L’acqua costa sempre di più

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Secondo l’Osservatorio Prezzi e mercati di Unioncamere, nel corso del 2015 le tariffe idriche sono aumentate dell’8,5% rispetto al 2014, un aumento quattro volte e mezzo superiore a quello dei prezzi dei servizi gestiti dagli enti locali (1,8%) e sei volte superiore a quello delle tariffe a controllo nazionale. L’aumento delle tariffe idriche fa da traino all’aumento del paniere dei servizi nonostante sia in atto una fase di deflazione: soltanto i servizi postali (+12%) hanno subito un aumento maggiore, mentre ad andare controcorrente sono le tariffe per lo smaltimento dei rifiuti che nel 2015 sono scese del 2,9%. Nel settore energetico i costi dell’elettricità e del gas sono diminuiti del 2,5% nel 2015.

Fonte:  Ansa

 

Incredibile, l’Economist parla del petrolio come dell’energia del passato

Per l’Economist è prossimo il picco della domanda di greggio; cattive notizie per i produttori buone per tutti gli altriPetrolio-combustibile-del-passato-586x376

Sembra quasi incredibile, ma per l’Economist il petrolio non è più al centro del mondo. In un articolo redazionale intitolato Il combustibile di ieri, il settimanale economico inglese sostiene che “la sete per il petrolio potrebbe avvicinarsi al picco; cattive notizie per i produttori, buone per tutti gli altri”. Il pezzo è corredato dall’immagine di un T-rex che tiene in mano un erogatore di benzina. Come fa notare ironicamente Kjell Aleklett sul blog di ASPO, il settimanale ha fatto una bel pezzo di strada da quando sosteneva che saremmo affogati nel petrolio. L’Economist ritiene non realistica la previsione dell’IEA di una domanda a 104 milioni di barili al giorno nel 2030 (ora siamo a 89 milioni) e ritiene che la domanda sia prossima al picco grazie alle energie rinnovabili, al miglioramento dell’efficienza energetica, al maggiore futuro costo delle emissioni di carbonio. Gli economisti naturalmente si guardano bene dal sottoscrivere quella che ancora considerano un’eresia, cioè la teoria di Hubbert secondo cui è l’offerta (e non la domanda) a presentare un picco. L’attuale boom del tight oil viene citato come una smentita della teoria del picco, mentre è esattamente l’opposto: le compagnie petrolifere si dedicano al fracking costoso e devastante proprio perché la produzione di petrolio convenzionale è in declino dal 2005. Il calo nell’offerta e nella domanda dei combustibili fossili ridimensionerà le ambizioni di Exxon e soci, ma anche di Putin e dei Sauditi, ma questo non significa che si ridurrà il rischio di conflitti,

fonte: ecoblog

 

India: Novartis perde battaglia per brevetto su farmaco anticancro

Non si tratta di una nuova cura per il cancro, ma della rielaborazione di un prodotto già esistente. Con questa motivazione, la Corte suprema indiana ha respinto, dopo sette anni di battaglia legale, la domanda di brevetto presentata dalla casa farmaceutica Novartis per il prodotto noto come Glivec. A vantaggio dei produttori indiani di farmaci equivalenti, ma anche di chi, in India e non solo, potrà accedere alla terapia a un prezzo molto più basso di quello previsto dal colosso svizzero.

Non è la prima sentenza della Corte suprema indiana in questa direzione e probabilmente non sarà l’ultima: a meno di un mese dalla sconfitta della tedesca Bayer – che si è vista rifiutare il brevetto per un farmaco anticancro a inizio marzo – anche la casa farmaceutica svizzera Novartis vede respinta la richiesta – presentata nel 2006 – di brevettare in India una cura per la leucemia, il Glivec. Alla base della decisione, la non originalità del farmaco, che rappresenterebbe un’evoluzione di un trattamento precedente. La legge indiana, infatti, prevede che le case farmaceutiche possano ottenere brevetti solo per nuove invenzioni, non per modifiche a farmaci già esistenti. In questo modo, New Delhi tenta di limitare la tendenza delle grandi aziende del settore a monopolizzare il mercato, ma anche di fare spazio alle aziende indiane che producono farmaci generici equivalenti a quelli delle controparti europee e li commercializzano a prezzi più contenuti. Se, infatti, la dose mensile del Glivec viene venduta a circa 2.500 dollari, il costo del farmaco generico non supera i 200; allo stesso modo, il farmaco anticancro della Bayer, oggetto di una sentenza analoga all’inizio di marzo, arriva sul mercato a 5.600 dollari (per 120 compresse), contro i 175 dollari della versione low cost. Pronta la reazione dell’azienda svizzera, che, alla notizia della sentenza, ha respinto l’accusa di precludere l’accesso alle cure da parte delle fasce più povere della popolazione: Novartis rivendica di aver garantito, attraverso i suoi programmi di donazione, la fornitura gratuita al 95% dei pazienti indiani e un rimborso, almeno parziale, al restante 5% dei pazienti, per un valore complessivo di oltre 1,7 miliardi di dollari.

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Piuttosto, secondo la casa farmaceutica, sarà lo stop della Corte a danneggiare i pazienti, perché “la carenza, da parte dell’India, di tutele dei diritti di proprietà intellettuale” scoraggerà la ricerca e l’innovazione e quindi “i progressi medici nelle patologie per le quali non sono ancora disponibili opzioni terapeutiche efficaci”. Di diverso avviso Medici senza frontiere, che parla di sentenza storica in difesa dell’accesso a farmaci a basso costo: secondo l’organizzazione umanitaria, nonostante i ripetuti attacchi, la legge dei brevetti indiana continua a proteggere la salute pubblica respingendo “le domande di brevetto prive di un reale fondamento” e ostacolando la tendenza delle aziende farmaceutiche a “far perdurare all’infinito i propri monopoli”. Ma la sentenza non ha valore solo per l’India: il problema dei prezzi troppi elevati non si supera semplicemente assicurando l’accesso alle cure alla maggior parte degli indiani. Basti pensare – ricorda MSF – che una serie di organizzazioni, come l’Unicef, si affidano proprio ai farmaci generici provenienti dall’India, ma anche dal Brasile, per somministrare cure a pazienti nei paesi più poveri. E rispetto all’eventualità, ventilata dalla Novartis, che la decisione del tribunale indiano freni l’innovazione, Medici senza frontiere spinge l’impostazione del problema: è vero che l’innovazione va finanziata, ma a non a spese dei pazienti “attraverso i prezzi elevati dei farmaci coperti da brevetti monopolistici”: “l’industria farmaceutica dovrebbe concentrarsi sulla vera innovazione, e i governi dovrebbero sviluppare delle regole che consentano lo sviluppo di farmaci resi subito disponibili a prezzi accessibili”.

Fonte: il cambiamento

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Gli italiani risparmiano l’acqua del rubinetto per sfiducia e preferiscono l’acqua in bottiglia

Gli italiani consumano meno acqua potabile ma acquistano tantissima acqua in bottiglia perché non si fidano di quella che scorre dal rubinetto di casa.

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Gli italiani hanno imparato a risparmiare l’acqua e lo dice l’Istat nel suo ultimo rapporto Noi Italia 100 statistiche per capire il Paese. Il dato curioso però è che a fronte di un calo del 3,7% dell’uso di acqua potabile nel 2011 corrisponde una spesa pro capite per l’acquisto di acqua in bottiglia di 19 euro al mese. Secondo Ivano Giovannelli presidente dell’Associazione Codici consultato da mareeonline:

La riduzione del consumo è prevalentemente legata al costo dell’acqua. Ci sono poi situazioni particolari in cui la paura incide in maniera importante. Mi sembra chiaro che la riduzione è riferita ai limiti imposti.
Poi però dopo aver risparmiato l’acqua del rubinetto acquistiamo acqua in bottiglia e l’impatto ambientale è devastante come rileva Legambiente nel suo dossier Il business dell’acqua in bottiglia:

Nel 2011 i consumi di acqua sono aumentati rispetto all’anno precedente, passando da 186 a 188 litri per abitante ALL’ANNO, numeri che confermano il primato europeo del nostro paese per i consumi di acque minerali: dei 12,350 miliardi di litri imbottigliati nel solo 2011, oltre 11,320 miliardi sono stati consumati dentro i confini nazionali. Senza dimenticare che ancora oggi solo un terzo delle bottiglie viene avviato correttamente al riciclo, mentre la gran parte continua a finire in discarica o ad essere dispersa nell’ambiente e che per l’85% dei carichi si continua a preferire il trasporto su gomma. Questo vuol dire che una bottiglia d’acqua che proviene dalle Alpi percorre oltre 1000 km per arrivare in Puglia, con consumi di carburante e emissioni di sostanze inquinanti conseguenti. Cifre che potrebbero aumentare visto che l’affare delle acque in bottiglia continua ad essere molto vantaggioso per le società che lo gestiscono. Infatti, i canoni richiesti dalle Regioni per le concessioni sono, in molti casi, risibili, come nel caso della Liguria che chiede solo 5 euro per ciascun ettaro dato in concessione, senza prendere in considerazione i volumi emunti o imbottigliati, e incassando appena 3.300 euro all’anno per le 5 concessioni attive sul territorio.

Peraltro le concessioni per l’uso di acque da imbottigliare è ancora al centro di un sostenuto dibattito da associazioni ambientaliste e produttori. Di fondo oltre alle preferenze di gusto degli italiani c’è quel sentimento di sfiducia verso la pubblica amministrazione e la gestione delle acque pubbliche che fa temere che non vi siano sufficienti e pertinenti controlli a stabilirne la salubrità e la sicurezza. E male hanno fatto, ad esempio le gestioni relative all’acqua all’arsenico in Lazio che hanno certamente peggiorato il danno di immagine dell’acqua di rubinetto.

Fonte: ecoblog

 

NICHOLAS STERN: GLOBAL WARMING, MI SONO SBAGLIATO

……. è molto, molto peggio

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Nel 2006 Sir Nicholas Stern, economista ambientale alla London School of Economics, presentò un ormai celebre rapporto sui cambiamenti climatici commissionato dal governo britannico. La conclusione del rapporto non lasciava adito a dubbi: i benefici di un’azione energica e immediata per limitare e mitigare il global warming superano di gran lunga il costo economico del non agire. Le raccomandazioni di Stern non furono prese in considerazione dall’allora governo Blair-Brown e men che meno oggi dal governo “ultrafossile” di Cameron. In margine ai lavori del Word Economic Forum di Davos, Stern ritorna sull’argomento con polemica e rammarico. Riconosce di avere sottostimato i rischi posti dal global warming e di non essere stato abbastanza netto nel delineare la minaccia posta dal clima: oceani ed ecosistemi assorbono meno carbonio del previsto e le emissioni aumentano, per cui stiamo viaggiando abbastanza spediti verso i 4-5 °C di aumento a fine secolo. Vogliamo giocare alla roulette russa con uno o due proiettili? Si chiede Stern. Alcuni stati, tra cui la Cina, hanno iniziato a comprendere la serietà dei rischi, ma i governi devono agire con forza per spostare le economie verso tecnologie a minore intensità energetica e più sostenibili per l’ambiente. Gli ha fatto eco il neo-presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim affermando che combattere i cambiamenti climatici sarà una priorità del suo mandato, visto che in un mondo con quattro gradi in più ci saranno terribili conflitti per l’uso delle risorse naturali. Occorre creare eliminare i sussidi all’industria fossile e rendere “verdi” le 100 mega-città del pianeta, che sono responsabili del 60-70% delle emissioni. Secondo Kim “occorre trovare strade amichevoli per il clima (climate-friendly) per incoraggiare la crescita economica. La buona notizia è che queste strade esistono”.

Cambierà qualcosa nel mondo degli affari e degli economisti?

Fonte: ecoblog