Leila, la biblioteca degli oggetti apre alla condivisione dei saperi

Da diversi anni è già attiva a Bologna Leila, la biblioteca degli oggetti, parte di una rete europea che promuove la condivisione. Abbiamo intervistato Antonio Beraldi, coordinatore del progetto, per farci raccontare le ultime, grandi novità: uno spazio fisico permanente, un’officina per la condivisione dei saperi, un coworking e tanto altro. Troppo spesso facciamo fatica a staccarci dagli oggetti, dalla necessità quasi viscerale di possederli. Eppure è un’idea effimera, che quasi sempre non ha ricadute concrete. «In fondo, quello di cui ho bisogno è fare un buco nel muro, non possedere un trapano». È questo il concetto da cui parte Antonio per spiegare il principio alla base di Leila, la biblioteca degli oggetti.

Antonio (a sinistra) e Amos, di Leila Bologna

Abbiamo già parlato di questo interessantissimo progetto di condivisione in passato, quando si fondava su corner temporanei, scansie o scaffalature allestite all’interno di spazi di altre attività presso cui, con il supporto dei volontari di Leila, gli utenti potevano prendere in prestito oggetti messi a disposizione da altre persone, usarli e poi restituirli, proprio come i libri di una biblioteca. Abbiamo incontrato nuovamente Antonio perché – pilota fra tutte le esperienze europee analoghe – Leila Bologna ha alzato notevolmente l’asticella. «Sabato scorso ha inaugurato la nostra nuova sede permanente in via Serra 2 g/h, una zona abbastanza centrale della città. Ci è stata assegnata grazie alla vittoria di un bando comunale per la rigenerazione urbana lo scorso dicembre», racconta.

Ma la vera novità non è solo la disponibilità di uno spazio permanente: «Siamo il primo Leila ad abbandonare la logica assistenziale, in base alla quale l’utenza media era costituita da persone che avevano davvero bisogno del nostro servizio perché magari non potevano permettersi di acquistare un oggetto e dovevano prenderlo in prestito. Oggi, pur accogliendo sempre questo tipo di utenti, c’è un progetto con un’identità precisa, fondata sulla promozione di una cultura e di una pratica orientate alla condivisione non solo degli oggetti, ma anche dei saperi».

Nella sala attigua a quella in cui stiamo chiacchierando infatti si trova un’officina, che sarà uno dei fulcri della nuova Leila: «Qui vogliamo concretizzare la condivisione dei saperi», spiega Antonio. «Sarà il luogo del “saper fare insieme”, dove gli utenti potranno andare per auto-costruirsi ciò di cui hanno bisogno, assistiti anche dagli artigiani del territorio con cui vogliamo fare rete. Ma non solo: organizzeremo anche corsi, workshop e laboratori per imparare le arti manuali, come abbiamo già fatto in passato».

Già, perché lo scorso inverno Leila ha avuto a disposizione un container posizionato in piazza Verdi, in pieno centro storico, nell’ambito di un progetto di riqualificazione urbana. Qui era già stata sperimentata la condivisione dei saperi, con momenti di incontro fra artigiani e cittadini. Lo stesso esperimento è stato replicato con una formula itinerante: «Per mesi abbiamo girato per la città con due cargo-bike: in una c’erano attrezzi da lavoro per attività manuali, nell’altra c’erano giocattoli “vintage” – palle, corde, cerchi –, che portavamo per le strade per condividerli con i bambini, recuperando da un lato il valore del gioco libero e non mediato dagli adulti e dall’altro la capacità di divertirsi anche con oggetti semplici».

Il concetto fondamentale rimane quello di “fare rete”: «Attraverso l’officina vogliamo creare un’alternativa ai tutorial che la gente cerca sempre più spesso in rete per imparare a fare qualcosa guardando dei video. Il nostro invito è venire da noi per impararlo facendo e stando insieme, aggiungendo quindi la ricchezza della relazione e dell’esperienza diretta».

Fare rete è il principio che ispira anche un altro servizio che la nuova sede di Leila ospiterà: un coworking. «Alcune postazioni sono occupate dai ragazzi di Kiez, un’agenzia che si occupa di rigenerazione urbana promuovendo processi di trasformazione dello spazio ad alta sostenibilità sociale. Ne rimangono altre, che contiamo di assegnare ad altre persone o gruppi interessati a una contaminazione reciproca, oltre che a trovare uno spazio di lavoro comune».

Per saggiare la sostenibilità a medio e lungo termine del progetto, affrontiamo anche la questione economica: «Purtroppo la situazione legata al covid pone diverse incognite, anche perché essendo in fase di start-up dobbiamo sperimentare e costruire passo dopo passo. In ogni caso i punti cardine saranno il coworking e i corsi che organizzeremo in officina. Inoltre con una sede fisica e permanente contiamo non solo di diventare un servizio con una portata estesa a tutta l’area metropolitana, ma anche di rafforzare la presenza e l’identità sul territorio, cosa che ci consentirà di avviare ulteriori dialoghi e collaborazioni con realtà importanti, oltre a quelle che già portiamo avanti con successo Senza contare la base attuale forte di oltre 200 soci».

Un altro obiettivo è quello di creare una rete con gli altri punti Leila in Italia e in Europa: «A livello europeo sono circa venticinque i progetti targati Leila, di cui due in Italia, il nostro e quello di Formigine, in provincia di Modena. Ma esistono anche altre realtà che, pur non avendo questo nome, portano avanti progetti molto simili basati sulla condivisione degli oggetti, come Zero Palermo o altre realtà a Milano, a Firenze a ad Alba».

Se volete sostenere questo splendido progetto potete farlo attraverso la campagna crowdfunding che è stata lanciata e che sarà attiva per il prossimo mese. Per chi volesse andare a visitare la nuova sede, l’orario di apertura è dalle 16 alle 19 il lunedì, mercoledì e venerdì, l’indirizzo è via Serra 2 g/h, Bologna.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/leila-biblioteca-degli-oggetti-condivisione-saperi/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il Ponte: l’impresa sociale che dà occupazione ai più fragili

A Invorio, nella splendida cornice tra il Lago Maggiore e il Lago d’Orta, c’è una cooperativa che da anni sta valorizzando il tessuto sociale locale, promuovendo l’occupazione e l’inserimento lavorativo di persone fragili e creando intorno a sé una rete di aziende e imprese che stanno imparando da questo modello improntato alla solidarietà e alla crescita della persona. La storia che mi racconta Mauro Fanchini è una storia di cambiamento e coraggio, è il racconto di un imprenditore nell’ambito della comunicazione che un giorno decide di chiudere la sua attività, stanco di quello stile di vita divenuto per lui insostenibile. E, nella ricerca di un nuovo modo di vivere, si è imbattuto in quella che sarebbe diventata la sua nuova missione, quella di aiutare le persone più fragili accompagnandole in un percorso lavorativo e di crescita e che oggi, con tanta passione, mi racconta.

«Nel mio precedente lavoro come imprenditore non c’era attenzione al valore umano ma esclusivamente il bisogno di inseguire il guadagno. Per questa ragione ho deciso di cambiare vita, senza sapere in che direzione questa mi avrebbe condotto». Dal 2012 Mauro è il direttore della cooperativa Il Ponte, attiva ormai da 30 anni nell’alto novarese, in quella splendida cornice tra il Lago Maggiore e il Lago d’Orta, per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro di persone in situazioni di emergenza, di fragilità, di disabilità e di svantaggio sociale.

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Lo scopo? Trasformare in risorsa sociale ed economica l’operato delle persone che si trovano situazioni di vulnerabilità e per questo escluse da dinamiche lavorative, per riavvicinarle alla società e dare loro un maggior senso di indipendenza.

Immaginiamo un capannone con ampie vetrate al cui interno si trovano diversi tavoli da lavoro dove si svolgono attività di assemblaggio, montaggio, confezionamento e utilizzo materiali poveri, e dove ad ognuno viene assegnata una mansione adeguata alle sue esigenze e capacità.

«La particolarità della nostra cooperativa è che viene strutturata come fosse un’azienda» mi spiega Mauro. Un’azienda, però, incentrata sulla persona, che qui viene accompagnata in un percorso di crescita. A partire dalle mansioni più semplici come inserire un tappo su una penna allo svolgimento di compiti più complessi come saldare i fili per realizzare i cablaggi di un quadro elettrico. Si tratta di piccole tappe di un percorso che passo dopo passo permette a queste persone di acquisire nuove competenze, di mettersi in gioco e prendere sicurezza in se stesse e nelle proprie capacità.

Al momento la Cooperativa collabora con una ventina di realtà locali che operano in diversi settori produttivi e merceologici che offrono svariate tipologie di lavoro: dal montaggio delle scatole di cartone all’assemblaggio di parti o di prodotti finiti, dalle stampanti 3d alla lavorazione di tessuti.

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Ma ciò che più caratterizza la cooperativa è la capacità di mettere in rete le realtà locali, in una sinergia tra le varie organizzazioni per capire, insieme, quale sia il bisogno più immediato per il territorio e contribuire a mantenere lavori che in altre condizioni verrebbero facilmente delocalizzati. per questo motivo nel 2015 ha fondato, insieme ad altre cooperative sociali, imprenditori, consulenti, amministratori pubblici e insegnanti delle scuole l’associazione “Terre tra i laghi”, che ha per scopo di studiare ed elaborare strategie per valorizzare le risorse della zona.

«Ciò che noi vogliamo fare è instaurare un rapporto di collaborazione con le aziende del territorio per mostrare loro l’importanza dell’inserimento lavorativo di persone fragili, replicando e generando nuove attività simili a questa» mi spiega Mauro. «Ad esempio, entro fine gennaio, trasformeremo una piccola cooperativa improduttiva a Gravellona che seguirà il nostro modello e attiveremo dei laboratori di sperimentazione lavorativa che rimetteranno in gioco la manualità e la creatività delle persone».

La cooperativa si impegna quotidianamente a sensibilizzare l’opinione pubblica ma soprattutto il mondo profit e quindi le aziende e le imprese, mostrando loro che lavorare con persone fragili, con disabilità e in situazioni di difficoltà è possibile e si può fare. A tal proposito ha dato vita al progetto “Fare”, una piattaforma che unisce tutte le realtà attive sul territorio, con lo spirito di creare una rete con tutte le organizzazioni che hanno voglia di collaborare insieme.

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«È sempre più forte il bisogno di offrire opportunità alle persone svantaggiate perchè sempre più numerosi sono coloro che fanno fatica ad affrontare la società. Gli ultimi dati che si conoscono rispetto alla disabilità risalgono a 15 anni fa e parlano di un’occupazione intorno al 12%» mi spiega Mauro. «Ma il problema oggi non riguarda solo le persone con disabilità ma bensì le persone fragili. Spesso queste hanno difficoltà a relazionarsi con gli altri, con il lavoro, con le regole e ciò avviene soprattutto perché l’ambiente nelle aziende è molto competitivo e chi è fragile ne risente particolarmente».

Obiettivo è ampliare l’offerta occupazionale con nuove assunzioni e nuovi inserimenti, in accordo con i servizi sociali del territorio. «L’idea è quella di affiancare persone a persone: chi insegna e chi impara, nell’ottica di dare vita ad un’impresa sociale. In questo modo i lavoratori che vengono formati e inseriti in azienda diventano una risorsa: una catena virtuosa che dà il via a una crescita personale, professionale ed economica per tutti gli attori coinvolti. Ecco allora che tutte le attività produttive guardano soprattutto a ciò che ciascuno sa fare con l’obiettivo di aumentare e potenziare autostima, autonomia e responsabilità di chi lavora e di chi sta imparando un lavoro».

«Rispetto al lavoro da imprenditore che svolgevo prima, ora vivo quotidianamente una vera soddisfazione nella relazione, nelle persone, nella speranza che vedo intorno a me. Spesso giungono imprenditori in crisi per vedere come funziona la nostra cooperativa e ne rimangono sorpresi. Dal mio punto di vista la speranza non è un fatto individuale, è un fatto di una comunità. E sono proprio queste persone che fanno la differenza, alimentando una speranza che cresce ed insieme ad essa cresce la comunità stessa».Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/11/il-ponte-impresa-sociale-occupazione-piu-fragili/?utm_source=newsletter&utm_medium=email