Codacons denuncia Tronca: “Smog, sporcizia, inefficienza dei trasporti. Roma è nel degrado”

Secondo l’associazione, sotto la guida del Commissario Straordinario Francesco Paolo Tronca “la città di Roma sta sprofondando in uno stato di grave degrado: smog, sporcizia e inefficienza trasporti pubblici”384833_1

“Mentre nella capitale sale lo scontro tra i candidati sindaci, fatto di parole vuote e senza alcun contenuto sulle misure da adottare per risolvere le tante criticità della città, il Codacons ha depositato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma e alla Corte dei Conti del Lazio, in cui si chiama in causa direttamente il Commissario Straordinario Francesco Paolo Tronca”. Così si legge in una nota diffusa dal Codacons che sottolinea come i cittadini siano “profondamente delusi dal Commissario Tronca, scelto dal Governo per risollevare le sorti della capitale; sotto la sua guida la città sta sprofondando in uno stato di grave degrado che tocca molteplici aspetti, come attestano le tante segnalazioni ricevute negli ultimi mesi dal Codacons e le numerose inchieste dei quotidiani romani. Una mala-gestione della cosa pubblica – aggiunge l’associazione – che si riflette in modo diretto sulla vita dei romani e che ci ha portato a presentare un esposto in Procura e alla Corte dei Conti nell’interesse della collettività”.
Ad essere messo in evidenza dal Codacons, come si legge nell’atto depositato, “l’assoluta incapacità ed inerzia manifestata a 360 gradi dall’amministrazione capitolina nella gestione delle problematiche che hanno messo in ginocchio la capitale, oltre ad evidenziare responsabilità e fattispecie penalmente rilevanti, potrebbe far emergere illeciti fonti di danno erariale”.

“Si riteneva – spiega il Codacons – che l’insediamento del Commissario Straordinario Paolo Tronca alla guida di Roma Capitale avrebbe potuto risollevare le sorti della città eterna, invece di eterno permangono: il degrado, dalla sporcizia con montagne di rifiuti che invadono le strade dalla periferia al centro, fino ad una vera e propria invasione di topi estesa a tutto il centro di Roma; lo smog, con l’annosa problematica connessa all’inquinamento nella capitale e al superamento delle soglie minime con gli imbarazzanti provvedimenti delle targhe alterne e con diretto danno alla salute e danno ambientale; l’inefficienza e insufficienza dei trasporti pubblici con scioperi, continui stop ed irregolarità e discontinuità del servizio, problemi strutturali delle stazioni, guasti tecnici; la microcriminalità dilagante; il vandalismo; la sosta selvaggia ed illegittimo parcheggio di autovetture e moto sui marciapiedi con assoluta omissione di intervento della polizia municipale; l’eterno problema delle  buche stradali […]”. Per questo il Codacons “ritiene indispensabile intervenire in primis nella risoluzione definitiva dei problemi cronici che attanagliano la capitale, come evidenziati, investendo per restituire Roma ai romani e al mondo, il tutto nel rispetto dei principi di imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità, oltre che nell’ottica di correttezza e trasparenza della P.a.”
Il Codacons ha dunque chiesto alla Procura di Roma di “compiere tutte le indagini necessarie al fine di accertare se nei fatti esposti siano ravvisabili responsabilità nonché la possibilità del configurarsi di diverse fattispecie penalmente rilevanti quali l’interruzione di pubblico servizio ex art. 331 c.p. nonché quella di cui all’ art. 328 c. p. – reato di Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione, oltre che omesso controllo e vigilanza, mancata manutenzione e danno ambientale e alla violazione del fondamentale principio di rango costituzionale di tutela del patrimonio storico e artistico e del paesaggio della nazione (art. 9 cost.e cnfr. inoltre art. 117 cost. comma 2 lett. s), utilizzo illecito di fondi pubblici e concorso nel reato di inquinamento ambientale e al danno alla salute”.

Alla Corte dei Conti del Lazio l’associazione ha chiesto di verificare la corretta destinazione dei fondi pubblici e l’eventuale spreco dei soldi della collettività. “Anche un Commissario straordinario scelto dal Governo, se si rende conto di non riuscire a gestire una città come Roma e a risolvere le problematiche che assillano i cittadini, ha il dovere di dimettersi – afferma il presidente Carlo Rienzi – Di fronte alla grave situazione della capitale, riteniamo che Tronca farebbe bene a fare un passo indietro”.

(foto https://commons.wikimedia.org/wiki/User:Jastrow)

Fonte: ecodallecitta.it

Cassonetti d’autore, da degrado ad opera d’arte con Retake Roma

Cittadini uniti contro il degrado e stretti intorno ai beni comuni: è questo Retake Roma, organizzazione no profit che ripulisce la Capitale dal vandalismo e che negli ultimi giorni ha decorato insieme a un’artista di fama internazionale un cassonetto dell’immondizia. Ne parliamo con Paola Carra, cofondatrice del movimento379088

Creatività, comunità, decoro. Queste le parole chiave di Retake Roma un movimento no profit che mira a ripulire la Capitale devastata dal vandalismo e dalla sporcizia. Non si parla dei graffiti che, se effettuati con l’autorizzazione del proprietario del relativo spazio, possono essere ritenuti vere e proprie forme di arte, ma di tag e scritte che imbrattano edifici privati o spazi pubblici e che sono considerati come vandalismo, punibile legalmente.
Negli ultimi giorni, l’associazione si è resa protagonista di un attacco d’arte…ai cassonetti dell’immondizia. In Piazza Annibaliano infatti l’artista Christina Finley ha decorato il primo di una serie di cassonetti con carta da parati. Promuovere arte per combattere il degrado, è questo il senso dell’operazione condotta dai volontari di Retake in collaborazione con Ama e polizia per il decoro e la sicurezza della città (PICS). Il secchio era nuovo ed è stato consegnato a Retake dall’Ama con il permesso del Comune. “Abbiamo voluto dare una dignità al cassonetto: si tratta di un oggetto di arredo urbano che va curato e non vandalizzato come succede a Roma”, ha spiegato Paola Carra, cofondatrice di Retake Roma, ad Eco dalle Città. “Eventi come questo nei vari quartieri di Roma hanno come scopo quello di stimolare i cittadini a prendersi cura della propria città”.

Paola, come e quando nasce Retake Roma?

Retake nasce 4 anni fa per volontà di Rebecca Spitzmiller, un’americana stanca e disperata a causa delle scritte e delle tag che imbrattano la zona in cui vive, il quartiere africano (Viale Eritrea). Da sola, ha cominciato a rimboccarsi le maniche e a ripulire le strade con dei solventi. Io sono venuta a sapere del movimento e mi sono unita a Rebecca, cominciando a coordinare i cittadini di Roma Nord interessati a questa attività. In pochi mesi siamo diventati centinaia: è evidente che i cittadini hanno il desiderio di fare qualcosa, di intervenire contro il degrado che li circonda. Muoversi in maniera coordinata e in compagnia ha fatto trovare a tanti il coraggio di scendere in strada per occuparsi dei luoghi e dei beni comuni. La strada, i marciapiedi, l’arredo urbano sono proprietà di tutti, ma spesso in Italia diventano “terra di nessuno”. Con Retake i cittadini si stanno riprendendo Roma e i beni comuni.

Qual è il rapporto con le istituzioni?

Retake ha fatto della cooperazione e della condivisione con le istituzioni un punto di forza: i cittadini che partecipano agli eventi di Retake non vogliono soltanto protestare per il degrado ma vogliono fare realizzare davvero qualcosa, dare l’esempio su come potrebbero cambiare le cose unendosi attorno ai beni comuni. Ci rendiamo conto che spesso le amministrazioni senza il sostegno e la collaborazione dei cittadini non possono realizzare grandi cambiamenti. Per questo, da subito ci siamo messi in contatto con il Comune di Roma e abbiamo trovato tante persone che ci sono venute incontro: l’Ama ci ha fornito i materiali per ripristinare il decoro come pennelli, solventi e pitture, e i PICS ci hanno affiancati in molte delle nostre attività.

E i giovani come vedono queste attività di decoro?

L’educazione dei giovani per Retake è fondamentale! Sono tanti i ragazzi che si uniscono all’organizzazione e partecipano ai nostri eventi per strada, percepiscono e condividono il tema della pulizia e del decoro urbano. Inoltre, insieme al progetto Labsus abbiamo così portato nelle scuole Rock your School, un progetto di educazione alla manutenzione dei beni comuni condivisa con le istituzioni. Proprio sabato 10 maggio si svolgerà l’evento conclusivo del programma Rock your School in ospedale, che vedrà gli studenti della sezione ospedaliera dell’I.C Maffi, attualmente degenti nella Clinica Ematologica del Policlinico Umberto I, e 25 ragazzi del Liceo De Sanctis di Roma svolgere tante operazioni di manutenzione nelle strade che circondano la clinica: pulizia dei muri dai tags e verniciatura, rimozione di adesivi e di cartelli abusivi, abbellimento con piante della fioriera all’ingresso della clinica. Anche in questa occasione sarà decorato un cassonetto, come avvenuto pochi giorni fa a piazza Annibaliano.

Ma perché è importante fare Retake?

Semplicemente, perché fare Retake fa bene alla salute e alla città!!

E allora, buon Retake a tutti!

Per seguire e unirsi alle attività di Retake Roma, visitate il sito internet e la pagina facebook dell’organizzazione.

(Foto di RetakeRoma)

Fonte: ecodallecittà.it

Vecchi materassi, in Francia il riciclo è possibile

L’idea di riciclare i vecchi materassi è partita dal Canada ma ha presto varcato l’oceano arrivando nel paese transalpino, dove l’azienda Recyc Matelas Europe estrae la parte tessile, il feltro e il latex per farne isolanti termici per l’edilizia e l’industria automobilistica e in piccola percentuale anche per costruire attrezzature sportive378316

C’è elemento sempre presente nelle immagini che documentano il degrado legato all’abbandono dei rifiuti per strada, sia che si tratti di grandi città, l’ultimo caso quello di Roma, o di piccoli centri. Senza troppe distinzioni tra periferie e quartieri più centrali. Si tratta del vecchio materasso logoro e sfondato, una sorta di evergreen dello scorretto smaltimento dei rifiuti, spesso lasciato tranquillamente di fianco ai cassonetti in attesa che ci pensino gli operatori comunali, o magari che qualcuno se lo porti via. La cosa giusta da fare, trattandosi di un rifiuto ingombrante, sarebbe invece quella di portarlo all’ecocentro o di contattare l’azienda che si occupa della raccolta rifiuti per prenotare un ritiro a domicilio. Servizio ormai sempre più diffuso e offerto tra l’altro anche da alcune aziende produttrici in caso di acquisto di un nuovo materasso. Una volta raccolti e accumulati, i materassi subiscono una riduzione volumetrica con “pezzatura omogenea” e successivamente viene rimossa la parte ferrosa (come le molle di quelli più vecchi) che viene poi riciclata, mentre il materiale rimanente viene smaltito con l’indifferenziato. Dalla Francia però arriva una novità. Al di là delle Alpi è stata infatti avviata una nuova filiera del recupero dei materassi usati, da cui estrarre materie prime seconde: la parte tessile, il feltro e il latex vengono trasformati in isolanti termici utilizzati nell’edilizia e nell’industria automobilistica e in piccola percentuale anche in tatami per le palestre. Si parla di circa il 92% dei materiali recuperati. L’azienda che ha inaugurato questa nuova frontiera del riciclo è la Recyc Matelas Europe, fondata da Franck Berrebi con un socio presso Limay, comune di 16.427 abitanti situato nel dipartimento degli Yvelines nella regione dell’Île-de-France. Nello stabilimento ogni mese vengono trattati circa 13mila materassi, a cui si aggiungono le migliaia lavorate in quello inaugurato a fine 2012 a Montagne-sur-Sèvre, in Vandea. L’impresa Recyc-Matelas ha le sue radici in Canada, dove Eric Castro e Pascal Cohen hanno creato nel 2007 a Montreal in Quebec il primo stabilimento, a cui si sono aggiunti quelli in Florida, con il nome di Recyc-Carpets, e appunto in Francia. Un successo da oltre 300m ila materassi. In Italia non è ancora presente una realtà del genere, per cui se si vuole tentare la strada del riciclo non resta che affidarsi al fai da te, magari trasformando il vecchio materasso in un divano.

Fonte: ecodallecittà

Aree agricole, nel mondo l’84% è a rischio

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“Circa 2 miliardi di ettari delle terre emerse sono interessati a diversi livelli da processi di degrado, compromettendo l’84% delle aree agricole a livello mondiale e coinvolgendo circa un quarto della popolazione del globo”. Lo rende noto Maria Luigia Giannossi, ricercatrice dell’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Cnr, basandosi su nuovi studi che saranno illustrati a Pisa dal 16 al 18 settembre durante la manifestazione Geoitalia 2013 organizzata dalla Federazione italiana di scienze della terra. In Italia il fenomeno della cosiddetta ‘land degradation’ colpisce in maniera significativa le regioni meridionali e insulari: Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia. Qui, oltre allo stress di natura climatica, “la pressione spesso non sostenibile delle attività umane sull’ambiente sta determinando una riduzione della produttività biologica ed agricola ed una progressiva perdita di biodiversità degli ecosistemi naturali”. Spiega sempre Giannossi in una nota. ”Anche le regioni del centro nord, in particolare Toscana, Emilia Romagna e la Pianura Padana in generale – aggiunge Giannossi – manifestano un peggioramento della situazione idrometeorologica e sono sempre più vulnerabili all’irregolarità delle precipitazioni, alla siccità ed all’inaridimento”. “Nell’ambito di vari studi promossi dall’IMAA CNR sono stati realizzati 3 progetti di cui uno in corso – ha dichiarato Giannossi – tutti indirizzati a studi integrati per il monitoraggio del fenomeno della land degradation nelle regioni meridionali in particolar modo in Basilicata e per il sostegno alle metodiche di salvaguardia delle risorse naturali (suoli e acque). Dai risultati osservabili risulta che la Basilicata è particolarmente interessata dal rischio land degradation. I rapporti disponibili sono consultabili sul sito mildmap-media.basilicatanet.it Tra i processi di degrado a cui è soggetta la Basilicata, sono stati studiati in dettaglio il fenomeno dell’erosione del suolo con sviluppo delle tipiche forme morfologiche: i calanchi; nonché il fenomeno di degrado di origine chimica: la salinizzazione (oggetto del progetto PRO_Land “Studio dei processi di land degradation a supporto delle attività di prevenzione e gestione degli impatti indotti sull’ambiente”, finanziato dal Programma Operativo FESR Basilicata 2007-2013, tuttora in atto). Questi fenomeni sono stati studiati con tecniche integrate in situ e di remote sensing al suolo e da satellite per quantificare la gravità e l’impatto dei fenomeni di land degradation. I punti di innovazione del progetto sono da ricercarsi nella valutazione di tutte le geomatrici ambientali colpite dal fenomeno, nell’utilizzo di tecniche integrate e nella valorizzazione delle competenze degli stakeholder locali per la mappatura del degrado del territorio e per la valutazione de corretta gestione sostenibile del territorio”. La necessità di fermare o prevenire i processi di degrado ha sollecitato la comunità scientifica internazionale a fornire strumenti interpretativi dei fenomeni di degrado, per comprenderne meglio i fattori predisponenti e le loro mutue interazioni e supportare, infine, i decisori nella scelta delle più adeguate soluzioni di mitigazione e/o recupero”. “L’elaborazione di mappe, oltre ad essere uno strumento di collaborazione scientifica tra i paesi affetti nelle regioni del nord mediterraneo – ha concluso Giannossi – è dunque diventato parte integrante delle politiche ambientali adottate dai diversi paesi. Il degrado delle terre e dei suoli agricoli dipende da fattori climatici e di origine antropica – soprattutto per quanto riguarda i paesi industrializzati – come una gestione impropria del territorio, e ha implicazioni dirette e indirette perché mette a rischio la sicurezza alimentare e il cambiamento climatico ma anche, conclude Giannossi, ”le guerre legate allo sfruttamento delle risorse naturali e la conseguente presenza di ecorifugiati”. Si tratta quindi di una tra le maggiori emergenze sociali e ambientali del nostro tempo, per questo ora anche la comunità scientifica sta riconoscendo questa emergenza, munendosi di strumenti per il monitoraggio del degrado e consumo di suolo agricolo.

Fonti: IMAA Cnr

Ambiente urbano e degrado, quando i manifesti abusivi coprono le città

I manifesti abusivi che compaiono durante le campagne elettorali sono una brutta abitudine dura a morire: pagati con soldi provenienti dal finanziamento pubblico ai partiti (quel finanziamento che andrebbe cancellato con una bella riga nera ma che fa ancora mostra di se tra le leggi dello Stato), i manifesti abusivi sono emblematicamente il simbolo del non-decoro di una classe politica ormai allo stremo.

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Occorre pensare che la tutela dell’ambiente urbano non è un concetto molto dissimile dalla quella del territorio nelle aree non urbane: i luoghi che milioni di persone vivono, tutti i giorni, non sono i boschi, i parchi naturali, le riserve, bensì le città. Il mantenimento della pulizia, del decoro, la tutela degli ambienti naturali e urbanistici nei centri urbani è, in tal senso, molto poco affrontato ma decisamente importante (non meno importante della raccolta differenziata, della mobilità urbana, dell’inquinamento). I periodi di campagna elettorale sono, in materia di decoro urbano, quelli più bui quando invece dovrebbero rappresentare un momento di raccolta di idee, contenuti, esempi da portare avanti una volta eletti: i manifesti abusivi, di cui tutti (ma proprio tutti) fanno larghissimo uso, sono il peggiore esempio di come le città non dovrebbero essere, di come non si protegge l’ambiente urbano. Ad ogni tornata elettorale è sempre la solita solfa: promesse, sconfessioni ed autoassoluzioni. Roma in tal senso è una realtà emblematica: in campagna elettorale permanente ormai da svariati mesi (tra regionali, politiche, comunali e provinciali) negli ultimi sei mesi il decoro urbano della Capitale è crollato, nascosto dietro centinaia di metri di manifesti abusivi di ogni colore e forma; persino Papa Francesco è finito su alcuni manifesti abusivi (siglati con il logo di Roma Capitale), attacchinati laddove non si dovrebbe (fuori dagli spazi consentiti).

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Uno scempio continuo che tuttavia non è mai materia di campagna elettorale: eppure come si può legittimare una candidatura politica a sindaco di qualcuno che fa campagna elettorale esponendo la sua faccia dove non dovrebbe? Come può essere credibile chi rivendica nella sua candidatura una novità rispetto al passato, quando i comportamenti sui muri delle città sono identici nei secoli dei secoli? Roma oggi è un vero e proprio “muro di colla”, una “lasagna urbana”, anche se per la prima volta la polemica è entrata nei partiti politici i quali, Radicali a parte (che da sempre denunciano questa pratica incivile), finalmente cominciano a discuterne. Grazie al lavoro anche di blog come Cartellopoli e RomaFaSchifo, oltre che alle continue denunce dei Radicali Roma, il tema abusivismo elettorale potrebbe entrare prepotentemente in questa corsa a sindaco di Roma. I nostri colleghi di 06blog già da tempo denunciano questo scempio irrispettoso dell’ambiente urbano e della stessa storia della città di Roma. E’ il caso ad esempio della candidatura dell’ex giornalista e parlamentare europeo in carica David Sassoli, candidato alle primarie del Pd per la corsa al Campidoglio.

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Il volto di Sassoli, piuttosto famoso dopo anni di Tg1, campeggia oggi in ogni dove nella città di Roma: sulle paratie dei cantieri, negli spazi comunali, sui muri dei cinquecenteschi palazzi del centro, sui bidoni dell’immondizia, sotto i ponti, insomma ovunque. Una condotta disdicevole per chiunque si proponga come novità assoluta, come rivoluzione rispetto al recente trascorso (che pure, sul tema manifesti abusivi, non ha brillato). Ci era cascato anche Matteo Renzi, ai tempi delle primarie, ma aveva avuto il buon gusto di scusarsi con i romani e pagare la multa, piuttosto che trovare scusanti pilatesche del tipo:

Chiederemo conto dei manifesti fuori posto.

come twittato dal Comitato elettorale Sassoli sindaco. La lentezza con cui il Comune di Roma ha assegnato gli spazi non ha inoltre aiutato il rispetto della legalità e del decoro urbano, in quanto in mancanza di indicazioni i candidati (e le aziende che attaccano i manifesti) hanno fatto semplicemente di testa loro: una  burocrazia criminogena complice di questo scempio. Eppure il 29 gennaio scorso tutti i rappresentanti di lista, con i vertici del Comune di Roma, della Prefettura e dei Vigili Urbani, avevano siglato un protocollo d’intesa che li impegnava (guarda un po’ se bisogna firmare un impegno in tal senso) a rispettare semplicemente quelle regole che stavano già violando da settimane: affiggere i manifesti approvati e solo negli spazi consentiti, pena una multa da 103 a 1032 euro a manifesto (dopo la depenalizzazione del reato, nel 1993, che prevedeva il carcere). Facendo due calcoli per farvi arrabbiare possiamo sostenere che: la perdita di incasso del Comune di Roma, che non vede introiti dai manifesti abusivi (i diritti di affissione vanno da 3,5 a 10€ per una settimana) si attesta attorno ai 400.000 euro l’anno. Fuori dalla campagna elettorale i Radicali hanno calcolato che le sanzioni, se fatte pagare una volta a settimana, farebbero incassare al comune altri 2 milioni al mese: il servizio affissioni del Comune di Roma, nonostante la città sia tappezzata di manifesti, è infatti in deficit costante. Questa indagine, prendetevi un attimo per leggerla, ne vale la pena, è un monumento all’irresponsabilità. In passato i partiti, nonostante siano stati multati ad ogni tornata elettorale, si sono sempre visti condonare le multe (l’ultima volta nel decreto Milleproroghe del dicembre 2011): milioni di euro di denari che al Comune di Roma certamente non avrebbero fatto male, visto il bilancio color rosso pompeiano e le crescenti difficoltà di amministrazione finanziaria.

Quello dei manifesti abusivi è un comportamento emblematico sul quale occorrerebbe riflettere: Sassoli a parte, nome usato a titolo di pretesto per far emergere il mare magnum di illeciti cui tutto lo scibile politico si è reso responsabile, come è pensabile mettere la faccia invocando decoro, decenza e cambi di rotta, quando poi i comportamenti sono sempre gli stessi, gattopardianamente parlando?

Fonte: ecoblog

 

Bando del Comune per la formazione di 90 Guardie ecologiche volontarie (GEV)

Bando del Comune di Milano per un corso di formazione gratuito (60 ore) per aspiranti Guardie ecologiche. Partenza a maggio. L’assessore Granelli: ”Ci rivolgiamo a tutti i cittadini che possono dedicare tempo e passione al verde cittadino”. L’ultimo bando simile nel 2007 

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Per promuovere e tutelare il verde pubblico, il Comune di Milano ha deciso di valorizzare le Guardie Ecologiche Volontarie (GEV). Sul sito del Comune è pubblicato il bando per il reperimento di nuove Guardie Ecologiche Volontarie ed è partita una campagna informativa rivolta a tutti i cittadini che vogliano dedicare del tempo libero ai parchi cittadini. Tra i compiti delle GEV l’educazione ambientale e botanica nelle scuole, il controllo nei parchi e aree verdi e la segnalazione di zone di degrado e di non corretto utilizzo delle aree verdi. Le GEV sono Pubblici Ufficiali con compiti di Polizia Amministrativa, sanzionano chi non rispetta leggi e regolamenti che riguardano le aree verdi cittadine e svolgono la loro attività in stretta sinergia con la Polizia locale e i Consigli di Zona.
Il bando si rivolge a tutti i cittadini, ma in particolare a studenti e pensionati che abbiano un po’ di tempo e passione da dedicare al verde comune seguendo la lunga e radicata tradizione milanese del volontariato civico.
Per diventare GEV è necessario frequentare un corso gratuito, organizzato dal Comune, della durata di 60 ore, che partirà a maggio al termine del quale i partecipanti dovranno sostenere un esame. L’ultima edizione di questo corso risale al 2007. La presentazione del corso di formazione e del ruolo delle GEV avverrà il 9 aprile 2013 alle ore 18.00 presso la Scuola del Corpo di Polizia Locale di via Boeri 7, a Milano.

Fonte:eco dalle città

 

Valutazioni di Impatto Ambientale?VIA libera all’egualitarismo dei veleni

 

“Più l’ambiente è sano ed incontaminato, più è vocato ad accogliere le peggiori nefandezze!”. Andrea Marciani spiega in questo articolo la logica che porta ad una sorta di ‘egualitarismo’ del degrado, una distribuzione “democratica” dei veleni su tutto il territorio nazionale.

 

 

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La scienza ambientale ha fatto grandi progressi ed il suo studio appassiona un numero sempre crescente di studenti. A questo incremento di capacità ed interesse non corrisponde però un effettivo miglioramento delle condizioni ambientali del pianeta. Al contrario stiamo assistendo a devastazioni che solo pochi anni fa sarebbero state impensabili: basti per tutte l’esempio dell’estrazione delle sabbie bituminose in Alberta , nel civilissimo Canada, dove un tratto di foresta primaria grande quanto il Belgio è stato raschiato via dai bulldozer e l’intero sistema fluviale del Canada sud-occidentale inquinato dagli idrocarburi liberati nell’estrazione. Perché l’affinamento delle tecniche di indagine e monitoraggio sulla salute degli ecosistemi ed il vasto esercito di laureati consacrati a questi studi, non producono un’effettiva protezione degli ecosistemi? La risposta è evidente: il potere del profitto. In un mondo in cui il sistema finanziario sta smantellando gli Stati nazionali e le democrazie parlamentari, il denaro esercita un potere incontrastabile, non ci sono comunità locali in grado di resistere a lungo, né studi scientifici abbastanza ponderosi da sconfiggere, con il semplice buon senso, la bulimia distruttiva del neo capitalismo. Ma allora tutti questi laureati che fine fanno, in quali settori esercitano la loro professione quelli che non riescono a trovare posto nei dottorati di ricerca o nell’insegnamento ? Semplice, finiscono a lavorare per il ‘nemico’. Già, perché questa diffusa sensibilità ambientale una traccia l’ha lasciata nelle normative nazionali, ed in Italia come in Europa si è concretizzata nelle Procedure di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), che ormai ogni progetto di grande rilevanza deve affrontare per ottenere le autorizzazioni amministrative.

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Purtroppo, come recita l’adagio, “fatta la legge, trovato l’inganno” e, vista la complessità della materia, gli speculatori del saccheggio delle risorse naturali, hanno avuto bisogno di arruolare laureati proprio in quel settore nato per proteggere l’ambiente naturale. Nasce così una nuova disciplina ambientale che ha, come scopo principale, di stabilire quanto, dell’ambiente naturale, si può sacrificare alle attività industriali. Una sorta di disciplina scientifica ‘inversa’, dedita cioè al raggiungimento di finalità opposte a quelle per la quale era stata ideata. Principali esponenti di questa nuova disciplina sono gli odierni ministri ed assessori dell’Ambiente, che, in ogni grado delle istituzioni, svolgono un ruolo opposto a quello che, nell’immaginario collettivo, la qualifica attribuisce loro: di difensori, cioè, dell’ambiente naturale. Se analoga inversione fosse applicata agli altri assessorati, potremmo avere un assessore all’Industria che si occupa di demolire capannoni industriali in attività, per sostituirli con parchi pubblici ed uno alla Sanità che sancisce quanti cittadini possono essere deliberatamente infettati col virus dell’Aids senza nuocere troppo alla salute pubblica. Nel corso di una campagna di opposizione ad un progetto di miniera di antimonio particolarmente devastante, ho conosciuto una giovane laureata in scienze ambientali che si era occupata della stesura dello studio di impatto ambientale per la ditta proponente. Dai suoi documenti e dalla sua esposizione, ho appreso di alcune tecniche interessanti che regolano questa nuova disciplina “inversa” e che sono utili per sostanziarne la sua ‘intrinseca perversione’.

Il primo fattore che viene esaminato, nell’approccio alla stima di un impatto ambientale, è “lo stato di salute” dell’ambiente in cui si vuole intervenire. Si attribuisce a questo, una valutazione su di una scala che va da I a VI , dove VI rappresenta un ambiente vergine, raro ed incontaminato, mentre I quello più degradato e corrotto, poi si calcola l’impatto dell’opera su di una scala di valori che va da 1 a 5, dove 1 sta per impatto lieve (L) e reversibile in breve tempo (RBT) e 5 sta per un impatto molto rilevante (MR) ed irreversibile (IRR) infine si incrociano le due scale su di una tabella come quella qui allegata:

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In bianco le situazioni in cui l’impianto non si può fare, in verde dove si può fare senza problemi ed in giallo quelle situazioni in cui, con qualche integrazione documentale e qualche prescrizione da parte della commissione esaminatrice di VIA (utile ai sui membri per sfuggire a future sanzioni, una volta accertati i danni irreversibili causati) l’impianto si può comunque fare. Come si evince facilmente, più l’ambiente è sano ed incontaminato, più è vocato ad accogliere le peggiori nefandezze! Ad un cittadino ingenuo e sprovveduto, questa metodologia potrebbe apparire demenziale, ma l’istituzione di questa prassi risponde ad una logica precisa e pone le basi per la definitiva sconfitta dell’ambientalismo. Si realizza così, infatti, una sorta di “egualitarismo” del degrado, una distribuzione “democratica” dei veleni su tutto il territorio nazionale, che avrà come principale conseguenza l’impossibilità di realizzare studi clinici comparativi tra campioni diversi di popolazione, per stabilire la diversa incidenza tumorale. E dato che il ricorso a test comparativi rappresenta l’unica possibilità che la scienza medica ha, oggigiorno, per dimostrare la correlazione tra un certo inquinante ed una certa patologia degenerativa, gli industriali ed una certa classe politica a questi asservita, avrebbero così conseguito una sostanziale licenza di uccidere. A noi cittadini comuni, mentre vediamo sfumare ormai la speranza di una più equa ripartizione delle ricchezze e delle risorse, baluginata dalle dottrine economiche sociali del secolo scorso, ma trascinata via dalla crisi attuale, pare non resti altro da fare che condividere la sorte dei nostri fratelli di Taranto, di Bagnoli o di porto Marghera, in un cupo egualitarismo che attribuisce a tutti eguale diritto a partorire figli deformi od a morire ancora giovani di leucemia. A meno naturalmente di un improvviso ed inderogabile risveglio collettivo.

Fonte: il cambiamento