E se l’energia da vento e sole arrivasse a costare meno di petrolio e carbone?

A preannunciarlo è il rapporto Renewable Power Generation Costs in 2017 dell’International Renewable Energy Association: entro il 2020 con ogni probabilità si potrebbe avere energia elettrica da sole e vento a un costo pari o inferiore a carbone e petrolio.

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Dal 2010 il costo di generazione elettrica dall’eolico onshore è sceso di circa il 23% e quello del solare fotovoltaico del 73%. È quanto emerge dal rapporto Renewable Power Generation Costs in 2017 di Irena (International Renewable Energy Association), secondo cui i costi del solare dovrebbero scendere ulteriormente entro il 2020.
Quindi, se le previsioni saranno rispettate, i progetti eolici e solari più avanzati potrebbero fornire elettricità, nel giro di tre anni, a un prezzo pari o addirittura inferiore (nei due anni successivi) a 3 centesimi di dollaro per kwh. Un costo questo che sarebbe inferiore a quello con cui si produce oggi energia dalle fonti fossili (5-17 centesimi di dollaro per kWh). Dai dati provenienti dai progetti e dalle aste, sempre entro il 2020, tutte le tecnologie per la produzione di energie rinnovabili attualmente commercializzate concorreranno, e persino batteranno sul prezzo, i combustibili fossili, con una produzione compresa tra i 3 e i 10 centesimi di dollaro/kWh. L’energia eolica è già disponibile al prezzo di qualsiasi altra fonte: i costi medi ponderati globali negli ultimi 12 mesi ammontano a 6 centesimi di dollaro (-23% dal 2010) e l’energia eolica è oggi disponibile anche a 4 centesimi per kWh. Per il solare si è invece nell’ordine di 10 cent. Un calo percentuale ancora maggiore l’ha fatto registrare il fotovoltaico diminuito del 73% dal 2010 a un Lcoe (costo di produzione costante dell’energia sull’intera vita operativa dell’impianto) di 10 centesimi di dollaro/kWh, con una previsione di un’ulteriore riduzione entro il 2020.

“Questa nuova dinamica segna un significativo cambiamento nel paradigma energetico”, ha dichiarato Adnan Z. Amin, direttore generale di Irena. “Il declino dei costi grazie alla tecnologia sono senza precedenti e dimostrano il grado con cui le rinnovabili stanno cambiando il sistema energetico globale”.

Ma la riduzione nei costi per la produzione di energia da sole e vento non basta: servono investimenti, ricerca e sviluppo. A sostenerlo sono studiosi ed economisti del settore energetico in tutto il mondo, preoccupati dal rallentamento osservato nell’implementazione di sistemi di produzione energetica verdi. Come riportato da Bloomberg, le compagnie del settore dell’energia solare spendono solo l’uno per cento dei loro introiti nella ricerca, affossando così le possibilità di crescita del mercato. Nel suo libro, “Taming the Sun. Innovations to Harness Solar Energy and Power the Planet”, Varun Sivaram invita i governi a farsi carico della ricerca per dare impulso al mercato.

Fonte: ilcambiamento.it

 

Chi inquina, paga? I danni sanitari e ambientali delle attività economiche in Italia: quanto costa l’inquinamento alla collettività (e chi lo paga)

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Il documento redatto dall’Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica lascia intravedere la possibilità che si può rilanciare “l’economia con l’attuazione dell’Accordo di Parigi sul clima e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite” .

Nel nuovo documento dell’Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica Chi inquina, paga? i costi esterni ambientali generati da ciascun settore dell’economia nazionale sono confrontati con l’ammontare complessivo delle imposte ambientali pagate dal settore (accise sui prodotti energetici, imposte sui veicoli, tasse sul rumore e altre imposte su inquinamento e risorse naturali) e, a seguire, anche con l’ammontare delle agevolazioni fiscali e di altri sussidi dannosi per l’ambiente che vanno a beneficio dello stesso settore, allo scopo di formulare un’ipotesi complessiva di riforma della fiscalità ambientale.388824_2

Una riforma che potrebbe essere completata dall’introduzione graduale di imposte speciali su specifici inquinanti e sull’estrazione di risorse naturali scarse, opportunamente calcolate con un’attività sistematica e regolamentata di misura dei costi esterni sanitari e ambientali associati a tali fattori d’impatto. Questa nuova prospettiva potrebbe agevolare l’attesa riduzione delle tasse sul reddito del fattore lavoro, migliorando l’equità e la trasparenza del sistema fiscale nazionale. Rappresenta, dopo il Catalogo dei sussidi dannosi per l’ambiente, un ulteriore passo verso una proposta per una fiscalità più ecologica per l’Italia. Accise sui prodotti energetici, imposte sui veicoli, tasse sul rumore o su inquinamento e risorse naturali: le tasse ambientali pagate dai residenti in Italia hanno assicurato, nel 2013, un gettito di 53,1 miliardi di euro. Ma è possibile quantificare anche i costi ambientali sopportati dalla collettività, cioè i danni per l’inquinamento prodotto da famiglie e imprese?388824_3

Un primo conto – limitato per il momento alle sole emissioni in atmosfera e al rumore dei trasporti – ha visto le famiglie produrre, nel 2013, danni sanitari e ambientali per 16,6 miliardi, seguite dall’industria (13,9 miliardi) e dall’agricoltura (10,9). Esiste però un forte squilibrio tra chi inquina e chi paga: nel 2013 le famiglie hanno pagato il 70% in più rispetto ai danni creati, le imprese il 26% in meno. Il record degli sconti, 93%, va all’agricoltura. Ci sono margini per una riforma della fiscalità ambientale all’insegna di maggiore equità e trasparenza? Il dossier propone un nuovo approccio per applicare meglio il principio Chi inquina paga, tenendo conto non solo delle tasse ambientali ma anche dei sussidi dannosi per l’ambiente.

Se accompagnata dalla parallela riduzione dell’imposizione fiscale sui redditi da lavoro, – si legge tra le osservazioni fatte dall’ufficio Valutazione del Senato – la riforma della fiscalità ambientale potrebbe avvenire senza incidere sulla pressione fiscale complessiva. Inoltre, essa consentirebbe di finanziare anche un piano di interventi green (infrastrutturali e di sostegno alla green economy) che coniughi gli obiettivi di rilancio dell’economia con l’attuazione dell’Accordo di Parigi sul clima e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.”

Ai seguenti link il Focus e il Dossier realizzato dall’Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica

 

Fonte: Senato della Repubblica e Arpa Piemonte

Analisi dei costi e modelli della raccolta differenziata multimateriale in Italia in uno studio promosso da Utilitalia e Bain

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Realizzato da BAIN per conto di UTILITALIA, l’analisi entra nel merito della presenza e dei costi delle raccolte congiunte delle diverse frazioni di rifiuto da imballaggio (carta e cartone, vetro, plastica e metalli) combinate fra di loro con diverse modalità

Come è meglio raccogliere il vetro, la plastica, la carta, il metallo e le frazioni umide dei nostri rifiuti? Come cambia il costo del servizio di raccolta se basato su un unico cassonetto stradale, o anche sulle campane per il vetro e sui cassonetti per la carta o il ferro? È più utile la raccolta monomateriale, che segmenta ogni tipologia di rifiuto o quella multimateriale che accorpa nello stesso cassonetto vetro-plastica-metalli oppure carta-vetro-plastica-metalli? Quale è la scelta migliore perché un Comune raggiunga gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dalla legge?
La scelta degli enti locali e il lavoro delle aziende di igiene urbana può presentare scenari totalmente differenti, che vengono studiati da alcuni anni e lo scenario è tracciato dai risultati dello studio ‘Analisi Costi Raccolta Differenziata Multimateriale’, promosso da Utilitalia – la federazione delle imprese dei servizi ambientali, idrici ed energetici – e realizzato da Bain, su un campione molto rappresentativo del Paese, pari al 24% della popolazione italiana.
Dopo l’analisi che nel 2013 Utilitalia e Bain hanno presentato sui costi della Raccolta Monomateriale dei rifiuti da imballaggi e quella del 2015 sulla Raccolta Differenziata della frazione organica (con un’appendice sulla raccolta indifferenziata) nel 2017 è la volta di uno studio sui diversi costi sostenuti dalle imprese sulla base delle diverse combinazioni e modalità di raccolta (stradale e/o domiciliare).
La fotografia scattata dalla ricerca presentata a Roma offre alcuni dati su composizione, modelli, sistemi e analisi dei costi della raccolta differenziata, facendo anche una comparazione tra ritiro ‘stradale’ e domiciliare. Le imprese che utilizzano almeno una modalità di raccolta multimateriale sono il 94%. I modelli di raccolta sono principalmente cinque, divisi in ‘leggero’ (plastica-metalli e carta-plasticametalli) e ‘pesante’ (vetro-metalli, vetro-plastica-metalli, carta-vetro-plastica-metalli). Il modello ‘leggero’ incide per il 47%, quello ‘pesante’ per il 53%. In tutti e cinque i modelli è presente la raccolta di metalli. Quelli più diffusi sono: plastica-metalli (42%), vetro-plastica-metalli (25%), vetro-metalli (23%). Guardando alla categoria di rifiuto, per il vetro il modello più diffuso è quello ‘vetro-metalli’ (23%), per la plastica è ‘plastica-metalli’ (62%), per i metalli è ‘plastica-metalli (36%).
Il ‘porta a porta’ vince, sia pur di poco, con il 51% sulla raccolta stradale (49%). Nello specifico, quando il modello è il multimateriale ‘leggero’ prevale il ‘porta a porta’ con il 56%; quando invece il modello è ‘pesante’ la raccolta stradale arriva al 60%. Oltre il 30% dei rifiuti della differenziata – spiega il documento – sono raccolti con modalità multimateriale: circa 1,9 milioni di tonnellate all’anno (6% della produzione totale di rifiuti urbani) su un totale di oltre 6,3 milioni di tonnellate.
Sono oltre 119 mila le tonnellate di carta e cartone (pari al 4% del totale) raccolte; più di 839 mila quelle di vetro (48%); quasi 819 mila di plastica (70%); oltre 132 mila di metalli (51% del totale). La percentuale sale al 56% escludendo dal computo carta e cartone. Perciò considerando soltanto plastica, vetro e metalli sono quasi 1,8 milioni le tonnellate raccolte con modalità multimateriale su un totale di quasi 3,2 milioni di tonnellate.
“Non c’è un unico modo di fare le cose – osserva il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – ci sono delle variabili che cambiano in base alle caratteristiche del territorio, della popolazione, della stagionalità. Le aziende, in generale, sono attente a tutti i modelli che si stanno sviluppando perché soltanto da un’analisi comparata di dati effettivi, riscontrabili e statisticamente rappresentativi, si riescono a fare scelte di efficienza industriale e di riduzione dei costi di gestione”.
Il costo di raccolta del multimateriale in Italia è pari a 185 euro a tonnellata. In generale per la raccolta multimateriale il ‘porta a porta’ costa di più con una differenza che oscilla tra il 30 e il 40%. Costi maggiori che vengono riassorbiti però dal trattamento industriale successivo, che è naturalmente più basso quando concentrato su un’unica tipologia.
Guardando invece alla comparazione dei costi, emerge mediamente una maggiore convenienza della raccolta con il sistema multimateriale rispetto a quello monomateriale. La ricerca rileva anche come, a fronte di una maggiore efficienza, i valori di intercettazione della differenziata pro-capite siano mediamente più bassi.

Fonte: ecodallecitta.it

Energie rinnovabili: aumentano gli investimenti e diminuiscono i costi

Aumentano gli investimenti nelle energie rinnovabili e diminuiscono i costi di produzione. Eolico e fotovoltaico, inoltre, già oggi sono competitivi con gas e carbone e lo saranno in misura sempre maggiore nei prossimi anni. Diminuiscono gli investimenti nel settore energetico nel mondo, ma aumentano quelli nelle energie rinnovabili, nelle reti elettriche e nell’efficienza energetica. È il punto centrale del World Energy Investment del 2016, il nuovo rapporto annuale dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, che indica un nuovo ri-orientamento in atto negli investimenti del settore energetico. Il Wei 2016 mette in evidenza come “nel 2015, gli investimenti totali nel settore energetico hanno raggiunto gli 1,8 trilioni di dollari, in calo dell’8% rispetto ai 2,0 trilioni di dollari nel 2014. Il sistema energetico sta subendo un ampio ri-orientamento verso l’energia low-carbon e l’efficienza, ma gli investimenti nelle principali tecnologie energetiche pulite devono essere ulteriormente estesi per mettere l’economia mondiale sulla strada della stabilizzazione climatica”.renewable_energy_enecyclopaedia_284

“Mentre la spesa per la renewable power capacity è stata piatta tra il 2011 e il 2015” sottolinea il rapporto “la produzione di elettricità dalla nuova capacità è aumentata di un terzo, riflettendo il rapido calo dei costi calo dei costi per le turbine eoliche e il solare fotovoltaico”. Gli investimenti totali nelle energie rinnovabili a livello mondiale ammontano ora a 313 miliardi di dollari, quasi il 20% della spesa totale in energia del 2015; le energie rinnovabili rappresentano così ora la più grande fonte di investimento energetico. Il più grande investitore mondiale del mondo nel settore dell’energia si conferma la Cina, con una spesa di 315 miliardi di dollari dovuta soprattutto all’impegno nella costruzione di centrali low-carbon e reti elettriche, ma anche all’attuazione di politiche per l’efficienza energetica. Crescono anche gli investimenti nell’efficienza energetica, che nel 2015 hanno segnato una crescita record del 6% annuo, incentivati anche da nuove politiche governative come gli standard minimi che riguardano una quota crescente di nuovi edifici, elettrodomestici e veicoli a motore.renewable-oil_10413

Secondo uno studio effettuato da Carbon Tracker, inoltre, “eolico e fotovoltaico già oggi sono competitivi con gas e carbone e lo saranno in misura sempre maggiore nei prossimi anni”. Lo studio sostiene che “le centrali elettriche a fossili costruite ora abbiano fattori di carico minori di quelli storici e una durata di vita utile più corta”, perché in un mondo che va verso la “decarbonizzazione” e in cui cresce la produzione da rinnovabili, le centrali a fonti fossili lavorano e lavoreranno sempre di meno e una loro futura estensione sarebbe improbabile. In linea generale, dai due studi, sta a noi vedere la misura del bicchiere: è ormai un dato di fatto che il futuro è sempre più all’insegna delle energie rinnovabili che di quelle fossili e questo per motivi che vanno anche oltre i due studi analizzati nell’articolo. Allo stesso tempo sembra ancora lungo il percorso per una produzione energetica sempre più sotto l’insegna delle rinnovabili. La strada è già segnata e speriamo di continuare a percorrerla, nel migliore dei modi. Ognuno di noi, con le proprie scelte, può contribuire a modificare il mercato dell’energia elettrica spostando la produzione verso le tecnologie rinnovabili e a basso impatto ambientale. In che modo? Informandosi e passando all’azione, scegliendo adesso di usare energia pulita.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/10/energie-rinnovabili-investimenti-diminuiscono-costi/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=general

Collegato agricoltura: sfalci e potature non saranno più rifiuti

Approvato a larghissima maggioranza da Senato il Collegato Agricoltura. Nel testo confermata la norma che mette sfalci e potature fuori dalla disciplina rifiuti. Bernocchi: “Crollerà la differenziata e aumenteranno i costi per i cittadini”1

Il Senato ha approvato il 6 luglio, in via definitiva il Collegato Agricoltura. Secondo il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina siamo di fronte ad un “provvedimento fondamentale che arriva alla fine di un lungo e approfondito lavoro in Parlamento. Come Governo raccogliamo la sfida di innovare e sviluppare un settore cardine per l’economia italiana. Le parole d’ordine sono semplificazione, tutela del reddito, ricambio generazionale e organizzazione”.

Il collegato, una specie di Milleproroghe agricolo, contiene al suo interno non solo norme strettamente inerenti al settore dell’agricoltura. Infatti c’è una norma in particolare che porta sfalci e le potature al di fuori dell’ambito dei rifiuti urbani.

Perplessità su questa nuova norma giungono da un po tutto il mondo dei rifiuti, si veda la nostra intervista a Marco Avondretto responsabile area rifiuti di Acea Pinerolese e la lettera aperta del Presidente del Cic Alessandro Canovai al presidente dell’Anci.

Abbiamo chiesto al Delegato Energia e Rifiuti diell’ANCI Filippo Bernocchi un commento sull’approvazione in via definitiva del “Collegato agricolo”, all’interno del quale una norma prevede che sfalci e potature urbane escono dal regime dei rifiuti.

In pratica non verrebbero più conteggiati nella raccolta differenziata e, di conseguenza non sussiste più l’obbligo di raccolta da parte dei comuni, con una probabile ricaduta sugli investimenti e sull’occupazione all’interno del settore del recupero dei rifiuti organici delle raccolte differenziate. Inoltre va ricordato che, gli sfalci e potature, vengono considerati rifiuti organici, e quest’ultimi costituiscono mediamente circa il 40% dei rifiuti.

Un Filippo Bernocchi, molto amareggiato, ha detto: “Da anni hanno tentato di far passare questa norma, prima con il Ddl Concorrenza e addirittura nel Ddl Madia (la riforma della Pubblica Amministrazione, nda), e poi finalmente approvato quasi all’unanimità dal Senato nel Collegato AgricolturaQuesta nuova norma porta solo svantaggi e complicazioni al sistema di gestione dei rifiuti. Si spera che il legislatore riesca a porre rimedio altrimenti lo farà la l’Europa in quanto una legge europea individua gli sfalci e le potature come rifiuti (Direttiva Europea 98/2008 sui rifiuti). Il primo risultato di questa norma sarà il crollo generalizzato della raccolta differenziata, vanificando tutti gli sforzi e i sacrifici fatti dai comuni e dall’Anci negli ultimi anni.

La seconda ricaduta diretta è quella sui cittadini. Cosa farà degli sfalci e delle potature del suo giardino?Ovviamente non può bruciarli. Non essendo più un rifiuto non potrà inserirli nei sistemi comunali per la gestione differenziata dei rifiuti. E quindi? Nonostante paghi la Tari (che sicuramente non diminuirà con questa norma) sarà costretto a chiamare un ditta per smaltirli, con la diretta conseguenza di maggiori costi. Altrimenti dovrà abbandonarli di nascosto chissà dove.

L’Anci è da molto tempo che ha chiesto di essere ascoltata in merito a questa nuova norma, ma nessuno ha voluto sentire il suo parere. Speriamo che il legislatore si ravveda e che Beuxelles non apra una procedura d’infrazione contro l’Italia. C’è tempo, ma è meglio non cominciare a sprecarlo

Fonte: ecodallecitta.it

Benzina: senza le tasse costerebbe 44 centesimi al litro

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Il costo del petrolio è sceso ieri, venerdì 22 gennaio, a 30 euro al barile, il che significa che se non ci fossero le accise ovvero i tributi indiretti applicati dalla Stato pagheremmo la benzina 44 centesimi di euro al litro. Sì, proprio così: 44 centesimi, molto meno delle vecchie mille lire. Le tasse sulla benzina sono attualmente il doppio rispetto al prezzo reale del carburante che manda avanti le nostre automobili. Il prezzo del barile è sceso del 67,4% rispetto al 2012, ma se andiamo a fare il pieno ci costa solamente il 28,1%. La colpa è tutta delle accise che rendono la nostra benzina la più cara d’Europa. Il giornalista Sergio Rizzo del Corriere della Sera ha condotto un’inchiesta e ha scoperto che dal 2008 a oggi le accise sul carburante sono aumentate del 46%. Si tratta di una situazione davvero paradossale, come sottolineato da Faib Confesercenti“Se i Paesi produttori ci regalassero la materia prima, un litro di verde costerebbe comunque agli italiani 1,083 euro, un litro di gasolio 0,965 euro”. 
Anche se Matteo Renzi e Federica Guidi invocano il taglio dei prezzi della benzina, i produttori fanno orecchie da mercante e spiegano che “da giugno 2015 a oggi il prezzo della benzina è diminuito complessivamente di oltre 21 centesimi, mentre quello del gasolio di circa 28 centesimi”. La responsabilità più grande resta dello Stato che permette che le tasse gravino per il 70% sul prezzo finale per gli utenti. E negli altri Paesi europei? Secondo il sito Fuel Proces Europe che compie un monitoraggio dei prezzi nel Vecchio Continente l’Italia è, con una media di 1,41 euro al litro, uno dei Paesi in cui la benzina verde è più cara: nel Regno Unito, In Francia e in Germania un litro di benzina costa, rispettivamente, 1,34 euro, 1,25 euro e 1,21 euro. Gli spagnoli pagano un litro appena 1,12 euro, i macedoni e i bulgari 0,98 euro e gli austriaci appena 0,97 euro.

Fonte:  Corriere

L’autoproduzione intelligente

Mai come in questi ultimi tempi sta tornando in auge l’autoproduzione, complici anche la crisi, e quindi la minor disponibilità in denaro, e la coscienza crescente per la tutela dell’ambiente. E quando si parla di detergenti, ecco che anche la conoscenza è importante, per fare le cose bene e in maniera efficace.sapone_faidate_autoproduzione

Autoprodurre ciò che ci è necessario abbatte notevolmente i costi, riduce i rifiuti, ci dà la garanzia della qualità del prodotto perché sappiamo cosa utilizziamo; inoltre, cosa estremamente importante, dà molta soddisfazione! Così come per cucinare servono tre cose (lo studio, la pratica e la passione), lo stesso discorso vale anche per produrre saponi, detersivi e simili; è importante sottolineare l’importanza dello studio! In effetti, quando si prende coscienza dell’elevato impatto ambientale che ha la maggior parte dei detersivi e dei costi molto alti che hanno i detersivi eco-certificati, si può decidere di cercare in rete ricette per un fai da te economico, rapido e poco inquinante. Occorre fare attenzione. Se per non inquinare poi siamo costretti a buttare via la lavatrice o la lavastoviglie prima del tempo, oppure usiamo qualcosa di poco efficace che non lava ma che anzi peggiora la situazione, allora il nostro impatto ambientale ed economico sarà stato comunque eccessivo. Autoprodurre detersivi è fattibile e nemmeno particolarmente difficile una volta che ci si ha preso la mano, ma bisogna valutare molto bene le ricette. A questo proposito, ben preparata è senz’altro Sara Alberghini, laureata in chimica (indirizzo analitico-ambientale), che da un anno vive nell’ecovillaggio Solare di Alcatraz e autrice di una rubrica sul giornale online Cacao.

«Se una cosa, anche naturale o a basso impatto ambientale, viene utilizzata ma non funziona, allora inquina e basta” dice Sara. Il discorso verte soprattutto su tre ingredienti molto conosciuti: il bicarbonato, il sapone e l’aceto. «Il bicarbonato è una base debole ed è ottimo per tamponare l’eccessiva acidità gastrica, ma non igienizza, non sgrassa, non deodora e non rimuove il calcare. Questo perché viene utilizzato in soluzione, quindi molto diluito, mentre in realtà per agire avrebbe bisogno di essere puro o in soluzione satura, cosa che ovviamente in una lavatrice o in lavastoviglie non può avvenire dato il notevole quantitativo d’acqua immesso. E soprattutto non toglie il calcare, perché per questo scopo serve una sostanza acida, non certo il bicarbonato che è alcalino».

«Per quanto riguarda il sapone – continua Sara – meglio non scioglierlo in acqua per usarlo  in lavatrice in quanto nell’acqua, specie quella dura, sono presenti ioni di calcio e magnesio che vanno a legarsi al sapone formando sali insolubili che precipitano sui tessuti indurendone le fibre e ingrigendole. Inoltre, così diluito, sulle macchie non può avere una grande azione e quindi agisce più che altro da rinfrescante del bucato. Al sapone in soluzione va aggiunto un sequestrante (il citrato di sodio è facile da autoprodurre ed è ecologico) che ha lo scopo di sottrarre dall’acqua gli ioni calcio e magnesio in circolazione; poi eventualmente si può usare uno sbiancante a base di ossigeno (percarbonato di sodio o acqua ossigenata, ma non quella a 10 volumi che si trova in farmacia e che ha solo il 3% di ossigeno attivo), e infine, se si ha a che fare con macchie ostinate, oltre a pretrattarle, serve del tensioattivo, quindi si può usare un detersivo Ecolabel per i piatti».

Infine veniamo all’aceto: «Ottimo per condire l’insalata, viene utilizzato anche come ammorbidente per il bucato, come brillantante nella lavastoviglie, come balsamo per i capelli, ecc. Ma l’aceto, per svolgere efficacemente la propria azione anticalcare, va usato in quantità elevate perché contiene solo il 6% di acido acetico. A queste concentrazioni inquina, è corrosivo per i metalli e porta in soluzione il nichel contenuto nell’acciaio; a concentrazioni più basse, invece, è inutile. Molto meglio usare l’acido citrico, come ammorbidente in lavatrice, brillantante in lavastoviglie e anticalcare generale; vero che è più costoso, ma è 53 volte meno impattante dell’aceto (secondo gli studi di biodegradabilità realizzati conformemente ai criteri Ecolabel) ed è molto più efficace».

In conclusione, chi si vuole avvicinare all’autoproduzione di detersivi non si deve scoraggiare, occorrono criterio e buon senso. D’altronde, anche per fare una torta bisogna seguire una certa procedura e usare certi ingredienti, anche per le torte più semplici, sennò i risultati sono scadenti.

Fonte: ilcambiamento.it

Inquinamento atmosferico, quanto ci costi?

Secondo l’Ocse ogni anno 3,5 milioni di persone muoiono per cause correlate all’inquinamento474219880

L’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo delle Nazioni Unite, ha pubblicato recentemente alcuni nuovi dati che confermano quanto l’impatto dell’inquinamento atmosferico incida anche sulle risorse economiche del pianeta: in termini di impatto sulla salute, ovvero decessi e malattie, l’Ocse calcola che nei paesi industrializzati l’inquinamento atmosferico costerebbe ogni anno 1.600 miliardi di dollari. Una cifra che sarebbe addirittura superiore nei Paesi in via di sviluppo; se nell’area Ocse i decessi sembrano essersi ridotti (3,5 milioni di persone ogni anno i morti connessi direttamente all’inquinamento atmosferico), la stessa organizzazione sottolinea come si sia registrato un aumento dei costi. Stando a quanto conclude il forum dell’Ocse 2015 la principale causa ambientale di morti premature al mondo è proprio l’inquinamento. La questione costi la spiega bene oggi Luca Tremolada sul Sole24Ore, nello snocciolare i dati pubblicati dall’organizzazione internazionale: nell’insieme dei 34 Paesi Ocse il numero delle morti è sceso in cinque anni da quasi 500mila a 478 mila ma i costi sono aumentati da 1.470 miliardi di dollari a 1.570 miliardi, cui vanno sommati i costi legati alle malattie causate dall’inquinamento. Secondo l’Ocse tale costo aggiuntivo sarebbe attestabile attorno al 10% del totale. Una ricerca pubblicata a fine aprile in collaborazione con l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) denominata “Economic cost of the health impact of air pollution in Europe”, che ricalcava i dati di precedenti studi, come “Air Quality 2014“, realizzato dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), denunciando l’innalzamento dei costi della principale causa di morti premature.

Fonte: ecoblog.it

Centrale idroelettrica sul Po, l’osservatorio: “Opera inutile e costosa, usare i soldi per opere necessarie””

L’osservatorio sentito in Commissione al comune di Torino: “Pensiamo che ci sia l’urgenza di rendere efficiente e sostenibile il servizio attuale di navigazione prima di impegnare la Città negli anni a venire in un progetto di navigazione a valle della diga che anche in presenza della conca sarà comunque irrealizzabile per gli enormi problemi tecnici che comporta”

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Sarà firmato il prossimo 29 gennaio l’affidamento dei lavori all’Ati guidata da Camuna Spa per la realizzazione della centrale idroelettrica Michelotti e dell’opera accessoria“conca di navigazione”. Lo ha annunciato questa mattina mercoledì 21 gennaio) l’assessore Claudio Lubatti nel corso della seduta congiunta della II e VI commissione del Consiglio comunale riunite per ascoltare l’Osservatorio sul Po a Torino nell’ambito di Diritto di Tribuna.
L’assessore va quindi alla firma di un contratto, dopo un anno e mezzo dall’aggiudicazione della gara, in piena bufera su un’opera che solo oggi rivela le sue forti ripercussioni economiche per la città. L’assessore ha anche precisato che se in Consiglio passerà la mozione di Sel e di alcuni dissidenti del Pd che chiede lo stralcio della conca di navigazione (che sarà votata dopo la firma del contratto) chiederà la revoca dell’intera delibera sulla costruzione della centrale Michelotti facendo quindi capire che si aprirebbe così un problema politico nella maggioranza.
Nella nervosa seduta di oggi si è comunque capito che la delibera sul progetto di navigazione a valle della diga Michelotti non ha più l’unanimità con cui fu votata. Anzi, lo stesso Pd è spaccato dopo avere ascoltato gli impatti economici e tecnici del progetto. L’Osservatorio ha svolto una critica puntuale al progetto specificando soprattutto l’entità dei costi dell’operazione che non si limitano alla cifra di aggiudicazione del progetto ma che sommano inevitabilmente anche quelli per la manutenzione e quelli per la realizzazione della navigazione a valle della diga.
L’Osservatorio ha anche mostrato con fotografie lo stato di totale abbandono in cui versano gli approdi dell’attuale servizio di navigazione, servizio che è stato oggetto, la settimana scorsa, della visita dei consiglieri comunali che hanno così potuto conoscere i pesanti costi di gestione non bilanciati dai proventi dei biglietti. La navigazione, attualmente è limitata alla sola fermata del Valentino, non potendo proseguire oltre per gli alti costi di esercizio e per la scarsa manutenzione dei fondali. Gli approdi abbandonati (costati alla Città centinaia di migliaia di euro) sono oramai praticamente inagibili. L’Osservatorio ha espresso anche dubbi sulle procedure seguite per la Valutazione d’impatto ambientale seguite per concessione idroelettrica dove la conca di navigazione figura come “opera accessoria” (da approfondire ma non più da sottoporre a Via) e che è invece alla base di tutta l’operazione centrale Michelotti. Per questi motivi l’Osservatorio chiede che l’assessore Lubatti porti in Consiglio comunale un’analisi costi e benefici che comprenda i costi dell’opera e tutti i costi che saranno a carico della e che oggi non sono stati considerati. Inoltre, chiede al Consiglio comunale di stralciare il progetto di “conca di navigazione” dalla delibera di approvazione della Centrale Michelotti e di riaprire la Conferenza di servizi sull’intero progetto. Pensiamo che ci sia ancora tempo per riflettere su un’opera inutile e costosa e per indirizzare questi soldi (un milione 200 mila euro) per le opere sul Po che sono chieste dai cittadini e dalle Circoscrizioni. Pensiamo che ci sia l’urgenza di rendere efficiente e sostenibile il servizio attuale di navigazione prima di impegnare la Città negli anni a venire in un progetto di navigazione a valle della diga che anche in presenza della conca sarà comunque irrealizzabile per gli enormi problemi tecnici che comporta.
L’Osservatorio intende collaborare con la Città, con il sindaco Fassino, con l’assessore Lubatti e con il Consiglio comunale per tutti i progetti che servano a migliorare la fruizione del Po, bene comune di tutti i torinesi.
Nel frattempo continua la raccolta firme (siamo a oltre 1500) e presto sarà organizzata un’iniziativa pubblica di informazione e sensibilizzazione.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Le 30 industrie che inquinano di più in Europa: ci sono costate 59 miliardi di euro nel 2012

I costi dell’inquinamento industriale in Europa sono elevatissimi e si attestano, secondo una stima dell’EEA, tra i 59 miliardi di euro e i 189 milioni di euro.

L’inquinamento generato dalle attività industriali in Europa ci è costato 56 miliardi di euro nel 2012. I conti li fa la EEA, l’Agenzia europea per l’ambiente attraverso il dossier Air Quality Report in Europe recentemente pubblicato. L’EEA ha dunque misurato gli effetti dannosi causati dell’inquinamento dell’aria, tra cui la morte prematura, i costi ospedalieri, le giornate di lavoro perse, problemi di salute, i danni agli edifici e i ridotti rendimenti agricoli. Nel rapporto ci sono anche i nomi degli impianti più dannosi in Europa, sono 30 impianti che nella maggior parte dei casi producono energia elettrica da carbone e lignite e presenti principalmente in Europa orientale e Germania.

Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’AEA, ha detto:

Mentre tutto il beneficio della produzione di energia va all’industria, scopriamo che le tecnologie utilizzate da questi impianti impongono costi nascosti sulla nostra salute e sull’ambiente. E’importante riconoscere che altri settori, soprattutto il trasporto e l’agricoltura, contribuiscono anche alla scarsa qualità dell’aria.

Di seguito le 30 industrie, per la maggior parte centrali termoelettriche collocate nell’Europa dell’Est, la cui attività incide in maniera fortemente negativa sia sul bilancio economico sia sul bilancio ambientale.

1 ‘TETs Maritsa Iztok 2’EAD Kovachevo Bulgaria
2 PGE Górnictwoi Energetyka Konwencjonalna S.A., Oddział Elektrownia Bełchatów Rogowiec Poland
3 Sucursala Electrocentrale Turceni Turceni Romania
4 Vattenfall Europe Generation AG Kraftwerk Jänschwalde Peitz Germany
5 Drax Power Limited Selby United Kingdom
6 Sucursala Electrocentrale Rovinari Rovinari Romania
7 PGE Górnictwo i Energetyka Konwencjonalna S.A.,Oddział Elektrownia Turów Bogatynia Poland
8 Elektrownia ‘Kozienice’ S.A. Świerże Górne Poland
9 RWE Power AG Kraftwerk Niederaußem Bergheim Germany
10 Longannet Power Station Kincardine United Kingdom
11 Regia Autonoma Pentru Activitati Nucleare -Sucursala Romag Termo Drobeta Turnu Severin Romania
12 ThyssenKrupp Steel Europe AG Werk Schwelgern Duisburg Germany
13 PPC S.A. SES Megalopolis A’ Megalopoli Greece
14 EDF Rybnik S.A. Rybnik Poland
15 Vattenfall Europe Generation AG Kraftwerk Lippendorf Böhlen Germany
16 Kraftwerk Boxberg Boxberg Germany
17 SC Electrocentrale Deva SA Mintia Romania
18 Slovenské elektrárne a.s. — Elektrárne Nováky, závod Zemianske Kostoľany Slovakia
19 Elektrárny Prunéřov Kadaň Czech Republic
20 RWE Power AG Kraftwerk Neurath Grevenbroich Germany
21 Zespól Elektrowni Pątnów-Adamów-Konin S.A., Elektrownia Pątnów Konin Poland
22 RWE Power AG Eschweiler Germany
23 TETs ‘Bobov dol’ Golemo selo Bulgaria
24 Eesti Energia Narva Elektrijaamad AS Auvere küla, Vaivara vald Estonia
25 Polski Koncern Naftowy ORLEN S.A. Płock Poland
26 PPC S.A. SES Agioy Dhmhtrioy Agios Dimitrios, Ellispontos Greece
27 Teesside Integrated Iron and Steelworks Redcar United Kingdom
28 TPP ‘Brikel’ Galabovo Bulgaria
29 ILVA S.P.A. Stabilimento di Taranto Taranto Italy
30 RWE Power AG Kraftwerk Frimmersdorf Grevenbroich Germany

Come ci ricorda l’EEA, l’inquinamento dell’aria è un problema innanzitutto economico e poi ambientale. Infatti l’esposizione agli agenti inquinanti quali PM10, PM2,5, Diossido d’Azoto, Zolfo, Ozono, Arsenico, Piombo, ecc. causa morti premature, infarto, malattie respiratorie e contaminazioni del cibo che entra nella catena alimentare.ITALY-ECONOMY-REFINERY-FIRE

Fonte:  EEA
Foto | EEA