Capelli d’angelo: le ragnatele volanti che destano curiosità e qualche dubbio

I capelli d’angelo sono matasse di fili sottili che avvolgono antenne, tetti e spesso si ritrovano sui campi e destano da tempo curiosità.capelli d angelo

capelli d’angelo sono dei filamenti biancastri e sottili che si raggruppano in matassa e che letteralmente piovono dal cielo nel periodo autunnale e invernale. Lo scorso mese di novembre sono cadute copiose in diverse regioni italiane. Il fenomeno è noto agli scienziati come spider balooning e anche a Darwin lo descrive nel Viaggio con la Beagle ma nel caso degli avvistamenti che si sono verificati e si verificano in Italia possiamo dire che alcuni documenti ufficiali presenti in rete stanno generando confusione. Lo Spider Balooning è stato descritto in un recente articolo comparso su Scetticamente dove si spiega che il fenomeno è naturale e ciclico. Luciano Di Tizio presidente del WWF Abruzzo, la regione che ha visto lo scorso novembre il fenomeno manifestarsi in maniera insistente, ha detto:

Questi filamenti bianchi, lunghi anche diversi metri e appiccicosi, che qualcuno ha correttamente definito “simili a quelli delle ragnatele”, sono, appunto, dei filamenti di ragnatela utilizzati nelle calde giornate d’autunno da diverse specie di ragni per lasciarsi trasportare dal vento e colonizzare nuovi territori. Sui filamenti sono presenti infatti uno o più spesso numerosi ragnetti. Un fenomeno di dispersione che si ripete nelle zone di campagna tipicamente tra ottobre e novembre e che ogni anno genera allarme in qualche parte d’Italia benché si tratti di un fenomeno noto da oltre 2000 anni e del quale aveva parlato persino Aristotele individuando correttamente l’origine dei filamenti.

Stiano tranquilli i cittadini, almeno per questo fenomeno (noto come “spider balooning”): sono ben altri gli inquinanti che devono preoccuparci, dal traffico eccessivo nelle città alle raffinerie petrolifere, dalle industrie che non rispettano le norme di legge alla proliferazione dei rifiuti… Per tutte queste cose sì che vale la pena di preoccuparsi e di chiedere alle autorità di intervenire, I ragni in migrazione, almeno quelli, problemi non ne danno di sicuro.

Dei capelli d’angelo o bambagia silicea se ne è occupato anche il CICAP, ossia il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze fondato da Piero Angela che opera come smaschera bufale. Nel caso dei capelli d’angelo dobbiamo che dal Cicap non sono arrivate tutte le risposte. Infatti i capelli d’angelo sono associati agli avvistamenti UFO e dunque un campione fu analizzato nel 1999 e queste furono le conclusioni:

Relativamente al campione esaminato, si può dunque concludere che:

  • non si tratta di tela di ragno;
  • non si tratta di cellulosa o di materiali simili alla cellulosa (il che esclude la possibilità che si tratti di lana di pioppo o di rayon).

L’ultima analisi del Cicap risale al 2003, ossia a quando i capelli d’angelo furono interpretati come dragline silk, ossia una sorta di cavo di sicurezza che i ragni lupo emettono spostarsi e colonizzare nuove aree. Ma il Cicap neanche questa volta è certo al 100% tant’è che scrive nella sua relazione:

Durante uno degli ultimi avvistamenti, avvenuto il 2 novembre scorso a Carisio (BI), il coordinatore del CICAP Lombardia Francesco Grassi ha fotografato molti esemplari su alcuni dei quali viaggiavano i “ragni lupo”, fortemente indiziati di essere la causa di almeno una parte dei “capelli d’angelo”. Per arrivare a conclusioni definitive si è deciso di creare un gruppo di lavoro interdisciplinare in collaborazione con il CISU: le prime indagini saranno mirate a verificare se i campioni in nostro possesso sono ragnatele.

Non sappiamo come sia andata a finire perché non ci sono altri documenti dopo questa analisi del 2003. Sulle pagine facebook del Cicap si segnala l’articolo di scetticamente ma di risposte ai dubbi sollevati nelle analisi precedentemente svolti non ne sono giunte.

Fonte: ecoblog

Gli sradicati

“Oggi, a furia di allontanarci dalla natura, ci siamo separati dalla nostra stessa natura. Abbiamo prodotto una novità assoluta: le prime generazioni nella storia dell’umanità di ‘senza radici’. Abbiamo prodotto degli esseri umani da allevamento intensivo, privi dei punti di riferimento di un bagaglio di cultura ed esperienze tramandate e privi anche del bagaglio di esperienze proprie, dirette e concrete”.

natura_bosco2

Quando ero bambina, negli anni cinquanta e sessanta, nei cortili di Milano senza un albero risuonavano le voci dei bambini che giocavano. “Vado giù a giocare”, “vai fuori a giocare” erano frasi scambiate quotidianamente tra madri e figli. Nessuno con un grano di sale in zucca si sarebbe sognato di poter tenere dei bambini chiusi tutto il giorno tra quattro mura, come in galera. Negli anni sessanta cominciò il boom edilizio e le case nuove di periferia, o almeno quelle da un certo prezzo in su, venivano costruite mantenendo un’area di terreno a verde: il giardino. Ci sembrò una meravigliosa novità finché non scoprimmo, adulti e bambini, che in quei giardini non si poteva giocare. Né si poteva usufruirne in alcun modo: erano giardini “per bellezza”. Una cosa che ci apparve del tutto insensata e ci lasciò, adulti e bambini, esterrefatti. Fino a che, anno dopo anno, giardino dopo giardino “per bellezza”, ci convincemmo che era la cosa giusta: niente schiamazzi (solo quelli del traffico, delle televisioni a tutto volume, delle liti in famiglia), nessuno che sciupasse il tappeto erboso condito di pesticidi e concimi chimici. E già lì fu evidente che l’uomo moderno può essere convinto di qualsiasi cosa, avendo il cervello imbottito dei precetti dei media-vocedelpadrone in ogni loro forma, cominciando dalla pubblicità, ed essendo di conseguenza sotto ipnosi ventiquattro ore su ventiquattro. Ma per essere ipnotizzati ci vuole una certa predisposizione. Per creare questa predisposizione bisogna, prima di tutto, distruggere la comunità umana e la sua istintiva solidarietà, e secondariamente interrompere il flusso delle esperienze tramandate di generazione in generazione. Alla fine degli anni sessanta e durante gli anni settanta, anni di lotte di classe, di forti ed estesi movimenti anticapitalisti, di contestazione di tutta l’organizzazione economica e sociale, di cultura antiautoritaria, pedagoghi, psicologi e pediatri erano concordi nell’affermare e spiegare che il gioco era una delle prime necessità del bambino, assieme al cibo e all’affetto. Il gioco libero e autonomo, quello in solitudine e quello in compagnia, era una necessità imprescindibile per lo sviluppo fisico e mentale dei bambini. Bisognava lasciarli giocare liberamente. L’occhio degli adulti doveva essere discreto, limitarsi a sventare eventuali pericoli.

gioco_bambini

Quanto al bullismo, ai tormenti che oggi quotidianamente bambini infliggono ad altri bambini, erano praticamente impossibili, dato che in ogni gruppo di gioco convivevano età diverse, sessi diversi, fratelli e cugini e amici di questo e di quello. E dato che le madri si affacciavano alle finestre, le portinaie (figure scomparse con l’apparire dei citofoni e del metro quadro abitabile pagato a peso d’oro) ci tenevano d’occhio, gli artigiani che lavoravano nei cortili (in quei tempi selvaggi non esistevano le ASL benché ci fosse un ambulatorio in ogni quartiere) erano pronti a redarguire i prepotenti. Il gioco spontaneo, non inquadrato, non competitivo, non finalizzato a diventare campioni sportivi ricchi e famosi, era più importante della scuola. Non sarebbe stato necessario, allora, affannarsi a ripeterlo: che gli adulti lo ritenessero necessario o no, riuscivano comunque a capire che era naturale e inevitabile. Ma facevano bene a ripeterlo pediatri, psicologi e pedagoghi: a quei tempi in Italia esisteva il lavoro dei bambini, nel nostro sud c’erano ancora bambini muratori, braccianti, sguatteri. Era per loro che si ribadiva il diritto e la necessità del gioco, della libertà e spensieratezza dell’infanzia.

Quando sono a casa solo
e mi annoio, mi consolo;
chiudo gli occhi e sto salpando
verso i cieli, navigando,
navigando verso il mare
del Paese del Giocare,
là, nei luoghi assai lontani
dove vivon solo nani,
dove i fiori sono peri
e le pozze oceani veri
e le foglie son velieri
pieni di filibustieri,
dove passano volando

calabroni che ronzando
fan tremar le cime ardite
delle immense margherite…

Robert Louis Stevenson

Oggi in Italia lo sfruttamento del lavoro minorile non esiste più, e non esiste più nemmeno il gioco, la libertà e la spensieratezza dell’infanzia. I bambini sono chiusi tra quattro mura quasi ventiquattrore su ventiquattro, tra scuola a tempo pieno, compiti affibbiati dalla scuola a tempo pieno, sport, canto/musica/danza e lingue varie, più televisione videogiochi e computer. Totalmente avulsi dalla realtà e dalla complessità della vita concreta, alienati e incapaci. Molto progrediti… Infatti sanno le lingue straniere, sono dei maghi del computer, degli atletini e/o dei musicisti in erba. Li vogliamo scalpitanti e allenati alle gabbie di partenza, come veri purosangue assetati di vittorie.

scuola__bambini

Il gioco collettivo insegnava ad organizzarsi, a collaborare, a prendersi cura dei più piccoli, ad essere leali e anche ad essere astuti, svelti, previdenti. Isolava i litigiosi, gli egocentrici e i prepotenti, che a quel punto erano fortemente incentivati a mitigare i propri difetti. Il gioco individuale insegnava a immaginare, fantasticare, riflettere. Tutti i giochi insegnavano la pazienza, la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie qualità, la deduzione e l’immaginazione. Tutto ciò è stato spazzato via dal “progresso”: da una società sempre più rigida, competitiva, individualista e autoritaria. Si è dato per scontato che più scuola si affibbiava ai bambini e meglio era, ma la scuola è un’istituzione, non è neutra: rappresenta ed esprime l’organizzazione sociale di cui fa parte, ne persegue gli scopi. In una società di dominio e competizione qual è quella in cui viviamo, la scuola è strutturata in modo da formare individui privi di spirito critico, competitivi, specializzati, conformisti: ricettivi alle direttive e indicazioni che vengono dall’alto, alle “versioni ufficiali”, alle mode, al senso comune, e diffidenti e sprezzanti verso tutto ciò che se ne discosti. Per ottenere questo occorre che lottino con le unghie e coi denti per riuscire a svolgere una mole di lavoro sempre più imponente, non importa quanto utile, che li occupi davvero a tempo pieno, senza lasciare ai loro cervelli una via di fuga. Non più tempo per l’ozio, la noia, la riflessione, la fantasticheria, il coalizzarsi e organizzarsi con altri bambini. E dopo la scuola i nostri minimanager hanno già pronte le attività imposte dalle famiglie. Indispensabili per farsi strada nella mischia. Non abbiamo più il lavoro minorile ma i nostri “minori” non sono meno occupati e oberati, almeno a livello psicologico, dei piccoli braccianti e muratori degli anni cinquanta. Sicuramente più dei pastorelli e camerierini di quel tempo, che lavoravano con la propria famiglia e potevano sdraiarsi su un prato o giocare a carte in cucina. Cosa rimane di libero? Il tempo passato davanti al televisore, al computer, al cellulare. Ho sentito genitori vantarsi di non chiedere alcun aiuto in casa ai propri figli, perché il loro primo compito deve essere studiare. È sottinteso che quello “studiare” significa “vincere”. Devono essere i primi. Imparare, cioè crescere, maturare, acquistare conoscenza non ha importanza, evidentemente. Perché imparerebbero molto di più se sapessero farsi il letto, lavare i piatti, fare la spesa e cucinare, aggiustare una presa o un rubinetto che perde. Far compagnia ai nonni, salutare i vicini, portare a spasso il cane.

nonni_bambino

Se poi sapessero coltivare qualche pianta, cucirsi un orlo, riparare la gamba di un tavolo, le loro probabilità di sopravvivenza aumenterebbero del cento per cento: vorrebbe dire che sanno ingegnarsi e adattarsi, che hanno sviluppato un’intelligenza pronta e duttile, uno spirito d’osservazione a tutto campo. Ma per questo è necessario trasmettere le proprie conoscenze. Invece, nel progredito occidente, stiamo crescendo le prime generazioni di “senza radici”. Da quando gli esseri umani esistono, ogni generazione ha trasmesso le proprie conoscenze ed esperienze a quelle che la seguivano. È una delle condizioni imprescindibili per la sopravvivenza di una specie; tanto più imprescindibile per una specie, quella umana, dalla cultura vasta e complessa e dallo scarso istinto. È altrettanto importante, questa trasmissione di saperi, della trasmissione del patrimonio genetico. I genitori, i nonni, gli zii, i vicini di casa, l’intera comunità degli adulti raccontava ai bambini: la propria vita e le vite che aveva conosciuto, le idee che aveva maturato, le cognizioni apprese. Era una necessità primaria, né più né meno del gioco. E infatti ciò che più i bambini amavano, oltre al gioco, erano i racconti. Fino a qualche decennio fa, attraverso quei racconti si è tramandato a spizzichi e bocconi tutto il patrimonio culturale accumulato dagli uomini, tutte le esperienze che ci precedevano, i miti e la storia. C’erano racconti sulla guerra e sulla fame, sulla bontà e la malvagità, sullo sfruttamento e sul riscatto, sulla resistenza e la dignità, sulla sacralità del cibo e sul rispetto dei più deboli, sulla fatica e sulla festa. Tra ricordi e principi, parabole e aneddoti, concetti e idee, si trasmetteva una cultura ancestrale e attuale; i bambini crescevano legati a tutti coloro che li avevano preceduti, come da un reticolo di radici nascono i nuovi polloni: nutriti da tutte le sostanze che possiede il terreno dove spuntano. Ma oggi, a furia di allontanarci dalla natura, ci siamo separati dalla nostra stessa natura. Abbiamo prodotto una novità assoluta: le prime generazioni nella storia dell’umanità di “senza radici”. Abbiamo prodotto degli esseri umani da allevamento intensivo, privi dei punti di riferimento di un bagaglio di cultura ed esperienze tramandate e privi anche del bagaglio di esperienze proprie, dirette e concrete. Abituati ad obbedire senza chiedersi perché: tutta la loro vita è organizzata e indirizzata dagli adulti: insegnanti di scuola, istruttori sportivi, insegnanti di musica, animatori e chi più ne ha più ne metta.

bambino_fiore

Abituati a competere: a scuola bisogna essere tra i primi, a calcio bisogna vincere la partita, in ogni attività bisogna puntare ad essere più e meglio degli altri e poi magari i genitori li portano a scalare il Monte Bianco, tanto perché gli rimanga chiaro che l’uomo non ha limiti e la natura è qualcosa da conquistare e sottomettere. Obbedienza e competizione preparano il servo perfetto per una società di dominio senza più limiti. Televisione e strumenti digitali fanno il resto. L’immaginazione è una dote indispensabile per la sopravvivenza umana. Non serve a un batterio, probabilmente, e neanche a un lombrico, che hanno il loro corrispondente dell’immaginazione in dote già dalla nascita. Ma serve a qualsiasi animale abbia necessità di apprendere dopo la nascita una parte delle proprie cognizioni. Bene, “immaginazione” ha la stessa radice di “immagine” perché è la capacità di creare immagini mentali. Il neonato, sentendo la voce o l’odore della madre, immagina probabilmente il suo volto, il suo abbraccio o il sapore del suo latte. Poi ci saranno le parole da decifrare e trasformare in immagini e idee: un continuo allenamento mentale, come muoversi e camminare è un allenamento per i muscoli. Ma, se a un bambino piccolo dessimo una seggiolina a rotelle che lo porta ovunque, che ne sarebbe delle sue gambe? Atrofizzate proprio nell’età in cui dovrebbero svilupparsi. Potrebbe più camminare, correre, saltare? E, se a un bambino piccolo scodelliamo continuamente immagini televisive e cartoni animati e poi, quando riesce a usare le dita, gli forniamo strumenti che schiacciando dei tasti gli permettono una fittizia e astratta comunicazione con gli altri esseri umani e un fittizio e mutilato rapporto con la realtà e con la vita, cosa succederà alle sue capacità mentali? Proprio nell’età in cui la sua esperienza e la sua immaginazione dovrebbero svilupparsi; e immaginazione significa sapersi immedesimare negli altri, saper prevedere i pericoli, saper valutare le conseguenze. Significa responsabilità, compassione, accortezza. Cosa succederà alla sua capacità di esprimersi con parole, gesti, espressioni del viso, toni di voce? Tutto quello che serve per “incontrarsi” con gli altri umani e non solo. Cosa succederà ai suoi sensi, al tatto, alla vista, all’olfatto, all’udito? Tutto quello che serve a percepire e comprendere il mondo. Noi non lo sappiamo. Nessuno delle generazioni precedenti lo sa. Perché non si può sapere, e nemmeno immaginare, ciò di cui nessuno ha mai avuto esperienza prima. Possiamo però vederne le conseguenze. Nei ragazzi incapaci di vivere, che non riescono a studiare né a lavorare, terrorizzati dalla continua già sperimentata competizione della nostra società, convinti fino in fondo all’anima della propria incapacità, rinchiusi nella “comoda” irrealtà di rapporti mediati da internet. Sono ormai un’epidemia, che trova le famiglie del tutto impotenti e sole.

bambini_verde

Nelle inaudite e inspiegabili violenze di gruppi di adolescenti “normali”, che in maniera evidente non hanno né la capacità di immedesimarsi nelle sofferenze altrui, né tanto meno quella di immaginare le conseguenze che i loro atti faranno ricadere sulle proprie stesse vite. E poi ci sono i comportamenti di massa. Le caratteristiche ormai di una nuova specie umana: la paura o l’indifferenza nei confronti della natura. Quando io ero bambina, il più grande divertimento di qualsiasi bambino era poter scorrazzare in un vasto spazio libero e selvaggio: un prato, un bosco, il mare. Di fronte a qualsiasi ambiente del genere, nessun adulto con un grano di sale in zucca avrebbe tentato di trattenerci. Lo stesso valeva per fonti e ruscelli. Un surrogato erano i giardini pubblici. Meglio che niente, anche se non si poteva correre nell’erba, far capriole, rotolarcisi, arrampicarsi sugli alberi. Questo rapporto dei cuccioli d’uomo con la natura è continuato, pur diluendosi via via, fino a una ventina d’anni fa. Oggi nei parchi cittadini ci sono prevalentemente i cani, dato che non si può piazzarli davanti a un televisore o appassionarli a un videogioco, né si accontenterebbero di rapporti “virtuali” coi loro simili. Del resto, i bambini attuali guardano un prato, un bosco, un fiume come qualcosa di estraneo e incomprensibile. Come i canarini nati in gabbia (non) guardano il cielo e rifiutano di uscire dalla gabbia anche se la porta è aperta. Forse come i polli d’allevamento intensivo guardano il mondo oltre la porta del capannone. Eppure basterebbe poco, prima che sia troppo tardi. La maggior parte dei bambini è cento volte più disponibile a far qualcosa in compagnia che a ottundersi davanti a uno schermo. La maggior parte dei bambini possiede ancora curiosità e senso del mistero. Basterebbe ricordare. Siamo stati tutti bambini, anche se ci sembra impossibile. Non si tratta, in effetti, di alieni: si tratta di comuni esseri umani in uno stadio della loro esistenza. Basterebbe ricordassimo le decine di giochi di gruppo che nessun grande organizzava; ricordare i duelli, gli agguati, le galoppate a rotta di collo delle nostre immaginarie avventure; ricordare come rompevamo le scatole ai genitori per comperare il granturco in sacchettini che vendevano nella piazza e come ci emozionavano i piccioni posati sulle nostre braccia per mangiarlo. Ricordare il fascino indescrivibile del soldino al posto del dente che ci era caduto, dei doni magicamente portati dalla Befana o da Babbo Natale o da Gesù Bambino. Sarebbe sufficiente dedicarci a loro quel tanto che basta per ridargli tutto questo, per aiutarli a scoprire la vita. E forse richiederebbe meno tempo che scarrozzarli in auto da piscine a palestre ad effimere scuole di discipline nate da effimere mode. I figli di una mia amica hanno in casa un folletto che ruba le cose lasciate in disordine. I folletti possono esserci in tutte le case, anche in un appartamento di due stanze. E anche dalla finestra di un appartamento di due stanze si possono soffiare nel cielo le bolle di sapone fatte con una “cannuccia” di cartoncino arrotolato e un po’ di acqua e sapone. E poi, con i nostri bambini, potremmo anche riprenderci i marciapiedi e le piazze e i cortili, e prima di tutto i “giardini per bellezza”. Proviamoci almeno, a ritrovare quegli spiritelli incapaci di camminare ma solo di correre e saltellare, ridenti, vocianti e canterini che sono sempre stati i bambini dagli albori dell’umanità fino a due, tre decenni fa. Ci guadagneremmo tutti: potremmo tornare a goderci lo spettacolo dei loro giochi dalle finestre e dai balconi. Gratis. Potremmo ravvivare le nostre speranze e la nostra fantasia per rispondere alle loro domande. Potremmo sentirci immortali guardandoli crescere.

… È questa una mattina
che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d’albaspina.

Le siepi erano brulle, irte; ma c’era
d’autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino

ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.

Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza.

S’inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo, esile
e vada a rifiorir lontano.

S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo
petto del bimbo e l’avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo…

Giovanni Pascoli

Fonte: il cambiamento

A volte bisogna essere bambini per vedere il mondo differentemente

“Ci si trova di fronte alla semplicità spiazzante della loro tenerezza e si rimane inerti e senza parole davanti alla scoperta delle loro verità, tanto evidenti e logiche quanto scomode e, a tendere, potenzialmente pericolose per il sistema”. Le riflessioni di Dario Lo Scalzo sulla saggezza dei bambini.bambina_animali

Siamo la società che vive in automatico e in automatico rispondiamo ‘presente’ ai modelli che pochi benpensanti hanno pensato di propinarci. In genere questi opinion leader sono coloro che da secoli, ormai, conducono il teatrino del liberalismo e del consumismo, che, tradotto in soldoni, conducono per mano, direttamente o indirettamente, le masse popolari. Capita così che, sebbene individualmente, si pensi di essere astuti, svegli e liberi di pensiero, allo stato dei fatti, spesso ci mostriamo degli esseri poco pensanti , in balia delle interferenze esterne, dei moduli precostituiti e raramente si è davvero in grado, o si ha la voglia, di confrontarsi con gli standard sociali. Diveniamo vittime sociali, tutti per necessità uguali, e, assai frequentemente, in fin dei conti, abbandoniamo o sotterriamo le capacità individuali di riflessione e il nostro potenziale intellettivo. Si va in automatico, seguendo le mode, i sistemi educativi che ci vengono imposti e prontamente stacchiamo la spina alla mente, lasciandoci condurre dal cosiddetto sistema, dalla sua mano invisibile; tutto ciò su svariati fronti, su parecchie tematiche ed ambiti del modus vivendi quotidiano. Ed ecco che, per esempio, seppur tantissimi si dichiarino animalisti, malgrado si provveda a dare cure e attenzione agli animali domestici, benché tali esseri vengano anche adorati e, in breve, dall’alto del nostro dichiarato elevato amore per gli animali, nella concretezza del quotidiano dimentichiamo abbastanza sistematicamente che li indossiamo e che per di più ce ne cibiamo. È il modello sociale che ci è stato veicolato da secoli, è il cammino educativo impostoci ed è il paradigma by default che la stragrande maggioranza delle popolazioni civilizzate ha accettato senza neppure mai averlo messo in discussione, neppure nella configurazione cerebrale degli individui che lo costituiscono.animali_disney

D’altro canto, è lo stesso medesimo percorso che ci porta ad avvicinare gli animali ai bambini attraverso i cartoni animali, i fumetti, gli innumerevoli gadget e giocattoli che riproducono animali. Alcuni animali diventano persino idoli e miti positivi dei nostri figli con i quali essi interagiscono, parlano, manifestano affetto e immaginano mille avventure. Abbiamo poi gli animali sempre sorridenti e felici delle pubblicità, per intenderci, quelle in stile Mulino Bianco, quelli che saldano e consolidano il trio famiglia, natura e animali in cui tutti quanti vivono in una simbiosi armonica, quasi nell’equilibrio perfetto della felicità. Mi chiedo ma quando, nel ciclo dell’esistenza di ognuno di noi, consumatori privi di curiosità e menti che avanzano come automi, ci si trova di fronte invece al “passaggio della verità”? Quando, al bambino o all’adolescente, qualcuno, nel corso della vita, spiega cosa accade a quegli stessi animali con i quali si è cresciuti, si è entrati in empatia, con i quali si è dormito, sognato, giocato, parlato, riso, pianto? Mi chiedo in che momento gli educatori, i genitori, le istituzioni, la TV e gli altri canali mediatici che, per una fase della crescita delle giovani generazioni e del loro processo educativo, pompano ed esaltano la sensibilità degli animali e di tutti esseri viventi, raccontano della loro generosità, del loro amore, del loro altruismo, della loro fedeltà e di tanto altro ancora, quando, dicevo, decideranno di svelare a quel nutrito pubblico di consumatori e alle loro disattente famiglie la verità, il destino di quegli eroi sorridenti ad affabili? Quando ci verrà detto che i simpatici e carismatici eroi di Walt Disney sono in realtà quotidianamente seviziati, torturati, dopati, uccisi, spellati, mangiati, indossati, vivisezionati? Semplicemente mai! Il cerchio dunque non si chiude. Ma si chiude quello del mio contorto ragionamento: andiamo in automatico, tutto è acquisito ed accettato. Non si riflette a sufficienza, non ci si chiede, non si ha neppure il bisogno di andare oltre l’apparenza e oltre lo stato di fatto e i pacchetti confezionati che ci vengono rifilati. La società va avanti con il pilota automatico e raramente le masse provano a mettere in questione ciò che è considerato predefinito, impacchettato. Raramente provano ad approfondire su potenziali strade alternative, per esempio sulla riduzione dei consumi di esseri viventi, o su modifiche anche minime dei comportamenti quotidiani, degli stili di vita, sulle troppe abitudini sprecone a volte insensate che ci vengono trasmesse e dettate dal modello sociale.bambino_cane

Ma, a volte, ci pensano i più puri ed ingenui a aprire il cuore e gli occhi, davanti al mondo, i bimbi. Sì, proprio quelli che, sin dalla tenera età, cerchiamo a tutti i costi di “incarognire” alla vita con le nostre devianze risultanti da un utilizzo delle intelligenze a senso unico, da una scarsa sensibilità e dalla crisi di Amore. Ci si trova di fronte alla semplicità spiazzante della loro tenerezza e si rimane inerti e senza parole davanti alla scoperta delle loro verità, tanto evidenti e logiche quanto scomode e, a tendere, potenzialmente pericolose per il sistema. L’invito di oggi è quello di guardare questo brevissimo video che non necessita di nessun tipo di commento, che commuove per la sua tenerezza e semplicità e che fa sprofondare, almeno per qualche istante, nel silenzio della riflessione e, forse, nella riappropriazione momentanea dell’indipendenza intellettiva individuale. La saggezza è dei bambini.

Fonte: il cambiamento