizzare i trasferimenti di denaro, che non necessariamente sono correlati a fenomeni corruttivi”.

«Rispettiamo ovviamente tutte le posizioni – dicono i NoGrazie – ma non capiamo perché la trasparenza incuta tanti timori».

Ecco il testo della Memoria presentata dalla Rete Sostenibilità e Salute.

«Nel 2012, negli USA, l’industria farmaceutica ha speso circa 27 miliardi di dollari in promozione, di cui 3 per la promozione diretta al pubblico e 24 per quella diretta ai medici (1). Dato che la spesa totale per farmaci è di circa 300 miliardi di dollari, la promozione rivolta ai medici vale circa l’8% di questa spesa. Non è facile, e forse non è nemmeno possibile, trovare dati sulla spesa per la promozione ai medici in Italia. Ma se la percentuale fosse simile a quella USA, si tratterebbe di circa 2.4 miliardi di euro su una spesa annuale per farmaci che si aggira sui 30 miliardi. E stiamo parlando solo di farmaci, ai quali bisogna sommare la spesa per la promozione di tutti gli altri dispositivi sanitari, per la diagnostica, per terapie non farmacologiche di vario tipo, per la riabilitazione, per la nutrizione (compresa quella infantile), ecc. Come sono spesi questi 2.4 miliardi di euro? Difficile saperlo, ma dato che l’industria farmaceutica è globale, sono probabilmente globali anche le strategie di marketing. La torta, quindi, non sarà molto diversa da quella degli USA, nella figura qui sotto. Circa la metà dei soldi potrebbero essere spesi per le attività dei rappresentanti, solo in Italia chiamati informatori scientifici. Altre fette importanti riguardano la distribuzione di campioni, il finanziamento di eventi formativi e la spedizione di materiale promozionale di vario tipo. Vale la pena notare che a pagare per tutto ciò sono i cittadini, visto che la spesa per marketing è sicuramente integrata nel prezzo dei farmaci, sia che lo paghi direttamente il consumatore sia che lo finanzi il sistema sanitario nazionale (SSN).

Che la spesa per marketing dia un ritorno è più che certo. Nessun amministratore delegato potrebbe essere confermato da un’assemblea annuale di azionisti se non potesse dimostrare che per ogni euro speso in marketing ne introita 2 o 3 (questa è una stima, perché non ci sono dati a disposizione, ma è una stima considerata verosimile). Questo ritorno si basa ovviamente su un aumento di vendite dei prodotti oggetto di promozione commerciale. Una revisione sistematica pubblicata nel 2017 mostra che le attività mostrate nella figura qui sopra sono invariabilmente associate a un aumento delle prescrizioni (in media di due volte e mezza), spesso inappropriate e di minore qualità, e a un aumento relativo dei costi (2). Prescrizioni con percentuali più elevate di farmaci ancora sotto brevetto rispetto alle alternative equivalenti. Non stupisce che la spesa per il marketing possa superare anche di due o tre volte quella per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci (3).

La RSS ritiene che, ai fini della sostenibilità del SSN, sia necessario regolare in maniera restrittiva il marketing dei farmaci e di tutti gli altri dispositivi sanitari e tecnologie diagnostiche, con l’obiettivo di ridurre l’eccesso, spesso inutile o dannoso, e in ogni caso costoso, di prestazioni sanitarie (4). Ma per regolare il marketing, bisogna conoscerlo. È quindi necessario, in primo luogo, sapere nel modo più accurato possibile come l’industria della salute spende i soldi che investe per la promozione rivolta ai medici e ad altri operatori sanitari. Per questo, la RSS è favorevole al Sunshine Act (usiamo questo termine per brevità e perché è ormai entrato nel linguaggio comune di chi si occupa di questi temi), una legge che imponga trasparenza su tutte le transazioni finanziarie (in denaro, beni o servizi) tra produttori di farmaci, dispositivi medici o altri prodotti sanitari e operatori, associazioni e istituzioni sanitarie.

Per essere efficace, questa legge deve avere, secondo la RSS, le seguenti caratteristiche:

obbligare a notificare tutte le transazioni finanziarie, di qualsiasi tipo e per qualsiasi valore che superi i 10 euro per singola transazione, o i 100 euro annuali nel caso di ripetute transazioni di scarso valore.

imporre severe sanzioni in caso di mancata notificazione, o di tentativi di aggirare la legge (per esempio con transazioni in nero, o a prestanome, o su conti esteri, ecc.).

• inserire tutte le transazioni, con dati identificativi da stabilire (compresa la ragione di ogni transazione) in un registro pubblico che possa essere facilmente consultabile e analizzabile da chiunque, dai semplici cittadini ai rappresentanti delle istituzioni, passando per ricercatori e giornalisti.

Dovrebbe inoltre applicarsi a transazioni finanziarie da parte di qualsiasi industria in qualche modo relazionata con la salute. Per esempio, molte attività educative e di ricerca dei pediatri sono sponsorizzate, oltre che dai produttori di farmaci e vaccini, da quelli di alimenti per l’infanzia (Nestlé, Mellin/Danone, Plasmon, Humana, ecc.), con conseguenze negative su inizio, esclusività e durata dell’allattamento, e relativi danni alla salute di madri e bambini (5,6). Queste transazioni devono essere coperte dalla legge. Infine, dovrebbero ricadere nell’ambito della legge anche le transazioni nei confronti delle associazioni di pazienti; alcune di queste sono infatti finanziate dall’industria farmaceutica che ne approfitta per promuovere l’uso dei suoi prodotti (7).

È fattibile mettere in pratica un Sunshine Act italiano? Il fatto che una legge simile sia già applicata in altri paesi da alcuni anni depone a favore di una risposta positiva a questa domanda. Come si sa, il Sunshine Act è in vigore dal 2011 negli USA ed include attualmente informazioni sulle transazioni di oltre 2000 ditte con oltre 900.000 medici, per un totale annuale di circa 25 miliardi di dollari (8). Ha permesso a ricercatori accademici, per esempio, di analizzare i flussi finanziari a seconda della specializzazione dei medici (9,10). Ha permesso ad associazioni per la difesa dei diritti dei cittadini di comprovare che i medici che ricevono più soldi dall’industria farmaceutica tendono a prescrivere più farmaci di marca (11). Ha permesso a giornalisti di scoprire che un famoso oncologo di New York aveva omesso di dichiarare i suoi conflitti d’interesse, del valore di oltre 3 milioni di dollari, nel firmare articoli per importanti riviste scientifiche e nel promuovere specifiche terapie per il carcinoma del seno in numerosi congressi, terapie che avevano alternative meno costose e che si sarebbero per di più rivelate di scarsa validità. L’oncologo ha dovuto rassegnare le dimissioni dopo che il New York Times ha svelato i suoi legami con l’industria (12).

Leggi simili al Sunshine Act USA sono in vigore da alcuni anni anche in alcuni paesi dell’Unione Europea: Francia, Portogallo, Danimarca, Grecia, Romania, Lituania e, ultimo arrivato, Belgio. La legge francese è più ampia di quella statunitense e ha dei criteri di notificazione più stringenti, ma le multe in caso di inadempienze sono minori (13). Sfortunatamente, oltre ai rapporti annuali dell’amministrazione francese sui dati inseriti nel registro, non sono disponibili articoli che analizzino volumi e distribuzione dei pagamenti ai medici. Considerazioni simili valgono per le leggi negli altri paesi citati dell’Unione Europea (14).

Anche se è presto, eccetto per USA e Francia, per un giudizio sulla fattibilità di un Sunshine Act, tutte le informazioni che abbiamo finora a disposizione tendono verso una risposta positiva. Anche l’Unione Europea sembra convinta della fattibilità della legge, visto che, attraverso il Progetto Anticorruzione e Trasparenza, ha finanziato in Colombia l’elaborazione del Sunshine Act, e del relativo registro pubblico delle notificazioni (15). Se si può fare in Colombia, è molto probabile che si possa fare anche in Italia. Ci sono alternative? Alcune multinazionali del farmaco, come per esempio la GlaxoSmithKline, hanno dichiarato l’impegno a una totale trasparenza, in alcuni paesi, nei riguardi delle loro transazioni finanziarie con medici e altri operatori sanitari. Un simile impegno, a livello europeo, è stato preso da EFPIA (la Federazione Europea delle Industrie e delle Associazioni Farmaceutiche) nel 2013. Si tratta di un codice etico volontario, sia per le ditte sia per i medici, che facilita la pubblicazione delle transazioni finanziarie su qualche tipo di registro privato, cioè di proprietà delle ditte. Questa proposta è stata fatta propria in Italia da Assobiomedica (16). Peccato che non funzioni. Innanzitutto perché il fatto che sia volontario, e non obbligatorio, rende la trasparenza incompleta per definizione. Poi perché la consultazione e l’analisi dei database è praticamente impossibile: i dati sono in formato pdf, a volte non si può nemmeno scaricare un file pdf ma si deve procedere a forza di screenshot, in alcuni casi i dati sono in ordine alfabetico per nome e in altri per cognome, in altri casi nomi e cognomi sono preceduti da prof e dott (per cui è impossibile seguire un ordine alfabetico), raramente si riesce a scaricare i dati in un formato analizzabile (tipo excel), per cui si dovrebbe copiarli uno a uno. Si immagini il tempo di lavoro che ciò comporterebbe se si volessero analizzare le transazioni finanziarie delle oltre 200 imprese che operano in Italia (17).

L’inferiorità di un sistema basato su codici volontari rispetto ad uno ispirato al Sunshine Act è stata recentemente confermata da uno studio che ha condotto un’analisi comparata in 9 paesi europei: Francia, Germania, Olanda, Gran Bretagna, Lettonia, Svezia, Spagna, Portogallo e Italia.18 Oltre alla completezza, sempre superiore nei sistemi di legge rispetto a quelli volontari, lo studio conferma la difficoltà di accedere e soprattutto di analizzare i dati in questi ultimi. Gli autori raccomandano un Sunshine Act europeo che standardizzi i registri sulle transazioni finanziarie tra industria e medici in tutti i paesi, facilitando così il compito di cittadini, giornalisti, associazioni, ricercatori e istituzioni che desiderino analizzare i dati per semplice curiosità o per capire se e come porre dei limiti a questo enorme passaggio di denaro, per ridurne le conseguenze dannose. In conclusione, la RSS è a favore di una legge come il Sunshine Act, purché sia efficace, risponda cioè alle caratteristiche sopra elencate. La RSS, tuttavia, ritiene che il Sunshine Act non risolva tutti i problemi. Dopo i primi due anni di funzionamento negli USA, per esempio, non ha (ancora) portato a una riduzione delle transazioni finanziarie né in quantità né in valore (19). Il Sunshine Act rende solo trasparenti queste transazioni, permette di sapere quanto denaro passa di mano, da chi a chi e per quali ragioni. Permette di identificare i conflitti di interesse finanziari creati da queste transazioni. Potrebbe avere effetti a medio termine, come conseguenze di scelte di consumatori più consapevoli, raggiunti da informazioni più trasparenti relative a produttori ed erogatori di prestazioni sanitarie. Ma in ogni caso, alla fin fine, spetterà al legislatore e a chi amministra il SSN, auspicabilmente su pressione di gruppi di cittadini, decidere se transazioni e conflitti d’interesse stanno causando danni alla salute dei cittadini e alla sostenibilità del sistema, ed agire di conseguenza con altri interventi

1 https://www.pewtrusts.org/en/research-and-analysis/fact-sheets/2013/11/11/persuading-the-prescribers-pharmaceutical-industry-marketing-and-its-influence-on-physicians-and-patients

2 Brax H et al. Association between physicians’ interaction with pharmaceutical companies and their clinical practices: A systematic review and meta-analysis. PLoS ONE 2017;12(4): e0175493

3 Gagnon MA, Lexchin J: The cost of pushing pills: a new estimate of pharmaceutical promotion expenditures in the United States. PLoS Med 2008;5(1):e1

4 https://www.sostenibilitaesalute.org/wp-content/uploads/2018/07/Appropriatezza-e-Linee-Guida-tra-provescientifiche-bisogni-della-singola-persona-e-interessi-commerciali.-RSS.pdf

5 Piwoz EG, Huff man SL. The impact of marketing of breast-milk substitutes on WHO-recommended breastfeeding practices. Food Nutr Bull 2015;36:373-86

6 McFadden A et al. Spotlight on infant formula: coordinated global action needed. Lancet 2016;387:413-5

7 McCoy MS. Industry support of patient advocacy organizations: the case for an extension of the Sunshine Act provisions of the Affordable Care Act. Am J Public Health 2018; 108:1026-30

8 Litman RS. The Physician Payments Sunshine Act: implications and predictions. Pediatrics 2018;141: e20171551

9 Agrawal S, Brown D. The Physician Payments Sunshine Act: two years of the open payments program. N Eng J Med 2016;374:906-9

10 Parikh K et al. Industry relationships with pediatricians: findings from the open payments Sunshine Act. Pediatrics 2016;137:e20154440

11 Ornstein C et al. Now there’s proof: docs who get company cash tend to prescribe more brand name meds. ProPublica, 17 March 2016

12 Top cancer researcher fails to disclose corporate financial ties in major research journals. By Charles Ornstein and Katie Thomas, New York Times, September 8, 2018

13 Life Sciences Legal Update

14 Santos A. The sun shines on Europe: transparency of financial relationships in the healthcare sector. Health Action International, Amsterdam, 2017

15 https://www.minsalud.gov.co/Paginas/Farmaceuticas-deberan-reportar-pagos-a-actores-del-sistema.aspx

16 http://www.dottnet.it/articolo/24879/convegni-e-viaggi-per-i-medici-ecco-il-codice-etico-di-assobiomedica

17 https://www.aboutpharma.com/blog/2017/02/22/458650/

Fonte: ilcambiamento.it

«Il denaro sia al servizio della comunità, non viceversa»

Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, non ha dubbi: «La finanza etica, cioè un modo equo di usare il denaro a beneficio della comunità, non è solo il futuro, è anche il presente. E ci attendiamo che anche la politica se ne accorga».Print

Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, rilancia sul presente e sul futuro, a fronte di risultati notevoli e importanti, indici di una sempre più diffusa sensibilità e consapevolezza dei benefici di un uso etico del denaro.

Qual è il valore oggi della finanza etica in un contesto che “vende” ben altri valori?

La finanza – se usata bene – è uno strumento efficace per far girare l’economia. Permette a chi ha del denaro che non gli serve nell’immediato di metterlo a disposizione – tramite istituti finanziari che offrono prodotti con diversi gradi di rischio e di rendimento – di chi invece ha bisogno di finanziamenti per avviare un’attività economica o comprare una casa. L’uso distorto e opaco di strumenti finanziari sempre più complessi ha portato a una deriva negativa della finanza, e l’ha allontanata dalle esigenze vere delle persone e delle comunità. La finanza etica nasce negli anni ‘90 proprio per proporre una finanza pulita, al servizio dell’economia reale e capace di selezionare i progetti su cui investire considerando non solo i ritorni economici, ma anche e soprattutto l’impatto sociale e ambientale. La finanza etica, in poche parole, offre a risparmiatori e investitori la possibilità di gestire il proprio denaro – tanto o poco che sia – con la certezza che esso sarà utilizzato per finanziare progetti che non danneggiano l’ambiente e fanno bene alle comunità. Ad esempio: non finanziamo centrali nucleari o a carbone, ne produttori di armi, ma diamo credito ad asili nido, imprese per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, startup innovative sul piano sociale, imprese che producono e distribuiscono energia da fonti rinnovabili o gestiscono in sicurezza il ciclo dei rifiuti. Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito a una forte crescita dell’attenzione e dell’interesse delle persone, delle imprese e delle istituzioni per le tematiche di responsabilità sociale e ambientale: quindi non direi che vendiamo valori poco condivisi, anzi!

Il “sistema” per come lo conosciamo vi ritiene un pericolo?

Quando Banca Etica è nata, 20 anni fa, il sistema bancario tradizionale più che vederci come un pericolo, pensava che non ce l’avremo fatta. E invece  Banca Etica ha dimostrato rapidamente di essere in grado di stare in piedi sulle sue gambe. Il capitale sociale, la raccolta di risparmio, gli impieghi, i dipendenti: continuiamo a crescere anno dopo anno, anche nel pieno della crisi. E facciamo anche utili, che reinvestiamo per migliorare le nostre attività. Oggi il sistema si è appropriato dei nostri temi, e usa il nostro stesso linguaggio: anche se per ora spesso si tratta solamente di operazioni di greenwashing, ne siamo soddisfatti. L’effetto contagio era uno degli obiettivi che ci eravamo dati quando abbiamo fatto nascere Banca Etica.

I  decisori politici vi hanno sempre visto con diffidenza o sono state anche adottate misure che agevolano la scelta della finanza etica? Se sì, quali?

Negli ultimi anni abbiamo ottenuto importanti riconoscimenti legislativi. A fine 2016 il parlamento italiano è stato il primo in Europa a riconoscere e definire per legge le banche etiche (per ora in Italia siamo solo noi). A fine 2017 un’altra legge ha stabilito che gli investimenti in finanza etica vanno esclusi dalle partecipazioni che gli enti locali sono obbligati a dismettere in virtù della legge Madia. Anche in Europa, stiamo riscontrando un forte interesse da parte della Commissione UE sulle nostre attività.

Quali sono i temi e le misure più urgenti, nel vostro campo, di cui secondo voi il prossimo governo italiano dovrebbe curarsi?

Ai partiti che si candidano a Governare l’Italia per i prossimi 5 anni chiediamo impegni sul piano nazionale e internazionale per arginare la speculazione finanziaria, anche attraverso una Tobin Tax; per porre un serio argine all’emorragia di risorse per il bene comune causata dai paradisi fiscali. Sul piano operativo chiediamo che vengano approvati i decreti attuativi della legge italiana sulla finanza etica e che – a fronte di una definizione seria di quali si possono veramente definire investimenti e prodotti finanziari etici – venga previsto qualche incentivo fiscale per i risparmiatori che scelgono la finanza etica.

Avete fiducia nella politica e c’è qualcuno nel panorama politico attuale che vede positivamente il vostro lavoro?

Noi parliamo spesso di “voto con il portafoglio” per dire alle persone che possono contribuire a tracciare la direzione in cui va il mondo in cui viviamo, non solo quando vanno nelle urne, ma ogni giorno, quando scelgono cosa comprare, come consumare e come investire. Detto ciò, abbiamo fiducia nella politica, che è alla base dei sistemi democratici. Tra i politici italiani che ne sono tanti che sono soci e clienti di Banca Etica e che rappresentano per noi interlocutori importanti con le istituzioni. Appartengono a diversi schieramenti.

Gli investimenti e il risparmio “etico” crescono costantemente e molte banche tradizionali fiutando il business hanno istituito investimenti ad hoc. Come vi differenziate?

Siamo felici che le tematiche di responsabilità sociale e ambientale siano oggi al centro delle azioni di marketing di molti istituti finanziari che si sono accorti del grande interesse del pubblico. Noi siamo diversi da tutti gli altri perché siamo nati esclusivamente per fare finanza etica. Le altre banche – per ora – trattano il prodotto di investimento etico come uno dei tanti prodotti a scaffale. E’ come essere al supermercato: puoi scegliere il cioccolato equo e solidale o quello prodotto sfruttando i lavoratori. Da noi c’è solo quello equo e solidale. Inoltre la nostra analisi è molto scrupolosa e a 360°. Abbiamo notato che invece alcune banche propongono come investimento etico quello che per esempio esclude i produttori di armi, ma non le centrali nucleari.  Credo anche che ci differenziamo dagli altri per un continuo e concerto sforzo di trasparenza verso i clienti: vogliamo che siano realmente consapevoli dei costi, e dei rischi dei prodotti finanziari che sottoscrivono.

Sono ormai circa venti anni dalla nascita di Banca Etica, vi aspettavate di avere una risposta così positiva dalle persone in merito alla vostra proposta di una finanza diversa?

Sì e avevamo ragione!

Fonte: ilcambiamento.it

Disuguaglianze: chi rende i ricchi sempre più ricchi?

A livello mondiale l’1% di persone detiene una ricchezza pari a quella del restante 99%: la questione delle disuguaglianze è un tema assai dibattuto, ma ci si dovrebbe chiedere chi contribuisce a fare diventare i ricchi sempre più ricchi.Occupy Wall Street Protestors March Down New York's Fifth Avenue

Se ad esempio mangio da Mc Donald’s, bevo Coca Cola, acquisto prodotti della Nestlè, investo in azioni speculative, metto i miei soldi in banche ben poco etiche, non potrò poi sorprendermi che immense ricchezze siano in pochissime mani che sempre più si arricchiscono e sempre più impoveriscono gli altri; non potrò sorprendermi dell’effetto serra, della desertificazione dei suoli, dell’inquinamento massiccio, dello sfruttamento di schiavi in tutto il mondo, perché io contribuisco indirettamente a tutto questo. Nel mondo vetrina in cui l’unica cosa che conta sono i soldi, chi è già ricco, grazie alla finanza, al controllo dei mass media, attraverso la politica connivente e alla pubblicità, avrà sempre più possibilità di arricchirsi. Nella legge del mercato chi è grande vuole diventare più grande per mangiarsi gli altri. E’ esattamente il nostro sistema di competizione, dove la distruzione della concorrenza è obiettivo prioritario e dove plotoni di coach, counselor, esperti e consiglieri vari, forniti di lauree e lunghi pedigree, attraverso grandi sorrisi e metodologie spesso made in USA, suggeriscono alle ditte e ai manager in ogni modo possibile, comprese le varie trovate mistiche, meditative e new age, su come prevalere sui concorrenti e vendere alla gente qualsiasi prodotto. E alla fine della catena chi c’è? Ci sono il consumatore e l’investitore che con le loro scelte consentono a chi è già ricchissimo di diventarlo ancora di più. Un sistema che non mette nessun freno alla crescita dei patrimoni, che benedice il denaro, che santifica chi è capace di arricchirsi velocemente e lo tratta come un genio o un divo, è chiaro che si sta facendo del male da solo. Poiché ci si dimentica che chi fa tanti soldi, veloce e in fretta, di solito non si comporta in maniera filantropica o con attenzione all’ambiente e se sporadicamente lo fa è solo per ragioni di immagine, non certo perché ha a cuore gli altri o il mondo, altrimenti molto probabilmente si sarebbe posto ben altri obiettivi che non esclusivamente arricchirsi. Da un punto di vista culturale sarebbe poi assai educativo smettere di pensare che chi è ricco e ha successo attraverso i soldi, sia una persona da imitare, da prendere ad esempio. Spesso chi fa tanti soldi non ha altra motivazione e scopo, come fosse una droga, una malattia e ne ha così tanti che non sa più nemmeno come spenderli.

Quindi, chi fa diventare i ricchi sempre più ricchi, almeno nei paesi occidentali e nei cosiddetti paesi emergenti che ci seguono nella strada del consumismo folle, è proprio gran parte della popolazione che si lamenta che i ricchi sono sempre più ricchi. Per farli diventare meno ricchi e diminuire le disuguaglianze, basterebbe comprare il meno possibile i loro prodotti e investire il meno possibile nelle loro azioni. In fondo non è difficile, ormai in rete si trovano notizie di qualsiasi patrimonio, ditta, banca e multinazionale per rendersi conto a chi si stanno dando i propri soldi. Se ciò non bastasse, ormai da anni è disponibile la guida al consumo critico  che facendo un lavoro egregio dà dettagliate informazioni su multinazionali e affini.

In genere si pensa che la soluzione alle diseguaglianze sia redistribuire la ricchezza, il che sarebbe giusto per chi non ha nulla o quasi nulla; ma che senso ha dare più denaro a chi ne ha e li spreca costantemente? Uno dei motivi dei grandi disastri ambientali e sociali è proprio il consumismo. Avere a disposizione maggiori soldi spesso significa maggiori consumi  e di conseguenza ingrassare ancora di più l’1%. Se non si cambia profondamente il sistema di valori, più soldi si distribuiscono, a chi comunque ha già tutto e più si comprano merci superflue arricchendo gli stessi responsabili delle disuguaglianze. Invece che maggiori soldi si dovrebbero avere meno esigenze, soprattutto se indotte da un sistema pubblicitario martellante e costante che ci fa nascere bisogni  assolutamente non necessari ma altamente impattanti. Basta guardare le pubblicità in televisione, internet, giornali e riviste per rendersene conto: su 100 pubblicità ce ne potrà essere forse solo una di un prodotto che serve realmente. Tutto il resto è costituito da prodotti di cui potremmo benissimo fare a meno e, non comprandoli, ci basterebbero meno soldi per vivere e dovremmo lavorare meno. Non si capisce infatti come mai si dica che siamo in crisi e allo stesso tempo siamo sommersi di pubblicità di automobili, profumi e cosmetici, gioielli, orologi di marca, vestiti e moda in genere, accessori per cani e gatti (indispensabili in tempi di carestia) costantemente in crescita, giochi d’azzardo, cellulari sofisticatissimi e via di questo passo. Se avessimo più soldi li getteremmo ulteriormente in tutti questi e altri oggetti simili che servono solo ad arricchire chi è già ricco sfondato. E dando meno soldi a loro si riducono anche gli abusi, gli sfruttamenti degli schiavi che lavorano per i super ricchi e ci permettono di avere moltissimi prodotti a prezzi irrisori che riempiono le nostre case. Per fermare i giganti dell’1% che grazie anche alla nostra complicità, sfruttano, affamano e non hanno nessun rispetto per l’ambiente, bisogna togliere loro il nostro appoggio, comprare il meno possibile i loro prodotti, non investire nelle loro azioni e non supportare le banche che li tengono in vita.

Sembra un passo piccolo e insignificante ma invece è l’inizio di un cammino di liberazione.

Fonte: ilcambiamento.it

 

 

Una volta si chiamava carità pelosa: l’umanitario funzionale al potere

Grandi ong, miliardari, fondazioni, denaro: ecco la fitta rete di rapporti e relazioni che unisce chi il potere e il denaro li ha e li usa.charityhands-revise-50

Trilateral Commission, giugno 1991. David Rockfeller dice: “Siamo grati al Washington Post, al New York Times, a Time Magazine e ad altre importanti pubblicazioni i cui direttori hanno partecipato alle nostrie riunioni e rispettato la promessa di discrezione per quasi quarant’anni… Sarebbe stato impossibile per noi sviluppare il nostro piano mondiale se fossimo stati esposti alle luci della pubblica opinione in questi anni. Ma il mondo ora è più evoluto e preparato a imcamminarsi verso un governo mondiale. La sovranità sovranazionale di un’élite intellettuale e degli uomini d’affari mondiali è sicuramente preferibile alla sovranità nazionale praticata nei secoli passati”.

La Commissione Trilaterale è una di quelle istituzioni sovranazionali con le quali i potentati economici pensano di dominare il mondo: uno strumento di elaborazione e progettazione della dittatura mondiale. Va da sé che i “mezzi di comunicazione di massa” non possono non avere un ruolo fondamentale per chi vuole dominare il mondo.

“Cosa facciamo stasera, prof? Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo! Tentare di conquistare il mondo!”

Giornali, radio e televisioni (e internet per quanto possibile) devono essere sotto il loro controllo. E così è. “Siamo grati al Washington Post… e ad altre importanti pubblicazioni”. Non è il caso di elencarle tutte, evidentemente. In realtà, il dominio funziona solo se i popoli si sottomettono, ma ingannarli, confonderli, frastornarli, fuorviarli con “notizie false, esagerate, tendenziose” aiuta molto a renderli passivi, confusi, divisi, pieni di contraddizioni. In una parola, a sottometterli. L’inganno, l’occulta censura, la mistificazione sono uno strumento imprescindibile per i dominatori. Dire il falso, tacere il vero: questo potrebbe essere il motto, oggi, dei grandi mezzi di comunicazione. Quando l’Impero però comincia a decomporsi, quando per tenere in piedi la sua struttura scricchiolante e marcescente deve vessare e opprimere e distruggere senza più alcuna mediazione o inibizione, l’inganno diventa più difficile, il malcontento e la diffidenza popolare diventano imponenti e problematici da contrastare o “convogliare”. Allora l’inganno diventa un’arte e richiede nuovi attori. Per questo nella “troupe” a quel punto entrano le grandi ONG, o associazioni non-profit, o “Charity” come dicono gli inglesi. Associazioni di “carità”; cioè che chiedono a noi la carità mentre i loro funzionari e dirigenti, detti “volontari”, prendono stipendi invidiabili o addirittura, i dirigenti, barche di quattrini. Volontari. Non deve essere difficile trovare chi abbia una tale volontà. E come fanno a diventare grandi, le grandi ONG? Coi soldi degli stati e dei capitalisti.

Amnesty International è finanziata dalla Commissione Europea, dal governo britannico, dalla Open Society Georgia Foundation del famigerato benefattore internazionale George Soros, solo per citarne alcuni. Irene Khan, direttrice di Amnesty, suscitò lo sdegno degli stessi attivisti andandosene con una “liquidazione” di 500.000 sterline nel 2009. Suzanne Nossel, altra direttrice di Amnesty nel 2012-2013, aveva prima lavorato per multinazionali USA della comunicazione, per il Wall Street Journal, per il Dipartimento di Stato USA dove si era distinta per le sue posizioni filoisraeliane e a favore dell’intervento USA in Afganistan. Non per niente Colin Powell dichiarò che “le ONG sono per noi una forza altrettanto importante dei combattenti armati”. L’attuale direttore di Amnesty, Salil Shetty, prende uno stipendio annuale di 210.000 sterline. Passiamo a Save the Children, cacciata da Pakistan e Siria con l’accusa di lavorare per la CIA, che prende soldi da: Chevron, Exxon Mobil, Merck Foundation, Bank of America e molte altre multinazionali citate come sponsor sul suo sito, tra le quali naturalmente varie industrie chimiche e chimico farmaceutiche, oltre che dall’immancabile Soros e dai due benefattori mondiali Bill e Melinda Gates, dall’Unione Europea e dal governo britannico (alla faccia delle organizzazioni non governative). Uno dei suoi passati direttori, Justin Forsyth nel 2013 prendeva un salario di 185.000 sterline per salvare i bambini. Era stato prima direttore di Oxfam, poi consigliere di Tony Blair, poi direttore delle “campagne strategiche di informazione” di Gordon Brown; adesso è direttore UNICEF. Decisamente un uomo per tutte le stagioni. O forse è sempre la stessa? Nel 2014 lo stipendio (chiamiamolo così) massimo di un dirigente di Save the Children UK era di 234.000 sterline. Nel bilancio di Save the Children International il dirigente con la paga più alta prendeva 387.000 dollari. Medici senza Frontiere nel 2010 aveva un bilancio di 1,1 miliardi di dollari. Nel 2014 il direttore di MSF USA (Doctors Without Borders) prendeva uno stipendio di 164.000 dollari l’anno, però per risparmiare viaggiava in aereo in “economic class”. Tra i finanziatori di Medici Senza Frontiere ci sono Goldman Sachs, Citigroup, Bloomberg, e Richard Rockfeller, padrone e dirigente di svariate multinazionali, è stato per ventun anni presidente della filiale USA di questa organizzazione caritatevole che si è trovata spesso in situazioni ambigue sui teatri di guerra, accusata di essere di parte e non necessariamente dalla parte giusta. Accusata di lanciare falsi allarmi per false epidemie che però richiedevano vere campagne di vaccinazione. Naturalmente, anche qui non mancano Soros e Bill Gates.

E via incamerando. E redistribuendo, perché no? Vaccini a vagonate, per esempio.

Bill Gates e consorte sono proprietari delle ditte farmaceutiche che producono vaccini, danno soldi a Save the Children e Medici senza Frontiere, che ne trattengono quel che serve per i propri stipendi e il resto lo restituiscono ai patron Gates comperando i loro vaccini. I Gates scalano dalle tasse le “donazioni” che sono rientrate nelle loro tasche, i bambini africani e indiani vengono rimpinzati di vaccini e tutti vivono felici e contenti. O no?

Della Commissione Trilaterale, lo dice la parola stessa, fanno parte tre “branche” del dominio: uomini d’affari (e con questo s’intende dirigenti e padroni di multinazionali private e pubbliche), politici (ma solo del tipo che rappresenta gli interessi dei succitati uomini d’affari), intellettuali (idem). Degli intellettuali membri della tribù trilaterale (loro sì che “fanno rete”!) fanno parte qualche vagone di docenti universitari e rettori di università di tutto il mondo, camionate di giornalisti e direttori di giornali e media vari e… parecchi funzionari della CIA. Ma è interessante notare come la maggior parte di costoro saltellino dall’uno all’altro dei tre rami dell’albero trilaterale come allegri uccellini. Forse per ingannare la vista.

Ed è quello che fanno anche i dirigenti delle grandi e ricche ONG. Paolo Magri, segretario generale del gruppo italiano della Trilateral Commission, è direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, docente di Organizzazioni internazionali all’università di Pavia, docente al master in Comunicazione per le Relazioni Internazionali della IULM, membro della consulta tecnica della fondazione Giordano dell’Amore (microfinanza) e del consiglio d’indirizzo della fondazione Italia-Russia, funzionario dell’ONU e collaboratore della Italcementi e… vicepresidente del CESVI. Una delle più grosse e importanti ONG italiane, che “risponde alla fame nel mondo, all’assistenza sanitaria e alle emergenze umanitarie”.

Il capitalismo globale sa che l’inganno e il tradimento sono armi fondamentali per vincere le guerre e, nella sua guerra globale, le utilizza a piene mani. Sa anche che il lavoro d’équipe è quello che dà i migliori risultati. In questo lavoro d’équipe le grandi ONG sono il nuovo strumento dell’imperialismo e del neocolonialismo. Dietro le apparenze, che ingannano tante brave e generose persone, volontari e donatori, ci sono interessi economici, politici e strategici perseguiti con maschere ingannevoli (ma sempre meno ingannevoli) e dietro regie occulte (ma sempre meno occulte).

Fonte: ilcambiamento.it

L'industria della Carità

Voto medio su 1 recensioni: Da non perdere

€ 13.9

Caccia al petrolio: in Perù gli indigeni fanno causa al governo

Un’organizzazione indigena del Perù ha fatto causa al governo per non aver protetto le tribù incontattate dalle invasioni e dalle prospezioni petrolifere. Perché il denaro non valga più dei diritti umani…9487-10228

AIDESEP, l’organizzazione nazionale indigena, sta portando in tribunale il Ministero della Cultura del Perù per non aver rispettato l’obbligo legale di mappare e creare cinque nuove riserve indigene, e di proteggere i popoli estremamente vulnerabili che vi vivono. Lo fa sapere l’organizzazione Survival International.

«Nel 2007, il Perù aveva concesso alla compagnia petrolifera canadese Pacific E&P il diritto di effettuare esplorazioni a Yavari Tapiche, un’area all’interno della frontiera dell’Amazzonia incontattata già proposta come riserva indigena – spiega l’associazione per i diritti del popoli indigeni –  L’AIDESEP chiede da 14 anni che la riserva venga istituita, mentre Survival International sta conducendo una campagna internazionale per il diritto dei popoli incontattati a determinare autonomamente il proprio futuro. I ricercatori temono che gli Indiani incontattati che vivono nell’area possano essere spazzati via dalla violenza di esterni e da malattie verso cui non hanno difese immunitarie. Gli operai che lavorano all’estrazione del petrolio rischiano di entrare in contatto con i popoli isolati; inoltre, il processo di prospezione petrolifera prevede la detonazione di migliaia di cariche sotterranee che fanno fuggire la selvaggina da cui gli Indiani dipendono».
«I Matsés, che vivono vicino all’area proposta come riserva, protestano contro il governo, che non ha proibito le prospezioni petrolifere. Nel corso di una recente riunione indigena, un uomo della tribù ha dichiarato: “Non voglio che i miei figli siano distrutti dal petrolio… Ecco perché ci stiamo difendendo… E perché noi Matsés ci siamo uniti. Le compagnie petrolifere… ci stanno insultando e noi non resteremo in silenzio mentre ci sfruttano nelle nostre terre ancestrali. Se necessario, moriremo lottando contro il petrolio.” Un’altra organizzazione indigena, ORPIO – prosegue ancora Survival – sta portando in tribunale un altro caso contro la minaccia di prospezioni petrolifere». «Le tribù incontattate sono i popoli più vulnerabili sul pianeta, ma sembra che le autorità del Perù considerino i profitti della compagnia petrolifera più importanti della terra, delle vite e dei diritti umani dei popoli” ha commentato Stephen Corry, Direttore generale di Survival. «Il fatto di non aver creato riserve indigene non è solo una catastrofe ambientale, ma potrebbe anche spazzare via per sempre intere popolazioni».

In sintesi:

– AIDESEP è l’organizzazione nazionale del Perù per gli Indiani amazzonici. Lavora per difendere i diritti umani degli indigeni peruviani.

– AIDESEP ha presentato una Domanda legale di Adempimento (Demanda de Cumplimiento) alla Corte Superiore di Giustizia di Lima, con il sostegno dell’organizzazione legale IDL.

– Il Ministero peruviano della Cultura è responsabile della mappatura e della protezione dei territori indigeni. In Perù, le terre delle tribù incontattate dovrebbero essere protette per legge ma, in realtà, questa protezione è spesso inadeguata o inesistente.
– Il Perù ha inoltre ratificato la Convenzione ILO 169, la legge internazionale per i popoli indigeni, che richiede di rispettare i diritti umani e territoriali dei popoli indigeni.

– Tra le tribù incontattate della frontiera dell’Amazzonia incontattata che potrebbero essere spazzate via senza una solida protezione territoriale ci sono anche membri incontattati dei Matsés.

– Molti Matsés furono contattati con la forza dai missionari americani nel 1969, a seguito di violenti scontri con i coloni dell’area. Il contatto ha portato violenze e malattie, e ha ucciso molti membri della tribù.

– Le cinque riserve proposte sono: Yavari Tapiche, Yavari Mirim, Sierra del Divisor Occidental, Napo Tigre e Cacataibo.

Delle tribù incontattate sappiamo molto poco. Ma sappiamo che nel mondo ce ne sono oltre un centinaio. E sappiamo che intere popolazioni sono sterminate dalla violenza genocida di stranieri che le derubano di terre e risorse, e da malattie, come l’influenza e il morbillo, verso cui non hanno difese immunitarie. I popoli incontattati non sono arretrati o primitivi, né reliquie di un remoto passato. Sono nostri contemporanei e rappresentano una parte essenziale della diversità umana. Quando i loro diritti sono rispettati, continuano a prosperare. Le loro conoscenze, sviluppate nel corso di migliaia di anni, sono insostituibili. Sono i migliori custodi dei loro ambienti. E le prove dimostrano che i territori indigeni costituiscono la migliore barriera alla deforestazione.

 

Fonte: ilcambiamento.it

 

Vivere facendo a meno del denaro: il gruppo ALVISE

Al giorno d’oggi sembra che tutto sia basato sul denaro e che creare qualcosa senza l’ausilio di quest’ultimo sia impossibile. Ma c’è anche chi non la pensa in questo modo e crede fortemente che i soldi non siano così indispensabili, al punto da riuscire a realizzare una comunità che mette il dono come filosofia di vita e di crescita reciproca. È la storia del gruppo ALVISE, nato per volontà di Marco Conti, 49 anni, di Alpignano in provincia di Torino.9444-10180

MarcoConti è il fondatore del gruppo ALVISE e ci racconta come è partito il progetto e come si è evoluto.

“Tutto è nato 2 anni fa grazie alla lettura del li­bro L’uomo senza sol­di. Vivere facendo completamente a meno de­l denaro di Mark Boy­le. La base è la free­conomy, la gratuità, ­che si realizza con l­o scambio di beni mat­eriali e di abilità intellettuali e manual­i. Volevo fondare un gruppo in cui la generosità, l’att­o di dare senza aspet­tarsi nulla in cambio­, costituisse le fondamenta. Il denaro non è infatti indispensabile per vivere: anche se non esistesse, l’esistenza dell’uomo sulla terra potrebbe comunque continuare grazie agli scambi e al baratto. L’avvio del gruppo è stato un po’ travagliato: ne avevo inizialmente parlato a un amico che aveva le mie stesse esperienze nell’ambito ecologico e da questo scambio di opinioni ne è emersa una prima riunione in cui abbiamo aderito in otto. Purtroppo non si riusciva facilmente a trovare delle linee guida e per questo le iniziative non partivano: facevamo continue riunioni senza concludere nulla e presto l’entusiasmo iniziale si spense. La svolta c’è stata nel gennaio 2016, quando il gruppo iniziale ha abbandonato ALVISE decretandone la fine. Io invece ne ho visto il potenziale e da solo ho ripreso la situazione, dapprima con  laboratori di autoproduzioni, poi con i corsi di yoga, reiki e meditazione che hanno incrementato notevolmente il numero degli iscritti. Non c’è un direttivo, ma ci si basa sulla voglia di fare e di trovarci insieme.”

Cosa significa il nome ALVISE e su cosa si basa?

“ALVISE è un acronimo che sta per “ALpignano VIve SEnza”, cioè senza denaro,­ senza spreco e senza inquinament­o: è un gruppo spontaneo autogestito di mutuo aiuto senza scopo di lucro che comunica principalmente su WhatsA­pp (standard e broadcast) libero a tutti, che conta or­a circa 330 iscrit­ti in continuo aumento. C’è chi dona i­l proprio sapere e tempo conducendo corsi ­e lezioni, chi mette ­a disposizione gli sp­azi, chi prepara piac­evoli aperitivi autop­rodotti da consumare ­a fine incontro, chi regala oggetti che non utilizza più affinché trovino una nuova vita. Insieme diamo corpo a un’economia del dono, del­la condivisione, dell­o scambio e del barat­to degli oggetti ed organizziamo incontri ­dove ognuno di noi po­rta ed acquisisce sap­eri e conoscenze.­”

Quali sono le iniziative che avete organizzato finora e quali quelle in programma in futuro?

“Abbiamo fatto corsi d­i autoproduzione (tor­telli, sapone, deters­ivi, gelato, pizza) e­d esperienziali (thai­ chi, medigym, yoga, ­meditazione, reiki, seduzione, musica, postura), pa­rlato di risparmio en­ergetico e di alimentazione, visionato documentari ed approfondito stili di vita a­ noi vicini come la Semplicità Volontaria.­ Non sono mancati mom­enti di svago con cen­e vegetariane/vegane,­ gite culturali e vis­ite ad ecovillaggi. A­ltri ambiti del nostr­o agire sono la soste­nibilità ambientale, ­il rispetto per tutti­ gli animali (umani e­ non), la lotta allo spreco alimentare e l­a riduzione dei rifiu­ti. Tra dicemb­re ’16 e gennaio ’17 abbiamo in program­ma esperimenti di socializzazione, una costellazione familiare,­ lezioni di acrobazia aerea, appuntamenti con psicologhe ed osteopata, la presentazione di un libro­, conosceremo il Metodo Bates x migliorare la vista in modo naturale. Ad ­ALVISE occorrono solo­ dai 3 ai 5 giorni da­ quando si pensa a quando si realizza un evento. In genere ci r­itroviamo presso parc­hi pubblici o in cas­e private in modo da non dover sostenere i costi per l’affitto di una sala: cucine, sa­le da pranzo, taverne­tte, orti e giardini ­vengono usati per le ­varie attività. In qu­esto modo le persone ­aprono le loro porte ­per accogliere sconos­ciuti che possono div­entare nuovi amici. A­gli incontri c’è sempre tanta voglia di st­are insieme e di rivedersi.”

Da chi è composto il gruppo?

“Principalmente sono donne, per il 78% degli iscritti­. In generale, i membri del gruppo hanno in media un’età compresa tra i­ 40 ed i 60 anni e sono laureati per il 90­%. Tra di noi ci sono­ insegnanti, architet­ti, medici, infermier­i, registi, ecodesign­er, farmacisti, inven­tori, ingegneri, avvocati, psicologi, antropologi ed anche oper­ai, casalinghe e pensionati.”
Insomma, è un gruppo molto ricco e variegato. Quali sono i costi per portare avanti tutti questi progetti?

“Tutte le iniziative d­i ALVISE sono gratuite: chi organizza, osp­ita o partecipa non ssostiene spese: ciò co­nsente a tutti di pot­ervi accedere. Unici ­requisiti richiesti sono la curiosità e la­ volontà di fare nuov­e esperienze e conosc­enze. Siamo anche da ­stimolo verso chi pensa che senza denaro n­on si possa organizza­re nulla. Al centro del gruppo, infatti, c’è la persona e i rapporti  che si vengono ad instaurare attraverso una rete di collaborazione e condivisione. ALVISE ALpignano VIve­ SEnza è un’opportun­ità di crescita nella­ ragione in cui sapre­mo coglierne la forza­ del progetto, che ve­diamo espandersi quot­idianamente con l’ingresso di nuovi amici,­ idee, competenze, collaborazioni.”

Il gruppo ALVISE è anche su facebook

Fonte: ilcambiamento.it

 

La gentilezza gratuita non ha età

Combs1-620x350

 

La gentilezza non ha età: non è mai troppo tardi per fare un gesto disinteressato, come ha dimostrato una coppia non più giovanissima, residente a Grandville, cittadina del Michigan (USA). Un sabato pomeriggio, Riley e Hermi Combs (nella foto sotto) sono usciti di casa e si sono piazzati al centro di un incrocio molto trafficato della loro città ed hanno cominciato a fermare gli automobilisti di passaggio non per chiedere loro soldi, ma – al contrario – per regalarli. La simpatica coppia ha stazionato al semaforo tra Byron Center Avenue e la 44th Street ed ha elargito 100 banconote da 1 dollaro l’una a 100 automobilisti, dapprima sbalorditi e poi divertiti.Combs3-150x150

E i due coniugi hanno fatto tutto questo tenendo in mano un cartello con la scritta: “NO, NON sono un senzatetto e NON ho fame.Posso darti 1 dollaro?“. La nipote della coppia ha dichiarato alla stampa che i nonni avevano maturato l’idea del semaforo già da qualche settimana e che la nonna si è divertita da matti a metterla in pratica. Mentre Ami, la figlia di Riley e Hermi, ha spiegato che questa non era affatto la prima volta che i suoi genitori distribuivano regali o denaro a perfetti sconosciuti. “Hanno comprato anche biglietti dell’autobus che valevano un mese e li hanno distribuiti in modo del tutto causale”, ha detto Ami. “Sono molto attivi nella nostra comunità. Sono persone davvero fantastiche”.

Fonte: buonenotizie.it

Dopo 17 anni fa la cosa giusta e rimedia ai suoi errori

Non è mai troppo tardi Letter1-620x321

per rimediare ai propri errori e lo dimostra la storia di un uomo tormentato dal senso di colpa per aver derubato la sua scuola quando aveva solo 12 anni: e così, dopo 17 anni, ha deciso di inviare alla scuola una lettera di scuse e una busta piena di soldi. E’ successo in California, a Nevada City, dove James Berardi – preside della Grizzly Hill Elementary School – si è visto recapitare una lettera scritta a mano, firmata e accompagnata da 300 dollari. Nella lettera, il mittente spiegava che 17 anni fa, quando frequentava la scuola ed aveva solo 12 anni, aveva rubato dei soldi che dovevano essere destinati ad una gita scolastica o alla festa di fine anno. “Ho fatto irruzione a scuola”, ha scritto l’autore della lettera, di cui non è stato reso noto il nome, “poco prima della fine dell’anno scolastico. Ho rubato il denaro di alcune classi (che lo avevano messo da parte per una gita o per la festa di fine anno) e, dall’ufficio del preside, ho rubato alcuni oggetti che erano stati confiscati. Ho rotto qualche serratura e i telai di alcune finestre. Non so esattamente quant’è costato riparare i danni, né quanti soldi avevo rubato. Secondo i miei calcoli, dovrebbero essere 300 dollari. Ho allegato alla lettera questa cifra per rimediare a ciò che ho fatto, per cercare di risarcire i danni e riparare ai miei errori”. La bella missiva, infine, si chiudeva con questa frase: “Se, a scuola, lavora ancora qualcuno che si ricorda di questo episodio e ritiene che 300 dollari non siano sufficienti a coprire i danni, non esitate a contattarmi”. Il preside Berardi ha subito contattato l’ex allievo per ringraziarlo del bellissimo gesto e per comunicargli che i soldi inviati erano più che sufficienti. Ed ha commentato, visibilmente commosso: “Mi auguro che questo gesto gli abbia dato la serenità che stava cercando. Forse l’ha fatto per liberarsi da un grosso peso o dal senso di colpa”. Secondo gli insegnanti della Grizzly Hill School la lettera vale molto più del denaro che conteneva, perché ha dato agli studenti un’importante lezione di vita. “Questa persona ha fatto una cosa sbagliata”, ha sottolineato Willow De Franco, “E forse si è sentita così male e così in colpa per aver fatto scelte sbagliate, che alla fine ha deciso di rimediare al suo errore”.

Fonte: buonenotizie.it