Leila, la biblioteca degli oggetti apre alla condivisione dei saperi

Da diversi anni è già attiva a Bologna Leila, la biblioteca degli oggetti, parte di una rete europea che promuove la condivisione. Abbiamo intervistato Antonio Beraldi, coordinatore del progetto, per farci raccontare le ultime, grandi novità: uno spazio fisico permanente, un’officina per la condivisione dei saperi, un coworking e tanto altro. Troppo spesso facciamo fatica a staccarci dagli oggetti, dalla necessità quasi viscerale di possederli. Eppure è un’idea effimera, che quasi sempre non ha ricadute concrete. «In fondo, quello di cui ho bisogno è fare un buco nel muro, non possedere un trapano». È questo il concetto da cui parte Antonio per spiegare il principio alla base di Leila, la biblioteca degli oggetti.

Antonio (a sinistra) e Amos, di Leila Bologna

Abbiamo già parlato di questo interessantissimo progetto di condivisione in passato, quando si fondava su corner temporanei, scansie o scaffalature allestite all’interno di spazi di altre attività presso cui, con il supporto dei volontari di Leila, gli utenti potevano prendere in prestito oggetti messi a disposizione da altre persone, usarli e poi restituirli, proprio come i libri di una biblioteca. Abbiamo incontrato nuovamente Antonio perché – pilota fra tutte le esperienze europee analoghe – Leila Bologna ha alzato notevolmente l’asticella. «Sabato scorso ha inaugurato la nostra nuova sede permanente in via Serra 2 g/h, una zona abbastanza centrale della città. Ci è stata assegnata grazie alla vittoria di un bando comunale per la rigenerazione urbana lo scorso dicembre», racconta.

Ma la vera novità non è solo la disponibilità di uno spazio permanente: «Siamo il primo Leila ad abbandonare la logica assistenziale, in base alla quale l’utenza media era costituita da persone che avevano davvero bisogno del nostro servizio perché magari non potevano permettersi di acquistare un oggetto e dovevano prenderlo in prestito. Oggi, pur accogliendo sempre questo tipo di utenti, c’è un progetto con un’identità precisa, fondata sulla promozione di una cultura e di una pratica orientate alla condivisione non solo degli oggetti, ma anche dei saperi».

Nella sala attigua a quella in cui stiamo chiacchierando infatti si trova un’officina, che sarà uno dei fulcri della nuova Leila: «Qui vogliamo concretizzare la condivisione dei saperi», spiega Antonio. «Sarà il luogo del “saper fare insieme”, dove gli utenti potranno andare per auto-costruirsi ciò di cui hanno bisogno, assistiti anche dagli artigiani del territorio con cui vogliamo fare rete. Ma non solo: organizzeremo anche corsi, workshop e laboratori per imparare le arti manuali, come abbiamo già fatto in passato».

Già, perché lo scorso inverno Leila ha avuto a disposizione un container posizionato in piazza Verdi, in pieno centro storico, nell’ambito di un progetto di riqualificazione urbana. Qui era già stata sperimentata la condivisione dei saperi, con momenti di incontro fra artigiani e cittadini. Lo stesso esperimento è stato replicato con una formula itinerante: «Per mesi abbiamo girato per la città con due cargo-bike: in una c’erano attrezzi da lavoro per attività manuali, nell’altra c’erano giocattoli “vintage” – palle, corde, cerchi –, che portavamo per le strade per condividerli con i bambini, recuperando da un lato il valore del gioco libero e non mediato dagli adulti e dall’altro la capacità di divertirsi anche con oggetti semplici».

Il concetto fondamentale rimane quello di “fare rete”: «Attraverso l’officina vogliamo creare un’alternativa ai tutorial che la gente cerca sempre più spesso in rete per imparare a fare qualcosa guardando dei video. Il nostro invito è venire da noi per impararlo facendo e stando insieme, aggiungendo quindi la ricchezza della relazione e dell’esperienza diretta».

Fare rete è il principio che ispira anche un altro servizio che la nuova sede di Leila ospiterà: un coworking. «Alcune postazioni sono occupate dai ragazzi di Kiez, un’agenzia che si occupa di rigenerazione urbana promuovendo processi di trasformazione dello spazio ad alta sostenibilità sociale. Ne rimangono altre, che contiamo di assegnare ad altre persone o gruppi interessati a una contaminazione reciproca, oltre che a trovare uno spazio di lavoro comune».

Per saggiare la sostenibilità a medio e lungo termine del progetto, affrontiamo anche la questione economica: «Purtroppo la situazione legata al covid pone diverse incognite, anche perché essendo in fase di start-up dobbiamo sperimentare e costruire passo dopo passo. In ogni caso i punti cardine saranno il coworking e i corsi che organizzeremo in officina. Inoltre con una sede fisica e permanente contiamo non solo di diventare un servizio con una portata estesa a tutta l’area metropolitana, ma anche di rafforzare la presenza e l’identità sul territorio, cosa che ci consentirà di avviare ulteriori dialoghi e collaborazioni con realtà importanti, oltre a quelle che già portiamo avanti con successo Senza contare la base attuale forte di oltre 200 soci».

Un altro obiettivo è quello di creare una rete con gli altri punti Leila in Italia e in Europa: «A livello europeo sono circa venticinque i progetti targati Leila, di cui due in Italia, il nostro e quello di Formigine, in provincia di Modena. Ma esistono anche altre realtà che, pur non avendo questo nome, portano avanti progetti molto simili basati sulla condivisione degli oggetti, come Zero Palermo o altre realtà a Milano, a Firenze a ad Alba».

Se volete sostenere questo splendido progetto potete farlo attraverso la campagna crowdfunding che è stata lanciata e che sarà attiva per il prossimo mese. Per chi volesse andare a visitare la nuova sede, l’orario di apertura è dalle 16 alle 19 il lunedì, mercoledì e venerdì, l’indirizzo è via Serra 2 g/h, Bologna.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/leila-biblioteca-degli-oggetti-condivisione-saperi/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Valorizzare le competenze per combattere la disoccupazione

Falegnameria, fablab, ecosartoria. Sono solo alcune delle proposte del CESP di Nuoro, un luogo di inclusione pensato per la formazione, l’apprendimento esperienziale e la valorizzazione delle competenze. Uno spazio di condivisione dove incontrarsi, scambiarsi saperi e trovare così anche nuove opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. La Sardegna è una terra piena di iniziative, che vanno oltre i sei mesi della stagione estiva. C’è tanta voglia di crescere e di creare opportunità. E questo ce lo conferma un’esperienza che va avanti dal 2013: il CESP (Centro Etico Sociale Pratosardo). Gestito dalla cooperativa Lariso e finanziato dal Comune di Nuoro e dall’Aspal, il CESP di Nuoro è un centro dagli spazi ampi (1200 metri quadri) dove vengono proposti percorsi formativi, laboratori, momenti di aggregazione, condivisione di conoscenze.

 «L’idea era quella di creare un luogo di inclusione e quindi di abbandonare l’idea dello ‘svantaggio’ per aprirsi ad un discorso basato sulle competenze», ci spiega Salvatore Sanna, referente del CESP. «Abbiamo strutturato questo spazio pensando che ogni persona ha diverse competenze su differenti livelli, ma porta comunque con sé il suo bagaglio di esperienza». 

Quando il centro è nato, nel 2013, era ancora all’inizio ma la direzione era già molto chiara: creare un luogo dove ci si potesse scambiare competenze e dove si potesse imparare a relazionarsi con gli altri, a stare in società. «Molto spesso si pensa che soltanto perché si ha un titolo di studio o un’esperienza lavorativa allora si è pronti per un lavoro; in realtà, ci vogliono anche quelle competenze trasversali che ci permettono di vivere e relazionarci con gli altri», racconta ancora Sanna.

L’ecosartoria del CESP

Passano gli anni e il CESP si arricchisce: da «spazio diventa luogo», in cui l’ecosostenibilità ha un ruolo strutturale. Nascono diverse sale, ognuna dedicata a qualcosa: la Cukina per i laboratori di cucina, lo Spazio Performance dedicata alla ciclomotricità e quindi a tutti quei corsi che prevedono una connessione fra il corpo e la mente (yoga e tai chi, ad esempio), la Sala Relax, la Falegnameria, l’Aula Informatica. Fra questi c’è un luogo importante, che è l’eco-sartoria, che ha esteso i propri confini anche al di fuori del CESP ed è riuscita a diventare una piccola azienda aprendo un microcredito: un gruppo di donne, infatti, hanno occupato questo spazio nel 2015 e hanno cominciato a lavorare come sarte, con grande attenzione all’ecosostenbilità e alla qualità dei loro prodotti. All’interno di un luogo così ampio e diversificato non poteva mancare l’Agorà. Il nome dice tutto: l’agorà è quello spazio dedicato all’incontro, che può essere di qualsiasi tipo, ma che produce inevitabilmente scambio e conoscenza. Ed è proprio grazie a questa apertura che il CESP è riuscito a calamitare l’interesse sia del settore pubblico che di quello privato.

Il FabLab del CESP

Da una parte, infatti, è finanziato dal Comune di Nuoro, grazie ad un bando, e dall’Aspal (Agenzia Sarda Politiche Attive del Lavoro). Dall’altra diversi privati si sono avvicinati proponendo corsi e nuove forme di scambio. Un esempio? Un’associazione che ha bisogno di uno spazio lo chiede al CESP e invece di pagare un affitto in soldi, lo paga restituendo un corso gratuito ai cittadini. Nel tempo, infatti, i laboratori e la formazione proposti dal CESP sono diventati sempre più corposi, proprio perché la voglia di collaborare è ricominciata e ha dato nuova spinta all’iniziativa di associazioni e singoli. 

«Questo è un luogo prezioso per la comunità», aggiunge Valeria Romagnoli, assessora per le Politiche sociali, giovanili, delle pari opportunità e politiche per la casa. Valeria rappresenta quella pubblica amministrazione che «ha deciso di scommettere sul progetto», facendolo diventare uno strumento attivo nel campo del lavoro. « Mantenendo questa filosofia delle competenze trasversali di vita, abbiamo voluto scommettere su questo progetto innovativo dando la possibilità di creare laboratori più corposi e che potessero dare accesso alla qualifica delle competenze, che restituissero ai partecipanti qualcosa di spendibile nel mondo del lavoro, sempre mantenendo attenzione all’inclusione sociale (per ogni corso c’erano quindi dei posti riservati alle persone con disabilità, ai soggetti svantaggiati, a disoccupati e inoccupati)». 

Non mero assistenzialismo, ma inclusione attiva, capace di valorizzare le competenze del singolo e dare quella spinta in più verso il mondo del lavoro. Una direzione «giusta»: ad esempio ai primi corsi attivati il CESP riceve 400 domande per soli 66 posti disponibili. Un segno che la voglia di fare c’è. Dal CESP, infatti, passano circa 1500 persone l’anno, ci lavorano 90 associazioni e ogni giorno ci sono almeno 6 ore impegnate in diversi corsi o laboratori.

Il laboratorio di ecodesign

«Questo ultimo anno questi percorsi formativi sono stati estesi al territorio: noi facciamo parte di un distretto di 20 comuni ed è stata data la possibilità anche agli altri comuni di poter iscrivere attraverso i loro servizi i cittadini per usufruire dei nostri corsi. L’idea è che questo centro diventi un luogo che possa dare risposte a tutto il territorio, non solo alla città di Nuoro», spiega ancora Valeria Romagnoli. E in effetti, oltre ad essere benvoluto dal territorio e dai cittadini, il CESP qualche soddisfazione concreta l’ha avuta: 3 persone su 8 hanno avuto la possibilità di continuare a lavorare, grazie ai corsi da loro proposti, oltre la stagione estiva. Qualcuno, dopo aver partecipato ai laboratori, ha capito la sua strada e ha deciso di ricominciare a studiare. Qualcun altro è diventato falegname e grazie ai contatti del CESP ha iniziato a lavorare nel campo. Ora, l’obiettivo è «capitalizzare questa esperienza, lavorare sulle tematiche importanti come ecosostenibilità e lavoro, rafforzare l’innovazione sociale e recuperare il senso di comunità anche attraverso lo scambio competenze». Nella speranza che la collaborazione fra pubblico e privato continui e che il CESP diventi una realtà solida per molti lunghi anni.

Intervista e realizzazione video: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/11/valorizzare-competenze-per-combattere-disoccupazione/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

L’isola di Capraunica: la felicità mette radici tra i monti

Un gruppo di artisti e professionisti ha deciso di rendere Caprauna – un’area bellissima dal punto di vista naturalistico, ma quasi del tutto spopolata – un posto nuovamente pieno di vita. È così che in questo borgo semiabbandonato tra i monti in provincia di Cuneo è nata L’Isola di Capraunica, un progetto di recupero e ripopolamento dell’area. Circa due anni fa, all’età di 38 anni e dopo 38 anni di attesa, decido finalmente di trasferirmi tra i monti liguri in un piccolo paesino a 700 metri di altezza. Qualche mese dopo acquisto da un mio pro-zio la seconda metà della casa in cui avevo deciso di vivere. La felicità che ho provato in quel momento è indescrivibile. Un sogno si realizzava. A quel punto si trattava di trovare altre persone con cui condividere un percorso in questi monti magnifici non lontani dal mare, dolci e selvatici ma allo stesso tempo un po’ isolati. Proprio quel giorno ricevo una mail da un gruppo di Milano che Cambia. C’è scritto “guardate che bello questo progetto!”. Io purtroppo ricevo centinaia di mail al giorno per cui all’inizio l’ho ignorata. Dopo pochi minuti alcuni miei amici che erano nello stesso gruppo cominciano ad inoltrarmi la stessa mail chiedendomi: “ma hai visto”?! “apri il link”. Ok, ora avevano la mia attenzione. Ci clicco sopra e… scopro che a sei minuti di auto da casa mia alcuni ragazzi di Milano stavano recuperando una borgata abbandonata con l’obiettivo di realizzare co-working analogici e digitali, festival di cinema e sulla felicità, approfondimenti sull’alimentazione vegana. Incredulo gli scrivo pensando che a volte la legge di attrazione non è poi così campata in aria, e poche ore dopo mi trovo nel salotto di un ex-rudere da poco ristrutturato a sorseggiare un tè con Luca e Vittoria che mi raccontano la loro storia.

Lui, eclettico imprenditore di se stesso, ha incontrato per caso questi luoghi e ha deciso di acquistare, con pochi spiccioli (davvero pochi!) due case. Lei, imprenditrice di se stessa, ha deciso di seguirlo. Diciotto mesi dopo, nel 2017, li intervisto. Nel frattempo hanno avuto una magnifica bambina di nome Blu, il loro maiale da compagnia – Sally – si è costruita la sua tana, le coltivazioni di rapa bianca – presidio slow food – stanno andando alla grande e molte altre case sono state acquistate o ricevute in dono dai vicini. Molte persone hanno vissuto qui in questi mesi. O fissi o di passaggio. Tra questi una coppia di francesi che ha deciso di rimanere per oltre un anno.

“L’obiettivo è ripopolare l’area attraverso varie azioni”. – Luca va diretto al punto, nonostante una certa tendenza a divagare – “Vogliamo creare un flusso di volontari e di persone interessate allo scambio e – nel tempo – ripopolare la borgata Ruora che al momento è quasi abbandonata”.

Ci troviamo nel comune di Caprauna, a mille metri di altezza sul mare (che si intravede all’orizzonte). “Il progetto è nato con l’acquisto di due case a un prezzo accessibile: ho venduto il camper e con quei soldi ho acquistato le case. Ho trovato un amico che ha comprato la casa con me e abbiamo iniziato questo percorso.  Tutte le case intorno a me erano abbandonate e subito l’attenzione si è posta su una casa da sistemare a un prezzo molto vantaggioso. L’abbiamo comprata e in mezzo c’erano altre case, che erano del pastore del paese che ce le ha regalate. Abbiamo poi avuto la possibilità di comprare quelle dietro di noi e alla fine ci siamo trovati proprietari di dieci immobili (da ristrutturare). Tutte queste case ci sono costate poco meno che un singolo box auto a Milano! Le abbiamo acquistate quasi per caso e per evitare che ci crollassero in testa… Ovviamente ora dobbiamo ristrutturarle”.

Contestualmente hanno scritto il progetto e ribattezzato questa borgata “L’isola di Capraunica”. “Isola per il Castell’Ermo (un monte di queste zone) che in alcune situazioni meteorologiche, con le nuvole che si formano a mille metri e ne mostrano solo la punta, sembra proprio un’isola”.1620962_307072212796631_5944150921749848388_n

Tra gli aspetti che mi colpirono di più del progetto fin dall’inizio c’è l’idea di realizzare dei co-working a mille metri di altezza. “Il coworking in generale si sta diffondendo in tutto il mondo. Mi sembrava ‘super’ posizionarlo  quassù. Lavori sapendo che bastano pochi passi e al di là della porta sei immerso nella natura. Abbiamo deciso di creare due coworking: uno classico, digitale, e uno analogico: uno spazio isolato dove sviluppare le proprie idee nella mente e magari disintossicarsi un po’ dalla tecnologia. Ci piacerebbe creare un luogo in cui le persone vengano per sviluppare un progetto, sapendo di trovare i servizi necessari per farlo. Tra gli obiettivi per il futuro c’è anche la creazione di un santuario per gli animali. Per ora è abitato solo da Sally, un maiale vietnamita di cento chili, ovviamente non lo mangiamo! Qui, infatti, pratichiamo una vita vegana. Non ci nutriamo di animali e derivati animali”.

Gli chiedo come sia stata l’accoglienza degli abitanti locali. “Siamo stati accolti bene dagli abitanti. Abbiamo avuto un approccio soft: ogni giorno abbiamo preparato una torta per un abitante.  Giorno dopo giorno e torta dopo torta siamo riusciti a farci accettare dai locali che ora ci guardano con meno diffidenza e interagiscono con noi in molti modi”.20883041_600367650133751_220584811257927217_n

Tra gli obiettivi di Luca e Vittoria, quello di costruire un luogo felice per se stessi e per i loro figli. “Abbiamo deciso di battezzare il nostro progetto L’isola di Capraunica per una rinascita felice. Quello della felicità è un tema che sento molto forte. Sono anni che giro il mondo intervistando le persone su questo concetto. Parlare di felicità è il primo passo per essere felici! Tornare nella natura è felicità, il verde è felicità, questo è un luogo di felicità dove cercare di elaborare progetti da proporre altrove. Ci piacerebbe realizzare anche un festival su questo tema”.

Gli obiettivi sono molteplici e molto ambiziosi, ma nonostante le difficoltà e qualche delusione l’entusiasmo di Luca e Vittoria non sembra essere intaccato. “Mi guida ogni giorno l’insegnamento di un pastore di questi luoghi – mi spiega Luca – mi ha detto ‘fai quel che puoi‘. Questo invito è diventato per me un mantra che mi tengo dentro quando sono in difficoltà. Se posso fare una cosa la devo fare!”.

In questi due anni i lavori che hanno messo in atto sono tanti, anche cose che non avevano mai fatto  come ad esempio coltivare la terra: “È una esperienza molto soddisfacente, piantare il seme e avere qualcosa da mangiare. È un percorso molto gratificante e ci permette di connettere questi luoghi alle grandi città. L’anno scorso abbiamo distribuito la nostra rapa bianca di Caprauna a degli chef stellati di Milano, che hanno fatto bellissimi piatti che verranno inseriti nel menù. Vogliamo attivare una campagna di ricerca fondi per acquistare il materiale di produzione che ci serve per produrre la rapa. ”.18033309_546070215563495_7036475265129056365_n

Oltre a coltivare la terra Luca e gli altri si sono messi a riparare le case in prima persona (tranne per i lavori strutturali ovviamente).  “Ci siamo messi a ricostruire muri e porte. È un lavoro fisicamente molto stancante, ma non lo trovo più stancante dei lavori immateriali. Per proseguire nello sviluppo del progetto abcoworking

biamo fatto partire un’altra campagna di raccolta fondi che sta andando bene; Antonio – un operatore del terzo settore  che ho conosciuto in Cambogia diversi anni fa e che ora che opera in mihammar e ci segue dal web – è stato il primo donatore, a riprova della forza della rete. Oltre 40 persone hanno seguito il suo esempio, anche se i soldi raccolti non pagano le spese ma sono solo una piccola parte, sono segnali che più persone credono in noi, non siamo soli !!! Chiediamo 5 € un piccolo contributo per chi aiuta, una grande duplice spinta in avanti per noi. Il contributo lo chiediamo perché siamo impegnati a tenere vive queste case ad uso collettivo per aiutare un piccolo borgo nella sua rinascita felice. Il nostro invito è semplice: venite a trovarci!”.

Per partecipare alla campagna di ricostruzione dei tetti clicca qui.

Intervista: Daniel Tarozzi
Montaggio: Paolo Cignini

Il sito del progetto L’Isola di Capraunica

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/11/io-faccio-cosi-187-isola-di-capraunica-felicita-mette-radici-monti/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Cosa succede se tre famiglie decidono di vivere insieme?

Tre coppie con figli hanno deciso di sperimentare la convivenza familiare. È nata così, nei pressi di Forlì, la Casa del Cuculo, oggi anche una cooperativa che porta avanti progetti virtuosi e produce artigianato culturale. Bambini, feste, incontri, progetti, orti, gruppi musicali, sogni terreni e sogni impossibili. Tutto questo è la Casa del Cuculo, un luogo nelle colline tra Meldola e Bertinoro, a venti minuti da Forlì. Decido di andarli a trovare e di raccontare la loro storia su Italia che Cambia, di cui faccio parte come Agente del Cambiamento. Incontro i ragazzi e le ragazze della Casa in una giornata umida e nebbiosa. In questo luogo rustico ma accogliente abitano al momento tre coppie e tre bambini. Marcello Di Camillo e Elena Salvucci che hanno due figli, Gianluca di 8 anni e Lara di 3. Sara Galeotti e Giulio Cantore con Greta di 2 e Roberto Cardinale e Valentina Cifarelli che aspettano un bambino (che nascerà pochi giorni dopo proprio in casa e che si chiama Remì).

È Roberto che mi accompagna ad esplorare l’abitazione e i dintorni. Mi racconta che non sono collegati alla rete idrica per cui hanno costruito dei canali e serbatoi di raccolta per utilizzare l’acqua piovana. Nello spazio adiacente c’è un forno autocostruito per la produzione di pane e pizza. Fanno parte della proprietà un ettaro di terra, in parte zona boschiva e in parte coltivabile (con le casette per le api) che stanno ri-progettando secondo l’approccio della permacultura.  In progetto c’è anche la realizzazione di una food forest per l’autoproduzione necessaria al gruppo. L’acquisto di una caldaia con accumulo ha permesso di ridurre la dipendenza dal costoso gpl e di scaldare sufficientemente la casa a legna. Entriamo nell’edificio principale che è composto da una grande sala da pranzo al piano terra, tre camere da letto e un laboratorio di liuteria (Giulio costruisce chitarre) al primo piano con annesso il bagno (uno per tutti!). La camera con soppalco di Sara e Giulio è accanto alla struttura più grande così come il salone con parquet per le attività d’insieme che potete vedere nel video.img_2203

Una volta conclusa la perlustrazione cerco di riassumere le vicende di questo posto con l’aiuto di Marcello, che ne è il fondatore. Compito non facile… scopro fin da subito che la Casa del Cuculo ha una lunga storia ed è sempre stata una scuola di convivenza. Dal 2002 Marcello ne è divenuto il proprietario. Essendo un pittore e animatore di iniziative sociali, la Casa subito è divenuta crocevia di persone ed eventi artistici. Marcello racconta che ogni tanto qualche persona di passaggio rimaneva misteriosamente risucchiata e restava ospite per mesi. Sara aggiunge che il suo matrimonio con Giulio che si è svolto in parte in questo luogo “scalcagnato” è stata un’esperienza magica per la presenza di tante persone care che hanno contribuito in modo poco convenzionale alla buona riuscita dell’evento. Nel 2011 si è costituita la cooperativa omonima che produce artigianato culturale, confezionando modelli unici di valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale della comunità. Fanno parte della cooperativa Marcello, Sara e Elena. Qualche esempio delle realizzazioni: nel 2016 “Visioni sedentarie, il mondo visto da una sedia”, un’opera d’arte pubblica che racconta un piccolo paese attraverso le sedie vuote; nel 2015 “Ecommunity Express”, un viaggio alla ricerca delle invenzioni nel lavoro di comunità in Emilia-Romagna; nel 2015 e 2016, sempre a Forlì, progettazione della Cittadella di pallet in occasione della Settimana del Buon Vivere. Scopro che un elemento comune di questa piccola comunità è la musica. Tutti sono appassionati e gran parte di loro suonano uno strumento e partecipano in gruppi musicali o hanno proprio progetti (come Giulio Cantore) e in genere si canta volentieri a Casa. D’altra parte si percepisce la diversità di ogni componente del gruppo e lo sforzo di incamminarsi in un tragitto comune.DSC_5071.jpg

L’altro progetto importante è scaturito nel 2011 dalla creatività di Valentina e Roberto. Si tratta dell’associazione Paradiso Ritrovato e del progetto “The HeART of Change”. L’associazione cerca, attraverso percorsi formativi, di costruire un nuovo paradigma educativo e la sperimentazione di stili di vita cooperativi e sostenibili. In questo contesto si sviluppa The HeART of Change, un corso di formazione inizialmente finanziato dal programma europeo Erasmus+ . Il corso si propone in modo originale di fornire strumenti concreti per facilitare l’orientamento dei giovani alla ricerca di una vocazione autentica. Un lavoro che parte dalla connessione interiore e si esprime in workshops esperienziali che si sono svolti per la prima volta in Italia nel 2016 proprio nella Casa. L’economia di gruppo per la gestione della quotidianità funziona da dieci anni semplicemente attraverso una cassa comune in cui confluiscono 50 euro a testa e che contribuisce a tutte le spese ordinarie, per i pranzi e le cene ci si organizza senza molte formalità o turni. La singolarità della loro esperienza sta proprio nel tentativo di costruire non solo la convivenza quotidiana ma anche la possibilità di lavorare insieme, collaborare e inserirsi in progetti di valore sociale.12002054_10153021039406401_3448073330097767211_n

In particolare mi ha colpito la proposta di insegnare come trovare la reale vocazione in un mondo così in cambiamento che centra non solo un bisogno dei giovani alla ricerca di un futuro possibile ma anche la necessità di adulti che non si riconoscono nei modelli lavorativi attuali e cominciano a guardarsi dentro per conoscere la propria strada. Va apprezzato lo sforzo, giorno per giorno, di adattare una struttura rustica alle esigenze di grandi e piccoli e divertendosi nel farlo. L’apertura alle visite e all’aiuto, all’organizzazione di corsi. Roberto mi dice che per lui il compromesso di vivere con altri è una precisa scelta di alzare la media matematica del tempo che trascorre con le persone che ama di più. Una scelta coerente.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/01/cosa-succede-tre-famiglie-decidono-vivere-insieme/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Stilisti e imprenditori si allenano sulla carta

Con il riciclo si supera anche la mancanza di risorse. Carte di caramelle al posto dei bottoni, pieghe della maglia con le bustine di tè, per gonna pagine di giornale spiegazzate. E gli accessori? Una collana di capsule di caffè. I 250 studenti dell’indirizzo moda dell’Istituto tecnico e professionale Zerboni, studentesse in maggioranza, hanno realizzato una ventina di abiti fashion, perfettamente indossabili, con carta di recupero – da La Stampa del 06.11.2014380891

Fabrizio Assandri

Carte di caramelle al posto dei bottoni, pieghe della maglia con le bustine di tè, per gonna pagine di giornale spiegazzate. E gli accessori? Una collana di capsule di caffè. I 250 studenti dell’indirizzo moda dell’Istituto tecnico e professionale Zerboni, studentesse in maggioranza, hanno realizzato una ventina di abiti fashion, perfettamente indossabili, con carta di recupero. La collezione «Pret a papier» è frutto del progetto avviato l’anno scorso con la cooperativa Arcobaleno, che gestisce la raccolta differenziata della cellulosa col progetto Cartesio, con sede nei pressi della scuola di via Paolo della Cella. L’iniziativa ha permesso agli studenti di sviluppare competenze pratiche, disegnare e realizzare vestiti, creando un proprio portfolio. «Il corso moda uscito dalla riforma – dice il preside Livio Gentile – è centrato sulla teoria. Abbiamo inserito quest’attività per certificare altre competenze. Le nostre ragazze devono uscire di qua potendo dire: so fare qualcosa, posso lavorare». La scuola ha optato per una «curvatura» di laboratorio e fin dalla prima ci sono ore di pratica che non erano previste.

Il coworking

Con gli stessi obiettivi è nato quest’anno un progetto di alternanza scuola-lavoro. Gli studenti costruiranno da zero una vera impresa, non una simulazione. Un coworking di sartoria dove “lavoreranno”: una bottega artigianale in centro dove disegneranno e realizzeranno abiti sportivi in vendita per clienti reali. Una serie di stilisti terranno lezioni in classe. «Stiamo cercando dei finanziamenti, ma il progetto è iniziato a settembre. I ragazzi non saranno stipendiati, eventuali profitti andranno alla didattica». Le classi III e IV saranno impegnate nel coworking, le II sugli abiti di carta, le I sui gioielli «di recupero». «Siamo partiti quasi per gioco con le palline di Natale in feltro, prima di incontrare Arcobaleno», spiega la professoressa Patrizia Murro. È più facile lavorare la carta rispetto alla stoffa. «Ti perdona l’errore, perché non costa, inoltre non si danno i punti “di sorgettatura”, tipo di cucitura complessa». I ragazzi, inoltre, hanno riflettuto sul riciclo, ma anche sulla nuova vita di alcuni dipendenti svantaggiati, disabili o ex tossicodipendenti, della coop.
Fantasia
Il resto è il frutto della loro fantasia. «Il mio è un abito lungo, con corpetto a v, una gonna con le pieghe, tutto di vecchi giornali. Prima di questo progetto non avevo fatto nulla di pratico». «Il mio, con le piramidi 3D che spuntano, è alla Lady Gaga» dice Giulia Lucà. Grandi aspettative per il coworking: gli studenti staranno un giorno a settimana nel laboratorio di una cooperativa legata al Gruppo Abele, che avrà dai ragazzi nuovo impulso in un periodo difficile.
Tante idee

Gli studenti verificheranno impianti e macchine, studieranno i materiali, realizzeranno le matrici per gli abiti. Trattandosi di abiti sportivi – veri e non di carta – in classe studieranno storia dello sport e casi imprenditoriali di brand famosi. La linea verrà presentata a giugno. Le idee già ci sono, ma le creative studentesse non vogliono ancora svelare troppi dettagli. «Avremo un target giovane – dice Alessia Attanasio – farò abiti che io per prima indosserei. Penso, per esempio, a una maglia da tennis con polsini staccabili». Le ragazze hanno anche fatto da modelle per i propri abiti di carta a Cinemambiente. La collezione, che ha due sezioni, vestiti di carta e da leggere, è stata esposta alla biblioteca centrale e alla Bela Rosin. La collezione, che ha due sezioni, Abiti così belli che vanno letteralmente a ruba. «Al termine di una mostra, uno era sparito».

 

Fonte: ecodallecitta.it