Per una nuova agricoltura: al Krameterhof con Devis Bonanni

In occasione dell’ultima visita guidata per italiani organizzata al Krameterhof, uno dei principali esempi europei di permacultura applicata in climi temperati, abbiamo incontrato ed intervistato Devis Bonanni, fondatore del Progetto Pecoranera.krameterhof

Il Krameterhof, l’azienda agricola “cresciuta” da Sepp Holzer, il contadino ribelle Austriaco, ed ora gestita dal figlio Josef è considerata uno dei più importanti esempi Europei di permacultura applicata in climi temperati. Già dai primi passi, appena varcato l’ingresso, si viene avvolti da una vegetazione lussureggiante, una sorta di giardino dell’Eden che, in una delle regioni più fredde dell’Austria, contrappone una straordinaria biodiversità alla sterilità delle monocolture di abeti che la circondano. Durante l’ultima visita guidata per Italiani organizzata al Krameterhof abbiamo avuto tra i partecipanti Devis Bonanni, fondatore del Progetto Pecoranera. Nell’intervista che segue gli abbiamo chiesto cosa ha trovato al Krameterhof e cosa si è portato in Italia.

Come hai conosciuto il Krameterhof?

Ho conosciuto tardi l’esperienza di Holzer. La scorsa primavera ho partecipato ad alcuni incontri sulla permacultura per iniziativa di un’associazione locale. In quell’occasione è stato proiettato il documentario sul Krameterhof. Abito in Carnia, al confine con l’Austria, a soli centottanta chilometri da Sepp Holzer: le nostre condizioni sono molto simili a quelle del Lungau per territorio e clima, come non provare interesse?

Che aspettative avevi dalla visita al Krameterhof e cosa hai trovato là?

Da aspirante permacultore più che aspettative nutrivo dei timori. Il filmato mi aveva impressionato. Andando in Austria volevo mettermi di fronte allo stato dell’arte della permacultura nei climi temperati freddi e stimare il cammino che ancora mi attende. Temevo che il passo in termini di conoscenze, investimenti, tempo e filosofia fosse troppo grande. Con sorpresa mi sono trovato invece di fronte ad una permacultura possibile, avvicinabile, comprensibile anche da me che faccio il contadino solo da pochi anni. I principi enunciati durante la visita risuonavano dentro di me con familiarità, nelle parole di Josef Holzer ho ritrovato i pezzi del puzzle che sto mettendo assieme: lui ha completato l’opera ma disporre dei pezzi è già un’ottima cosa.krameterhof5

Per chi ha letto i libri di Sepp Holzer e conosciuto attraverso di essi il Krameterhof, questo è indubbiamente un luogo di grande fascino. Una sorta di giardino dell’eden in cui sono stati tradotti in pratica con successo i principi della permacultura ancora prima che venissero teorizzati. Dopo la fascinazione iniziale però la reazione di molte persone si trasforma in una presa di distanze con frasi del tipo: “eh va be’ ma lui sta in montagna!”, “ma qui c’è un clima diverso!” , forse per la delusione di non aver trovato una ricetta pronta da copiare tale e quale a casa propria.

Pensi che la tua visita in Austria influenzerà l’evoluzione del Progetto Pecoranera? Se sì, in che modo?

Chi avanza questi dubbi evidentemente non ha alzato lo sguardo verso il versante opposto della valle. Di là una grande monocoltura di abeti, di qua stagni, orti, alberi da frutto, animali al pascolo. Io abito in montagna e so cosa significa lavorare in pendenza, aspettarsi gelate in maggio, vedere la neve in ottobre, disporre di terreni profondi solo dieci o venti centimetri. Il mio pensiero è stato diametralmente opposto: ha realizzato tutto ciò nonostante le condizioni sfavorevoli! In pianura ci sono terreni più profondi, l’erosione è limitata, l’insolazione è potente, la stagione è lunga: cosa avrebbe fatto Holzer in pianura Padana, in Maremma, nel viterbese o nel Cilento? Sono rientrato a casa con un unico pensiero, lavorare ancora più sodo su questa strada. Sto proponendo al mio comune un lavoro di recupero dei meli antichi per ripiantumare intere porzioni della nostra terra con gli alberi giusti. Vorrei impratichirmi con le coltivazioni di cereali su sodo e stabilire nuove interazioni tra i campi e le mie galline. Insomma: il lavoro non manca!josef_holzer

Durante la prima visita guidata che ho fatto al Krameterhof, Josef Holzer, mostrandoci alcune delle coltivazioni di frutta e ortaggi ha insistito su quanto per lui sia importante coltivare ciò che mangia. Per molti suoi colleghi non è così: spesso anche chi fa coltivazioni di eccellenza nel campo del biologico sostiene di non avere il tempo per curare un orto. Penso che anche per te questo sia un aspetto fondamentale e che si possa dire che l’aspirazione all’autosufficienza sia stata una delle pietre fondanti del progetto Pecoranera. Pensi che si possano coniugare questo desiderio di autosufficienza, generalmente associato a piccolissime produzioni ed a stili di vita improntati ad una sobrietà volontaria, con l’aspirazione ad un’agricoltura su scala più grande, in grado di produrre reddito, impiegare persone?

Oggi abbiamo molti agricoltori e pochi contadini. Se fossi finito per coltivare ettari e ettari di tre o quattro prodotti avrei preferito rimanere in ufficio. L’autoproduzione alimentare è il fondamento per una certa libertà di manovra. Fino a quando dipenderemo in toto dal denaro anche noi contadini non saremo liberi. Dobbiamo rompere queste catene e consociare l’agricoltura ad altre grandi tematiche: vegetarianesimo, mobilità sostenibile, energie alternative su piccola scala etc. Dirò di più, dobbiamo rompere gli schemi a tutti i livelli e iniziare a fare cose nuove con nuovi strumenti. Il biologico è spesso un’imitazione dell’agricoltura industriale con metodi organici. Forse perché facciamo ancora riferimento alla civiltà contadina senza guardare un passo indietro: cosa hanno da insegnarci i popoli nativi? Paradossalmente il Krameterhof è più vicino a rigenerare il giardino dell’Eden ante invenzione dell’agricoltura piuttosto che a fare agricoltura organica.

Il Krameterhof è una realtà di eccellenza, considerata da molti il più importante esempio Europeo di permacultura applicata in climi temperati. Qui ed in altre realtà che mettono in pratica tecniche di permacultura in Italia e all’estero parte del sostentamento proviene anche da attività di formazione, corsi, visite guidate. Questo porta molte persone a pensare che questo modo di praticare l’agricoltura non sia in grado di sostenersi economicamente senza questi ‘altri’ introiti. Tu cosa ne pensi?

Parliamoci chiaro: la permacultura non potrà mai pareggiare i risultati ottenuti dall’agricoltura chimica. È troppo grande l’input energetico dato dai fertilizzanti per competere in termini di rese/superficie/lavoro. Ciò che non mi è piaciuto nelle parole di Holzer è stata l’eccessiva enfasi sui prodotti di nicchia. Ci ha parlato di marmellata di pigne e grappa di genziana. Prodotti molto costosi per austriaci danarosi. La permacultura deve fornire risposte soprattutto sul cibo di tutti i giorni. Non potremmo offrire mele permacoltivate a ottanta centesimi al chilo in supermercato ma cercare di avvicinarci al mercato con prezzi accessibili a chi voglia investire sulla propria salute piuttosto che su uno smartphone. Per fare ciò bisogna lavorare sulla filiera, sul senso dell’alimentazione, sulla riduzione dei costi per le aziende e, nelle zone rurali, sull’agricoltura diffusa come integrazione al reddito per carpire le energie lavorative sopite ed inutilizzate dalla società. Anche il mio progetto non è ancora un’azienda agricola e mi avvalgo piuttosto di fonti di reddito da altri lavori ma la strada non è impossibile. E poi mi preme sottolineare un dato. Holzer produce cibo la dove non cresceva neppure mezza patata. Operando col suo metodo si potrebbe coinvolgere nei cicli produttivi quei territori considerati da sempre non coltivabili.krameterhof6

Hai chiamato il tuo progetto Pecoranera, l’autobiografia di Sepp Holzer si intitola The rebel Farmer. C’è un’idea di ribellione molto forte in queste definizioni, proprio anche di un certo modo di intendere l’agricoltura. Non un semplice rifiuto ma una pratica di cambiamento che parte da sé, ma che mira ben oltre, senza aspettare un via libera dall’alto. Mi viene in mente ciò che scrive Fukuoka nella “Rivoluzione del filo di paglia” (anche in questo titolo il lessico è significativo): “l’agricoltura non consiste nel far crescere un raccolto ma nella coltivazione e nel perfezionamento dell’essere umano”

Come hai scelto la via dell’agricoltura?

In questi anni è cambiato il tuo modo di intenderla?

Ho scelto l’agricoltura perché senza sovranità alimentare non si è davvero liberi. È la genesi di tutte le cose, assieme alla ricerca di un riparo adeguato e di buona acqua per dissetarsi. All’inizio il mio riferimento era lo stereotipo contadino. Ma la vecchia società agricola rappresenta comunque l’espressione della lotta contro la Natura, il dominio e la violenza. In questi anni molto è cambiato nella mia percezione. Oggi penso che non si possa essere contadini nuovi senza essere uomini nuovi. Questo percorso può diventare quasi una via francescana alla riconciliazione con il Creato. L’agricoltura è stata per troppo tempo alfiere dell’antropocentrismo, è ora di fare un passo indietro e coltivare il nostro Giardino dell’Eden.

Note

1. PermaculTour organizza corsi e visite guidate presso realtà che operano nel campo della permacultura in Italia e all’estero. In programma c’è un altra visita guidata al Krameterhof rivolta ad Italiani il 29 settembre 2013. Per informazioni: emiliano.zanichelli@gmail.com

2. Pecoranera è la concretizzazione di un ideale di libertà per noi, Devis e Monica, che oggi portiamo avanti il progetto. La libertà che proviamo quando fatichiamo nei campi, l’ideale di vivere più in armonia con l’ambiente che ci circonda, coltivando il cibo di cui ci nutriamo, procurandoci la legna per riscaldare la casa, salendo in sella ad una bicicletta piuttosto che accomodarci in auto…

Fonte: il cambiamento

Il cibo non è una merce. In memoria dell’agricoltura siciliana

“Abbiamo abbandonato il nostro concetto di qualità per sostituirlo con dei parametri che vanno bene per le macchine e non per l’essere umano. È stato come vendere la nostra evoluzione per un piatto di lenticchie”.cibo_3

“Il cibo non è una merce. Il cibo non è un insieme di nutrienti chimici. Esso è una rete di rapporti tra un gran numero di esseri viventi, umani e non umani, tutti dipendenti gli uni dagli altri e tutti radicati nel terreno e nutriti dalla luce del sole (Pollan). Ma questo – come sostiene “Terra e LiberAzione” – è possibile solo ad un’azienda agro-energetica che appartenga ad un territorio che abbia la sovranità alimentare e l’indipendenza”. La terra e l’uomo che la coltiva sopravvivono, ormai da tempo, a laceranti crisi che lasciano segni profondi non solo nella nostra economia ma anche nelle nostre coscienze. Gli squarci provocati dagli uomini che hanno avuto in mano le sorti politiche dell’arte di coltivare il suolo e l’illusione contadina di abbandonare la passione per la terra ed avvicinarsi al profitto praticando la strada larga della chimica e dell’inquinamento, hanno provocato la diaspora nelle campagne e la disgrazia nella popolazione rurale. La ruralità spiccata della nostra Isola digerì il primo impatto con tutto ciò che arrivò da Oriente per consegnarlo ad un Continente altrimenti affamato, divenendo pilastro del Mediterraneo. Tempo perso. Secoli di storia e di esperienza svenduti, ai giorni nostri, per poche palline colorate da banditori idioti su mercati che non controllano più o che non possono più controllare. È la Morte. Ma la morte è una lunga attesa; essa dà all’uomo sempre l’occasione di convertirsi, di ritrovarsi, di ribellarsi all’inganno prima di passare oltre la linea di demarcazione. Allo stato attuale sembra incombere il Pericolo di perdere le nostre aziende agricole, di perdere la nostra Terra, per sempre. E questo è il Pericolo.diserbanti

L’occasione di cambiamento e salvezza dove sta? Innanzitutto, dobbiamo essere coscienti che uscire dalla crisi non è solo un fattore economico, ma è principalmente un fattore umano. L’uomo senza la conoscenza non è un attore, ma un servo, uno schiavo. Noi, senza nemmeno accorgercene siamo divenuti schiavi di quelle transnazionali alle quali interessa solo il Profitto, schiavi dei Poteri Forti che hanno provocato fame e sradicamento nel mondo distruggendo intere Civiltà e creato in noi la paura del diverso, di tutto quello che proviene dal mare, dal grano canadese, dall’ortofrutta africana ecc. La paura è giustificata perché questi prodotti hanno distrutto i nostri mercati, hanno inquinato le nostre mense, lasciano invenduti i nostri prodotti. Ma il potere a questi prodotti – non sempre e necessariamente cattivi – lo abbiamo dato noi, perché abbiamo sostituito la nostra ricca biodiversità con lo standard delle multinazionali. Abbiamo abbandonato il nostro concetto di qualità per sostituirlo con dei parametri che vanno bene per le macchine e non per l’essere umano. È stato come vendere la nostra evoluzione per un piatto di lenticchie. Qualcuno propone una Riforma Agraria, noi proporremmo piuttosto una Riforma Agronomica e Agroenergetica. Ne riparleremo. Il problema non nasce in questi ultimi anni, ma, in tempi recenti, si profilò già alla fine della II Guerra Mondiale, quando le fabbriche di munizioni rimasero con i magazzini pieni di Nitrato d’Ammonio che era stato utilizzato per fabbricare gli esplosivi. Dopo una breve ricerca i fabbricanti di armi scoprirono che il solito amico Fritz, Haber di cognome, un tedesco di origine ebraica, aveva capito, nel 1906, come dare il Nitrato d’Ammonio ai vegetali. Costui aveva anche inventato i gas mortali sparsi nelle trincee durante la I Guerra Mondiale e lo Zyklon B usato per gasare gli ebrei nei campi di sterminio. Testati, poi, durante la guerra del Vietnam e usati come Defolianti per scovare i terribili Vietcong, che difendevano le loro risaie, nascondendosi nella vegetazione delle loro foreste. Da qui vennero fuori i gloriosi diserbanti che nelle pubblicità vengono definiti come “protettori delle colture dai loro nemici naturali”.semi_zucca

Se poniamo attenzione vediamo, quindi, che per fare agricoltura stiamo utilizzando due “sistemi di distruzione di massa”. La natura ringrazia insieme al consumatore per la strage “diferita” che stiamo provocando. Differita perché non si muore subito ma dopo avere consumato una buona dose di prodotti farmaceutici per curare la salute rimpinguando anche le casse dell’industria farmaceutica che qualche mese fa voleva inoculare nel sangue della popolazione mondiale qualche schifezza a pagamento, con tanto di promozione ministeriale. Forse potremmo abbassare pure l’IRAP se mangiassimo sano. Ciò non bastò, perché l’industria non si accontentò di vendere i suoi “elisir”, ma rivolse l’attenzione anche alla cosa più importante per il contadino: il seme, “a simenza”. A questo punto nasce l’altro inganno. Con il pretesto di risolvere la fame nel mondo gli “scienziati” attivano una serie di mutagenesi indotte per modificare il mais, il grano tenero poi e per ultimo il grano duro. Così il lavoro svolto dai contadini negli ultimi 10.000 – 15.000 anni, che selezionarono, “con la loro ignoranza”, centinaia di popolazioni di frumento, rispettandone la natura e adeguandole alla moltitudine di microclimi, consegnando alle generazioni future un tesoro di biodiversità vegetale, venne messo al bando per promuovere il risultato ottenuto “dalla scienza” in una notte del 1974 con l’ausilio di un cannone ai Raggi Gamma del Cobalto inventandosi le Varietà di grano nanizzato – iperproduttivo che necessita di nitrato d’ammonio, di diserbanti e di antifungini, la cui caratteristica, oltre a quella dell’iperglutine è quella di avere perduto la diversità ed acquisito l’omogeneità. “Ovviamente le nuove varietà sono meno capaci di rispondere adattativamente ai futuri cambiamenti climatici o alla comparsa di parassiti” – disse il Prof. Luigi Monti, durante la sua Laudatio Academica all’Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Scienze Biotecnologiche, in occasione del Conferimento della Laurea honoris causa a Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, l’artefice della mutagenesi indotta applicata sui cereali nel suo progetto Campo Gamma, – ed infine aggiunse: “Esiste, quindi, una contraddizione tra il miglioramento genetico e la conservazione della biodiversità, nel senso che le nuove varietà riducono la diversità genetica presente nell’ecosistema”. Fu sincero però.semi_mano1

Lo stesso lavoro lo si sta facendo sull’umanità a discapito dell’identità e della diversità dei popoli. Le nostre aziende non hanno più la sovranità sul seme, quindi, non abbiamo neppure quella alimentare. E se il rapporto tra lo schiavo ed il padrone si risolve nella dazione o meno del cibo possiamo dire che oggi siamo schiavi. Credo, poi, che gli agricoltori non si rendano conto di cosa abbiano studiato a nostro danno. L’agricoltore vende il grano a 15 – 16 euro a quintale, ossia a 10 euro in meno di quanto gli costa produrlo. Eppure i raccolti continuano di anno in anno. Perché? Di fronte al prezzo basso, il contadino, per pagare le fatture, l’Inps, onorare i debiti e mantenere i figli ha una sola possibilità: produrre di più. Per aumentare le rese di qualche quintale per ettaro si impoverisce la terra, si usano anche terreni marginali e si abusa di concimi chimici. Ma più aumenta l’offerta di grano, più cala il prezzo. Spirale di follia. L’agricoltore continua a misurare il suo lavoro in base ai quintali/ettaro, facendo magari a gara con il circondario, mentre va verso il fallimento. Per il mercato, anche se fallisce un agricoltore, non è un problema, la terra continua a produrre. Inoltre, i contributi che vanno nelle tasche degli agricoltori, in realtà aiutano i compratori di grano a prezzi stracciati. Saranno sempre i governi a guidare l’agricoltura. Oggi, le nostre aziende agricole sono dei Centri di Trasformazione di Combustibili Fossili in Cibo. Un inganno, un bluff pare ci sia alla base di questa crisi. Consolidatosi nell’arco di pochi lustri, divenuto verità difesa con convinzione a tutti i livelli. Il cibo non è una merce.

Fonte: il cambiamento