Asili per cani: ecco come scegliere quello che piace a lui, non a noi

Spesso scegliamo gli asili per cani in base al nostro gusto e a come si presentano le strutture. Ma siamo sicuri che in un posto bello e accogliente i nostri amici si debbano trovare bene per forza? Non è che loro hanno bisogno di altro? Ne parliamo in questa nuova puntata di “Col resto di due”.

Settembre generalmente è il mese in cui ripartono routine, abitudini e attività lasciate in sospeso per poter godere dell’estate e delle meritate vacanze. Durante il periodo estivo abbiamo vissuto ritmi diversi, magari in luoghi non abituali, abbiamo trascorso più tempo viaggiando, magari coi nostri cani. Adesso, tornando a ritmi più veloci e densi di impegni, è importante pensare a come facilitare i nostri compagni di vita a rientrare nella routine di giornate in cui spesso son costretti a trascorrere da soli diverse ore mentre la famiglia è impegnata. Per questo negli ultimi anni sono nati e moltiplicati gli Asili per Cani. Da precisare la distinzione tra Asilo e Pensione: nel primo i cani trascorrono il loro tempo con altri cani e con una o più figure di riferimento per alcune ore diurne, nella seconda abbiamo il trasferimento del cane in una struttura (può essere anche una casa) abilitata a ospitare il cane per più giorni consecutivi, includendo la permanenza notturna. È sugli asili per cani che vogliamo condividere le nostre riflessioni poiché è necessario fare una netta distinzione tra un asilo inteso come luogo in cui “parcheggiare” il cane e un Asilo inteso come luogo di benessere e crescita.

Parliamo di “parcheggio” quando è previsto di portare il cane durante la settimana, per diverse ore al giorno (magari per evitare che durante le ore di solitudine in casa abbai disturbando i vicini o rovini la mobilia) in un’area dedicata in cui può sgranchirsi le zampe, solo o insieme ad altri cani, sotto la supervisione di figure professionali.

Questo, bene o male, è quello che ciascun asilo a cui ci rivolgiamo offre. Ecco, questo genere di asilo non ci piace e vi assicuriamo: non piace nemmeno al vostro amico a quattro zampe. Ci sono asili per cani che puntano su una struttura nuova e accattivante dotata di ogni comfort, dalla piscinetta alle pulite e ordinate casette in fila l’una accanto all’altra, dagli spaziosi box al prato sempre verde e ben tagliato, magari pieno di giochi. Altri puntano sul gruppo: il cane è un essere sociale e sicuramente starà volentieri tra tanti altri cani (chi siano gli altri cani non è poi così essenziale sapere, basta che non si azzuffino!). Altri sul target: in alcune ore ospitano cani di piccola taglia, in altre cani di taglia grande, in altri solo cuccioli e così via, garantendo alle persone che così i loro cani si sentiranno più a loro agio. No, non sono questi gli asili che ci piacciono: l’Asilo come lo intendiamo noi prevede qualche passaggio in più. Se la funzionalità della struttura è molto importante, non lo è altrettanto l’estetica, che appaga solo l’occhio umano. Anche noi siamo esseri umani eppure scegliamo con cura con chi passiamo il nostro tempo, non ci basta non venire alle mani.

Il pensiero, errato e limitante, di categorizzare i cani è quanto di più sciocco possa esserci. Inclusione, crescita, conoscenza, rispetto dell’altro indipendentemente da canoni fisici, dare valore alla diversità che è crescita, all’equilibrio, all’avventura: queste sono le opportunità da regalare ai nostri cani, senza fermarci ad appagare soltanto i nostri bisogni, molte volte di estrema e asettica sicurezza, basati esclusivamente sulle nostre paure o sui nostri sensi di colpa.

E allora cosa è importante quando cerchiamo un asilo per il nostro amato cane? Innanzitutto che il cane abbia modo di conoscere con calma e attraverso esperienze ricche e positive vissute col suo umano il luogo in cui passerà le ore senza la sua famiglia di riferimento. Il luogo in cui il cane si trova a vivere un’esperienza deve essere già familiare, un posto dove poter trovare punti di riferimento ambientali conosciuti. Questo anche al fine di comprendere quali necessità ambientali può avere ciascun soggetto e potergliele appagare. Ci sono cani che hanno nette preferenze per le zone ombreggiate, altri per quelle assolate indipendentemente dalla temperatura. Soggetti che preferiscono o necessitano di stare all’aperto e altri di alternare le ore tra l’esterno e l’interno di strutture chiuse o semichiuse. Soggetti che amano l’erba più alta, altri che ne sono diffidenti. Insomma, l’ambiente in cui il cane viene inserito deve essere per lui accogliente e non possiamo deciderlo noi a prescindere; occorre osservare come si relaziona il nostro cane, che è diverso da ogni altro cane, in e con quell’ambiente.

È fondamentale poi che il cane conosca eventuali altri individui della sua specie con cui condividerà spazi e tempi. E che tali individui siano sempre gli stessi, in modo che si formi un gruppo stabile di soggetti che si ritrovano. Un po’ come avviene nelle classi scolastiche umane, che differiscono dalle ludoteche proprio per organizzazione e gruppo, in cui si possono coltivare relazioni in maniera continuativa e approfondita e dove ci si può fidare del e affidare al gruppo sociale che si è formato. Una situazione dove, se necessario, si può discutere serenamente con gli altri cani del gruppo.

I cani appartenenti a un gruppo stabile non devono trovarsi in balia di continui nuovi inserimenti perché ci vuole tempo per capire chi hanno davanti, per farsi conoscere, per comprendere come condividere lo spazio e creare momenti condivisi di qualità. Questo non significa che non sarà possibile inserire un nuovo membro nel gruppo, ma che il gruppo – variegato, stabile ed equilibrato – avrà la possibilità di farlo sentire, accoglierlo e integrarlo nel migliore dei modi.

Un gruppo stabile offre la possibilità di conoscersi in maniera più approfondita, tirare fuori talenti e caratteristiche, condividerle creando rituali e abitudini. Viene a formarsi così una comune memoria esperienziale, arricchendo la vita di ogni soggetto.

L’Asilo deve essere un momento di qualità e di crescita sia per il cane che per l’umano, dove il cane possa avere la possibilità di vivere uno spazio proprio, un’esperienza che porta nutrimento fisico, emotivo e cognitivo e l’umano abbia la possibilità di osservare il suo compagno di vita fuori da dinamiche familiari prendendo ispirazione per creare nuove avventure. Di più. Sarà per entrambi un’occasione di crescita perché la conoscenza reciproca fa evolvere i singoli individui della coppia, ma anche e soprattutto la relazione. Per fare questo è necessario che venga preso in considerazione ogni punto di vista, ogni emozione. Sono necessarie anche pazienza, osservazione, il mettersi sempre in gioco uscendo dalla rassicurante abitudine di decidere noi ciò che è adatto e confortevole per qualcun altro. E allora, pensando al nostro cane, usciamo dalle nostre paure, dagli schemi e dalle apparenze e cerchiamo un asilo che non sia un parcheggio, ma che sia un’esperienza di vita. Per entrambi.

Buona scelta.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/09/asili-per-cani/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Sant’Anna Hostel e Luna Blu: valorizzare il territorio costruendo un futuro per i giovani adulti con disabilità

Luna Blu e Sant’Anna Hostel, parte del progetto AUT AUT, sono due strutture speciali che combinano l’ospitalità tradizionale con il turismo accessibile. Una piccola azienda agricola, un laboratorio di pasta fresca, due ristoranti e due case vacanze, ma soprattutto due campus aperti all’agricoltura e all’accoglienza, a cura di ragazzi diversamente abili, coinvolti nelle diverse attività. Sulle colline di La Spezia, ai piedi del monte Parodi, esiste un luogo dove tutte le differenze si appianano. Da fuori il Sant’Anna hostel è una semplice azienda agrituristica, con quattro camere e un ristorante dalla cucina familiare, che propone menu con piatti tipici della tradizione ligure, tutti preparati con materie prime biologiche, provenienti direttamente dall’orto aziendale.  Da dentro, al di là della veste “hostel”, questa struttura è una “palestra” per imparare tutti i mestieri legati al turismo e alla ricettività, dall’accoglienza alla cucina, passando per l’orto e la preparazione delle camere per gli ospiti.

Lo staff del Sant’Anna hostel

«La disabilità è in ognuno di noi – si legge sul sito del campus agrisociale – noi “normali” però, la vediamo solo negli altri. Abbiamo bisogno di guardarci dentro e sconfiggere prima la nostra disabilità per accogliere gli altri ed essere in pace con noi stessi». Solo chi vive questo tipo di quotidianità sa cosa significa trasformare il bisogno in motivazione: «Aiutare i nostri figli a introdursi nella comunità come “parte attiva” – spiega Roberto Barichello, presidente A.G.A.P.O. odv e referente di Sant’Anna Hostel – è stato, da subito, l’obiettivo primario di questo mio sogno, divenuto realtà, a dimostrazione che questi ragazzi possono lavorare ed essere economicamente indipendenti, in contesti controllati e rispettando i loro ritmi». Qui imparano a svolgere varie mansioni: c’è chi si dedica alla preparazione di conserve e marmellate, chi invece preferisce lavorare nell’orto, chi rassetta le camere e chi invece gestisce la cucina o la reception. Ognuno di loro ha scelto degli ambiti specifici di cui occuparsi, in base alle proprie personali attitudini.

Una ragazza impegnata a preparare la sala del Sant’Anna hostel

Un luogo di crescita e di socializzazione, quindi, ma, soprattutto, di transito. «Il Sant’Anna è un contesto formativo, di training sul campo – prosegue Barichello – perché il nostro scopo è quello portare in altri luoghi le competenze acquisite qui, affinché i ragazzi possano diventare parte integrante di staff di ristoranti e strutture alberghiere».

Oltre al Sant’Anna Hostel, che ha puntato strategicamente sul turismo inclusivo, a La Spezia c’è anche un altro luogo che traduce in realtà il sogno di ‘normalità’ di tanti ragazzi con autismo. Dal 2019 Luna Blu si affianca al Sant’Anna e costituisce un ulteriore tassello del progetto “AUT AUT – Autonomia Autismo”, promosso dalla Fondazione Carispezia – che ha investito nella realizzazione di entrambe le strutture – e da due associazioni di genitori di ragazzi autistici (A.G.A.P.O. odv appunto e Fondazione Il Domani dell’Autismo): tutti insieme hanno dato vita, nel 2017, alla Fondazione AUT AUT con l’obiettivo di promuovere l’inclusione e l’inserimento lavorativo di giovani adulti, autistici o diversamente abili, una volta concluso il ciclo scolastico. A cominciare proprio da queste due realtà innovative, i cui servizi di accoglienza coinvolgono persone con autismo, affiancate da educatori.

Luna Blu è una struttura su tre piani, progettata con un occhio di riguardo alle diverse attività previste: una casa per ferie (in grado di ospitare anche persone con disabilità motoria), un ristorante, un appartamento per l’autonomia, in cui abiteranno, per circa un anno, ragazzi avviati ad un percorso di vita indipendente, e una struttura per il “Dopo di Noi”, che ospita persone con autismo che stanno per affrontare il graduale distacco dalla famiglia.

Un ragazzo apparecchia la tavola al Luna Blu

Oltre ai servizi ricettivi, la struttura ha al suo interno un laboratorio dove i ragazzi producono pasta fresca ed essiccata(con e senza glutine), pane, pizza e focaccia, prodotti dolci da forno. «Il nostro sogno – racconta Alberto Brunetti, presidente di Fondazione Il Domani dell’Autismo e referente di Luna Blu – è dare vita a un pastificio vero, per dimostrare che questi ragazzi sono in grado di condurre una vita normale». I ravioli sono un successo, apprezzati proprio da tutti, per ora venduti solo attraverso piccoli gruppi di acquisto, in attesa di avere un vero shop. Non c’è dubbio che un contesto adeguato alle caratteristiche profonde dell’autismo dovrebbe essere semplice, coerente, ma soprattutto ricco di stimoli significativi, aperto all’esterno e all’integrazione, modulabile sulle condizioni dei singoli soggetti e sulle caratteristiche del disturbo. E se è vero che dall’autismo non si può guarire, certo è che si può stare meglio, fino ad avere una vita praticamente normale. Uno dei modi per ricreare armonia in famiglia è sapere che il proprio figlio sta cercando di realizzarsi, facendo ciò che gli piace. Per una vita adulta di qualità.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/07/santannahostel-lunablu-recupero-territorio-adulti-disabilita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

L’economia della crescita del PIL ci fa mangiare la plastica

Dio Denaro: ormai è così, dovunque. La “religione” della crescita e del soldo pervade ogni settore, ogni ambito, ogni categoria, quasi ogni mente e cuore. Dunque, poi le decisioni si prendono solo in quella direzione. Che ci sta portando alla distruzione.9944-10736

Per sostenere le loro tesi, gli adoratori del Dio Denaro, protagonista della religione della crescita economica, citano sempre il fatto che il progresso dato dalla produzione illimitata di merci ci ha portato a una situazione migliore rispetto al passato. A sostegno delle loro tesi citano quelle che erano le epidemie, le guerre, la fame, la fatica del lavoro quando non c’è l’ausilio delle macchine.

Ma vediamo se le cose stanno veramente così.

Ogni anno solo in Europa muoiono 500 mila persone per l’inquinamento atmosferico. In India e Cina, che sono gli avamposti nella corsa alla crescita dei cosiddetti paesi emergenti, complessivamente i dati indicano che si superano i due milioni di morti. Nel mondo si calcolano 9 milioni di morti, complessivamente. I morti da incidenti stradali superano abbondantemente il milione a livello mondiale, più altri milioni di feriti anche gravi. Negli anni recenti sono centinaia di migliaia i morti a causa dei cambiamenti climatici dovuti al nostro modello di sviluppo. Poi ci sono tutti i vari tipi di cancro non derivati dall’inquinamento atmosferico ma dall’impatto pesantissimo che ha la chimica disintesi, la medicina che serve solo gli interessi delle multinazionali e il cibo spazzatura. Quando poi si parla di cibo, si arriva all’apoteosi del progresso, così avanzato che ci fa mangiare direttamente la plastica.  L’università di Edimburgo in Scozia ha recentemente scoperto che ingeriamo una quantità enorme di microplastiche ogni anno. E dopo la terrificante notizia che proseguendo così nel 2050 nei mari ci sarà più plastica che pesci, ora ce la mangiamo direttamente. Chissà poi cosa ci succederà e cosa già ci sta succedendo con l’inquinamento da elettrosmog determinato da miliardi di telefoni cellulari e dispositivi simili. Il fantastico progresso e la crescita economica non hanno di certo debellato la fame nel mondo che colpisce oltre 800 milioni di persone, il che è assai strano dato che circolano così tanti soldi e mezzi tecnologici che il problema dovrebbe essere risolto in pochi minuti. Abbiamo forse migliorato le condizioni di lavoro nei paesi occidentali dei privilegiati ma a spese dei paesi schiavi del sud del mondo e degli schiavi che lavorano per noi a casa nostra. Milioni e milioni di persone lavorano in condizioni disumane per servire il nostro insaziabile appetito per lo spreco. I morti per le guerre ci sono ancora e con armi sempre più letali e sofisticate.

Dire poi che siamo progrediti quando abbiamo inventato armi che possono distruggere l‘intera umanità più volte, fa tragicamente ridere. Trattasi di progresso omicida. Stessa cosa si può dire dei cambiamenti climatici che stanno portando all’estinzione la specie umana e che sono la diretta conseguenza del progresso e della crescita economica. Mai nella storia siamo arrivati a essere così letali per noi stessi.

Il progresso distrugge animali, piante e tutto quanto incontra sul cammino in una maniera devastante, come mai prima d’ora; e per far accettare l’amara pillola, industriali, politici e sindacalisti senza scrupoli ci dicono che si creano posti di lavoro. Quindi va bene tutto, industrie che inquinano e ammazzano a più non posso, grandi e inutilissime opere, nucleare, organismi geneticamente modificati, armi, banche, combustibili fossili, eccetera. L’importante è dare lavoro, poi se questo determina levarlo a tanti altri e condurci all’autodistruzione, chi se ne frega; il politico passa all’incasso elettorale e non solo, l’industriale e il sindacalista passano all’incasso economico. Questi esempi dimostrano che a livello globale non regge granchè dire che oggi si sta meglio di quando si stava peggio. Ma chi ha detto che si deve accettare la distruzione contemporanea  solo perché altrimenti si torna al Medioevo?

Anzi, il modo migliore per tornare al Medioevo, o periodi ancora più remoti, lo avremo sicuramente se continuiamo a perseverare nel progresso suicida. Nè Medioevo, né la follia attuale: ci sono alternative, modi di vivere, lavorare,  fare economia, cooperare fra le persone che sono ben diversi da quelli dominanti attualmente. Ogni giorno vi presentiamo alternative, soluzioni, idee che ci confermano che il mondo può veramente progredire senza tornare alla peste o alla caccia alle streghe (che tra l’altro non è mai cessata vista la condizione di sofferenza e sfruttamento attuale a livello mondiale della donna). Non si tratta certo di tornare indietro ma di andare avanti mettendo in discussione radicalmente la balla della crescita che è paragonabile a quando la Chiesa credeva che il sole ruotasse intorno alla terra.

Cominciamo a cambiare le cose, partendo da noi stessi: il 10 e 11 novembre partecipa al 36° corso “Cambia vita e lavoro, istruzioni per l’uso”.

QUI tutte le informazioni

Fonte: ilcambiamento.it

Riciclo carta dopo la stretta cinese. Montalbetti (dg Comieco): ‘Si prevede a breve una crescita con l’apertura di due nuove cartiere in Italia’

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Abbiamo chiesto al direttore generale di Comieco, Carlo Montalbetti, un commento sull’attuale situazione della filiera del riciclo della carta alla luce del mutato quadro internazionale dovuto alla stretta cinese sulle importazioni. Ecco quanto ha dichiarato Montalbetti in esclusiva ad Eco dalle Città: “L’Italia è uno dei principali paesi utilizzatrici di carta da riciclo, nel 2017 oltre  5 milioni di tonnellate (di cui  3,2 milioni derivanti dalla racconta differenziata comunale) sono state impiegate per realizzare altra carta. Inoltre  si prevede a breve una crescita con l’apertura di due nuove cartiere, a Mantova e Avezzano: la prima avrà una capacità produttiva di 500 mila tonnellate all’anno di carta riciclata, la seconda di 200 mila. L’esportazione verso i paesi asiatici, e la Cina in particolare, permette di valorizzare la carta riciclata non utilizzata in Italia (ricordiamo che la raccolta è attualmente superiore al bisogno interno). La stretta qualitativa cinese nasce da problemi legati alla carta riciclata proveniente dal Regno Unito  che ha una raccolta multimateriale della carta (assente in Italia). Le nuove norme di importazione in Cina impongono a tutti i Paesi un miglioramento della qualità:  le ripercussioni principali sono però di ordine economico, con valori della carta riciclata che scendono e incidono sull’attività degli operatori privati. Comieco – ha concluso il direttore generale – è organizzato per garantire ritiri e remunerazioni indipendenti dal mercato, sulla base dell’accordo Anci Conai quinquennale ma è altresì importante che si attivino azioni per aiutare il settore del riciclo a superare questo periodo”.

 

Fonte: ecodallecitta.it

Car Sharing, in Italia è in crescita: 1,8 milioni le auto condivise in 6 mesi

Sono ottime le notizie che arrivano dal mondo italiano del car sharing, grazie ai dati diffusi al convegno “Smart Mobility in Smart Cities” che si è svolto presso l’Università degli Studi di Milano (qui trovi qualche dettaglio in più): URBI, l’app che aggrega i principali sistemi di mobilità urbana e condivisa in Italia, ha scattato una fotografia piuttosto ottimistica della realtà italiana della condivisione dell’auto. 5.030 veicoli, 4.265.000 di prenotazioni, 1.800.000 ore di noleggio, circa 30.000.000 di km percorsi e una crescita del 35% negli ultimi sei mesi, un trend positivo costante per le città di Milano, Torino, Firenze e Roma: in tutti e quattro i capoluoghi infatti il numero di viaggi in car sharing ha avuto un tasso di crescita regolare giungendo, nel caso di Torino, a guadagnare addirittura 54 punti percentuali. Seguono Milano, con un aumento del 41%, Roma con il 20% e Firenze con il 10%. Nel complesso si può parlare di un aumento medio del 35%. I servizi posti sotto la lente di ingrandimento dello studio di URBI sono car2go, enjoy, Share‘n go, DriveNow e ZigZag (contano un totale in Italia 5.030 veicoli di cui 2.386 a Milano, 1.570 a Roma, 610 a Torino e 464 a Firenze), tutti in ascesa e in fase di implementazione delle flotte. I trend di crescita invece, sottolinea proprio URBI, sono diversi da città a città: se infatti nel caso di Milano (+49% di veicoli) e Roma (+23%), l’ingrandimento delle flotte degli ultimi mesi è stato senz’altro di incentivo per raggiungere un’utenza più ampia e garantire un servizio più capillare, le città di Torino e Firenze raccontano una storia differente.

“A Torino e Firenze, il numero di veicoli, invece di aumentare, è diminuito negli ultimi 6 mesi rispettivamente dell’8% e del 12%. Eppure questo non ha fermato i cittadini che sempre di più scelgono di usare i servizi di mobilità condivisa. […] Il fatto che Torino abbia avuto il maggior incremento di viaggi in car sharing in Italia dimostra che questi sistemi, anche in mancanza di grandi flotte, sono sempre più importanti nella vita quotidiana delle persone e che, anche grazie a URBI, sono sempre più alla portata di tutti”

ha dichiarato Emiliano Saurin, founder di URBI.unnamed-7

Secondo i dati diffusi da URBI l’utilizzatore medio dei sistemi di sharing mobility è maschio, ha tra i 25 e i 34 anni e il 75% degli utenti è uomo. Per quanto riguarda le età, il 34% ha tra i 24 e i 35 anni, mentre il 25% si colloca nella fascia di età 35-44 anni; il 15,5% ha 18-24 anni, il 15% tra i 45 e i 54 anni. Chiudono il 14% degli utenti di età compresa tra i 55 e i 64 anni e un 7% degli over 65. In media i noleggi durano circa 25 minuti in Italia e a Milano si registrano ogni giorno complessivamente 5.415 ore di noleggio, con una media di 2,7 ore di noleggio per ciascun veicolo. Seguono Roma, Torino e Firenze. I picchi di utilizzo si registrano sopratutto nelle giornate di venerdì e sabato mentre analizzando la media settimanale dell’uso del car sharing nella città di Milano, risulta che la fascia oraria in cui girano più vetture condivise è quella compresa tra le 18 e le 20, un trend piuttosto comune a tutte le città citate. Il car sharing insomma piace sempre di più e, in effetti, è sempre più difficile farne a meno: l’offerta sempre più ampia scoraggia anche chi, come molti, preferisce sempre e comunque usare il mezzo privato e promuove comportamenti più responsabili in materia di mobilità, spesso anche inconsapevolmente. Il che non è un male, e ci mancherebbe.

Foto | Google

Fonte: ecoblog.it

La Banca Mondiale lancia l’allarme: “La crisi idrica minaccia la crescita”

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Secondo un rapporto pubblicato ieri dalla Banca Mondiale la crisi idrica che si sta verificando in molti Paesi e che si aggraverà nei prossimi anni a causa dei cambiamenti climatici rappresenta una minaccia per la crescita economica e per la stabilità del Pianeta. Secondo le valutazione della World Bank in alcune regioni la crisi idrica potrebbe portare a una decrescita del PIL di ben sei punti percentuali. L’effetto combinato di crescita demografica, espansione delle città e flussi migratori la domanda di acqua conoscerà un aumento sponenziale. Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta contro la desertificazione (Uncdd) da oggi al 2025 1,8 miliardi di persone vivranno o saranno costretti a migrare da regioni nelle quali la penuria d’acqua sarà assoluta, mentre due terzi della popolazione mondiale potrebbero vivere in situazioni di stress idrico. Chi pensa che questi problemi non riguardino il mondo occidentale e i Paesi sviluppati leggano che cosa sta succedendo a Flint, negli Stati Uniti, e in Veneto. Sempre secondo il report della Banca Mondiale, i volumi d’acqua disponibili potrebbero diminuire di due terzi da oggi al 2050, a causa della diminuzione delle risorse e del sovrasfruttamento a scopi industriali e agricoli. Entro il 2050 la richiesta per scopi agricoli potrebbe crescere del 50%, quella per il settore energetico dell’85%, quella richiesta nelle metropoli del 70%. Le politiche idriche condizioneranno le economie delle singole nazioni: il Sahel potrebbe subire una decrescita fra lo 0,82% e l’11,7%, peggio ancora per il Medio Oriente dove il PIL potrebbe scendere fra il 6,02% e il 14%. Inutile aggiungere che le crisi idriche saranno la principale causa delle migrazioni e dei conflitti.

 

 Guarda la Galleria “Sudafrica: la peggiore siccità degli ultimi 30 anni”

19 Guarda la Galleria “Crisi idrica a Flint”

Fonte:  Le Monde

Olio, Confagricoltura: “Crescere grazie all’innovazione”

Imatin, :  A Palestinian worker throws olives into the stone wheels of an olive press in the Palestinian village of Imatin in the West Bank 14 November 2006. Several hundred Israeli volunteers are helping Palestinians all over the West Bank harvest their olives at the height of the season, in the belief that their presence deters the worst excesses of radical violence from militant right-wing settlers. Right-wing settlers have cut down and burnt groves, attacked farmers and stolen olives in recent years.  AFP PHOTO/MENAHEM KAHANA    .  (Photo credit should read MENAHEM KAHANA/AFP/Getty Images)

Indebolita dalla Xylella fastidiosa e da una stagione 2014 da dimenticare, l’olivicoltura nazionale punta al rilancio attraverso l’innovazione. A farsi capofila di questa riprogettazione del sistema olivicolo nazionale è Confagricoltura che sottolinea come il nostro Paese non sia più in grado di soddisfare il fabbisogno interno e debba attingere agli altri Paesi europei produttori di olio. Secondo Mario Guidi, presidente di Confagricoltura,

oggi l’Italia ha bisogno di più olio e di più olio di qualità. Abbiamo un piano olivicolo nazionale che destina risorse ancorché limitate, significative. Il tutto deve essere coordinato assieme ai piani di sviluppo rurale per puntare su un’olivicoltura anche intensiva che possa affiancare la nostra olivicoltura nazionale. Quella capacità produttiva che ci può rendere competitivi nei confronti dei nostri colleghi spagnoli che stanno facendo in questi anni un gran lavoro. Già, la Spagna, con gli immensi oliveti dell’Andalusia, è diventato il principale bacino di approvvigionamento dell’industria italiana. L’olio, specialmente quello di qualità è un pilastro della dieta mediterranea, come spiega Sara Farinetti, specialista in Medicina interna, nutrizione funzionale e metabolismo:

Considerare l’olio un vero e proprio alimento e non un condimento è il primo sistema e può essere una strategia e poi soprattutto cerchiamo di non contingentare l’utilizzo dell’olio, smettiamola di pensare che proprio il grasso ingrassa. Pensiamo invece che quest’olio è un elemento funzionale. Dobbiamo consumarlo in modo consapevole ad ogni pasto, naturalmente non più con il contagocce, ma andare in cerca, piuttosto che delle calorie, dell’olio di qualità.

Nel corso dell’incontro che si è svolto ieri, a Roma, a Palazzo della Valle, ‘L’olio italiano e le sue qualità. Innovare per competere: un settore a confronto con la modernizzazione’, sono state esaminate le prospettive dell’olivicoltura intensiva e superintensiva e analizzati i punti di forza e di debolezza.

Fra le criticità vi è il preferibile utilizzo di varietà non autoctone, che sembrerebbero più idonee a questo tipo di organizzazione dell’oliveto, ma che non toglierebbero nulla alla qualità che si basa soprattutto sul solido know-how dei nostri produttori e sulle caratteristiche pedo-climatiche delle coltivazioni. Anche l’esame di alcune Dop e Igp ha dimostrato che vi sono alcune varietà autoctone adatte alla coltura superintensiva.

Fonte: ecoblog.it

L’Italia del Riciclo: aumentano imprese e occupazione, 34 miliardi di fatturato

L’Italia dei rifiuti genera più occupazione e aziende in crescita: negli ultimi 5 anni le imprese del settore della gestione della spazzatura sono aumentate del 10%, di queste il 94% fanno attività di recupero, ed i posti di lavoro registrano un incremento del 13%, mentre il fatturato del recupero dei rifiuti sfiora i 34 miliardi381264

Un’industria della green economy, quella della gestione dei rifiuti, è cresciuta negli ultimi 5 anni: sono aumentati il numero di addetti (+13%) e di aziende (+10%), il 94% delle quali svolge attività di recupero. E’ questa la fotografia scattata dal rapporto ‘L’Italia del riciclo’ 2014, promosso e realizzato da Fise Unire (l’Associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del recupero rifiuti) e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
Secondo il report resta preponderante il numero delle piccole impreseaumentano le società di capitali e cala il peso delle ditte individuali. Nonostante “l’impatto della crisi dei mercati internazionali e dei consumi, l’incertezza del quadro normativo e l’inadeguatezza dei mercati di sbocco delle materie riciclate”, continua a crescere il riciclo degli imballaggi (più 1% nel 2013 rispetto all’anno precedente) che sostiene settori industriali (siderurgia, mobili, carta, vetro) strategici per il nostro Paese. Oltre il 68% dei nostri imballaggi viene avviato a riciclo, con un miglioramento delle performance delle filiere alluminio, carta, legno, plastica e vetro. E – spiega lo studio – sarebbero “notevoli i margini di ulteriore sviluppo con un quadro normativo più chiaro e omogeneo”. Secondo il rapporto “il valore aggiunto generato in totale ammonta a circa 8 miliardi di euro”, cioè “oltre mezzo punto di Pil”. Le imprese che in Italia fanno attività di recupero dei rifiuti sono in tutto oltre 9000, soprattutto micro-aziende con meno di 10 addetti. La crescita sia delle imprese che del numero di occupati – viene spiegato – “a fronte di un andamento generale negativo per il manifatturiero, si può considerare una manifestazione concreta del processo di transizione verso la green economy”. Il riciclo degli imballaggi cresce dell’1%: 7,6 milioni di tonnellate contro le 7,5 del 2012. L’incremento c’è in tutte le filiere con punte d’eccellenza nel tasso di riciclo, per esempio, di carta (86%), acciaio (74%) e vetro (65%).
Risultati altalenanti registrano le altre filiere. In particolare sono in calo i materiali ottenuti da bonifica e demolizione di veicoli fuori uso e la raccolta pro-capite media nazionale di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. C’è molto spazio di miglioramento per la raccolta dei tessili. “Proprio in considerazione delle dimensioni di queste imprese – evidenzia Anselmo Calò, presidente di Unire – le profonde carenze ed inefficienze che affliggono il settore, a livello soprattutto normativo ed amministrativo, sono ancora più difficili da sopportare”. Per Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, “il riciclo dei rifiuti in Italia potrebbe crescere con norme più chiare”, tra cui un decreto ministeriale per la classificazione dei rifiuti. Infine è “indispensabile scoraggiare il ricorso allo smaltimento in discarica”.

Corretta gestione rifiuti,risparmio 600 mld e meno gas serra 

Un ulteriore risparmio di 600 miliardi di euro e una riduzione delle emissioni di gas serra tra il 2 e il 4%. Questa la stima – riportata dal rapporto di Fise Unire e Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ‘L’Italia del riciclo’ 2014 – che la ricetta sulla ‘prevenzione dei rifiuti’ potrebbe portare a livello nazionale ed europeo guardando alle prospettive di crescita per il settore del riciclaggio. Secondo il report “il conseguimento dei nuovi obiettivi in materia di rifiuti creerebbe circa 600.000 nuovi posti di lavoro, rendendo l’Europa più competitiva e riducendo la domanda di risorse scarse e costose”. Le misure proposte, che consentirebbero peraltro di ridurre l’impatto ambientale, prevedono “il riciclaggio del 70% dei rifiuti urbani e dell’80% dei rifiuti di imballaggio entro il 2030 e, a partire dal 2025, il divieto di collocare in discarica i rifiuti riciclabili”.

Fonte: ecodallecitta.it

“Con il riuso e la riparazione l’economia locale cresce”, intervista a Roberto Cavallo

Nel mezzo della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, il direttore Paolo Hutter ha intervistato Roberto Cavallo, amministratore delegato della cooperativa ERICA ed autore del libro “Meno cento chili”. Riutilizzo, riciclo, economia circolare ed economia locale gli argomenti della conversazione381169

di Paolo Hutter

In occasione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti abbiamo guardato i dati sulla produzione complessiva di rifiuti solidi urbani pro-capite di vari paesi europei e constatato che ci sono paesi che fanno più rifiuti pro-capite dell’Italia.
Ma allora i paesi avanzati producono più rifiuti?

È un assunto di base dell’economia tradizionale, dell’economia che definiamo lineare. Soprattutto lo è stato fino alla crisi iniziata col 2008. Sì, paradossalmente, o non tanto, la quantità di rifiuti prodotti è considerata un indicatore di benessere. E più potere d’acquisto ha sempre o quasi significato anche più scarti.

Ma non dovrebbe essere più avanzata la capacità di ridurre i rifiuti?

Dovrebbe ma non è facile arrivarci. Guardiamo all’Italia e alla sua difficoltà di star dietro alla Germania, che pure non è un esempio coerente di virtù. Dal 98 al 2008 in Italia siamo passati da un potere d’acquisto medio di 28.500 dollari fino a 31 mila poi ridisceso a 28.500. Ma la produzione media pro-capite di rifiuti è passata dai 450 kg/abitante del 98 ai 550 del 2007. E solo dopo, lentamente, ha cominciato a decrescere. E anche adesso capita che la pattumiera decresca meno del potere d’acquisto (quest’anno 2014 non è escluso che si torni a un leggero aumento, NdR).
In Germania negli stessi 10 anni si è passati da 31 mila dollari di potere d’acquisto medio a 35 mila per ridiscendere solo a 33 mila. Ma a differenza dell’Italia nello stesso periodo si è consolidato un calo del 10% nella produzione dei rifiuti. In Italia è addirittura successo che la pattumiera in certi momenti sia diminuita meno del potere d’acquisto.
Ma la differenza tra una produzione di rifiuti bassa perché si è più poveri e una riduzione dei rifiuti perché aumentano i processi virtuosi qual è, dove sta?

Interventi strutturali (e in prospettiva le stesse direttive europee) possono far diminuire i rifiuti passando da una economia lineare a un’economia circolare, ovvero a un’organizzazione produttiva e ad uno stile di vita che privilegiano il riutilizzo, o almeno, il riciclo. L’economia circolare, oltretutto, essendo capace di preparare al riuso, è quella più labour intensive, cioè quella che ha più necessità di lavoro locale per unità di prodotto. Nell’economia lineare, tradizionale, usa e getta, il frigorifero rotto si butta via e quasi tutto si produce lontano, fuori dalla Ue. Nell’economia circolare, invece, il frigorifero lo si ripara e, se si abbinano bene riuso riparazione e riciclo, questa è tutta economia locale che cresce.

Qualche anno fa hai scritto il libro Meno Cento Chili. Come rivedi oggi quel discorso, quelle cifre?

Il ragionamento di diminuire di cento chili a testa partiva dalla media dei paesi europei più ricchi, che all’incirca nel 2010 era di 550 chili a testa per anno. Adesso direi che bisogna andare ancora più giù, che si può ridurre di ben oltre i cento chili a testa. E, parallelamente a questo, altre cose funzioneranno meglio. Pensate al mercato dell’usato e della riparazione che in Italia è cresciuto del 18 %. In varie zone d’Europa ci si sta muovendo, nelle Fiandre, in Catalogna si fanno cose ottime. Anche in Italia, naturalmente, in alcune zone, perché la crisi insegna a cambiare punto di vista.

 

fonte: ecodallecitta.it

 

Conai, nuovo studio sul contributo della filiera del riciclo dei rifiuti urbani alla crescita dell’occupazione

Lo studio sull’occupazione nel settore del riciclo realizzato da CONAI rileva che in uno scenario realistico di sviluppo della filiera del riciclo si potranno creare entro il 2020 circa 90.000 nuovi posti di lavoro380089

Presentato lo studio “Ricadute occupazionali ed economiche nello sviluppo della filiera del riciclo dei rifiuti urbani”, realizzato da CONAI – Consorzio Nazionale Imballaggi – in collaborazione con Althesys. Il documento è stato illustrato nell’ambito del convegno “Creare Occupazione” alla presenza di Giuliano Poletti – Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. Obiettivo dello studio, valutare quali ricadute occupazionali ed economiche per il nostro Paese si possano conseguire dal raggiungimento degli obiettivi europei al 2020, che fissano al 50% il riciclo dei rifiuti urbani e domestici.

Fonte: ecodallecitta.it