Leila, la biblioteca degli oggetti apre alla condivisione dei saperi

Da diversi anni è già attiva a Bologna Leila, la biblioteca degli oggetti, parte di una rete europea che promuove la condivisione. Abbiamo intervistato Antonio Beraldi, coordinatore del progetto, per farci raccontare le ultime, grandi novità: uno spazio fisico permanente, un’officina per la condivisione dei saperi, un coworking e tanto altro. Troppo spesso facciamo fatica a staccarci dagli oggetti, dalla necessità quasi viscerale di possederli. Eppure è un’idea effimera, che quasi sempre non ha ricadute concrete. «In fondo, quello di cui ho bisogno è fare un buco nel muro, non possedere un trapano». È questo il concetto da cui parte Antonio per spiegare il principio alla base di Leila, la biblioteca degli oggetti.

Antonio (a sinistra) e Amos, di Leila Bologna

Abbiamo già parlato di questo interessantissimo progetto di condivisione in passato, quando si fondava su corner temporanei, scansie o scaffalature allestite all’interno di spazi di altre attività presso cui, con il supporto dei volontari di Leila, gli utenti potevano prendere in prestito oggetti messi a disposizione da altre persone, usarli e poi restituirli, proprio come i libri di una biblioteca. Abbiamo incontrato nuovamente Antonio perché – pilota fra tutte le esperienze europee analoghe – Leila Bologna ha alzato notevolmente l’asticella. «Sabato scorso ha inaugurato la nostra nuova sede permanente in via Serra 2 g/h, una zona abbastanza centrale della città. Ci è stata assegnata grazie alla vittoria di un bando comunale per la rigenerazione urbana lo scorso dicembre», racconta.

Ma la vera novità non è solo la disponibilità di uno spazio permanente: «Siamo il primo Leila ad abbandonare la logica assistenziale, in base alla quale l’utenza media era costituita da persone che avevano davvero bisogno del nostro servizio perché magari non potevano permettersi di acquistare un oggetto e dovevano prenderlo in prestito. Oggi, pur accogliendo sempre questo tipo di utenti, c’è un progetto con un’identità precisa, fondata sulla promozione di una cultura e di una pratica orientate alla condivisione non solo degli oggetti, ma anche dei saperi».

Nella sala attigua a quella in cui stiamo chiacchierando infatti si trova un’officina, che sarà uno dei fulcri della nuova Leila: «Qui vogliamo concretizzare la condivisione dei saperi», spiega Antonio. «Sarà il luogo del “saper fare insieme”, dove gli utenti potranno andare per auto-costruirsi ciò di cui hanno bisogno, assistiti anche dagli artigiani del territorio con cui vogliamo fare rete. Ma non solo: organizzeremo anche corsi, workshop e laboratori per imparare le arti manuali, come abbiamo già fatto in passato».

Già, perché lo scorso inverno Leila ha avuto a disposizione un container posizionato in piazza Verdi, in pieno centro storico, nell’ambito di un progetto di riqualificazione urbana. Qui era già stata sperimentata la condivisione dei saperi, con momenti di incontro fra artigiani e cittadini. Lo stesso esperimento è stato replicato con una formula itinerante: «Per mesi abbiamo girato per la città con due cargo-bike: in una c’erano attrezzi da lavoro per attività manuali, nell’altra c’erano giocattoli “vintage” – palle, corde, cerchi –, che portavamo per le strade per condividerli con i bambini, recuperando da un lato il valore del gioco libero e non mediato dagli adulti e dall’altro la capacità di divertirsi anche con oggetti semplici».

Il concetto fondamentale rimane quello di “fare rete”: «Attraverso l’officina vogliamo creare un’alternativa ai tutorial che la gente cerca sempre più spesso in rete per imparare a fare qualcosa guardando dei video. Il nostro invito è venire da noi per impararlo facendo e stando insieme, aggiungendo quindi la ricchezza della relazione e dell’esperienza diretta».

Fare rete è il principio che ispira anche un altro servizio che la nuova sede di Leila ospiterà: un coworking. «Alcune postazioni sono occupate dai ragazzi di Kiez, un’agenzia che si occupa di rigenerazione urbana promuovendo processi di trasformazione dello spazio ad alta sostenibilità sociale. Ne rimangono altre, che contiamo di assegnare ad altre persone o gruppi interessati a una contaminazione reciproca, oltre che a trovare uno spazio di lavoro comune».

Per saggiare la sostenibilità a medio e lungo termine del progetto, affrontiamo anche la questione economica: «Purtroppo la situazione legata al covid pone diverse incognite, anche perché essendo in fase di start-up dobbiamo sperimentare e costruire passo dopo passo. In ogni caso i punti cardine saranno il coworking e i corsi che organizzeremo in officina. Inoltre con una sede fisica e permanente contiamo non solo di diventare un servizio con una portata estesa a tutta l’area metropolitana, ma anche di rafforzare la presenza e l’identità sul territorio, cosa che ci consentirà di avviare ulteriori dialoghi e collaborazioni con realtà importanti, oltre a quelle che già portiamo avanti con successo Senza contare la base attuale forte di oltre 200 soci».

Un altro obiettivo è quello di creare una rete con gli altri punti Leila in Italia e in Europa: «A livello europeo sono circa venticinque i progetti targati Leila, di cui due in Italia, il nostro e quello di Formigine, in provincia di Modena. Ma esistono anche altre realtà che, pur non avendo questo nome, portano avanti progetti molto simili basati sulla condivisione degli oggetti, come Zero Palermo o altre realtà a Milano, a Firenze a ad Alba».

Se volete sostenere questo splendido progetto potete farlo attraverso la campagna crowdfunding che è stata lanciata e che sarà attiva per il prossimo mese. Per chi volesse andare a visitare la nuova sede, l’orario di apertura è dalle 16 alle 19 il lunedì, mercoledì e venerdì, l’indirizzo è via Serra 2 g/h, Bologna.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/leila-biblioteca-degli-oggetti-condivisione-saperi/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Mesa Noa e la rivoluzione gentile delle Food Coop

Raccontare la straordinaria esperienza che ha portato alla nascita del primo supermercato collaborativo ed ecologico della Sardegna e, al contempo, fornire una guida utile a chi vuole aprire una food coop nel proprio territorio. Nasce da qui l’idea di realizzare il documentario “Mesa Noa – La rivoluzione gentile delle Food Coop” diretto dal regista indipendente Daniele Atzeni, che abbiamo intervistato, e al quale tutti possono contribuire partecipando al crowdfunding.

Mesa Noa, l’emporio di comunità sardo nato sul modello della Food Coop americana Park Slope, è aperto da alcuni mesi e, gradualmente, sta entrando a regime. Si tratta di una storia che ci sta particolarmente a cuore, essendo nata dalla spinta del gruppo degli Agenti del Cambiamento sardi che, venuti a conoscenza attraverso Italia che Cambia del fenomeno delle cooperative alimentari partecipate, ha deciso di passare all’azione e di fondarne una a Cagliari. La loro esperienza sarà ora raccontata in un documentario dal titolo “Mesa Noa – La rivoluzione gentile delle Food Coop” che rappresenterà anche una guida informativa per chi vorrà replicare l’iniziativa in altre parti d’Italia o del mondo. Per saperne di più su quest’opera (alla quale tutti possono contribuire partecipando al crowdfunding), abbiamo intervistato il regista indipendente Daniele Atzeni.

Ti  va di parlarci di te? Qual è il tuo percorso nel mondo dei documentari e del cinema in generale?
Ho studiato in una scuola di cinema a Roma dove mi sono diplomato in regia nel 1999. Durante il mio percorso formativo, dopo aver visto i classici dei grandi documentaristi come Ivens e Flaherty e incontrato alcuni maestri del genere come Vittorio De Seta, ho cominciato ad interessarmi al cinema documentario. Ho capito che sarebbe potuto diventare un mezzo espressivo col quale provare a cimentarmi, inoltre mi avrebbe permesso di lavorare in piena autonomia, cosa che soprattutto all’inizio di un percorso ritengo fondamentale. Grazie al supporto della scuola, nel 2001 ho girato il mio primo documentario “Racconti dal sottosuolo” e, una volta rientrato in Sardegna ho realizzato una serie di documentari che riguardano prevalentemente il recupero della memoria storica e trasformazioni sociali della mia terra.

Dal 2011 col mio lavoro “I morti di Alos” ho cominciato a sperimentare una forma ibrida di racconto ottenuta tramite il riutilizzo di materiale d’archivio. Forma espressiva che ho utilizzato anche nel mio ultimo film “Inferru”, la cui parte visiva è composta esclusivamente da immagini tratte da vecchi documentari e home movies che riguardano la realtà mineraria del Sulcis».

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Alcuni soci di Mesa Noa

Perché hai deciso di realizzare un documentario su Mesa Noa? Cosa ti ha spinto a farlo?

La nascita delle cooperative di consumo in Sardegna è strettamente legata alla storia mineraria. Furono i minatori ai primi del novecento a crearle per sfuggire al cosiddetto “truck system”, un sistema coercitivo attraverso il quale le società minerarie costringevano gli operai a rifornirsi a debito negli spacci aziendali, dove si trovavano prodotti scadenti a prezzi esorbitanti. In questo modo gran parte del salario, se non tutto, se ne andava per pagare il debito, non solo per gli alimenti ma anche per gli alti affitti delle catapecchie di cui era proprietaria la società. Una delle battaglie storiche dei minatori fu quindi legata alla creazione di cooperative nelle quali poter comprare i beni necessari senza dover passare attraverso la società, che naturalmente faceva di tutto per impedirne la nascita. In un periodo storico completamente diverso, dove il consumismo infonde l’illusoria percezione della libertà, il progetto Mesa Noa, rappresenta un modello economico e sociale molto interessante, che va contro certe dinamiche della grande distribuzione e valorizza le realtà produttive locali, a partire dalle più piccole. Da anni mi occupo con i miei lavori di problemi sociali e ambientali e perciò appena mi è stato chiesto di realizzare un documentario che raccontasse il suo percorso ho subito accettato, pur sapendo di andare incontro ad un lavoro molto lungo e impegnativo.

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la food coop Mesa Noa
Perché avete avviato una raccolta fondi? A cosa vi servirà e come userete le donazioni che vi arriveranno?
Ho iniziato le riprese del documentario nell’agosto del 2019, ottenendo svariate ore di girato. Le riprese proseguiranno fino a primavera e poi comincerò il montaggio che mi occuperà per almeno tre mesi. Le risorse serviranno prevalentemente per coprire le spese di questo lavoro, per pagare i collaboratori che si occuperanno delle musiche e della post produzione audio e video, per la realizzazione dei sottotitoli in lingua straniera, per produrre i dvd del film e per la sua circuitazione. Crediamo che il documentario possa fungere da stimolo per altre iniziative che potrebbero nascere sul modello dell’emporio, oltre a rappresentare un racconto importante sulla prima realtà di questo tipo nata in Sardegna e una delle prime in Italia.  I promotori e il nucleo attivo del progetto sono poi così orgogliosi e soddisfatti del loro percorso che vogliono “fissarlo nel tempo” attraverso un film documento fruibile da tutti. Per questo chiediamo un contributo a chi si riconosce nei valori portati avanti attraverso il progetto Mesa Noa.
Raccogliendo le interviste, cosa ti ha colpito di questa esperienza? Hai visto crescere l’entusiasmo nelle persone coinvolte e nel pubblico che hai incontrato?
Quello che mi colpisce di più è la passione dei soci, i quali con grandi sacrifici si impegnano per creare una realtà che tenta di reagire a un sistema avvertito come ingiusto e non più sostenibile. Il pubblico risponde sempre bene alle iniziative della cooperativa, il progetto suscita molta curiosità e il numero dei soci è sempre in aumento.Si è proprio creata quasi una comunità che si riconosce negli stessi valori e fa di tutto per portarli avanti. Spero di riuscire a far emergere tutto questo nel documentario.
Se volete aiutare Mesa Noa a realizzare il suo documentario, potete trovare tutte le informazioni qui
Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/03/mesa-noa-rivoluzione-gentile-food-coop/?utm_source=newsletter&utm_medium=email


È Made in Italy lo smart glass che manda in soffitta la plastica usa e getta

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Due ragazzi italiani hanno inventato lo smart glass, il bicchiere intelligente, che si può riciclare all’infinito e digitalizza le operazioni di cassa.

Creare uno smart glass, un bicchiere intelligente, per ridurre l’impatto ambientale della plastica usa e getta. È questo il sogno di due ragazzi liguri, Stefano Fraioli e Lorenzo Pisoni, entrambi 27enni, che hanno lanciato sul mercato PCUP, bicchiere in silicone, flessibile, pieghevole e con un chip al suo interno per facilitare le operazioni di cassa.

Il loro progetto, finanziato grazie a una campagna di crowdfunding di successo, sarà presto commercializzato.

Scopriamo insieme di più su PCUP e gli altri smart glass sul mercato.

PCUP lo smart glass che manda in soffitta la plastica usa e getta

PCUP è uno smart glass in silicone indistruttibile, che può essere utilizzato in vuoto a rendere. Ha un chip inserito nel fondo, con un’app correlata, che rende veloce e digitale il pagamento e la restituzione della cauzione per il bicchiere. Attraverso il chip sarà possibile anche pagare il contenuto offerto al cliente di volta in volta: acqua, birra, cocktail.

Perché la scelta del silicone come materiale? Lo spiegano i fondatori su Eppela:

«Il silicone non è un derivato del petrolio come la plastica, bensì del silicio, uno dei materiali più abbondanti sulla Terra. Ed è pressoché indistruttibile: non si riga, non si opacizza, può essere lavato innumerevoli volte anche con metodi industriali. Inoltre, a differenza della plastica, non arriva mai a deteriorarsi e a rilasciare sostanze tossiche».

Lo smart glass è pensato soprattutto per i contesti di grande distribuzione. PCUP è infatti una sorta di acronimo per Public Cup, tazza per il pubblico.

I festival musicali, gli stadi, le discoteche, così come le strade e le piazze della movida nelle grandi città, possono offrire occasioni speciali per incontrarsi, ma spesso si trasformano in un dramma per l’ambiente.

Quanti bicchieri di plastica usa e getta vengono infatti usati e gettati via subito, in questi contesti? Il vetro è spesso vietato per ragioni di sicurezza e la risposta diventa quindi la plastica. Conosciamo tutti bene, però, il suo impatto ambientale devastante.

I fondatori: “Ecco perché PCUP è unico nel suo genere”

Fraioli e Pisoni spiegano all’Ansa l’obiettivo per cui hanno creato PCUP e perché il loro smart glass si distingue sul mercato:

«Pcup nasce con l’obiettivo di sostituire l’utilizzo di bicchieri di plastica usa e getta nei contesti di grande distribuzione di bevande al pubblico con un bicchiere mai visto prima, utilizzato nel modo più antico del mondo: il vuoto a rendere. Abbiamo voluto un bicchiere bello, comodo e il più leggero possibile, tanto da farti dimenticare di averlo addosso finché non lo riconsegni alla cassa o decidi di portarlo via, mettendolo in tasca o in borsa. È unico perché è digitale, legato a una nostra app per cui si paga la consumazione passando il bicchiere in cassa e con i nostri lettori si può quantificare quanti grammi di plastica si sono risparmiati nella serata».

Il progetto è stato di recente lanciato con una campagna di crowdfunding, una raccolta fondi online. PCUP è su Eppela e ha già raggiunto il suo obiettivo iniziale di 6mila euro ottenuti in circa 15 giorni. Ora l’obiettivo secondario è di arrivare a 9mila euro.

Per chi contribuisce, sconti e premi speciali sull’acquisto.

Tra bufale e progetti azzeccati, l’orizzonte degli smart glass

Smart glass, smart cup, smart bottle. Il bere diventa intelligente e si unisce a nuove tecnologie come l’Internet delle Cose (IoT), che consente agli oggetti di comunicare tra loro e con la rete. Nascono tanti progetti, che a volte vanno male, altre somigliano a vere e proprie truffe. È il caso per esempio di Vessyl, dell’azienda Mark One. Lanciato in pompa magna nel 2014, con una campagna in crowdfunding che ha superato il milione di dollari, lo smart glass doveva arrivare a fine 2017 sul mercato. Nel 2018, però, Mark One ha chiuso i battenti. Sfortunata invece l’esperienza degli italiani Mirco e Mirta Frascaroli, che l’anno scorso hanno lanciato Ebrost, bicchiere hi-tech che rileva la temperatura e cambia colore. Anche qui è stata lanciata una campagna di raccolta fondi online, ma che non ha ottenuto il successo sperato.

Esistono poi smart glass sul mercato che assolvono diverse funzioni. Ember e Yecup per esempio offrono la possibilità di controllare la temperatura delle proprie bevande, attraverso un sistema digitale, mantenendola costante durante tutto il giorno. Una funzionalità simile a quella di Ozmo Java+, che nella sua versione Active offre anche la possibilità di calcolare quanta acqua l’utilizzatore beve nel corso della giornata.

Fonte: ambientebio.it

Locomore: un treno ecologico dal crowdfunding

Locomore è un treno ecologico nato dal crowdfunding che sta avendo una grande crescita in Germania.locomore

Viaggiare in treno è già di per sé ecologico ma un treno ecologico ha tutto un altro sapore. Potrebbe essere riassunta così la filosofia che sta alla base di Locomore, una start-up tedesca che ha lanciato un innovativo servizio di trasporto ferroviario. Obiettivo creare un’alternativa alle auto, agli aerei, ai bus a lunga percorrenza e al colosso Deutsche Bahn, i treni ad alta velocità della Germania. Il target sono i viaggiatori responsabili e i passeggeri sensibili alle tematiche ambientali o tutti coloro che adottano una filosofia slow life. Per partire con il servizio ci sono voluti nove anni, quanto è durata la campagna di crowdfunding a base di boccali per la birra, tazze e ovviamente voucher per futuri viaggi in treno. Ma alla fine sono state migliaia le persone che hanno premiato l’iniziativa di Derek Ladewig dando vita a un esperimento di trasporto pubblico finanziato dal basso: grazie ai 780mila euro raccolti, lo scorso 14 ottobre Locomore ha effettuato il primo viaggio sulla tratta Berlino-Stoccarda passando per Francoforte, Hannover e altri centri minori: un viaggio che dura 6 ore e 45 minuti ma che ha un prezzo di partenza di 22 euro, contro gli oltre 100 dell’offerta base DB, i treni ad alta velocità tedesca. Il treno ecologico utilizzato da Locomore è nato dalle ceneri di un convoglio ferroviario risalente agli anni Settanta. Di colore arancione, è alimentato al 100% da energia verde grazie a una motrice ad alto rendimento ecologico e di vintage ha solo l’aspetto: oltre allo stile retrò delle carrozze, ci sono spazi disponibili per caricare le biciclette, wi-fi gratis su tutte le carrozze e scompartimenti divisi “a tema” (businessman, famiglie o giovani) con la possibilità di prenotare il proprio posto vicino a persone che condividono gli stessi interessi. Completa il quadro l’offerta di cibo organico e caffè equo-solidale. Il parco carrozze di Locomore conta al momento 14 unità Bm235 noleggiate da diverse compagnie. Dal lancio nel mese di dicembre, sono 70.000 i passeggeri che hanno scelto di viaggiare con Locomore e dal 7 aprile l’azienda ha aumentato l’offerta viaggiando 6 giorni a settimana e tutti i giorni nelle settimane che includono giorni festivi. La composizione dei treni è aumentata fino a 10 carrozze, che diventeranno 12 in futuro. L’obiettivo è raggiungere il break-even point nei prossimi mesi, migliorando il riempimento dei suoi treni nei giorni feriali. Dalla primavera 2018 punta a collegare Berlino, Dortmund, Düsseldorf e Colonia con un secondo treno. Qui tutti i dettagli.

Fonte: ecoblog.it

CicloVia Francigena, al via un crowdfunding

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Nasce una campagna di crowdfunding per completare la segnaletica del più lungo itinerario ciclabile d’Italia: quello della CicloVia Francigena, 1000 chilometri dal Colle del Gran San Bernardo a Roma. Il percorso pedonale è stato oggetto di interventi migliorativi, ma in molti tratti non è percorribile da chi sceglie l’opzione ciclistica, ecco perché è stato creato un percorso di mappatura Gps dell’itinerario ciclabile che sfrutta le vie adatte alla bicicletta in prossimità del tracciato “originale”. Il tracciato è stato riconosciuto dall’Associazione Europea delle Vie Francigene(AEVF) ma non è attualmente segnalato lungo i 1000 chilometri del percorso italianoSlow Travel Network ha lanciato una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Eppela per raccogliere i fondi necessari alla posa degli oltre 3000 cartelli segnavia necessari per tutti i ciclisti che vogliano intraprendere questo tipo di viaggio sulla rotta dei vecchi pellegrini da Canterbury alla Città Eterna. Il progetto CicloVia Francigena è stato selezionato dal FutureLab di Unipol Sai, che ha garantito un co-finanziamento del 50% dell’iniziativa a raggiungimento del budget richiesto per la campagna di crowdfunding, iniziata l’11 Gennaio e che durerà fino al 19 Febbraio. Slow Travel Network nasce dall’esperienza del Movimento Lento, associazione che da anni si occupa di comunicazione e divulgazione culturale nel settore del viaggio a piedi e in bicicletta, alla quale si sono affiancate alcune importanti realtà con grande esperienza nella comunicazione e marketing territoriale, nell’organizzazione di viaggi e di eventi come ad esempio lo Slow Travel Fest. Oltre all’associazione Movimento Lento, le aziende Itineraria, Ciclica, S-Cape Travel, Sloways costituiscono una rete che collabora per divulgare la cultura del viaggio a piedi, in bicicletta e con altri mezzi di trasporto sostenibile, in Italia e nel mondo.

Fonte:  Comunicato Stampa

DOPO LA DISFATTA DI VOLKSWAGEN, TORNA L’AUTO SOLARE. ECCOLA IN VERSIONE “LOW COST” E MADE IN ITALY [VIDEO]

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Non sarà certo l’”auto del popolo” (traduzione in italiano di Volkswagen) quella di Enzo Di Bella, tecnico del suono siracusano, appassionato di automobili da corsa che ha realizzato nella sua Siracusa la “Archimede Solar Car”, ma un dibattito sul ritorno all’energia pulita anche nel settore delle auto è certamente tornato in auge dopo lo scandalo Volkswagen. E’ un progetto ambizioso quello di Enzo (Enzo Di Bella, non Enzo Ferrari, anche se gli auguriamo lo stesso successo). L’idea nasce da un sogno che lo ha visto trascorrere tutti i ritagli di tempo degli ultimi 5 anni a progettare e realizzare un prototipo di automobile da corsa “low cost” interamente alimentata ad energia solare.

Il suo progetto è reale, funziona. Una schiera di amici inizia a condividere la sua scommessa aiutandolo nella realizzazione dell’auto solare “made in Sicily” fino a quando, a loro, si aggiunge un’equipe di laureandi ingegneri meccanici dell’Università di Catania, di tecnici informatici, elettronici e di web designer, come racconta Enzo in questo bellissimo video…

Si concretizza, in tal modo, un progetto tutto siciliano sviluppato con piccole somme racimolate qua e là e un’iniziativa di crowdfunding che partirà sul loro sito internet. Nell’ultimo anno, l’auto riceve l’invito a partecipare a tre competizioni internazionali rispettivamente in Australia, Marocco e Cile. Dopo mesi di prove tecniche e test in laboratorio, l’auto è pronta per essere testata sull’asfalto di un circuito prestigioso: l’autodromo di Pergusa ad Enna, situato simbolicamente e strategicamente al centro della Sicilia. L’iniziativa ennese di ospitare i fautori di questo piccolo miracolo ecologico ha trovato il favore dell’Ente Autodromo di Pergusa, di numerose imprese locali e di simpatizzanti del tema delle energie eco-sostenibili. Molti ennesi hanno già offerto un contributo economico simbolico o un servizio (donazioni, pernottamenti, pasti, agevolazione negli spostamenti) agli ideatori siracusani dell’automobile a impatto zero.

L’auto, che raggiunge i 100 km/h.

Fonte: buonenotizie.it

Gli scambi solidali e il crowdfunding per sociale e cultura: Banca Etica fa comunità

Scambi solidali tra i soci in rete e la raccolta fondi dal basso per finanziare progetti sociali e culturali portati avanti da chi fa parte della comunità: Banca Etica fa il punto a due anni dall’avvio di questi due progetti.bancaetica_crowdfunding

Progetti che sempre più consentono di far comprendere come il denaro non sia e non debba essere un fine ma un mezzo per realizzare un obiettivo sostenibile e portatore di valori positivi. Soci in Rete (www.sociinrete.bancaetica.it) è stato sviluppato nel 2013 con l’obiettivo di rafforzare la mutualità interna nei confronti dei soci. «Il progetto è finalizzato a facilitare la relazione tra le persone e le organizzazioni sul territorio – spiegano da Banca Etica – attraverso l’apertura alla partecipazione attiva e la capacità di rispondere ai bisogni della comunità di riferimento. Si tratta in particolare di un mercato virtuale a cui possono partecipare solo i soci della Banca, in cui si incontra chi offre e chi acquista beni e servizi, materiali e relazionali. Il principio è, da un lato, quello di riservare un vantaggio a chi sostiene una visione economica e sociale nuova, dall’altro, privilegiare, nelle scelte di acquisto, soggetti economici coerenti con questa visione. Lo strumento è accessibile tramite un portale online, gestito da Banca Etica, che accetta esclusivamente le offerte di prodotti e servizi di persone o organizzazioni socie e che rispettano i valori espressi nel Codice Etico e nello Statuto della Banca. A fine 2014 al portale risultano iscritti 21 soci che hanno proposto complessivamente 48 offerte: il progetto consente l’iscrizione ad una newsletter, alla quale sono iscritte 1.400 persone. Banca Etica attualmente sta riflettendo in merito all’evoluzione dello strumento: in particolare si prevede di estendere le offerte commerciali a possibilità di lavoro e di volontariato. Riguardo al crowdfunding, la Banca ha iniziato un percorso importante con la prima piattaforma di settore, Produzioni dal Basso (www.produzionidalbasso.com), sviluppando al suo interno una specifica rete. Il network di Banca Etica all’interno di Produzioni dal Basso è attivo da giugno 2014 e ha visto l’inserimento progressivo di progetti nati dalla base sociale o che la base sociale ha deciso di sostenere con azioni proattive di affiancamento e di comunicazione. I progetti inseriti nel 2014 sono stati 12: tra questi 7 hanno raggiunto il budget indicato, concludendosi positivamente, 2 non hanno raggiunto il budget e si sono chiusi e 3 si sono conclusi nei primi mesi del 2015. Nei giorni scorsi è stato anche presentato il bilancio sociale: a fine 2014 il capitale sociale di Banca Etica ammontava a 49.769.055 euro, registrando un incremento di 3.167.062 euro rispetto a fine 2013 (+ 6,8%).

A fine 2014 i soci di Banca Etica sono 36.815:

  • 16,1% persone giuridiche
  • 83,9% persone fisiche.

Il capitale sociale è apportato per il 35,5% da persone giuridiche e per il 64,5% da persone fisiche.

Tra i soci ci sono 355 enti pubblici (284 Comuni, 43 Province, 8 Regioni), che rappresentano il 3,1% del capitale sociale (1.586.025 euro).

Fonte: ilcambiamento.it

Il Risparmiatore Etico e Solidale
€ 9

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€ 15

Circo Luce, il teatrino itinerante che arriva in bicicletta

In estate il teatrino ambulante di Luciano Strasio viaggerà per 2500 chilometri proponendo spettacoli di box theatre, teatro delle ombre, burattini e marionette, con una tournée a impatto zero

Marionette e burattini arrivano in bicicletta grazie al Circo Luce, l’invenzione di Luciano Strasio, falegname, artista ed educatore. L’idea realizzata e affinata a partire dal 2012 è quella di un teatrino ambulante montato sulla parte posteriore di una bicicletta con la quale Strasio compie le sue tournée a impatto zero. Raggiunto un centro storico e il luogo ideale per la rappresentazione, Strasio monta il mini tendone da circo e invita il pubblico ad assistere agli spettacoli di Giuanin d’la vigna e Castagno Taccagno. Un bosco, animali, cibo a sazietà, monumenti, un aereo, un treno e una barca a vela si animo sotto lo sguardo stupito dei passanti. Il Circo Luce è frutto di un mix di tecniche, dal box theatre al teatro delle ombre, passando per i burattini e le marionette. Il tutto a impatto zero: l’alimentazione artificiale e l’amplificazione sono garantite dall’alimentazione a pannelli solari. Gli scenari e i protagonisti sono stati ottenuti grazie al riciclo e riuso di  materiali come legno, stoffa, carta di riviste e giornali, plastica di bottiglie, gomma piuma, cartone, vetro e fili vari. Dopo aver percorso la costa spagnola francese, ligure, tirrenica, siciliana, sarda, corsa e un pezzettino del Piemonte, nel 2015 Luciano pedalerà da Torino a Bologna e poi giù lungo la costa adriatica, la Puglia, la Calabria, un pezzetto di Sicilia da Messina a Milazzo e passando per le isole Eolie su fino a Napoli. Successivamente pedalerà sul lato orientale della Sardegna per rientrare sulla terraferma a Genova. Gli spettacoli saranno finanziati con una raccolta a cappello. Durante il viaggio Luciano verrà ospitato da amici vecchi e nuovi e per sostenere le spese di questo tour di 2500 chilometri ha lanciato una campagna di crowdfunding che si concluderà il prossimo 3 maggio sul portale Produzione dal Basso.circo-luce-luciano-strasio-620x620

Fonte: ecoblog.it

Un crowdfunding per salvare le farfalle

Una campagna dal basso per la salvaguardia delle farfalle: gli aderenti riceveranno un MacaKit per diventare allevatori di farfalle.

Ecoblog si è occupato a più riprese della moria di api in Europa, ma queste operose impollinatrici non sono le sole a rischiare la scomparsa: dal 1990 a oggi, infatti, il declino del numero di farfalle di prato si è fatto preoccupante. La loro scomparsa, definita un drammatico “campanello d’allarme” dal direttore dell’Agenzia europea dell’Ambiente Hans Bruyninckx, rappresenta il segno di uno squilibrio degli ecosistemi non senza conseguenze. Proprio come le api, infatti, le farfalle svolgono una fondamentale attività di impollinamento e, proprio la compresenza delle due specie, ha garantito, nel corso del tempo, la biodiversità necessaria a superare eventuali carenze dovute a morie o eventi eccezionali. Pier Paolo Poli ed Emanuele Rigato, due dottori in Biologia, hanno deciso di lanciare un crowdfunding sulla piattaforma Produzioni dal Basso per sensibilizzare le persone a questo tema in un modo molto pragmatico, vale a dire ideando il MacaKit, il primo kit al mondo per l’allevamento della farfalla Macaone (Papilio machaon). Questo kit si propone di sensibilizzare le persone attraverso un’esperienza concreta e un ruolo attivo nella conservazione: l’utente, infatti, adotta materialmente e cresce due bruchi fino allo stadio di farfalla che poi rilascerà in natura. Il MacaKit è alla portata di tutti, non ha vincoli di stagionalità, non sporca, non puzza e costa relativamente poco. Inoltre come ricordano i promotori della campagna – che hanno fissato in 8400 euro il loro target – non serve un giardino ma solamente una finestra o un piccolo balcone. I due ricercatori hanno già investito circa 15mila euro in ricerca e sviluppo. Per usare un’espressione mutuata dal web, il MacaKit è una versione beta e il contributo proveniente dalla campagna di crowdfunding permetterà di accelerare il completamento del progetto, rendendolo disponibile nel più breve tempo possibile. Per il contributo economico si può fare riferimento al sito Produzioni dal Basso, ma sono graditi anche eventuali like o condivisioni su Facebook.A Monarch butterfly is in a flower in Lo

Fonte:  Produzioni dal Basso

© Foto Getty Images

Greenfunding, il crowdfunding diventa green

Venerdì 10 ottobre è stata lanciata la prima piattaforma italiana per l’autofinanziamento dal basso esplicitamente green. Si chiama Greenfunding ed è la prima piattaforma di crowdfunding dedicata esclusivamente alle produzione dal basso e all’autofinanziamento di progetti green. Il lancio, da parte dell’associazione Greencommerce, è avvenuto venerdì 10 ottobre e l’obiettivo è quello di dare spazio a produttori, designer, imprenditori, inventori e autori che si confrontano con il mondo della green economy. La novità di questo progetto di crowdfunding è proprio il vincolo “tematico”: niente “trucchi” o forzature, verranno caricati sulla piattaforma solamente i progetti che dimostrino di essere adeguati. Non basterà, insomma, avere un pannello solare sul tetto per alimentare il proprio ufficio, ma occorrerà che l’anima “green” sia centrale e che il basso impatto ambientale sia (possibilmente) certificato. Prima di attivare le campagne di crowdfunding, i proponenti potranno usufruire della consulenza dello staff dell’associazione Greencommerce.

Greenfunding, come funziona la campagna di crowdfunding

Le tappe di una campagna di crowdfunding sono sei: 1) si crea un account su Greenfunding, 2) si carica e si racconta il progetto, 3) si definiscono il budget, il periodo di raccolta dei finanziamenti e le reward, ovverosia le ricompense da offrire ai sostenitori, 4) si invia il progetto a Greenfunding per la revisione, l’approvazione e la pubblicazione, 5) si inizia a condividere il progetto con i propri amici attraverso i social network, 6) si festeggia il raggiungimento dell’obiettivo, si incassa il finanziamento, si dà vita alla propria attività e si distribuiscono le reward. Non ci sono costi di attivazione delle campagne e Greenfunding trattiene una percentuale solamente nel caso in cui la campagna vada a buon fine. Ma c’è un’altra grande differenza rispetto ad altre piattaforme che intervengono solamente nella parte finale del progetto: Greefunding – consapevole delle difficoltà di chi vuole fare impresa rispettando l’ambiente – accompagna i proponenti sin nelle prime fasi. Fra i progetti già caricati vi è B.R.A. – Braccia Restituite all’Agricoltura, nato da un gruppo di giovani che vogliono far nascere un orto urbano nel quartiere di San Salvario (e offrono come reward la consulenza per realizzare orti sul balcone). Accanto alla piattaforma per la raccolta fondi, ci sarà una bacheca nella quale i proponenti potranno postare annunci nei quali si chiedono beni immateriali, materiali o la disponibilità di luoghi.Immagine-620x332

Fonte:  Greenfunding