Sbarbacipolla: la biosteria che promuove vivere etico, benessere e creatività

Un ristorante che propone una cucina naturale, etica e a basso ambientale, ma anche un luogo di incontro e confronto sul tema ampio dell’alimentazione. Tutto questo è la Biosteria Sbarbacipolla gestita con passione da Nicola e Chiara che a Colle Val d’Elsa, tra Siena e Firenze, promuovono anche una serie di attività artistiche e culturali volte al benessere globale. La Biosteria Sbarbacipolla nasce sette anni e mezzo fa a Colle Val d’Elsa tra Siena e Firenze «con l’intento di dar voce ad una alimentazione naturale, di dare visibilità a un modo di intraprendere il mestiere della ristorazione in modo diverso: etico. Noi collaboriamo con i piccoli produttori e cerchiamo di aiutare anche chi sta entrando nel mondo dell’agricoltura e della produzione agroalimentare, supportandolo con un acquisto da parte del ristorante».

Sono queste le prime parole con cui Nicola (Zac) Bochicchio descrive la propria attività che gestisce con Chiara Salvadori, compagna anche di vita. Indumenti da cuoco, accento toscano e occhi vivaci di chi è animato dalla passione, lo incontriamo di fronte alla biosteria in una calda giornata estiva, in un momento di festa in cui il cibo e la convivialità irrompono nella piazza antistante al locale per un evento in sinergia con altre realtà locali. Quella che Nicola propone è una cucina bio naturale a basso impatto ambientale, una cucina bio evolutiva.

«Noi facciamo una cucina prevalentemente vegetariana e vegana, ma facciamo anche cucina di carne. Questo per un pensiero che sta alla base di tutto, cioè che ognuno fa il suo percorso gastronomico culturale senza muri, con un confronto – prosegue Zac -, questo è quello che ci arricchisce. C’è una bella risposta e una grande attenzione a questo stile di alimentazione; siamo una terra non facile per questo, la Toscana è un regno di cucina molto robusta e di carne, quindi l’avventura di un ristorante prevalentemente vegetariano all’inizio incuteva qualche timore. Ma io sono convinto che se le cose si fanno con passione poi vanno. E infatti Sbarbacipolla per ora va».

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2019/12/sbarbacipolla-biosteria.jpg

Nicola e Chiara

La proposta di un luogo che non fosse solo un ristorante, ma anche luogo di incontro, di promozione e confronto intorno al vasto tema dell’alimentazione caratterizzano Sbarbacipolla. Accanto alla promozione dei prodotti del luogo, grazie a Chiara che è anche pittrice e musicista, è nata l’idea di supportare e collaborare con diverse altre realtà. Tra musica, teatro, danza ed eventi con le scuole di musica locali, con artisti, pittori, fotografi locali. E non solo…
Il momento conviviale del pasto condiviso è spesso anche occasione di confronto di idee, progetti, punti di vista e la filosofia di Sbarbacipolla che si respira concretamente in ogni scelta che compone il piatto, l’arredamento e l’atmosfera, stimola e orienta naturalmente il confronto sul tema ampio dell’alimentazione: dal benessere alla salute, dalla sostenibilità sociale e ambientale alle filiere produttive e distributive e all’etica.

«Qualche anno fa dopo la creazione di Sbarbacipolla abbiamo pensato che serviva anche un luogo dove concretizzare quello che veniva fuori tra i tavoli di Sbarbacipolla. Da qui è nato “Il Cipollino”, che abbiamo definito come centro di felicità enogastronomica, un luogo dove sedersi a chiacchierare e confrontarsi e a parlare di alimentazione da un punto di vista antroposofico. È nato quattro anni fa ed è poi diventato un circolo ARCI. Un modo anche per svincolare dall’attività prettamente commerciale i momenti di confronto, divulgativi, di presentazione di un produttore locale».

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2019/12/sbarbacipolla-3-1024x616.jpg

Un’esperienza che si è conclusa, almeno in questa forma, pochi mesi fa. L’intenzione di chi in questi anni ha seguito “Il Cipollino”, è infatti quella di continuare a “proporre iniziative sui temi ambientali, ecologici, alimentazione senza violenza, stili di vita sostenibili per la Terra, iniziative di solidarietà che abbraccino altre culture, altri popoli e altri modi di essere, nella convinzione che la risposta ai problemi più grandi di questo nostro mondo stia nell’allargare il cuore, non nel restringerlo o nell’alzare barriere”.

Da quando li abbiamo incontrati, invece Nicola e Chiara hanno dato vita anche a “Il giardino dei colori”, «un’associazione culturale attiva nello sviluppo della creatività e del benessere dell’essere umano, che intende portare un messaggio di bellezza attraverso immagini, colori, suoni, parole e profumi. Ma sopratutto vuole manifestare quel tipo speciale di emozione che si svela nel calore della reciproca presenza, nell’ascolto e nel rispetto di ogni essere umano che porta e dona la sua emozionante unicità».

Il perno dell’associazione è la formazione artistica in pittura rivolta a bambini e adulti Metodo Martenot, trasmesso con gioia e dedizione da Chiara.

«Chiara insegna pittura con metodo antroposofico e accanto a questo proponiamo altre attività culturali. Io seguirò uno dei progetti biosociali con “Il giro del mondo attraverso la cucina”, laboratori di cucina sociale in cui saranno abitanti stranieri a insegnare i propri piatti. Un’occasione per parlare della loro cultura, accompagnati dalla mia esperienza.
Sbarbacipolla sta diventando più un progetto che un’identità, sta cercando di evolvere e di dare un contributo maggiore al cambiamento di quanto possa fare solo come ristorante e stiamo lavorando per creare collaborazioni e sinergie ulteriori verso una visione etica e solidale che va oltre l’impresa economica, ma sempre cercando una visione di cambiamento e che sia possibilmente un esempio da imitare».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/12/sbarbacipolla-biosteria-promuove-vivere-etico-benessere-creativita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

I cibi fermentati di Carlo Nesler: la rinascita di una pratica antica

La CibOfficina Microbiotica è la sede dell’attività di Carlo Nesler, uno dei maggiori esperti in Italia sui cibi fermentati. Lo abbiamo incontrato a Viterbo e ci ha parlato della sua storia, dell’attività della CibOfficina e della filiera legata alle materie prime selezionate, oltre che alla sua attività di formatore che lo porta a lavorare a stretto contatto con molti importanti chef. Con un occhio di riguardo anche alla salute. Capita anche a voi di sorridere di fronte ai nostri sogni infantili riguardo il lavoro? In tanti abbiamo desiderato ad occhi aperti di fare l’astronauta, immersi nello spazio a capo di una missione eroica, alla scoperta di nuovi pianeti. Tornando sul pianeta Terra, con i piedi ben piantati, ci ritroviamo a fare i conti con la realtà e a svolgere lavori ben diversi da quelli immaginati. Non è però il caso di Carlo Nesler e della sua Cibofficina Microbiotica: lo incontriamo nella cucina del suo casale in campagna, a Castel d’Asso alle porte di Viterbo, impegnatissimo nella trasformazione di alcuni legumi in cibi fermentati. Non poteva esserci legame migliore tra essere umano e fermento: mentre lo intervistiamo è sempre in movimento e, prima di premere il tasto “rec.” sulla videocamera, ci racconta delle sue numerose esperienze nel teatro, nell’edilizia, nella ristorazione, nella traduzione, nella falegnameria, nell’insegnamento e nella formazione.

“Io sono un autodidatta e ho iniziato a fermentare fin dall’adolescenza, quando ho scoperto il mondo delle bevande alcoliche. Con il passare degli anni la mia curiosità è cresciuta – ci racconta Carlo – e dopo aver imparato a fare la birra, il vino e dei distillati sono passato a sperimentare la fermentazione con i primi cibi, come yogurt e crauti.” 

L’incontro con la Permacultura e Saviana Parodi toglie poi a Carlo ogni dubbio sul fatto che la fermentazione sarà il fulcro della sua vita: “Nel corso degli anni ho sperimentato questa attività a livello privato, finché ad un certo punto ho fatto un corso di Permacultura con Saviana dove, tra le tante cose, si parlava di cibi fermentati: questo è stato uno stimolo ad approfondire ancora di più, fino ad arrivare a fare formazione costante anche ad alti livelli. Ed alla CibOfficina, dove sono andato oltre ai cibi tradizionali fermentati”. 

La CibOfficina Microbiotica

La CibOfficina Microbiotica è l’azienda agricola di Carlo Nesler e produce cibi trasformati attraverso la fermentazione. I cibi fermentati prodotti sono, tra gli altri, miso, shoyu, kimchi, crauti di rapa e di cavolo cappuccio e vari tipi di verdure, ma c’è anche la kombucha, una specie di tè dolce (che assaggiamo e gradiamo). I prodotti fermentati non sono pastorizzati, mantengono intatte le proprietà organolettiche ed allo stesso tempo non hanno bisogno di un consumo veloce perché stabilizzati. Oltre ad essere un luogo di sperimentazione culinaria, la CibOfficina è un luogo di incontro, scambi e soprattutto di formazione per chi vuole cimentarsi nel mondo della fermentazione.

Carlo, bolzanino di origine, non ha scelto a caso Viterbo nel 2016 per aprire la sua attività, perché la provenienza e la qualità delle materie prime che utilizza sono di fondamentale importanza nel suo lavoro: “Ho deciso di venire in Tuscia perché cercavo un ambiente socio-agricolo funzionante. Le prime volte che sono venuto qua, ho notato che molti giovani e meno giovani stavano cercando di fare agricoltura in un modo nuovo, più rispettosa dei principi organico-rigenerativi. Per me una cosa fondamentale è che ciascuno di noi riacquisti il contatto diretto con chi produce il cibo, rispettando parametri ben precisi”. In base a ciò Nesler ha creato una rete di una decina di produttori che coltivano con metodi naturali le materie prime, come vari tipi di legumi, farro, orzo e alcune varietà di grani antichi, creando una filiera corta che cerca di coinvolgere anche i suoi acquirenti. “È in questo modo che riusciamo a dare un servizio vero al cittadino, perché con i produttori ci controlliamo a vicenda e contribuisco, con la mia attività, a far conoscere l’agricoltura di qualità tra gli abitanti di questo territorio e anche oltre”. I prodotti della CibOfficina Microbiotica si possono trovare e ordinare direttamente sul sito internet, ma ci sono anche alcuni punti vendita che li commercializzano, soprattutto in Nord e Centro Italia. Oltre a questi canali, i prodotti vengono venduti direttamente ad alcuni chef importanti, che partecipano anche all’attività di formazione svolta da Nesler.

L’attività di formazione

Prima di aprire la CibOfficina, Carlo è stato molto attivo nell‘attività di formazione e divulgazione del mondo dei cibi fermentati e delle pratiche necessarie per produrli. Attività che prosegue ancora oggi: “Ci sono vari ambiti in cui faccio formazione: da una parte lavoro con persone che vengono da me perché vogliono imparare ad autoprodursi dei cibi fermentati, vivi, probiotici. Poi c’è tutto il mondo della cucina e degli chef, che hanno capito l’importanza di questi cibi sia dal punto di vista organolettico che gustativo, e si rivolgono a me sia per la formazione che per l’acquisto dei miei prodotti. Poi ci sono persone che sono interessate dal punto di vista della salute, medici e nutrizionisti che vogliono arricchire la loro dieta con questi cibi e quindi mi chiedono di insegnarglielo”. 

I risultati dal punto di vista formativo sono notevoli: oltre che a tenere i corsi nella CibOfficina, Nesler organizza diverse attività formative in giro per l’Italia e per l’Europa.  Per quanto riguarda la divulgazione, ricordiamo che Carlo è anche il traduttore per l’Italia di uno dei più importanti volumi sulla fermentazione: “Il mondo della fermentazione. Il sapore, le qualità nutrizionali e la produzione di cibi vivi fermentati” di Sandor Katz, per Slow Food Editore.

L’importanza dei cibi fermentati

I cibi fermentati sono cibi che hanno subito una trasformazione microbica, cioè sono alimenti che dopo alcuni specifici procedimenti vengono resi più digeribili e assimilabili, denaturati inoltre di alcune tossine, grazie all’attività microbica.  

Questi cibi, oltre ad essere più nutrienti e più facili da digerire, sono anche ricchi essi stessi di microbi chiamati probiotici: sono probiotici quei cibi che contengono dei microbi in grado di oltrepassare la barriera dello stomaco, per andare a sopravvivere all’interno del nostro intestino, arricchendo quella che una volta si chiamava microflorabatterica e che oggi invece chiamiamo microbiota. I cibi fermentati hanno raggiunto negli ultimi anni una notorietà importante. A primo impatto sembra che ciò dipenda dall’aumentato interesse di molti chef stellati come Ivan Milani, Antonio Ziantoni e Anthony Genovese per questo tipo di prodotti, ma in realtà anche il mondo della medicina da tempo guarda con interesse al mondo dei cibi fermentati: “L’interesse per i cibi fermentati è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni – conclude Carlo – qualche anno fa nessuno sapeva di cosa parlassi e mi sentivo molto solo. Da alcuni anni a questa parte, esiste un maggiore interesse da parte del mondo scientifico, attraverso alcune ricerche basate sull’esame del microbioma umano, che tende a mettere in relazione alcuni problemi di salute con delle disfunzioni di questo microbioma. Tanti medici hanno riconosciuto che l’utilizzo nella nostra dieta di questi cibi vivi, non pastorizzati, permette di migliorare la salute del nostro microbiota, evitando l’utilizzo di farmaci. Ciò ha fatto aumentare la consapevolezza nei confronti dei microbi cosiddetti ‘buoni’, rispetto alla fobia dei microbi in generale che c’è stata fino a poco tempo fa”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/01/cibi-fermentati-carlo-nesler-rinascita-pratica-antica-io-faccio-cosi-236/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Uno chef stellato per migliorare le mense ospedaliere

Centralità del paziente e convinzione che il cibo sia parte importante della cura. Da questi presupposti e con l’obiettivo di rivoluzionare i menu delle mense ospedaliere nasce Intelligenza nutrizionale, progetto sperimentale realizzato grazie alla collaborazione tra il gruppo Giomi, l’Università La Sapienza di Roma e lo chef pluristellato Niko Romito che ha portato in corsia gusto e qualità. Si può cucinare il cibo servito in ospedale in modo innovativo creando delle pietanze gourmet? Sembrerebbe proprio di sì. C’è riuscito un team di visionari, con una composizione insolita, che ha puntato su un progetto ambizioso, affascinante e socialmente utile: il progetto di ricerca sperimentale IN – Intelligenza Nutrizionale

Il progetto nasce in seno a uno dei gruppi più rappresentativi in Italia della sanità privata e accreditata, il gruppo Giomi e coinvolge uno dei più importanti chef della cucina italiana moderna, Niko Romito (abruzzese, 3 stelle Michelin, 3 forchette della Guida Gambero Rosso e 5 cappelli della Guida de l’Espresso) e il dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma. 

Andrea Sponzilli, ingegnere, general manager della Gioservice (società multi servizi della Giomi che eroga servizi di ristorazione collettiva per il gruppo stesso e per il mercato) e che nella sua vita parallela è anche un amante appassionato della buona cucina e del buon vino, di fronte ad un bicchiere d’acqua, aihmè, mi racconta il progetto. Il progetto nasce da due punti cardine che guidano il gruppo Giomi: la centralità del paziente in ogni attività e la convinzione che il cibo sia parte della cura.

Foto di Francesco Fioramonti

Nella giornata di un paziente ricoverato l’unico momento che vive in comune con la sua vita normale è il momento del pasto, il resto della giornata è scandita in modo molto differente. È di esperienza comune associare la qualità scadente del cibo a quello ospedaliero, mentre fare in modo che il paziente non si senta mortificato da questo rito della giornata è stato un pensiero fisso che ha dato avvio e guidato la sperimentazione.  

La ristorazione collettiva ospedaliera, sia pubblica che privata, è considerata come una comodity: vince la gara chi offre il prezzo più basso. In questo modo gli interessi legati alla ricerca, alla sperimentazione, all’innovazione e l’attenzione agli aspetti gustativi e nutrizionali del cibo che si prepara e si serve, sono trascurati. Questo però non è accaduto presso la Gioservice e così, si è dato avvio alla sperimentazione e realizzazione del progetto IN. Hanno individuato in Niko Romito l’uomo giusto per migliorare il vitto attraverso la tecnologia e la vocazione alla sperimentazione che lo caratterizza e che lo ha reso uno, se non, il miglior chef italiano del momento. 

Niko Romito è abruzzese, autodidatta, ha una formazione economica alle spalle e in pochi anni ha creato un modello aziendale che lo ha reso famoso nel mondo e partner ideale per il progetto IN. Alcuni degli elementi caratterizzanti la filosofia di Romito hanno dettato il suo coinvolgimento nel progetto. La standardizzazione dei processi produttivi, e cioè la creazione di un protocollo di ricette e procedure di lavoro che porta alla moltiplicazione dei prodotti e al livellamento, verso l’alto, del risultato. La tecnica e la tecnologia, come strumento indispensabile per giungere al risultato. Niko Romito impiega diverse tecniche per estrapolare, dalla materia prima, il sapore e l’identità. La salute e la leggerezza, filosofie gastronomiche attorno alle quali ruota la sua ricerca, con l’esclusione ormai quasi totale di grassi e zuccheri aggiunti, un processo creativo che valorizza il gusto proprio delle materie prime e le loro caratteristiche nutrizionali. La scalabilità che rende possibile declinare ogni idea, nata e sviluppatasi all’interno del suo ristorante Reale, nei vari progetti in un numero potenzialmente infinito di volte.

Lorenzo Miraglia e Niko Romito (Foto di Francesco Fioramonti)

Circa due anni fa l’ospedale Cristo Re di Roma viene scelto come l’incubatore della sperimentazione dando così avvio al progetto. Due sono gli obiettivi che vengono fissati: migliorare le caratteristiche gustative, sensoriali del vitto e gli aspetti nutrizionali. E’ dimostrato scientificamente che un buon livello nutrizionale migliora i tempi di guarigione. Diversi i vincoli di cui tener conto: la standardizzazione, la replicabilità, i costi: in una cucina ospedaliera sono impiegati operatori della ristorazione che chef non sono e il costo della intera giornata alimentare, dalla colazione alla cena, è di 10,00 euro. 

I test realizzati da Romito sono partiti dal menù in uso presso l’ospedale e con l’utilizzo dei prodotti da loro acquistati. L’obiettivo di questi test era mettere a confronto le modalità di trasformazione “innovative” messe a punto da Niko Romito con le modalità di trasformazione “convenzionali” abitualmente utilizzate per la preparazione dei pasti presso l’ospedale Cristo Re. 

L’aspetto nutrizionale, misurato e validato dal laboratorio del dipartimento di medicina sperimentale della Sapienza, era quindi, quel passaggio fondamentale che potesse caratterizzare scientificamente il progetto. Il laboratorio ha messo a sistema un processo di misurazione del valore nutrizionale del cibo, innovativo, anche esso: ha creato un indice che valuta antiossidanti e pro ossidanti e per ogni elemento ha quantificato questi indici prima e dopo la cottura, sia con i metodi di cottura tradizionali utilizzati nell’ospedale, che con i metodi di cottura innovativi utilizzati da Romito. Con la valutazione delle sostanze ANTI-ossidanti si è voluto quindi verificare quanto il processo di trasformazione e cottura incidesse sulla perdita di sostanze importanti per la qualità salutistica degli alimenti, ma anche valutare indirettamente il mantenimento di tutte le proprietà nutrizionali, mentre con la valutazione del contenuto di sostanze PRO-ossidanti si è voluto determinare quanto i processi di trasformazione e cottura potessero incidere sulla formazione di sostanze con proprietà negative per il nostro organismo, come i perossidi che appartengono al gruppo di sostanze note come radicali liberi.

Lasagna al ragù (Foto di Francesco Fioramonti)

I risultati sono stati strabilianti: con i metodi di trasformazione e cottura di Niko Romito la perdita di sostanze Anti-ossidanti è stata in media inferiore al 7%, mentre la formazione di sostanze Pro-ossidanti molto spesso ha registrato valori vicino allo 0. Di contro, con le modalità di trasformazione e cottura convenzionali la perdita di sostanze Anti-ossidanti è stata in media intorno al 30%, mentre la formazione di sostanze Pro-ossidanti spesso ha fornito valori superiori a 20. Una vera e propria rivoluzione nella ristorazione ospedaliera che ha investito anche il tema della sostenibilità, puntando alla riduzione dei rifiuti (con il recupero degli scarti) e al contenimento dei costi, con l’uso di cotture che riducono il calo peso degli alimenti, ad esempio la preparazione della salsa di pomodoro viene cotta in sottovuoto a 100ºC. La cucina del Cristo Re è stata quindi riorganizzata senza eccessivi investimenti economici: qualche abbattitore in più, dei forni più performanti e macchine per il sottovuoto. Una vera e propria rivoluzione anche dal punto di vista gestionale ed alimentare dell’intera catena ristorativa. Si è cominciato a lavorare in modo completamente nuovo, preparando fondamentalmente le basi della produzione, i semi lavorati, che vengono poi assemblati per costituire il piatto da servire. Sotto il profilo industriale significa a disgiungere il momento del servizio dal momento della produzione e quindi significa avere un processo di produzione più omogeneo eliminando quindi i picchi di maggiore e minore attività.

Oggi il progetto di Intelligenza Nutrizionale è una realtà a Roma, nell’Ospedale Cristo Re e nella Casa d cura Villa Betania, i pazienti dichiarano di essere molto soddisfatti, gli scarti lasciati nei piatti sono diminuiti considerevolmente, mentre è aumentato il numero dei dipendenti che si reca a mensa. Con il progetto IN s’innova in maniera dirompente la ristorazione ospedaliera, una innovazione che sperano, i visionari, di poter trasferire, presto, in altri contesti caratterizzanti la ristorazione collettiva e cioè le carceri,le scuole, le mense aziendale, le case di riposo, gli aerei.

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2018/12/chef-stellato-migliorare-mense-ospedaliere/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Juri Chiotti, lo chef stellato che ha cambiato vita per la montagna

Juri Chiotti è uno chef stellato che ha deciso di cambiare vita e tornare alle sue origini: le Alpi piemontesi. Tra questi monti, dopo anni di esperienze in Italia e nel mondo, ha ora dato vita al ristorante agriturismo “REIS Cibo Libero di Montagna”. Oggi Juri non vive solamente in cucina: si occupa anche dell’orto e degli animali perché, come ha scoperto, agricoltura, allevamento e cucina sono profondamente legati. Il suo nuovo sogno? il recupero del borgo di famiglia.

Uno chef stellato Michelin decide di cambiare vita e molla il suo lavoro per trasferirsi a duemila metri di altitudine, per gestire un rifugio tra le montagne in cui è nato. Dopodiché apre un agriturismo e un ristorante, REIS Cibo Libero di Montagna, con l’obiettivo di recuperare e rivalorizzare un borgo semi-abbandonato. Non è la trama di un romanzo d’avventura e nemmeno le gesta di un supereroe, ma parte della storia di Juri Chiotti, che incontriamo a Frassino in piena Valle Varaita in provincia di Cuneo, nel suo “REIS Cibo libero di Montagna”, un agriturismo e ristorante dove Juri sta cercando di portare avanti il suo percorso: avvicinare sempre di più la cucina all’agricoltura e all’allevamento per valorizzare le proprie origini e la montagna.

Al nostro arrivo a REIS ci colpisce una bandiera: “Ti posso chiedere un favore? Riprendila con la videocamera. Ne vado fiero”. Si tratta della bandiera dell’Occitania, un’area storico-geografica che comprende diverse vallate alpine piemontesi, liguri e francesi: una di queste è la Valle Varaita, dove ci troviamo. Juri ha quasi trentatré anni ed un percorso di vita già caratterizzato da traguardi importanti. Di professione nasce cuoco ed esercita in diversi ristoranti in giro per l’Italia e nel mondo, ed a venticinque anni raggiunge l’importante traguardo della Stella Michelin, per due anni di fila, mentre lavora in un ristorante di Cuneo. Ma non era quello il mondo dove Juri voleva vivere e lavorare: “Non posso essere ipocrita, per me è stato un traguardo importante e l’esperienza nei vari ristoranti mi ha formato tantissimo. Ma volevo qualcos’altro: già allora, nel ristorante, cominciavo a sperimentare e a proporre piatti tipici provenienti dalle mie montagne e il richiamo si faceva sempre più forte”. 

Da qui la decisionedi lasciare il lavoro come cuoco e accettare una sfida importante:gestire il rifugio Meira Garneri, nel comune di Sampeyre in provincia di Cuneo,a pochi passi da casa sua, accessibile nei mesi invernali solamente inmotoslitta. “Il rifugio si trova a milleottocentocinquanta metri e sono rimastolì quattro anni. Un’esperienza che mi ha donato tantissimo e che considero l’iniziodel mio percorso che mi ha condotto fino a qua. Innanzitutto tramite questaesperienza sono tornato a casa, e poi ho capito ciò che amavo veramente:mettere al servizio del territorio il mio lavoro e la mia esperienza,realizzare qui in montagna qualcosa di significativo. Non poteva esistere Reissenza questo passaggio”.

REIS: cibo libero di montagna

Nel novembre 2016 Juri ha lasciato il rifugio. Uno dei motivi è la nascita delle sue due figlie (“logisticamente si faceva davvero difficile…”), ma l’altro motivo era la voglia di ricominciare con un nuovo progetto personale legato alla sua professione di cuoco. Viene così a conoscenza di una baita di mezza montagna nel comune di Frassino e se ne innamora: “In più di un mese mi sono concentrato nella pulizia e nelle migliorie del luogo e nell’aprile del 2017 siamo partiti”. 

REIS Cibo Libero di Montagna è oggi un agriturismo con un ristorante di trenta posti, l’orto, un pollaio e un gregge di circa trenta ovini (capre e pecore), che si pone l’obiettivo di far avvicinare i mondi della cucina, dell’allevamento e dell’agricoltura, che secondo Juri si sono allontanati negli ultimi decenni: “Ho fatto in modo che si realizzasse l’ambizione di fare ciò che mi riusciva meglio, cioè cucinare, in un luogo che conoscevo come le mie tasche. Qui so dove andare a cogliere le erbe spontanee nei campi, i boschi dove raccogliere i funghi, i fornitori e i produttori affidabili. In questa maniera riesco a vivere direttamente tutto il processo legato al cibo, non a vivere la cucina come un ambiente distaccato dalle materie prime che utilizza”.

La paura di aprire un’attività in un posto più isolato rispetto alla città non gli ha impedito di tentare il rischio: “Sono soddisfatto: è logico che aprire un ristorante in una valle a novecento metri di altezza non è la stessa cosa che aprirlo nel centro di una città, per quanto riguarda il bacino d’utenza. Però sono sempre stato convinto della bontà delle mie idee, la mia cucina piace, le persone arrivano e soprattutto non vivo solamente in cucina ma sto riscoprendo l’esterno, il mondo che ruota attorno ad essa e che ne è parte integrante allo stesso tempo. La cucina non è solo il piatto che ti porto, esiste tutto il discorso della filiera che è fondamentale ed è necessario ed importante che le persone siano consapevoli: ogni giorno miliardi di persone fanno scelte sul cibo che sono fondamentali per il nostro presente e il nostro futuro. È per questo che REIS,in futuro, avrà un occhio di riguardo sempre maggiore per la cucina vegetale: serviremo anche prodotti di origine animale, come facciamo ora, ma saranno sempre più da contorno e ulteriormente selezionati in base all’etica con la quale vengono prodotti. Sto capendo poi che bisogna collaborare, bisogna essere più soggetti per poter creare un’azienda sana in montagna”.

Il borgo Chiot Martin

Il Borgo Chiot Martin

Chiot Martin è un borgo di montagna che si trova a circa quindici chilometri da Frassino, nel vallone di Valmala, ed è il luogo di nascita del papà di Juri. Il futuro di Reis si intreccia al progetto dello chef di recuperare questo luogo e rivalorizzare le abitazioni presenti. Con un nuovo spazio anche per Reis.. ed un nuovo socio: “Stiamo lavorando ad uno spazio nuovo per Reis, che si lega al recupero del borgo di Chiot Martin. Un mio amico allevatore, Gian Vittorio Porasso, si sta unendo al progetto per fare di Reis uno spazio sempre più connesso all’ecosistema che ha intorno”. Gian Vittorio è un allevatore, con un centinaio di capre tenute a pascolo, ed un produttore di formaggi realizzati solo con latte crudo. Trasferirà il suo pascolo e la produzione a Chiot Martin, che diventerà parte integrante di Reis e del progetto di ristorazione. 

“Per reperire il terreno necessario ad allevare le capre stiamo cercando di creare un’associazione fondiaria, con l’aiuto del Professor Cavallero. Ci siamo inoltre rivolti, per il recupero degli abitati e la creazione del nuovo ristorante, ad uno sportello a Torino che si chiama ‘Vado a vivere in montagna’ e che si occupa di rendere sostenibili delle idee di ritorno in montagna, con la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati. Abbiamo presentato il progetto e cercheremo di reperire i fondi per fare tutto quello che è necessario per rendere reale il progetto, che ha come pilastro principale non solo il recupero di una borgata ma quello di un intero ecosistema, rivalorizzato grazie all’allevamento sostenibile e alla valorizzazione dei boschi. Un ritorno alla simbiosi tra natura e uomo, che un tempo qui in montagna si respirava a pieni polmoni”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/11/io-faccio-cosi-231-juri-chiotti-chef-stellato-ha-cambiato-vita-montagna/

C’è un ristorante a New York che assume nonne invece di chef

A Staten Island, New York, il ristorante “Enoteca Maria” dell’italo-americano Jody Scaravella ha dato vita ad un’iniziativa singolare: a cucinare non sono chef professionisti, ma nonne di tutte le nazionalità portatrici della tradizione culinaria del paese di provenienza. L’obiettivo è duplice: proporre piatti tipici di varie parti del mondo e al contempo valorizzare una fascia di persone spesso messa da parte nella società di oggi. La domenica a pranzo dalla nonna, i tortellini fatti in casa (sempre dalla nonna), le ricette (anche quelle) sono della nonna. Saperi culinari che si trasmettono di generazione in generazione, ma che partono sempre dalle nonne, custodi di un sapere antico e popolare, genuino, fatto di esperienza: è questa l’idea che ha mosso Jody Scaravella quando nel 2011 ha deciso di aprire il suo ristorante Enoteca Maria a Staten Island, a New York, e di mettere delle nonne italiane al posto dei cuochi professionisti.4775_198232905550_7694808_n

Non si tratta di una scelta di mero business, ma di un progetto nato dalla personale esperienza del proprietario. Non a caso, nel suo vissuto c’è una figura importante di nonna italiana: «Mi ricordo di lei quando andava al supermercato portandosi il carrello: si fermava al banchetto delle verdure e mordeva una mela o assaggiava una ciliegia, e se era buona comprava, altrimenti la sputava per terra con un’espressione disgustata in viso», scrive Jody sul sito dedicato al ristorante. «Ero colpito del fatto che nessuno mai se ne lamentasse ma dopotutto lì la conoscevano tutti».

La nonna di Jody non era soltanto la protagonista di episodi simpatici al mercato, ma anche la portatrice di una tradizione culinaria forte, quella italiana. Una passione che poi ha trasmesso al nipote e che ha lasciato un segno. Jody Scaravella, infatti, decide di aprire un ristorante valorizzando proprio questi saperi antichi, consapevole che è proprio lì che risiedono i valori della buona cucina. Dunque nel 2011 nasce Enoteca Maria e ai fornelli ci sono delle nonne. Tutte italiane. Col tempo però Enoteca Maria si evolve. Perché non dare la possibilità di sperimentare anche altre culture, altri cibi, altri saperi? L’idea, infatti, è quella di portare nel ristorante non solo nonne italiane, ma nonne di tutto il mondo. Inizialmente se ne fa soltanto un libro, “Nonnas of the World”, in cui ogni nonna che lo desideri può inserire la propria ricetta assieme a tre foto e alla propria biografia. Poi, nel 2015, il libro si trasforma in un esperimento lavorativo e funziona.enoteca-maria-

Oggi, ogni giorno, accanto ad una cuoca italiana, all’Enoteca Maria c’è una nonna che propone un suo menù: può essere cibo del Bangladesh, della Grecia, della Palestina e così via. Il principio guida è sempre lo stesso (quello della tradizione culinaria), ma a questo si aggiunge un altro fattore motivante: valorizzare una fascia di persone che generalmente viene messa da parte nella società di oggi. E così si capovolge quell’assunto per cui una persona, superati i 60 anni e completata la vita lavorativa, sia inutile o debba necessariamente ‘riposarsi’: queste nonne qui sono fondamentali e sono proprio loro a mandare avanti la cucina, con la loro esperienza e con la loro forza. D’altra parte, il vantaggio non è solo di chi gusta i “piatti della tradizione” ma anche di chi li fa: queste nonne si sentono valorizzate e per qualche giorno a settimana hanno la possibilità di lavorare in un ambiente piacevole, “fra sorelle”. Inoltre ogni giorno ci si può iscrivere ad una “cooking class” della nonna di turno, che in un paio di ore spiegherà una ricetta della propria tradizione gastronomica.

Non stupisce poi che il ristorante sia sempre pieno, tanto che bisogna prenotare – dicono su internet – con giorni di anticipo.nonne-enoteca-maria

La cucina delle nonne è amata in tutto il mondo, indipendentemente da quale sia la cultura di origine. E così è anche in Italia, come emerso da un sondaggio condotto online dalla Polli Cooking Lab nel 2014 sul tema del cibo. Pare che su circa 1.200 italiani tra i 20 e i 55 anni il 49% ha detto di preferire la nonna in cucina, anche rispetto agli chef o ai ristoranti stellati. I motivi? Usa prodotti di qualità (24%) e si affida alle ricette della tradizione (33%), riuscendo a rendere gradevoli anche quei piatti fatti di verdure e legumi generalmente mal sopportati. E se un piccolo ristorante di New York è riuscito a conquistare i gusti della Grande Mela, immaginiamo cosa potrebbero fare le nonne di tutto il mondo, insieme.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/10/ristorante-new-york-assume-nonne/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Nasce il culinary gardener, l’ortolano personale dello chef

Il mondo contadino incontra quello della ristorazione grazie ad una nuova figura professionale: il “culinary gardener”, ovvero l’ortolano che lavora a stretto contatto con gli chef per fornire loro prodotti di ottima qualità e consigli per creare un menu sano e ricercato. Ne abbiamo parlato con Davide Rizzi e Lorena Turrini che hanno portato questo mestiere anche in Italia. Davide Rizzi e Lorena Turrini lavorano come “culinary gardener” in Toscana, cioè producono frutta e verdura nel loro orto-giardino biodinamico a stretto contatto con gli chef al fine di fornire materie prime ad hoc per i loro piatti. Il culinary gardener – professione in crescita all’estero ma quasi sconosciuta in Italia – è il consulente-produttore personale di uno chef: produttore e chef stabiliscono insieme cosa seminare per poter creare un menù stagionale di verdure e frutti freschi, sani e ricchi di sostanze nutritive e decidono cosa coltivare per conseguire specifici sapori e profumi ricercati dallo chef.Lorena1

Lorena Turrini e Davide Rizzi

Originari di Modena, Davide e Lorena si occupano di orticoltura biodinamica dal 2010 e oggi svolgono questa professione a tempo pieno presso una società che possiede strutture di pregio dove lavorano due chef stellati: Andrea Mattei (del ristorante “Meo Modo” di Chiusdino-Siena) e Antonello Sardi (del ristorante “La Bottega del Buon Caffè” di Firenze).

“Una decina d’anni fa”, ci racconta Davide, “dopo aver trascorso un anno in India come project manager per un progetto umanitario, tutte le nostre certezze hanno cominciato a vacillare. Questa esperienza di vita ci ha segnato profondamente e abbiamo ripensato la nostra vita professionale alla luce di un lavoro che fosse utile e appagante. Da qui la decisione metterci in gioco e rischiare tutto per raggiungere l’obiettivo di produrre cibo sano, buono e ricco di sostanze nutritive per il corpo e per la mente. Sette anni fa abbiamo investito sulla nostra formazione e fatto esperienze di woofing sperimentando diversi metodi di agricoltura naturale. Non è stato facile perché non avevamo alcuna esperienza come contadini. Io sono diplomato al Conservatorio e ho lavorato come insegnante e musicista, mentre Lorena si è diplomata all’Accademia di Belle Arti ed ha lavorato sia come pittrice sia nei settori restauro e turismo”.Lorena7

“Tra le varie tecniche di agricoltura naturale abbiamo scelto di praticare il metodo biodinamico perché è quello che ci ha conquistato con sua idea di equilibrio, armonia e bellezza applicate alla natura. Dopo l’incontro con gli chef stellati toscani, abbiamo dato il via alla progettazione e creazione dell’orto-giardino biodinamico di Chiusdino e oggi – detto in poche parole – siamo i loro “ortolani personali”. Tutti i prodotti, infatti, vengono consegnati e lavorati esclusivamente nei loro ristoranti, dove gli chef portano a compimento il processo creativo iniziato nell’orto. Questo vale sia per la ristorazione degli ospiti, sia per la mensa interna riservata ai dipendenti delle strutture stesse. In questi anni ci siamo resi conto di quanto il mondo contadino sia ancora troppo lontano dal mondo degli chef. Nelle cucine professionali capita spesso che non si conoscano le stagionalità dell’ortofrutta e neppure il lavoro e l’impegno che stanno dietro alle materie prime e anche questo contribuisce, in parte, allo spreco alimentare”.

“Qui, invece, cucina e orto“, continua Davide, “sono vicinissimi, in tutti i sensi: decidiamo insieme agli chef cosa seminare affinché loro riescano a creare un menù stagionale di ortaggi freschi, sani e ricchi di sostanze nutritive e coltiviamo ortofrutta pensata appositamente per evocare quello specifico sapore e profumo ricercato dallo chef per ogni piatto. Noi garantiamo allo chef prodotti di altissima qualità per sapore e valore nutrizionale e lo chef si impegna ad utilizzarli in ogni loro parte evitando il più possibile gli sprechi. È un “accordo silenzioso” che celebra il valore del cibo e del lavoro – della natura e dell’uomo – che lo ha portato dalla terra alla tavola”.Lorena3

“A Chiusdino coltiviamo frutta, verdura e fiori edibili e abbiamo un 70% di varietà autoctone, mentre il restante 30% sono varietà provenienti da tutto il mondo. Utilizziamo sementi autoprodotte e dedichiamo molto tempo allo studio, ricerca e sperimentazione e il 2% di tutto ciò che coltiviamo è stato selezionato da me con tecniche di “genetica gentile”. Non solo riproduciamo i semi antichi, ma li rigeneriamo attraverso il metodo biodinamico, seminando con gli influssi del sistema solare e dei pianeti, per portare al cibo maggiori informazioni nutrizionali, vitamine e minerali. Un altro aspetto è la fertilità del suolo: rivitalizzare il suolo è condizione fondamentale per produrre cibo buono, sano e ricco di nutrienti. Se il suolo è sano, la pianta è sana, il suo seme è sano e forte. In questo modo avremo cibo in grado di nutrire davvero, cioè di dare forza vitale al nostro fisico”.

“Ma non è tutto: il nostro orto-giardino biodinamico”, conclude Davide, “è anche un luogo di pace e serenità, nel quale ritrovare il benessere esteriore ed interiore. L’arte e la musica fanno parte integrante dell’orto e aiutano frutta e verdura a crescere in completa sintonia con l’universo. Ci piace l’idea che il cibo “nutra” e non solo “riempia” e che coloro mangiano questi frutti possano beneficiare anche di un momento di intensa nutrizione spirituale e cosmica”.

http://www.italiachecambia.org/2017/03/nasce-culinary-gardener-ortolano-chef/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Cucina Mancina, una food community per chi mangia differente

Vegetariani, vegani, allergici, intolleranti o semplicemente curiosi a caccia di nuovi sapori e sperimentazioni. È a tutti loro che si rivolge la food community Cucina Mancina, un portale online nato per parlare di cibo in maniera vera, etica e ironica.

“If it doesn’t go right, go left”. È questo il motto che ha ispirato le due ideatrici di Cucina Mancina  – Lorenza Dadduzio e Flavia Giordano – per indicare la possibilità di una soluzione alternativa e creativa ai problemi (alimentari) che si possono presentare nella vita di ognuno. Questa food community è dedicata infatti a tutti i cosiddetti “diversamente onnivori”, che per scelta o per necessità, hanno uno stile di vita alimentare che si discosta dalla norma. I mancini della cucina sono vegetariani, vegani, allergici, intolleranti o semplicemente curiosi a caccia di nuovi sapori e sperimentazioni.

Nel portale on-line si trovano ricette, ristoranti, eventi e blog di chef o autori appassionati di cibo. Per diventare membro della comunità digitale basta iscriversi e diventare utente, da quel momento in poi si può decidere di condividere i propri contenuti, magari suggerendo ricette nuove o segnalando i propri ristoranti preferiti. Cucina Mancina è un progetto made in Puglia che nasce nel 2013, grazie a un finanziamento di un bando per start-up, “Valore Assoluto”, della Camera di Commercio di Bari. A soli sei mesi dal lancio della versione alfa del sito web, Lorenza e Flavia riescono a dare vita alla s.r.l. e ricevono la prima proposta importante: la pubblicazione di un libro per Feltrinelli – “Eat different” – che raccoglie ricette e idee per tutti i mancini dell’alimentazione. “Nel nostro logo abbiamo inserito una forchetta a forma di “c” rivoltata, come il simbolo del copyleft”, spiega Lorenza Dadduzio, direttrice creativa di Cucina Mancina, “perché per noi proprio la condivisione è alla base di tutto”. Il cibo è un momento sociale insomma, e se per molti non lo è più questa community vuole essere uno spunto per farlo tornare ad essere tale. Soprattutto, il portale vuole essere un luogo d’incontro, in cui superare il dibattito ideologico sulle proprie scelte in cucina e diventare un punto di riferimento per l’inclusione alimentare, per condividere i valori e i piaceri del cibo secondo i propri gusti “mancini”.13006611_1023426141079833_2024399128699265401_n

Tutti i contenuti prima di essere pubblicati sono revisionati sia nella forma sia nel contenuto “perché anche la bellezza estetica è importante”, precisa Lorenza. Cucina Mancina non è un’agenzia di comunicazione che produce per soldi qualsiasi tipo di contenuto, ma seleziona accuratamente solo le pubblicazioni qualitativamente ed eticamente condivisibili. Ed è proprio per la garanzia di qualità che l’editoria e i produttori agroalimentari affidano al portale il proprio storytelling. Oltre ai servizi di consulenza, Cucina Mancina è anche promotrice di corsi e laboratori sul cibo. Diversi progetti sono stati destinati ai bambini per stimolare da subito la cultura della diversità alimentare, facilitando l’avvicinamento ai cibi che di solito i più piccoli sono abituati a scartare. “Spesso i bambini escludono dalla propria alimentazione le verdure o altri tipi di cibo più particolari”, aggiunge Lorenza, “ma se quella stessa verdura l’hanno piantata e vista crescere, abbandonano il pregiudizio e mangiano con entusiasmo”.

Lorenza fa parte di quel numero di persone che, dopo aver vissuto fuori per un periodo, è tornata nella propria terra di origine inventandosi ogni giorno un motivo per restare. “Certo non è facile ma è la cosa più bella del mondo, perché senti che non stai crescendo solo tu ma stai facendo crescere tutta la tua terra. Senza arrenderti”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/07/io-faccio-cosi-130-cucina-mancina-food-community-mangia-differente/

 

Costruiamo insieme la società del futuro

L’ecovillaggio tedesco di Sieben Linden si presenta in Italia. Dal 3 al 5 luglio per la prima volta nel nostro paese Eva Stützel, cofondatrice di Sieben Linden e consulente internazionale di progetti comunitari da 15 anni.sieben_linden

L’ecovillaggio di Sieben Linden, uno dei più famosi a livello mondiale, è situato in aperta campagna nel nord della Germania, regione della Sassonia Anhalt (ex Germania Est), ed è abitato da 150 persone di cui 40 bambini e adolescenti. Queste persone hanno deciso che la crisi ambientale, sociale, economica, politica la risolvono per davvero, giorno dopo giorno, nel loro quotidiano, con le loro azioni, con la loro coerenza, con la loro (auto)determinazione. Il progetto esiste dal 1997 e dimostra che, se si vuole, si può migliorare la qualità della vita dando a questa un senso profondo. Persone normali di tutte le estrazioni sociali e possibilità economiche hanno creato un sistema sostenibile senza essere marziani, hippies o miliardari. Le abitazioni sono state costruite con materiali come il legno locale, balle di paglia, isolamento in fibra di cellulosa e fibra di legno, terra cruda e vengono alimentate energeticamente da legna, pannelli solari fotovoltaici e termici, il tutto per ridurre al minimo l’impatto ambientale. Le decisioni vengono prese da tutti attraverso metodologie maturate nel corso di molta esperienza sul campo; ci sono vari gruppi di lavoro e ognuno ha un ruolo all’interno dell’ecovillaggio che è un modello di micro società del futuro. La cucina è vegetariana e vegan con molti alimenti autoprodotti all’interno di un sistema di permacultura. Per tutto quello che non si autoproduce c’è un acquisto collettivo biologico che coinvolge l’intera comunità e che riduce i costi del 40% dei prodotti non solo alimentari ma anche di tutti quelli che servono per l’igiene personale e la pulizia della casa. E’ presente un asilo dove i bambini passano molto tempo all’aperto e non corrono il rischio di essere investiti. Su 150 persone le automobili sono solo una ventina e alcune sono della comunità a disposizione di tutti; se si usano si pagano solo i chilometri effettivamente percorsi, senza bisogno di pensare ad assicurazioni, spese di manutenzione, etc. Le persone si aiutano molto fra di loro, c’è solidarietà e supporto fra gli abitanti che permette di rafforzare le relazioni e anche risparmiare molti soldi in servizi che nella società normale devono essere pagati e che invece in progetti del genere sono gratuiti e volentieri donati reciprocamente. Una volta a settimana c’è il cinema, ci sono spettacoli teatrali organizzati dalla comunità, c’è la discoteca, un locale bar, un negozio interno, la sauna, un coro, si organizzano corsi di yoga, thai chi, danza, pittura, eccetera e la maggior parte di queste attività è gratuita per i membri dell’ecovillaggio. Ci sono tante relazioni con persone di diverse professionalità, conoscenze, culture, storie che regalano una grande ricchezza a chiunque frequenti il posto anche per poco tempo. Sieben Linden sfata i pregiudizi di coloro che pensano che questi progetti siano isole felici scollegate dalla realtà e per pochi disadattati. Laddove in quella zona prima dell’arrivo di queste persone c’era abbandono, deserto relazionale e culturale, è stata portata una ventata di entusiasmo e di rinascita dell’economia locale con persone che vengono a Sieben Linden a lavorare o a visitare il posto da tutte le parti della Germania e anche dall’estero. Fra le tante attività si organizzano infatti corsi, seminari, incontri internazionali per tutti coloro che siano interessati a conoscere questa interessante realtà. Proprio perché in questo posto non si spreca, si risparmiano energie e risorse, ci si dà una mano, si condivide molto senza per questo fare particolari rinunce o essere dei monaci, la vita costa veramente poco. Una persona, considerati gli elementi base di affitto, alimentazione, energia, acqua, internet, eccetera, spende mediamente al mese circa 500/600 euro e poco più se ha dei figli. All’interno di questa cifra si può anche usufruire di una mensa comune biologica che prepara quotidianamente pasti per la colazione, pranzo e cena. A Sieben Linden hanno fatto quadrare il cerchio, si spende poco, si ha tutto quello che serve, si vive a contatto con la natura, si ha supporto dalla comunità, si ha una intensa vita culturale, si imparano molte cose nuove e mestieri, si conoscono persone e culture diverse. La società del futuro, speriamo non troppo lontano, sarà simile a quella di questi pionieri. Nasceranno sempre più variegati progetti di questo tipo che si scambiano competenze e informazioni e si rafforzano fra loro, progetti costituiti da persone consapevoli, attive e che danno risposte sensate e pratiche ai problemi. Per avere ispirazione da Sieben Linden si potrà incontrare Eva Stutzel, una delle cofondatrici dell’ecovillaggio, per un evento imperdibile al Parco dell’Energia Rinnovabile in Umbria dal 3 al 5 luglio, tenendo ben presente che noi in Italia siamo molto più avvantaggiati perché con le nostre condizioni geoclimatiche, potremmo autoprodurci molti più alimenti ed energia. L’Italia può diventare un meraviglioso giardino nel quale fare crescere speranza e bellezza. Attraverso il corso con Eva, i partecipanti impareranno i fattori che contribuiscono al successo o al fallimento di un progetto comune. e partendo dall’esperienza di Sieben Linden Eva metterà a disposizione le sue competenze di 15 anni di lavoro di consulenza per progetti comunitari. La bussola per lo sviluppo di progetti comunitari e organizzazioni, rappresenta l’essenza del suo lavoro identificando le 5 maggiori aree tematiche che bisogna tenere presente nella costruzione di un progetto comune: Comunità, Visione, Struttura, Economia, Interrelazione.

QUI tutte le informazioni sul corso: come partecipare e come iscriversi.

Fonte: ilcambiamento.it

Oscar Green 2014, ecco i 7 vincitori del premio di Coldiretti

Coldiretti ha assegnato 7 Oscar Green a altrettanti giovani agricoltori che hanno sviluppato soluzioni intelligenti che puntano alla sostenibilità ambientale. Oscar Green 2014 quest’anno ha premiato 7 soluzioni intelligenti e rispettose dell’ambiente. Il consueto appuntamento di Coldiretti dunque è stata anche l’occasione per evidenziare, attraverso il Premio Oscar Green, come i giovani agricoltori italiani siano assolutamente al passo con i tempi rispetto all’innovazione e alle soluzioni smart. Ecco dunque premiate idee come le api sentinelle o le chips di pane, o ancora l’afrodisiaco dei Maya che si propongono già come prodotti innovatovi anti crisi.  Ma ecco nel dettaglio i vincitori degli Oscar Green 2014.coldiretti-oscar-green-620x350

Coltivare microalghe

Questo progetto si è aggiudicato l’Oscar Green 2014 nella categoria Ideando. Arriva dal Veneto e l’ideatore è Matteo Castioni che ha progettato la coltivazione di microalghe Spiruline e Haematococcus usate per la cosmetica, o come integratori e ricostituenti nelle diete ipocaloriche perché particolarmente ricche di proteine sali minerali e antiossidanti naturali. Le microalghe sono usate però anche in agricoltura grazie alla ottima resa come fertilizzanti naturali: con soli 5 grammi di microalghe si fertilizza un ettaro di terreno. Matteo ora progetterà impianti per la produzione casalinga di microalghe.

Le chips di pane ai mille sapori

Per la Categoria Esportare il territorio, ha conquistato l’Oscar Green 2014 l’idea di Domenico D’Ambrosio che ha proposto sottili sfoglie di pane, le chips appunto, aromatizzate ai mille sapori mediterranei: dall’olio d’oliva extravergine al formaggio. Queste panatine di grano, una sottilissima sfoglia di semola di grano duro, sono altamente digeribili. Queste chips saranno presto esportate negli Stati Uniti.

La canapa, stupefacente in cucina

Psquale Polosa si aggiudica l’Oscar Green 2014 nella categoria Stile e cultura d’impresa. Ebbene dai suoi 10 ettari di terreno coltivato a canapa da cui ricava olio, farina destinati all’alimentazione umana e ricchi di proprietà nutritive ma anche fibra che viene impiegata per produrre tessuti materiale per la bioedilizia.

Api sentinelle nella Terra dei fuochi

Sono le api, le sentinelle naturali, scelte da Salvatore Sorbo, giovane apicoltore campano a monitorare l’inquinamento nella Terra dei Fuochi. Infatti, le sue arnie partecipano al progetto Cara Terra, che prevede il biomonitoraggio dell’ambiente messo a punto dalle Università di Napoli e del Molise. Infatti ogni ape è in gradi controllare circa 7 chilometri quadrati di territorio e volando di fiore in fiore non catturano solo polline, ma anche PM10. Così sono poi analizzate dagli esperti che raccolgono così preziose informazioni sullo stato dell’inquinamento ambientale. Spiega Salvatore Sorbo:

Il loro lavoro è l’indagine più attendibile che possa esistere. Più di quanto gli strumenti classici di rilevamento possano raccontare.

Le api di salvatore sono sanissime e non hanno subito danni dall’inquinamento e i suoi prodotti sono tra i più apprezzato in Italia.

Fragole volanti con carta d’identità

E’Guglielmo Stagno D’alcontres a aggiudicarsi il premio Oscar Green 2014 per la categoria Campagna Amica grazie alla coltivazione di fragole in serre alimentate da pannelli fotovoltaici. Le piantine di fragola, poi sono coltivate grazie a orti sospesi e ogni pianta è certificata grazie anche a un QR code che ne ricostruisce la filiera produttiva.

Il pecorino che piace al cuore

Per la Categoria in filiera si aggiudica l’Oscar Green 2014, il pecorino anticolesterolo. L’idea è di Carlo Santarelli che nel suo caseificio e con la collaborazione delle Università di Pisa e Cagliari hanno realizzato la semplice rivoluzione che rende il pecorino un alimento anticolesterolo: è stata cambiata l’alimentazione delle pecore rendendola più sana. Le pecore brucano il lino e l’alimentazione è integrata con olio di soia: tutto qui. I risultati sono sorprendenti poiché le pecore sono più sane e il formaggio ha qualità migliori. Il consorzio ricerca allevatori che si convertano a questa nuova filosofia di produzione del formaggio. MENZIONE SPECIALE” PAESE AMICO”

La libertà dell’orto anche in carcere

Veniamo, infine alla menzione speciale che è stata assegnata al carcere di Capanne a Perugia. Qui c’è un orto di dodici ettari, il frutteto, l’oliveto, quattro serre e l’allevamento di polli con il macello aziendale. Qui alcuni ospiti scontata la pena hanno chiesto di rimanere a lavorare e per questo a Perugia questa struttura è motivo di orgoglio. Come ricordano gli organizzatori di questo progetto:

Se carcere vuol dire rieducazione, metti un orto nella cella e l’obiettivo è a portata di mano.oscargreen-620x350

Foto | Manuel Lombardi Le Campestre @ facbook

Fonte: ecoblog.it

Come tenere lontano le formiche dalla cucina

Ecco alcuni semplici suggerimenti su come allontanarle dalla cucina senza ricorrere agli spray chimici ma utilizzando solo rimedi naturali.come-combattere-le-formiche-rimedi-naturali

Come ogni anno, con l’arrivo della bella stagione, tornano anche le formiche che, non solo invadono i nostri giardini, i fiori e le verdure dell’orto ma soprattutto le nostre case. Sicuramente vi sarà già capitato di trovarne qualcuna sulla soglia della finestra o sul pavimento della cucina: è questo il luogo della casa in cui è più facile scovarle. Hanno infatti un olfatto molto sviluppato che permette loro di individuare facilmente miele, zucchero, biscotti  e altri alimenti che si trovano in cucina. Se siete anche voi tra coloro che vogliono eliminarle senza ricorrere agli spray chimici, nocivi per la salute e altamente inquinanti, ecco alcune semplici alternative naturali per evitare l’invasione di questi piccoli ospiti indesiderati. Per cominciare, cercate di ripulire a fondo ogni angolo della cucina, anche quelli più nascosti in cui potrebbero esserci tracce di zucchero o briciole di pane, evitate di lasciare a lungo i piatti sporchi nel lavello e chiudete le eventuali fessure dalle quali arrivano in casa. Non è difficile individuarle dal momento che le formiche si muovono a gruppo e in lunghe file: vi basterà seguirle al contrario per individuare subito il formicaio. Una volta individuato il punto di ingresso in casa non vi resta che bloccarlo con qualcosa che dia loro molto fastidio: tra spezie, foglie, fiori, erbe e caffè sono tanti i rimedi naturali decisamente sgradevoli per le formiche e capaci di creare una sorta di barriera naturale in grado di impedirne l’ingresso. Sapete che lavare il pavimento con una miscela di acqua, aceto bianco e olio essenziale di limone vi permetterà di dare alle stanze di casa un profumo di pulito alquanto disgustoso per le formiche tanto da tenerle lontane a lungo? Utilizzate la stessa miscela anche per porte e finestre.come-combattere-le-formiche-rimedi-naturali-2-640x472

Anche le foglie di menta essiccate e sbriciolate nei punti di ingresso in casa possono rivelarsi un utile rimedio naturale per tenerle alla larga. E ancora, anche il caffè è ottimo per combattere le formiche. Potete scegliere se utilizzare i chicchi o i fondi, perfetti soprattutto se le formiche hanno invaso il vostro giardino. Vi basterà distribuire i chicchi o la polvere dei fondi di caffè tra le piante o negli angoli della cucina per vedere le formiche rinunciare in breve tempo all’invasione. Stessa cosa per le spezie: l’odore pungente di peperoncino, chiodi di garofano, cannella e paprika è in grado di ostacolare il loro cammino. Ottimi infine anche l’alloro e l’origano: riponete qualche rametto sui diversi ripiani della cucina per essere tranquilli che le formiche non si avvicinino alle vostre provviste.

Fonte: non sprecare