Unione Europea: “La crescita economica distrugge la salute dell’uomo e dell’ambiente”

L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha pubblicato un documento in cui sostiene che lo sviluppo economico non è possibile se non pagando un caro prezzo in termini di sostenibilità ambientale. Vediamo i dettagli di questo documento davvero fondamentale, poiché per la prima volta un organo istituzionale si è ufficialmente schierato contro il dogma della crescita.

 “La crescita economica è strettamente legata all’aumento della produzione, dei consumi e dello sfruttamento delle risorse e ha effetti deleteri sull’ambiente e sulla salute umana”. Comincia così, senza mezze misure, il documento recentemente pubblicato dalla EEA – Agenzia Europea per l’Ambiente, dal titolo “Crescita senza crescita economica”.

Questo ente è un’agenzia creata dell’Unione Europea allo scopo di fornire informazioni indipendenti e qualificate sull’ambiente. Si tratta dunque di un organo ufficiale ed è estremamente significativo che, per la prima volta nella storia recente, un’istituzione di questo tipo si sia apertamente schierata contro il paradigma della crescita economica a tutti i costi, dettagliando la propria posizione rispetto a un ampio spettro di tematiche e prospettive che riguardano il mito delle sviluppo sostenibile.

“È improbabile che un duraturo e deciso disaccoppiamento della crescita economica dalle pressioni e dagli impatti ambientali possa essere raggiunto su scala globale; pertanto le società devono ridefinire cosa si intende per crescita e progresso e aggiornare la loro idea di sostenibilità globale”, prosegue l’EEA nell’introduzione del documento. Oggi l’antropizzazione è del tutto insostenibile e questo non è possibile. Urge un cambiamento. A questo scopo, l’Agenzia chiama in causa per prime le organizzazioni non governative – termine utilizzato in senso lato e inclusivo, che comprende dunque anche movimenti più informali –, alle quali attribuisce il merito di aver già delineato policies e progetti capaci di trasformare la società rendendola più sostenibile. Queste idee sono raccolte nella pubblicazione “Narrativa per il cambiamento”, sempre a cura dell’EEA. Questo documento è solo uno dei tasselli impiegati negli anni per costruire “Crescita senza crescita economica”, risultato di un lavoro di raccolta di dati e di contributi iniziato nel 2017 che ha tempestivamente visto la luce in questi giorni, al culmine di un’epoca in cui, giunta a un incrocio, l’umanità si appresta a fare scelte che con tutta probabilità determineranno il suo futuro. Analizziamo dunque uno per uno quelli che sono stati definiti i cinque “messaggi chiave” che costituiscono la struttura portante della pubblicazione.

La sede dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, a Copenaghen

La Grande Accelerazione

Con questo termine si intende il periodo che, a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, ha registrato una crescita senza precedenti accelerando su scala globale il cambiamento ambientale – ma anche socio-economico – generato dall’uomo. Questa crescita esponenziale non si è affatto esaurita ma è in atto ancora adesso. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, la Grande Accelerazione si è verificata, si sta verificando e continuerà a verificarsi anche in termini di perdita di biodiversità, cambiamenti climatici, inquinamento e consumo del capitale naturale ed è strettamente legata alle attività e alla crescita economiche.

Disaccoppiamento

Come già rilevato da diversi studi, non è mai successo in passato che la crescita economica sia stata disaccoppiata dallo sfruttamento delle risorse naturali e dall’aumento della pressione sugli ecosistemi ed è improbabile che ciò avvenga in futuro. Infatti è stato rilevato che, nonostante le principali politiche europee si siano sempre basate sul disaccoppiamento come soluzione per continuare a crescere economicamente limitando l’impatto ambientale, mancano totalmente le evidenze che tale disaccoppiamento sia stato efficacemente attuato. Le statistiche mostrano in modo inequivocabile che le curve di crescita di emissioni globali, impronta ecologica e prodotto interno lordo hanno un andamento quasi identico, eccetto forse le emissioni che dagli anni novanta, pur continuando a crescere, hanno leggermente rallentato il ritmo. A questo proposito, è interessante osservare che, se fino agli duemila il consumo delle risorse naturali era dovuto principalmente al boom demografico, con il nuovo millennio la responsabilità si è spostata sull’innalzamento del livello dello stile di vita della classe media.

La crescita di gas serra, impronta ecologica e PIL globale nel periodo 1970-2018

Decrescita, post-crescita, crescita verde ed economia della ciambella

Come detto in apertura, “Crescita senza Crescita economica” attinge a piene mani da teorie e movimenti che già da anni propongono modelli alternativi a quello attuale. Nello specifico nel ne vengono individuati quattro che, a parere dell’EEA, meglio assolvono il compito di indicare nuove strade per ripensare la crescita e il progresso. Vediamole brevemente grazie alle definizioni proposte da alcuni autori.

  • Decrescita: un termine generico per movimenti più radicali di natura accademica, politica e sociale che enfatizzano la necessità di ridurre la produzione e il consumo e individuare obiettivi differenti dalla crescita economica (Demaria et al., 2013).
  • Post-crescita: agnostica rispetto alla crescita, questa scuola di pensiero di concentra sul bisogno di disaccoppiare il benessere dalla crescita economica (Wiedmann et al., 2020).
  • Crescita verde: è basata sul pensiero ecomodernista che ripone le proprie speranze nel progresso scientifico e tecnologico diretto verso la sostenibilità. In altre parole, “crescita verde vuol dire favorire la crescita e lo sviluppo economici assicurandosi al tempo stesso che il capitale naturale continui a fornire le risorse e i servizi ambientali su cui si fonda il nostro benessere” (OECD, 2011).
  • Economia della ciambella: combina l’attenzione dei legittimi bisogni dell’attuale popolazione umana con la necessità di una trasformazione per un futuro sostenibile (Raworth, 2017).

Il Green Deal europeo

Dimostrando coraggio politico e determinazione, l’ Agenzia Europea per l’Ambiente si schiera apertamente contro la sua cugina Commissione Europea e il suo Green Deal, accusandolo – come abbiamo visto – di puntare tutto su un disaccoppiamento mai effettivamente realizzato e, probabilmente, irrealizzabile.

“Cosa potremmo mai ottenere in termini di progresso umano – si domandano gli autori di “Crescita senza crescita economica” – se il Green Deal europeo è stato implementato con l’obiettivo specifico di spingere cittadini, comunità e imprese a creare pratiche sociali innovative con un impatto ambientale modesto o nullo e finalizzate invece alla crescita sociale e personale?”.

Un cambiamento culturale

La crescita è culturalmente, politicamente e istituzionalmente radicata. Per questo è necessario che un cambiamento reale e duraturo abbatta – in maniera democratica – tutta una serie di barriere innalzate dalla cultura della crescita. Questa dichiarazione, pur assolutamente condivisibile, è abbastanza generica, ma rafforzata da suggestioni assai significative. L’EEA chiama infatti in causa le comunità di diversa natura che popolano l’Europa e il mondo, che vivono secondo principi di sostenibilità e responsabilità ambientale e che possono rappresentare fonti d’ispirazione cruciali. Comunità meno materialiste, meno consumiste, in cerca di uno stile di vita sobrio e differente rispetto a quello imposto dalla cultura di massa. Vengono citati movimenti di ispirazione religiosa – gli Amish e i Quaccheri –, ma anche il mondo degli ecovillaggi, tutte esperienze che hanno messo realmente in pratica ciò che la decrescita e le altre correnti di pensiero teorizzano.

“Crescita senza crescita economica” è dunque un lavoro molto prezioso. Non solo perché è un collage di soluzioni di grande valore intrinseco, suggerimenti utili e linee guida su cui costruire un nuovo modello su scala globale, ma anche perché ci dice che anche ai piani alti qualcuno si sta realmente chiedendo, senza secondi fini e obiettivi non dichiarati, “cosa possiamo fare per ridurre il nostro impatto e salvare il pianete su cui viviamo e che stiamo distruggendo?”.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/01/unione-europea-crescita-economica-distrugge-salute-uomo-ambiente/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Lucia Cuffaro: “L’autoproduzione? La mia via per la felicità”

Attivista e presidente del Movimento per la Decrescita Felice, Lucia Cuffaro è da anni appassionata al mondo dell’autoproduzione, come scelta consapevole per un benessere fatto di semplicità. Autoproduce praticamente tutto e attraverso i suoi libri, un blog ed una rubrica in tv spiega agli altri come creare da soli ciò che serve. Ha lavorato tanti anni in Rai ed è sempre stata appassionata di ambiente, spreco, rifiuti, autoproduzione. Poi ad un certo punto lascia il lavoro a Report e inizia la sua vera vita: quella dell’attivista, impegnata all’interno del Movimento di Decrescita Felice di cui oggi è presidente e sui temi del riutilizzo e della decrescita felice. È Lucia Cuffaro, che parla dell’autoproduzione come del suo personale percorso di felicità, iniziato quando era bambina: “Credo sia iniziato quando i miei genitori, per potermi istruire ad uno stile di vita sobrio ed ecologico, mi comprarono una Barbie in costume da bagno, la più semplice di tutte”, ride Lucia. “Così ho iniziato a inventare abitini per la mia Barbie e a riutilizzare tutti i materiali possibili”.

Quando Lucia faceva ancora le elementari, forse non immaginava che la sua (auto)produzione di vestiti per la Barbie fosse già un segno di ciò che sarebbe successo. Ma così è stato. Da quando è piccola, infatti, tutta un’altra serie di fattori si è aggiunta a cementare il suo interesse iniziale e a farlo diventare passione: si è trasferita con la sua famiglia vicino Malagrotta, conoscendo così cosa significhi vivere vicino ad una discarica; ha frequentato l’Università del Saper fare del Movimento per la Decrescita Felice sotto consiglio di un amico; è venuta a contatto con realtà come la Città dell’Utopia a Roma che le hanno permesso di portare avanti questo percorso. Oggi Lucia autoproduce tutto: dal detersivo per la casa alle tinte per i capelli alla crema per il viso. È contenta di poter dire che non distingue più fra lavoro e attivismo: “Il lavoro non poteva essere un lavoro che mi portasse a casa lo stipendio e basta; io avevo bisogno di altro”, spiega Lucia, parlando di come fosse strano – agli occhi degli altri – la sua (volontaria) dimissione da “Mamma Rai”. “Ho lavorato con la Città dell’Utopia e man mano è arrivato il percorso con la decrescita felice: un attivismo sempre più presente, un appassionarsi in modo folle all’autoproduzione, al creare con le mani cose semplici che fanno bene a me, ai miei vicini, alla natura, che creano circolazione del denaro nel modo giusto che valorizza le piccole aziende. Poi mi sono presa un anno sabbatico, mi sono data all’associazionismo e mi sono impegnata anche per il mio quartiere a Malagrotta”.

Da sette anni gestisce una rubrica televisiva su Rai1 che parla di decrescita felice. Proprio come a dire che tutto è circolare e ogni cosa si rimette al posto giusto nel momento giusto. “C’è un interesse sempre crescente legato al tema dell’autoproduzione e questo purtroppo lo si deve alle malattie che derivano dai prodotti per il corpo, per la casa e dagli alimenti che si trovano in commercio. Sta crescendo la consapevolezza che forse dobbiamo tornare alla semplicità”. Anche la comunicazione di ciò che si fa, di un mondo diverso, è possibile, soprattutto perché “la decrescita felice è un concetto di buon senso ma dirompente, ribelle, che da molti è ancora ostacolato”. 

Se adesso il suo impegno è legato principalmente al mondo dell’autoproduzione, non per questo Lucia si ferma qua: “Il prossimo obiettivo è quello di lavorare sempre di più per aumentare il mio tempo liberato. Sembra un controsenso, ma è questo: in realtà a me piace semplicemente fare attivismo e voglio che questa sia la parte predominante della mia vita: stare a contatto con persone che portano progetti legati a questo mi rende felice”. E alla tematica del riutilizzo e dell’autoproduzione aggiungere quella degli animali: “Sono tendenzialmente vegana, ma mi rende felice riuscire a mangiare solo cibo vivo e che non viene da tortura, per cui vorrei trovare il modo di comunicare questa mia felicità. Spesso chi parla di animalismo e veganismo lo fa in modo molto aggressivo, ma io penso che non possa essere quello il modo giusto di comunicare”.

E non è un caso che partecipi ogni anno a Scirarindi, il Festival indipendente Benessere, Buon Vivere e Sostenibilità in Sardegna, dove l’“l’energia è diversa, è quella di persone che partecipano e contribuiscono al cambiamento”. Qui si vede l’Italia che cambia, che per Lucia non è altro che “l’insieme dei progetti che creano bellezza sul territorio” e che, creando una propria personale “impalcatura di felicità”, contribuiscono al bene comune.

Intervista e realizzazione video: Paolo Cignini

 Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/01/lucia-cuffaro-autoproduzione-via-felicita-meme-16/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Berrino: “La decrescita nel campo della sanità è la prevenzione”

Quanto è importante la salute psichica nel benessere di un individuo? Cosa vuol dire che “la decrescita nel campo della sanità è la prevenzione”? Ne abbiamo parlato con il dottor Franco Berrino. Ecco l’ultima parte dell’intervista. Ecco l’ultima parte dell’intervista al dottor Franco Berrino. In quest’ultima sezione abbiamo approfondito l’importanza nel benessere dell’individuo della salute psichica, passando per la sua meditazione camminata in Nepal. La risposta all’ultima domanda sulla decrescita ha, invece, una forza dirompente, delicatamente impetuosa, sulla quale dovremmo riflettere. Partiamo così con l’ultimo giro di domande.

Quanto incide la salute psichica nel benessere di un individuo? Tale parametro è più difficilmente quantificabile… Se incide, in che maniera lo fa?

Berrino dichiara subito che sono stati fatti molti studi sull’importanza della nostra psiche nello sviluppo delle malattie, anche se sono piuttosto difficili da fare. È più facile studiare quello che uno mangia, anche se anch’esso porta con sé le sue difficoltà. “Vi sono sempre più dati che dimostrano quanto la nostra vita mentale e spirituale influenzi il rischio di ammalarsi”. Oggi con le nuove tecniche formidabili della biologia molecolare, si è stati in grado di dimostrare che “chi ha una pratica di meditazione modifica l’attività di certi geni”. Si può così spegnere l’attività dei geni che aumenta l’infiammazione. “Ed è una cosa molto importante”. L’infiammazione è un meccanismo di difesa dell’organismo: ci difende dagli agenti infettivi, dalle ferite e così via. Se non abbiamo una malattia infiammatoria ma le sostanze dell’infiammazione sono alte nel sangue, all’interno comunque di valori normali, ci si ammala di più di diverse patologie.  Berrino conferma che ci si ammala più di cuore e ci si ammala più di cancro in particolare. E anche i malati di cancro se hanno le citochine infiammatorie alte nel sangue hanno più facilmente delle recidive.

“E allora dobbiamo tenere bassa l’infiammazione e possiamo farlo con il cibo, ma possiamo farlo anche con la nostra mente”. La meditazione o la preghiera, ad esempio, sono efficaci. Tipicamente molte pratiche di meditazione si basano sul concentrarsi e fare attenzione, mantenendo una consapevolezza del proprio respiro. Rallentando la respirazione, si attiva il nervo vago, così si modifica il nostro sistema nervoso autonomo e si abbassa il livello di infiammazione.origin_3870

Sono stati fatti degli studi su chi recita i mantra della filosofia orientale, ma anche su chi prega. C’è un bellissimo studio che ha confrontato il mantra tibetano che si chiama Oṃ Maṇi Padme Hūm con le persone che recitano l’Ave Maria in latino (funziona di più che in italiano). In entrambi i casi si rallenta la frequenza del respiro e si sta concentrati su quel che si dice.

“Queste pratiche influenzano l’attivazione di quel che c’è scritto nei nostri geni, nel nostro DNA.” Vi sono studi che suggeriscono che le pratiche di controllo dello stress migliorano la prognosi di certi tumori. “Però è un campo che non ha ancora una grande solidità di ricerca”.

Sarà per colpa del papillon, che tra le altre cose adoriamo, ma ci è venuto in mente Luca Mercalli, che abbiamo incontrato qualche tempo fa a Torino, il quale ci ha detto che “Se continuiamo il business as usual, avremo bisogno dell’equivalente di tre terre al 2050 con nove miliardi e sei di umani. Non ci sono! Natura in bancarotta! Punto. L’alternativa è rientrare prima possibile nelle possibilità dell’unico pianeta che abbiamo che però imporranno una certa decrescita, volenti o nolenti”. Cosa pensa della decrescita felice, in particolare nel campo della sanità? Nei suoi anni di lavoro si è dovuto scontrare molto con l’idea che la sanità sia un business come tutti gli altri oppure no?

Il nome dell’associazione La grande via, creata dal dottor Berrino e il suo team, prende nome dal famoso libro “La rivoluzione del filo di paglia” di Fukuoka, il quale diceva che il giorno in cui avremmo ucciso l’ultimo albero e avvelenato l’ultimo fiume, ci accorgeremo che non possiamo vivere mangiando denaro.storia1-1

Il dottor Franco Berrino

Effettivamente – ci ricorda l’epidemiologo di Fornovo di Taro – il mondo è governato da leggi finanziarie che hanno un loro particolare percorso e che non rispettano l’ordine della natura. Pur non possedendo speciali competenze economiche, il dottor Berrino sa bene che nel campo della sanità, tutta la strategia delle istituzioni sanitarie è basata sull’aumentarne il mercato, basato sul modello della crescita economica.

“Più ci ammaliamo, più aumenta il PIL, più aumenta il lavoro dei medici e delle case farmaceutiche”. Stiamo parlando di spese non produttive, considerate non utili per l’umanità. Così “oggi il successo della medicina è legato al fatto che è bene ammalarsi sempre di più”.

“Ammalarsi e non morire, perché questa è la cosa fantastica. La medicina ha avuto dei successi meravigliosi negli ultimi quaranta-cinquant’anni con delle evoluzioni tecnologiche fantastiche, diagnostiche, farmacologiche e terapeutiche. Però si è arrivati al punto che grossomodo il 90% della popolazione anziana, oltre i 65 anni, prende quotidianamente medicine. Spesso più medicine, comprese quelle per contrastare gli effetti collaterali. Sono le medicine per la pressione, per le aritmie cardiache, per fluidificare il sangue, per il colesterolo, per i trigliceridi, per il diabete. Queste medicine sono molto efficaci effettivamente, nel senso che riescono a mantenere le persone in vita che altrimenti sarebbero morte di queste malattie. ”

Nel caso del cancro, vi sono dei nuovi farmaci che sono molto efficaci e non riescono a guarire la malattia: la trasformano, la cronicizzano e tengono più a lungo in vita il paziente. “E questa è la gallina dalle uova d’oro! Un qualcosa che costi molto cara e che sia moderatamente efficace. Efficace per mantenere in vita ma non per guarire. Questo è il principio del business dell’industria farmaceutica oggigiorno”.pills-lo-res-600x350

Continua così nel suo discorso, in un crescendo rossiniano in termini di efficacia e spunti di riflessione generati: “Dobbiamo invece renderci conto che possiamo benissimo decrescere, è sufficiente vivere in un modo diverso, mangiare in un modo diverso, fare più esercizio fisico, dare un po’ più spazio alla nostra vita mentale per non sviluppare la pressione alta, per non sviluppare il colesterolo alto, i trigliceridi alti, la glicemia alta, per ridurre il nostro rischio di ammalarci di cancro. Quindi la decrescita nel campo della sanità è la prevenzione. Eccome se possiamo decrescere! Siccome le istituzioni non hanno interesse per promuovere questa decrescita, dobbiamo farlo noi. E’ il piano B, dobbiamo occuparci noi della nostra prevenzione. Tutti possiamo fare qualcosa, occorre diffondere la consapevolezza. La consapevolezza che c’è una via alternativa a morire per malattia, possiamo benissimo diventare vecchi e morire sani”. Nessuno ci da la garanzia di non ammalarci, però si può ridurre moltissimo il rischio di ammalarsi.

“Il concetto di morire sani mi colpisce, perché ne parlo spesso nei convegni medici e i medici pensano che io sia suonato! Cos’è questa storia di morire sano? Tutti sappiamo che moriamo di malattia. E’ vero che generalmente moriamo di malattia, ma si può benissimo diventare vecchi e morire quando sarà la nostra ora senza esserci ammalati, senza avere trascinato la nostra famiglia in anni di dolore e di fatica per occuparsi dei nonni con l’Alzheimer, nonni paralizzati. Di tutte queste fatiche che comportano le malattie croniche. Viviamo sempre più a lungo ma viviamo anche in condizioni disastrose”.adult helping senior in hospital

L’esperienza nel Nepal

 

“Faccio spesso le mie vacanze camminando sui sentieri dell’Himalaya e vado in Nepal”. Ci informa che sono vacanze molto economiche: il costo principale è il viaggio per andare là però poi la vita in loco è poco costosa. La gente dei villaggi nelle montagne del Nepal, abitate fino ai 4.000 metri, si è adattata a ospitare le persone che passano, dando da mangiare ai forestieri.

“Il loro cibo tradizionale è di una bontà formidabile, come ad esempio il dal bhat con riso, piselli e lenticchie.” Ci mette al corrente che tale ricetta segue esattamente le raccomandazioni del Codice Europeo per la prevenzione dei tumori.

Inoltre “sei a 4.000 metri e sei circondato dagli 8.000 metri. E’ una splendida occasione per fare la meditazione camminata.” E’ quella insegnata da un monaco vietnamita che vive in Francia, Thich Nhat Hanh.  Egli insegna a meditare in qualunque nostra azione quotidiana. “Quando tu fai fatica a camminare mentre stai andando in salita con lo zaino sulle spalle, puoi essere estremamente concentrato: su quel che fai, sul tuo corpo, sulla fatica che stai facendo, sul tuo respiro. Questa è una cosa che libera la mente in un modo meraviglioso”.Newsgroups & Internet sharing 

www.artbible.net

Sono tanti anni che va in Nepal, e ci va volentieri anche quest’anno. “C’è stato questo grande terremoto qualche tempi fa ed ho approfittato della popolarità che ho sviluppato in questi anni con le mie attività divulgative per raccogliere un po’ di fondi per aiutare i Nepalesi e per aiutare in particolare una struttura che è stata messa in piedi da un Fausto De Stefani, alpinista”. Ci informa così dell’attività di Fausto, il quale gestisce anche un centro a Solferino (VR) chiamato La Collina di Lorenzo: un bosco dedicato all’educazione ambientale, al rispetto ed alla conoscenza della natura. In Nepal ha creato una scuola e l’ha successivamente trasformata in un centro di assistenza per la gente bisognosa. Davvero lodevole l’iniziativa di Fausto e l’aiuto portato dal dottor Berrino che, in conclusione, ci confida che il suo piacere è quello “di andare in alta montagna per meditare sotto la protezione dei grandi esseri, le montagne meravigliose dell’Himalaya.”

Ringraziamo così il dottore per tanti motivi: per averci messo a disposizione il suo tempo e le sue conoscenze, per la voglia che mette nel diffondere e donare al mondo quel che negli anni ha scoperto grazie alla sua determinazione e capacità. Gli siamo grati soprattutto per averci fatto capire quanto e in che modo sia possibile scrivere un’altra storia nei nostri geni, e così nella nostra vita. Cambiare si può, basta solo volerlo.

Riprese: Fabio Dipinto di QQ.WeDo
Agente di Cambiamento: Alberto Paolillo

Si ringrazia la pasticceria Dezzutto  per lo spazio donatoci al fine di registrare l’intervista.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/05/berrino-decrescita-sanita-prevenzione/

 

Ghirolandia, una comunità vegana sull’Appennino parmense

Dopo un radicale cambio vita e una separazione, Fabio si ritrova da solo con il suo grande amore per gli animali e un casale nascosto in un bosco fra i castelli della Val Ceno, in provincia di Parma. Oggi questo posto si appresta ad ospitare una comunità antispecista e decrescente. È nato quasi 3 anni fa sull’Appennino emiliano ma, dopo un inizio pieno di difficoltà, soltanto da qualche mese si prepara al suo lancio definitivo. Stiamo parlando di Ghirolandia Vegan House, un progetto di comunità antispecista basato sul rispetto della natura e degli animali. E già, perché Fabio – un artigiano milanese che si diletta anche nella cucina vegana – mai avrebbe pensato che l’acquisto di quel casale seminascosto in un bosco incantato del comune di Solignano, in provincia di Parma, avrebbe cambiato la sua vita anche nella parte che gli stava più a cuore conservare. Ma partiamo dal principio.Il-casale-immerso-nel-bosco.jpg

Dopo 20 anni di lavoro nella propria ditta artigianale di isolanti termoacustici e altrettanti di attivismo per i diritti degli animali, Fabio e sua moglie, impiegata, decidono che la grigia e inquinata aria della provincia di Milano non è quella che merita di respirare la loro piccola, appena venuta al mondo. E così Fabio accende un mutuo, chiude la ditta e prende in affitto con riscatto un terreno di 17 ettari di bosco e prato nella splendida Val Ceno, con incluso un casale di 420 mq su 3 livelli col tetto abitato da un incredibile numero di piccoli ghiri. L’idea è di sperimentare uno stile di vita decrescente e, in prospettiva, comunitario. La famigliola dovrebbe sistemarsi al piano terra, uno spazio di 130 mq già abitabili, mentre il primo piano e la cantina andranno ristrutturati.Panorama-da-Ghirolandia.jpg

Panorama da Ghirolandia

Tuttavia, la moglie di Fabio capisce presto di non essere pronta per una cesura così netto rispetto alla vita urbana. Questo cambio repentino di vedute porta ben presto alla separazione della coppia e all’affido condiviso della bambina. Non sopportando l’idea di stare troppo lontano da sua figlia, Fabio opta per una doppia vita. Resta a Milano e dedica al casale solo i weekend per lavorare alla sua ristrutturazione e fare rete con gli altri abitanti della Val Ceno nella speranza di mantenere vivo il suo sogno. È proprio durante uno di questi weekend, in una vigna abbandonata, che conosce Matteo. Matteo è un educatore e panificatore della provincia di Como, anch’egli vegano, che 7 anni prima si è trasferito nella Val Ceno, prima facendo WWOOF in un agriturismo e poi arrangiandosi di qua e di là con lavoretti in cambio di vitto e alloggio. Fabio e Matteo lavorano fianco a fianco per rimettere a frutto quella vigna abbandonata e, prima ancora della vendemmia, non soltanto diventano amici, ma si accorgono anche di essere l’uno la soluzione ai problemi dell’altro.Il-tetto-la-dimora-dei-ghiri

Il tetto, dimora dei ghiri

Dopo poche settimane, Matteo si trasferisce nel casale dei ghiri e inizia a lavorare anch’egli alla sua ristrutturazione. La cosa da un lato permette a Fabio di gestire con maggiore tranquillità la sua doppia vita – stretta fra gli impegni familiari a Milano e la necessità di proseguire con i lavori – ma soprattutto, con una persona fissa in loco, di aprire le porte del casale a chi vuole dare una mano o aggregarsi al progetto. Nasce così la pagina Facebook Ecovillaggio Ghirolandia Vegan House, alla quale scriverà Alice. Dall’agosto 2016, difatti, il passaparola ha cominciato a correre e diverse persone hanno trascorso periodi più o meno brevi al casale, senza però decidere di mettersi completamente in gioco. Fabio non ha dubbi in proposito: “Questi progetti attraggono molte persone che vedono in essi un’ancora di salvezza rispetto alle contraddizioni della vita in città, ma altrettante rinunciano; il motivo è che la vita comunitaria rende difficile fuggire dai conflitti personali irrisolti e non tutti sono pronti ad affrontarli.” Invece Alice, una grafica e sarta della provincia di Treviso, è evidentemente pronta, e ora – sebbene non risieda costantemente in loco – è a tutti gli effetti parte di Ghirolandia.Prodotti-dellorto

I primi prodotti dell’orto

Fabio, Matteo e Alice sono ora impegnati a sviluppare Ghirolandia come una comunità basata sulla promozione del pensiero antispecista, inteso come rifiuto di contribuire alla sofferenza e alla morte di individui di altre specie senzienti utilizzando prodotti di origine animale. Per questo il loro progetto è aperto ad altre persone che si riconoscono negli stessi valori e che vogliono unirsi a loro per completare la ristrutturazione del casale e aiutarli a far partire le tante attività possibili attraverso cui finanziare le restanti rate del mutuo: frutticultura e orticultura naturali, eventi, i laboratori di cucito e serigrafia di Alice, quelli di Fabio e Matteo sulla falegnameria e cucina vegana, ecc. Lo spazio c’è, visto che a fine lavori sono previste 8 camere – destinate in parte a residenti e in parte all’ospitalità – e un piccolo rifugio per animali all’esterno. Chi condivide i valori di Ghirolandia Vegan House ma non ha la possibilità trasferirsi in loco, può dare una mano collegandosi alla pagina di crowdfunding  del progetto, tramite la quale chiunque può inviare un contributo in denaro, magari in cambio di conserve autoprodotte, cesti di ortaggi oppure weekend di ospitalità per visitare le bellezze della Val Ceno e i suoi castelli.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/01/ghirolandia-comunita-vegana-appennino-parmense/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

La lezione di Pepe Mujica: il tempo è il bene più prezioso

Una panoramica sulla vita e sulle idee di un personaggio politico decisamente fuori dal coro: l’ex presidente e attuale senatore uruguaiano José Mujica. Rinunciando a buona parte del suo stipendio, vivendo in una fattoria e sostenendo i concetti di sobrietà e semplicità, è stato uno dei capi di Stato più vicini al pensiero della decrescita. Josè Mujica è stato Presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015 e attualmente è senatore sotto la presidenza di Tabaré Vazquez. Per chi crede in un mondo più equo, più sostenibile e più etico è una figura fondamentale, non tanto per i risultati politici ottenuti, quanto per l’esempio che egli stesso fornisce, improntato su uno stile di vita sobrio, sincero e a contatto con la Natura.

Vive tutt’ora – e ci viveva anche da Presidente, avendo rifiutato la residenza a lui riservata – nella sua fattoria di Rincon del Cerro, dove si stabilì con la moglie Lucia negli ottanta, appena uscito dal carcere. Quando venne liberato, quel posto era abbandonato e in rovina. Con la moglie e qualche amico lo rimise a posto e proprio lì – in una modesta casa di campagna con una sala, la cucina, un bagno e la camera da letto – accolse capi di stato, ministri e alti rappresentanti politici.

«Non sono povero – ha sempre detto – sono austero perché voglio la mia libertà e voglio avere tempo di godermela. Non mi piace la povertà, mi piace la sobrietà e mi piace avere un bagaglio leggero». Ai giornalisti che venivano a trovarlo per parlare di politica, raccontava invece come faceva la conserva: «Ci metto pomodori tagliati e schiacciati, poi ci aggiungo un paio di foglie di alloro, un cucchiaio di sale e li copro. Quando la cottura è finita, li metto in un contenitore di acqua, li faccio bollire e poi li lascio mezz’ora a raffreddare».

Da uomo di campagna, ha un rapporto privilegiato con il mondo naturale. Mentre era in viaggio per questioni istituzionali, chiamava sempre a casa per salutare Manuela, la sua cagnetta con tre zampe, e il primo impegno della sua giornata presidenziale – che iniziava con la sveglia di Claudio, uno dei galli del suo pollaio – era una passeggiata con la sua piccola amica. Dalle sue visite istituzionali all’estero, più che regali di rappresentanza, amava portare a casa semi da piantare in giardino.mujica1

Parlando della sua morte, una volta disse: «Non scambierei la mia fattoria per niente al mondo, me ne andrò da qui con le gambe in avanti! Ma se dovessi andarmene, il posto ideale sarebbe la campagna, nel mezzo dell’Uruguay. Sceglierei uno di quei posti in cui guardando in lontananza ti viene da dire “sembra che laggiù ci sia qualcuno”. Adoro la solitudine del campo».

Uno degli aspetti su cui ha sempre insistito di più è quello della qualità del tempo che trascorriamo, che si rivela il bene più prezioso e che spesso è dilapidato in attività inutili e dannose: «Stiamo perdendo la battaglia contro il consumo inutile e la banalizzazione della vita», ha affermato. «Se potessi scegliere qualcosa da lasciare alle nuove generazioni sarebbe questo: la capacità di destinare più tempo alla vita vera».

Quando ha espresso queste considerazioni a Rio si è quasi meravigliato del successo clamoroso che ha avuto il suo discorso, poiché credeva di aver detto delle cose brutte, di aver dipinto un quadro negativo. Evidentemente, aveva colto nel segno. «Si può vivere con sobrietà lasciando che ce ne sia per tutti», dice sfoderando il suo tipico ottimismo utopistico. «Questo non vuol dire tornare all’età delle caverne, ma solo guadagnare in maniera razionale».

Mujica ce l’ha anche con le “teste pensanti” che, a suo modo di vedere, non sono capaci di dare risposte a questo tipo di problemi. Per questo ha sempre cercato, a volte anche combinando dei pasticci politici, di fare dell’Uruguay un “paese esempio”. Fra le riforme più rivoluzionarie possiamo ricordare la depenalizzazione dell’aborto, la legalizzazione del matrimonio fra omosessuali e la regolarizzazione della vendita di marijuana attraverso lo Stato. Nel commentarle, Mujica le definisce “riforme liberali”, ispirate però al liberalismo del suo predecessore di inizio secolo Battle, che introdusse il voto femminile, autorizzò il divorzio e regolamentò la produzione di alcool. La sua crociata contro l’opulenza rimane uno degli insegnamenti più grandiosi. Rinunciò allo stipendio presidenziale destinandolo quasi tutto ad associazioni e organizzazioni benefiche e lottò per anni contro i privilegi, soprattutto economici, della “casta”. «L’organo più sensibile che esiste è il portafogli», diceva parlando dei suoi colleghi senatori, criticando in particolar modo la “sua” sinistra, troppo capitalista per i suoi gusti.mujica2

Refrattario alle cerimonie, non si curava più di tanto neanche della sua sicurezza, che veniva in secondo piano rispetto alla tranquillità domestica. Una sera, mentre leggeva vicino al camino della sua casa, un uomo si introdusse in casa sua e gli mostrò un video in cui comparivano dei paramilitari con atteggiamento minaccioso e poi se ne andò senza dire nulla. Mujica, pur preoccupato, non rese pubblico questo episodio, sia per non creare troppo clamore, sia perché temeva che la sua scorta sarebbe diventata più massiccia e invadente, turbando la quiete rurale della fattoria.

Ma Pepe, anche da Presidente, non ha mai nascosto la sua vera natura e il suo carattere schivo e poco espansivo. Questo lo ha portato molte volte a contravvenire all’etichetta ufficiale, ma ha anche dato risalto ai momenti in cui il suo animo emergeva, come quando si commosse scoprendo che un giardiniere dell’ambasciata uruguaiana in Spagna aveva salvato sul suo cellulare il famoso discorso al vertice di Rio de Janeiro e che lo riascoltava ogni volta che voleva motivarsi e tirarsi su di morale. Al centro del suo mondo non ci sono la lotta politica o gli impegni istituzionali, ma sua moglie Lucia e la sua fattoria di Rincon del Cerro. In questo rifugio, i due vivono come una normalissima coppia di anziani coniugi, passando del tempo sul divano a leggere e a conversare, svolgendo le faccende domestiche, tagliando la legna e andando a trovare i vicini. Era così anche quando era Presidente.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/11/lezione-pepe-mujica-tempo-bene-prezioso/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Nasce una rete delle reti, ecosistema delle realtà del cambiamento italiane

Alcune realtà che si occupano da anni di fare rete sul territorio italiano hanno deciso di intraprendere un percorso condiviso. È nata così una rete delle reti: uno strumento al servizio del cambiamento verso un mondo sostenibile, equo, solidale e felice.Network optimization

Il 1 ottobre a Mira, in occasione dell’incontro nazionale dell’economia solidale, è stato dato annuncio ufficiale di un nuovo percorso condiviso. Alcune realtà che da anni si occupano in modo differente di fare rete sul territorio italiano (Associazione per la Decrescita, Economia del Bene Comune, Italia che Cambia, Movimento per la Decrescita Felice, Panta Rei, Rete italiana di Economia Solidale, Rete Italiana dei Villaggi Ecologici, Transition Italia) hanno deciso dopo alcuni incontri preliminari di intraprendere questo percorso.

Questo il comunicato ufficiale trasmesso in diretta streaming durante l’incontro:

“Muove i primi passi una rete delle reti che vuole essere uno strumento al servizio del cambiamento verso un mondo sostenibile, equo, solidale e felice.

Le seguenti associazioni/reti/movimenti che già si occupano di sostenibilità ambientale, economica e sociale:

 

– Associazione per la Decrescita

– Economia del Bene Comune

–  Italia che Cambia

– Movimento per la Decrescita Felice

– Panta Rei

– Rete italiana di Economia Solidale (RES Italia)

– Rete Italiana dei Villaggi Ecologici (RIVE)

– Transition Italia

 

Si sono riuniti su iniziativa di Italia che Cambia in data 1 Luglio 2017 a Panta Rei (Passignano sul Trasimeno). Dalla discussione, a partire da significative affinità, è emerso quanto sia oggi importante poter agire insieme per far fronte alla ATTUALE crisi sistemica e quindi essere capaci di rispondere in modo coordinato e unitario alla domanda di forte cambiamento che proviene dalla società. Abbiamo, di conseguenza, condiviso la necessità di avviare un percorso comune finalizzato alla creazione di un “ecosistema di soggetti” (in rete) che ci permetta, valorizzando le rispettive vocazioni e sensibilità, di creare sinergie, collaborazioni e poter così raggiungere insieme dei traguardi che sarebbero impensabili per le singole realtà.”

Terra Nuova è mediapartner della rete delle reti.

Italia che Cambia è orgogliosa di prendere parte a questo percorso collettivo e di mettersi a disposizione di ciò che ne emergerà.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/10/nasce-rete-delle-reti-ecosistema-realta-cambiamento/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

Ansia e panico: quando il mio corpo mi chiese di cambiare vita

“Di giorno stringevo mani di politici e speculatori. Di sera contavo i soldi e nutrivo la lista degli oggetti da comprare per costruire la famiglia del Mulino Bianco. Ero fiero di me. La mia vita contribuiva ad aumentare il PIL. Poi, d’un tratto, l’ansia. Fortissima e costante. Era davvero quella la felicità?”.

Fortunatamente del costume dell’uomo felice mi sono spogliato da un pezzo. Mi spiego.

Ricordate il monologo finale di Trainspotting? Il lavoro, il maxitelevisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il cd, l’apriscatole elettrico, il mutuo, la polizza vita, ecc. Ecco, io ci ero arrivato col più regolare dei percorsi: laurea col massimo dei voti, master, stage, primo contratto, rinnovo, rapida carriera. Project manager in ambito “sviluppo locale”: 2,5mila euro al mese più bonus, trasferte, buoni pasto e telefono aziendale. Di giorno stringevo mani di politici e speculatori senza scrupoli. Di sera contavo i soldi e nutrivo la lista degli oggetti da comprare per costruire quella che la mia compagna di allora chiamava – con sguardo sognante – “la famiglia del Mulino Bianco”. Di notte non avevo tempo di pensare ai progetti di devastazione ambientale legalizzata che contribuivo a finanziare col mio lavoro; la mattina dopo dovevo svegliarmi presto per stringere altre mani. Ero fiero di me. La mia vita contribuiva ad aumentare il PIL. Poi, d’un tratto, l’ansia. Fortissima e costante. Era davvero quella la felicità?Edvard-Munch-The-Scream-detail

Edvard Munch, L’Urlo

Ho resistito qualche anno. Come fai a mollare subito quando cresci col mito di Fonzie e degli eroi hollywoodiani? Poi il mio corpo lo ha fatto per me. Attacchi di panico, ipocondria, gastrite, insonnia. Uno dei tanti medici conosciuti nelle mie passeggiate serali (e seriali) al Pronto Soccorso mi disse, in napoletano: “lei non è malato; è solo nu poco filosofo”. La ricetta, secondo lui, era smettere di rimuginare all’ingranaggio di cui facevo parte, alle conseguenze di quel sistema globale fondato sulla rapina e la distruzione delle risorse chiamato sviluppo. “Fottitene! E pigliate ‘na pastiglia” (di ansiolitico). Ci ho pensato un po’ su. Poi ho stracciato la ricetta. All’inizio non è stato facile. Frase fatta, ma è la verità. Il mondo attorno a me indossava o ambiva a indossare lo stesso costume che mi ero tolto. Tutti credevano che mi sarei solo preso un anno sabbatico per tornare poi alla carriera più determinato di prima. Del resto “come fai a vivere senza lavorare?”. In effetti la risposta non ce l’avevo. Non ancora, almeno. Mi limitai a stringere la cinghia, scoprendo che potevo sopravvivere anche senza cambiare l’auto ogni due anni e che col couchsurfing potevo viaggiare (e aiutare altri viaggiatori) senza pagare alberghi. Qualcuno mi disse che stavo facendo Downshifting (letteralmente: scalare la marcia).

Non avendo il lavoro, ero tornato ad appropriarmi del mio tempo. Lo utilizzavo per scrivere racconti e sceneggiature su personaggi che ricercavano se stessi e il proprio ruolo nel mondo. Per scrivere mi documentavo. Fu così che mi capitò per le mani un libro di Maurizio Pallante: La decrescita felice. Dopo tre capitoli mi accorsi che mia madre, nei pranzi di famiglia, cucinava il doppio del necessario; e che, ogni volta che avevo sete, compravo spazzatura a forma di bottiglia con dentro mezzo litro d’acqua del rubinetto. La Decrescita mi fece scoprire che il lavoro – mito della società industriale per il quale si scrivono gli articoli iniziali delle costituzioni – può essere utile sì, ma anche dannoso, e che la crescita economica non è sempre positiva, come dicono al TG. Se cresce il consumo di ansiolitici o di incidenti d’auto sarà positivo per le case farmaceutiche e automobilistiche, ma non per noi e per l’ambiente. A chiarirmi che la critica allo sviluppo era una roba seria e che veniva da lontano, fu un vecchio video su Robert Kennedy, assassinato qualche mese dopo avere pronunciato un celebre discorso sull’inadeguatezza del PIL  come misura del benessere.

Nel frattempo avevo iniziato a lavorare qui e là su cose che mi interessavano: organizzazione di eventi, marketing per una casa editrice, sceneggiatura e regia. Guadagnavo molto di meno ma avevo tempo per viaggiare, leggere, cucinare, andare in bici. Avevo cambiato i miei valori di riferimento. Non potevo più vivere nello stesso mondo. E così lo lasciai. Vendetti la mia auto e partii per la Spagna per fare WWOOF. Da volontario in aziende di agricoltura naturale mi spiegarono che il sistema biologico perfetto, circolare e autorigenerante, è la foresta. Il sistema “permanente” per eccellenza. Per vivere meglio e “permanere” nel mondo l’uomo dovrebbe limitarsi a osservare la natura e progettare i propri insediamenti imitandola. Su una verde collina nel nord dell’Andalusia, la Permacultura aveva fatto capolino nella mia vita.Facendo-wwoofing-in-Andalusia

Facendo wwoofing in Andalusia

Tornato alla base, mi misi a navigare sul web alla ricerca di associazioni, imprese e progetti virtuosi ai quali offrire una mano. Ne trovai tanti. Addirittura realizzai che ci sono intere città che si stanno organizzando per affrontare la Transizione da un modello economico basato sulla disponibilità di petrolio e sulla logica di consumo delle risorse, a un nuovo modello sostenibile, basato sulle energie rinnovabili e caratterizzato da un alto livello di resilienza. Mi accorsi che nessuno di questi progetti virtuosi sarebbe nato se le persone che li avevano promossi non avessero deciso di spogliarsi del loro costume di scena, inseguendo una felicità diversa da quella, artefatta, somministrata a dosi massicce da pubblicità, disinformazione e brutti programmi televisivi. Le persone: ecco quello che mi mancava. Il tassello finale che nessun libro poteva fornirmi. Cominciai a incontrarne parecchie, specie dopo l’inizio della mia collaborazione con Italia che Cambia, che con la sua mappa aveva appena creato una rete di persone in cambiamento e iniziava a raccontare le loro storie. La grande sorpresa fu la scoperta che, per molte di costoro, la spia lampeggiante del malessere che le aveva portate al cambiamento aveva lo stesso, cupo colore della mia: gli attacchi di panico.18676341_10213148274451229_2009560568_o

“Progettare il cambiamento” all’ecovillaggio Tempo di Vivere

Il passo successivo è stato chiedermi quanta gente non abbia ancora il coraggio di uscire dalla propria zona di comfort per trovare, insieme ad altri potenziali compagni di viaggio, un nuovo equilibrio. Quanta gente è possibile salvare da una sofferenza annunciata semplicemente dandogli la possibilità di incontrare un’alternativa di valori? È nato così “Progettare il Cambiamento”, il percorso formativo che ho ideato per Italia che Cambia.
Tre appuntamenti in diversi ecovillaggi con i massimi esponenti del Cambiamento italiano (fra cui Maurizio Pallante, che coi suoi libri aveva dato inizio a quello mio personale: quale onore lavorare al suo fianco!). E se credete che sia per puro caso che abbiamo inserito nel primo modulo, dal titolo “Il Pensiero del Cambiamento”, materie come Downshifting, Decrescita, Permacultura e Transizione… beh, rileggetevi questo articolo. Saranno una decina d’anni da quando mi sono spogliato del costume di scena. Ora non ho più niente addosso. Dell’uomo felice mi è rimasta la pelle.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/09/ansia-panico-corpo-chiese-cambiare-vita/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Dal PIL alla Felicità Interna Lorda: la lezione del Bhutan

Il Bhutan occupa il 160° posto nella classifica mondiale del PIL, che misura la ricchezza economica. Eppure i suoi abitanti sono felici, tanto che il benessere viene calcolato attraverso un indicatore chiamato “felicità interna lorda”. Abbiamo intervistato il dottor Saamdu Chetri, direttore del GNH, il centro che si occupa della diffusione di questo concetto. Fra i relatori del NESI Forum di Malaga, di cui Italia Che Cambia è media partner italiano, ci saranno anche i rappresentanti del GNH Centre del Bhutan. GNH sta per Gross National Happiness, che possiamo tradurre alla lettera come “felicità interna lorda”. Si tratta infatti di un indice che misura il benessere di un popolo attraverso la felicità e la consapevolezza e non calcolando la ricchezza economica. Ne abbiamo parlato con il dottor Saamdu Chetri, direttore esecutivo del GNH Centre. Oltre a spiegarci come funziona questo indicatore – che trova un omologo anche il Italia: il BIL, benessere interno lordo –, il dottor Chetri si sofferma su alcuni aspetti fondamentali come il rapporto con la natura, la decrescita e il percorso di cambiamento interiore da cui deve partire tutto.GNHC1

Una domanda un po’ scontata, ma che offre l’opportunità di spiegare meglio la vostra filosofia: perché i due concetti di PIL e Felicità Interna Lorda sono divergenti?

Se guardiamo questi concetti dal punto di visa olistico, sono divergenti al punto da diventare opposti. In ogni caso, l’idea di PIL nella sua accezione squisitamente economica è inglobata nel concetto di FIL. Mi spiego meglio: il GNH riguarda lo sviluppo olistico dell’Uomo grazie al bilanciamento del benessere materiale e spirituale dei bhutanesi. La crescita del GNH si misura attraverso l’incremento o il decremento della felicità sociale e diventa così indice di progresso. Noi sosteniamo che se un bhutanese ha dal 50% al 65% delle condizioni a sua disposizione nei nove domini allora accede al livello di persona appena felice. Se queste condizioni si verificano in una percentuale dal 66% al 76%, è abbastanza felice. Se questa percentuale supera il 76% è profondamente felice. Non consideriamo la felicità soggettiva, che è individuale, effimera e momentanea – la felicità misurata dal GNH è servire gli altri, vivere in armonia con la Natura e realizzare la bontà dei valori e della saggezza delle persone. Il GNH si basa sui concetti di confini planetari, di un’economia fondata sui bisogni e non sull’avidità e di una crescita sostenibile che prosegua anche quando arriveranno le generazioni future.  D’altra parte, il PIL si basa sulla distruzione e sull’eccesivo consumo delle risorse naturali. L’80% del territorio del Bhutan è verde e il 72% è coperto da foreste. Gli alberi vivi non hanno valore secondo la logica del PIL, ma se li uccidiamo e li abbattiamo gli indicatori economici salgono improvvisamente… ma qual è il prezzo da pagare in termini di equilibrio biologico e biodiversità? Allo stesso tempo, per esempio, se ci sono dei conflitti, se cresce il consumo di droghe, l’alcolismo, il fumo, allora la compravendita di armi e di sostanze che creano dipendenza fa aumentare automaticamente il PIL. E ancora: se uno dei due genitori smette di lavorare e rimane a casa per curare il futuro del Paese, che sono i figli, non c’è alcuna crescita economica. In altre parole, come abbiamo visto, ciò che fa progredire l’economia non si traduce in felicità e benessere per le persone.

Dunque il PIL non è un concetto negativo di per sé…

Non siamo contrari al PIL, nella misura in cui ha una ricaduta positiva sull’Uomo e sulla Natura, sulla lotta ai combustibili fossili o sul contenimento delle emissioni, in modo che il riscaldamento globale si riduca; in questi termini, può continuare a crescere! Ma per chi stiamo costruendo? Quale sarà l’utilità per le generazioni future se tutto verrà esaurito mentre ci siamo noi? Stiamo vivendo per noi stessi o per i posteri? Se è per loro che lo stiamo facendo, allora dobbiamo modificare il nostro stile di vita, mentre se è per noi, non abbiamo alcun diritto di mettere al mondo dei figli e lasciare loro in eredità un futuro di sofferenza. Scienza e tecnologia possono continuare a crescere finché noi saremo capaci di essere rigenerativi e sostenibili nel nostro approccio alla crescita, che sia legato al PIL o ad altri concetti equivalenti. “Sviluppo” è una parola fluida senza confini precisi. Uno dei nove domini del GNH è lo stile di vita e mira a un concetto sostenibile di PIL: crescere ma in modo sensato e non essere solo dei voraci consumatori.gnhc2

Abbiamo ancora la possibilità di recuperare il nostro rapporto con la Natura? 

Sì, possiamo ancora farlo. Sappiamo tutti che noi siamo la Natura e la Natura è noi. Quando distruggiamo la Natura, stiamo distruggendo noi stessi. Circa l’80% della superficie coltivabile è usata per produrre cibo per nutrire 1000 miliardi di animali ogni anno. 700 miliardi di essi vengono uccisi e macellati per soddisfare la voracità di una popolazione di 7,5 miliardi di persone. Gli allevamenti contribuiscono a circa l’11% dell’inquinamento atmosferico attraverso il metano prodotto dagli animali. Non abbiamo bisogno di carne e prodotti di origine animale per sostentarci e se qualcuno è convinto del contrario, lasci che chiediamo ai cavalli, agli elefanti, ai rinoceronti, alle giraffe, alle zebre e ad altri animali che tipo di carne mangiano e mangiamola anche noi! Se smettessimo di mangiare carne e altri prodotti di origine animale, restituiremmo alla Natura questo 80% di terra fertile ed essa si rigenererebbe. Il 20% della superficie coltivata secondo metodi biologici sarebbe sufficiente per mantenere il triplo dell’attuale popolazione terrestre. Questo è stato dimostrato dalla dottoressa Vandana Shiva presso la fattoria Navdanya dell’Università della Terra nel Deharadun indiano e dal professor Ganesh Bagaria dell’Istituto Indiano di Tecnologia di Kanpur attraverso il concetto del valore umano. Ciò che l’America Settentrionale e l’Europa sprecano ogni anno sarebbe abbastanza per il fabbisogno di tre anni dell’intera popolazione mondiale.gnhc4

Quali sono quindi le misure più urgenti da adottare?

Abbiamo bisogno di superare le barriere imposte dal pensiero attuale e imparare a condividere e curarci degli altri, ovvero redistribuire. La Terra si vendicherà presto con l’aumento del livello dei mari, calamità naturali e il ritorno di antiche malattie e la comparsa di nuove. Per l’umanità è arrivato il momento di distaccarsi dal vecchio paradigma e abbracciarne uno nuovo e siamo convinti che il GNH possa essere di grande aiuto in questo. Dobbiamo anche placare la nostra sete di consumo, condividere l’uso delle auto alimentate a combustibili fossili, usare di più il trasporto pubblico, non utilizzare gli impianti di condizionamento se non quando è strettamente necessario, utilizzare la luce elettrica il minimo indispensabile – dal momento che la maggior parte di essa è generata da fonti fossili –, non comprare una quantità eccessiva di vestiti, scarpe e altri oggetti – prima di acquistarle dobbiamo chiederci se ne abbiamo davvero bisogno, mangiare per nutrire il nostro corpo e smetterla con il cibo spazzatura… e molte altre cose! Prosegue la nostra intervista (qui la prima parte) con Saamdu Chetri, direttore esecutivo del GNH Centre del Bhutan. In questo paese da anni il PIL è stato sostituito dall’idea di Gross National Happiness, ovvero felicità interna lorda. Abbandonando il paradigma economico per misurare il benessere di un popolo cambiano molte cose, come il modo di rapportarsi fra Uomo e Natura e fra gli stessi uomini.saamdu1

Secondo lei, perché il GNH è nato proprio in Bhutan?

Perché il nostro leader, il Re, era al servizio dell’umanità e non in carica come semplice reggente. Egli, il nostro Quarto Re Jigme Singye Wangchick, aveva a cuore la felicità dei suoi cittadini e del mondo intero. È diventato Re a soli 17 anni, ma già a quella giovane età aveva realizzato che il modello economico convenzionale era basato sulla distruzione della natura, sul consumismo e sullo spreco – tutte cose lontanissime dalla vera felicità. Sapeva che lo scopo ultimo di ogni essere umano è essere felice e per questo era alla ricerca di un nuovo paradigma di sviluppo. In più, sapeva che l’antico codice legale del 1729 diceva che se il Governo non è in grado di provvedere alla pace e alla felicità del suo popolo, allora non ha ragione di esistere. Voleva che il suo Governo non seguisse il modello convenzionale fondato sul PIL, ma si affidasse a uno che portasse felicità alle persone, così propose che il GNH diventasse l’indicatore principale per il Bhutan e i bhutanesi al posto del PIL. A 52 anni, all’apice della sua popolarità, abdicò per consegnare la democrazia nelle mani del popolo bhutanese. Spesso la gente pensa che il GNH sia nato in Bhutan per via del buddhismo, ma esso si basa su valori universali e secolari. In nostro attuale Re Jmge Khesar Nagyel Wangchuck ha scelto il GNH come indicatore, legando lo sviluppo ai valori e i valori alla bontà, all’uguaglianza e all’umanità. In questo modo ha attribuito al GNH uno scopo superiore, che ha inizio con l’amore e termina con la fiducia.saamdu2

Pensa che i principi del GNH potrebbero essere applicati anche in altri paesi?

Sì, i principi del GNH sono adatti a qualsiasi paese, poiché sono al centro di questa idea ci sono gli esseri umani. Gli indicatori che utilizziamo non sono universalmente validi e hanno bisogno di essere adattati da caso a caso. Ma il GNH non è altro che un’occasione per proporre un nuovo paradigma di sviluppo per il futuro.

Avete ma provato a esportarlo?

No, il Bhutan non ha mai ricevuto richieste da altri paesi di misurare la loro felicità attraverso il GNH, anche se potrebbe essere fatto con alcuni adattamenti al contesto specifico. Abbiamo convissuto con questa idea per più di 40 anni prima che il mondo ci chiedesse di misurarlo. Ora lo facciamo e questo ci ha indicato una buona strada verso l’obiettivo della crescita della felicità umana.

In Italia esiste un movimento chiamato Decrescita Felice. Pensa che questi due aspetti – decrescita e felicità – possano essere compatibili?

 Questo è il momento giusto per un salto in avanti in termini di consapevolezza, a beneficio delle generazioni future. Non conosco bene questo movimento, ma posso dire che la decrescita è una cosa diversa dalla non-crescita: si riferisce a una crescita consapevole. I giapponesi hanno lanciato il cosiddetto “approccio minimalista”, che non è esattamente decrescere, ma usare solo le risorse necessarie per sostentare la vita e gli esseri viventi. E questo genera appagamento, che sta alla base della felicità. Se siamo contenti con quello che abbiamo, diventiamo connessi come parte dell’”inter-essere” – per usare il termine del Maestro del buddhismo zen Thich Nhat Hanh – e favoriamo l’interdipendenza, diventando così consapevoli e, quindi, felici. Se siamo consapevoli infatti, siamo sempre felici, poiché impariamo a vivere nel presente. La mia risposta quindi è: sì, decrescita e felicità sono compatibili.saamdu3

Cosa suggerirebbe a chi volesse cambiare la propria vita, rendendola più consapevole e sostenibile?

Di imparare a vivere con consapevolezza. Siate voi stessi, non cercate termini di paragone, non lamentatevi, non mettetevi in competizione con gli altri. Imparate a guardare profondamente dentro di voi e siate consci della natura della vostra mente – la felicità è interiore ed esteriore. Sappiate che siete costituiti per due terzi da acqua e per un terzo da aria e dal cibo che mangiamo, proveniente dalla Terra. Quindi, siamo al 99,99% Natura. Se prendiamo coscienza di questo fatto, impariamo a rispettare l’interdipendenza e diventiamo esseri consapevoli. Vedete, non possiamo essere tutti primi ministri, dottori, ingegneri e così via, ma chiunque saremo nella vita siamo destinati a morire e questa è la verità definitiva. Dobbiamo ricordarlo ogni giorno a noi stessi e dedicare una parte della nostra esistenza a servire gli altri. Servono solo tre cose per vivere: cibo, qualche cambio di vestiti a seconda della stagione e un tetto sopra la testa. Dobbiamo passare dalla consapevolezza animale alla consapevolezza umana costruendo relazioni più solide, più sane e più amorevoli fra l’Uomo e tutti gli altri esseri senzienti.

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/04/ricchi-benestanti-felici-consapevoli/

Da Roma alla vita nel bosco

Due trentenni, stanchi di condurre un’esistenza preconfezionata intrappolati nel grigiore della città, hanno scelto di vivere nella natura per cercare la felicità al ritmo delle stagioni. Da Roma a una remota borgata alpina della Valle Maira, da una quotidianità fatta di traffico e interminabili ore in ufficio, all’orto e alla legna nel bosco. “Ci siamo lasciati alle spalle la vita frenetica della città per iniziare una nuova avventura: la vita frenetica in campagna”.9496-10237

Tommaso D’Errico, 35 anni, grafico e web designer, e Alessia Battistoni, 31 anni, biologa. Due giovani romani, nell’aprile 2015, decidono di prendere in mano le loro vite per ricondurle su binari più vicini a bisogni e aspirazioni personali. Si trasferiscono in una borgata di montagna disabitata, a 1400 metri di quota, circondata dalla natura incontaminata e selvaggia della Valle Maira. Continuando a esercitare a distanza le loro professioni, iniziano intanto a sperimentare una nuova quotidianità, ritrovando modo e tempo per nutrire le loro passioni e scoprirne di nuove: la coltivazione di un orto, lo studio e l’osservazione degli animali selvatici, la raccolta della legna, la ricerca di frutti, funghi ed erbe spontanee, l’approccio a lavori manuali e di artigianato, la pratica di attività creative e artistiche, la produzione di cibo fatto in casa.
Nasce dunque il progetto “Al ritmo delle stagioni”, dalla volontà di raccontare la bellezza della natura e di condividere la loro esperienza, per trasmettere il proprio entusiasmo e diffondere la consapevolezza che una vita diversa è possibile, nel rispetto di sé stessi e dell’ambiente.

«Non siamo asceti né eremiti, non siamo misantropi né asociali, siamo semplicemente due comuni trentenni che, stanchi come tanti nostri coetanei di subire le sevizie di un’esistenza disumana, violentata da regole e ritmi che riteniamo senza senso, hanno deciso di prendere in mano le proprie vite per ricondurle su binari più vicini a bisogni reali e aspirazioni personali – spiegano – Questi binari ci hanno portato lontano dal grigiore della città, dalle luci al neon e dalle vetrine dei centri commerciali, fino al remoto capolinea di una piccola borgata alpina, ultimo avamposto abitato, a 1400 metri di quota, di una splendida vallata che ancora conserva buona parte della sua bellezza primordiale e selvaggia. In questo contesto, finalmente liberi da uno stile di vita preconfezionato incentrato sul lavoro e sul consumo di merci, abbiamo iniziato a sperimentare una quotidianità a stretto contatto con la natura, riscoprendone i ritmi e le leggi immutabili: il giorno e la notte, il bello e il cattivo tempo, il ciclo della vita, l’alternarsi delle stagioni».

«Così facendo, abbiamo trovato finalmente modo e tempo di nutrire le nostre passioni e di scoprirne di nuove – aggiungono Tommaso e Alessia – la coltivazione di un orto, la contemplazione della natura in tutte le sue manifestazioni, lo studio e l’osservazione degli animali selvatici, la raccolta della legna, la ricerca di frutti, funghi ed erbe selvatiche, l’approccio a lavori manuali e di artigianato, la pratica di attività creative e artistiche, la produzione di cibo fatto in casa, la fruizione di prodotti culturali non relegata a semplice passatempo. Attività fino a poco tempo fa soltanto sognate o vissute in modo marginale e insoddisfacente come brevi fughe da esistenze e contesti alieni. Senza saperlo ci siamo avvicinati in punta di piedi a correnti di pensiero molto attuali e tipiche della controcultura degli ultimi anni, come la decrescita volontaria, l’autoproduzione, la ricerca della frugalità. Lo abbiamo fatto muovendoci in modo indipendente, riconoscendoci cioè in certe filosofie di vita solo dopo aver sviluppato noi stessi precise opinioni e punti di vista. Per esempio, abbiamo appreso la base teorica della decrescita soltanto dopo averla immaginata noi stessi. Questo ci ha dato coraggio, la consapevolezza di non esserci fatti convincere da altri, di non aver “abboccato” a nessuna ideologia. Anche per questo, ma soprattutto perché non ci sentiremmo mai in grado di farlo, non vogliamo dare consigli o convincere nessuno a seguire le nostre orme intraprendendo percorsi di vita simili al nostro».

«Questo progetto piuttosto dalla volontà di raccontare la bellezza della natura e di condividere la nostra esperienza, anche in riposta a un evidente interesse espresso da amici, conoscenti e perfetti sconosciuti che in modo diretto o attraverso i social network sono venuti in contatto con noi e con la nostra storia. Una storia che non si avvicina in nessun modo a un idillio, che non ci ha portati neanche lontanamente a condurre un’esistenza priva di difficoltà materiali e turbamenti interiori ma che tuttavia sembra presentare spunti di riflessione e stimoli positivi. E di impulsi positivi, in un mondo dominato da paure, ansie, sofferenza e negatività, dove la quasi totalità della comunicazione è urla, minacce, insulti e lamenti, riteniamo esserci un grande bisogno».

Se volete seguire Tommaso e Alessia, al ritmo delle loro stagioni, potete farlo sul loro blog QUI , su Facebook o su Vimeo .

Fonte: ilcambiamento.it

Grani antichi, autoproduzione e magia: vivere felici a Tempa del Fico

Si può vivere lontani da ogni centro abitato, spersi nella natura selvaggia dell’altopiano cilentano, eppure immersi in un fitto tessuto di relazioni sociali? La storia di Tempa del Fico, ovvero di Donatella, Angelo e delle loro due figlie, dimostra che non solo è possibile, ma anche estremamente appagante. Questa è la storia di un luogo magico in cui si autoproduce tutto e si vive felici, e delle persone speciali che l’hanno creato.

“Devi superare uno spiazzo e poi girare a destra nella stradina sterrata, fai quattro chilometri e quando vedi un cartello giallo con scritto Tempa del Fico svolti a destra. Mi raccomando non seguire il navigatore sennò finisci fuori strada!”

Sono le dieci di sera. La nostra macchina serpeggia seguendo le curve di una stradina di campagna che si inerpica per gli altopiani del Cilento. I fari della macchina spazzano la strada con due coni di luce, tutto attorno è già buio. Sono al telefono con Angelo che cerca di spiegarmi la via più breve per arrivare: è una mezz’ora abbondante che seguiamo la strada di campagna e dovremmo esserci quasi, ma il navigatore impazzito segna che mancano ancora 40 minuti, forse ad indicarci che in quel luogo il tempo scorre più lentamente. Angelo, al telefono, mi rassicura: “Tranquillo, dieci minuti e state qua”.

Quando finalmente arriviamo troviamo un cagnolone bianco come la neve che viene a farci le feste e Angelo che ci attende all’ingresso. “Venite che la cena è quasi pronta”. Nonostante l’ora tarda ci hanno aspettato per mangiare. Donatella ha preparato una zuppa di grano (il loro grano), una torta salata con la zucca e del pane raffermo fatto a tozzetti e condito con olio, origano e altre spezie e olive nere essiccate nella cenere; poi tira fuori una ricotta salata e un salamino di cinghiale che gli ha portato un pastore vicino. Il tutto innaffiato da ottimo vino rosso.

A tavola con noi, assieme ad Angelo e Donatella ci sono le loro due figlie Annarita e Mariantonia e due ragazze che fanno woofing. Sarà per il cibo meraviglioso, la conversazione, o il vino, sarà forse per un insieme di elementi ma mi sento invaso da una sensazione di pace. Dopo un lungo viaggio in macchina durato tutto il giorno ho l’impressione di essere arrivato a casa.

Tempa del Fico: così si chiama questo luogo del tutto particolare, sperduto in mezzo ai monti nel cuore del Cilento, dove Angelo e Donatella hanno costruito una casa, una famiglia e un modo sereno e accogliente di stare al mondo.10408719_10204809803238216_3460126989773636728_n

Tutto è iniziato agli inizi degli anni Novanta, quando Angelo acquistò il terreno. Ai tempi aveva ancora un lavoro tradizionale in città, ma piano piano iniziava a lavorare sempre meno e ad autoprodurre sempre di più. “Ai tempi non la chiamavamo ancora transizione, ma la facevamo”, commenta Angelo, che nel frattempo iniziava a ristrutturare la casa secondo i principi della bioarchitettura.

Poi un giorno arrivò Donatella: lavorava da un orefice, fabbricava gioielli prezioni, collane, anelli, monili. Portava sempre i tacchi e si vestiva di tutto punto, ma non era felice: “A un certo punto non stavo più bene, ero anemica, sempre stanca, insoddisfatta. Gli amici e i familiari insistevano perché andassi a stare in campagna per qualche giorno, così arrivai qui. E qui sono rimasta”.

L’amore con Angelo, poi le due bambine. E un lento ma costante apprendimento di tutti quei saperi che il vivere in campagna richiedeva: riconoscere le piante, gli animali, cucinare. Oggi la famiglia Avagliano vive autoproducendo praticamente tutto, dalla farina, al pane, alla pasta, a tutti i tipi di vegetali e frutta, alle conserve e tutto il resto. I grani che coltivano sono grani antichi cilentani, e i metodi di coltivazione sono attenti a preservare la ricchezza del terreno. Quel po’ di reddito monetario di cui hanno bisogno lo ricavano attraverso l’ospitalità e vendendo i loro prodotti.13327528_10208294760879979_8039068592373336747_n

Si potrebbe pensare che sia una vita isolata, quasi eremitica, ma è esattamente l’opposto. Infatti sono immersi in un tessuto di relazioni molto forte e collaudato. Ci sono i vicini e le vicine, che vengono spesso a far visita, ci sono gli ospiti sempre numerosi, ci sono gli amici delle due bambine che amano giocare in questo paradiso (soprattutto da quando c’è anche un tappeto elastico!).

Addirittura assieme ai “cumpari”, ovvero gli altri contadini e produttori della zona fra cui anche Terra di Resilienza, hanno fondato la Cumparete, una rete informale di relazioni incentrata su rapporti di condivisione e collaborazione. E hanno dato vita alla “Ciucciopolitana”, una metropolitana rurale in cui al posto delle carrozze ci sono i “ciucci”, gli asini, che accompagnano grandi e bambini nelle escursioni.

Queste e tante altre storie e iniziative ci hanno raccontato Angelo e Donatella durante i nostri due giorni di permanenza alla Tempa del Fico. Tuttavia è difficile raccontare questa esperienza a parole (e in questo, per fortuna, mi viene in aiuto il bel video qua sopra girato e montato da Paolo Cignini), perché l’essenza di questa famiglia e delle sue attività non sta – o perlomeno non solo – nelle cose che fanno, per quanto siano numerose e incredibili, ma nell’odore e nei colori di questo luogo, nell’atmosfera che vi si respira. Nella capacità di vestire la straordinarietà della loro esperienza con gli abiti della più assoluta normalità e naturalezza. Niente è fuori posto, niente appare forzato. La gioiosa diversità delle due bambine, l’una calma e introspettiva, amante della lettura e dello studio, l’altra più “selvaggia” ed energica, che fa home-schooling e sa riconoscere tutte le erbe e cavalcare il mulo di famiglia, sembrano l’eco di una connessione profonda con il luogo e la sua biodiversità.12814385_10207530682338493_2371574138971454347_n

Il secondo giorno, prima di ripartire, Angelo ci fa vedere come fare la pasta e Donatella ci porta a raccogliere la melassa per fare un infuso. Pranziamo assieme: ci sono ospiti, la tavolata conterà una quindicina di persone o forse più. Poi i saluti. Ce ne andiamo con la pancia piena di cibo e la testa ed il cuore di tante altre cose.

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/07/io-faccio-cosi-127-grani-antichi-autoproduzione-e-magia-vivere-felici-a-tempa-del-fico/