Il virologo Tarro a TPI: «Il lockdown non ha senso, il caldo e il plasma dei guariti possono fermare il Covid»

Interessante l’intervista rilasciata a Tpi.it dal virologo Giulio Tarro: «Il Coronavirus per diffondersi ha bisogno di spazi chiusi, scarsa ventilazione o sistemi di aria condizionata, temperature basse o umide. Il mare e la spiaggia sono l’esatto contrario di questo microclima propizio. Burioni? Mi diverte chi vuole dare lezioni dopo aver fatto errori come e più degli altri».

TPI.it ha intervistato, grazie a Luca Telese, il professor Giulio Tarro, 82 anni, virologo di fama internazionale, allievo di Albert Sabin (il padre del vaccino contro la poliomielite).

Vi riportiamo l’intervista che riteniamo possa fornire spunti importanti di riflessione.

Professor Tarro, lei dice che si può riaprire.

Assolutamente sí, e se vuole le spiego perché.

Pensa che non dovremo rinunciare alle vacanze?

Al contrario, dovremo usarle per combattere il Covid.

Per questo motivo lei da due giorni è in polemica con Burioni, però.

Io? No.

Come no? Battaglia su Twitter.

Ah ah ah. È lui che è in polemica non me. Io non lo sono con lui, non lo conosco.

Burioni ha detto che lei è più papabile come aspirante Miss Italia che come un premio Nobel.

È libero di pensare quello che vuole. Io mi sono semplicemente fatto una domanda.

Quale?
Questo Burioni brillante polemista è forse lo stesso famoso virologo Burioni che il 2 febbraio disse: “In Italia non ci sarà nemmeno un caso di Covid?”.

Battuta perfida.

No, semplice constatazione. Io tendo a non dare lezioni agli altri. E mi diverte molto chi vuole dare lezioni dopo aver fatto errori come e più degli altri.

Di più?

Io non ho mai pensato né detto che non avremmo avuto vittime, anzi. Ero molto preoccupato.

Ma è vero che secondo lei il contenimento dovrebbe finire?

Ne sono convinto.

Parlava di vacanze. È vero che pensa che la stagione estiva al mare non dovrebbe saltare?

Noi dobbiamo usare le armi di questo paese, il sole e il mare, per aiutarci a guarire.

Ovvero?
Invece di stare chiusi a casa ad ammalarci con il contagio familiare, usiamo il mare come una terapia.

Con le barriere di plexiglass tra gli ombrelloni?

Per l’amor di Dio no! Questa è follia pura.

Spieghi perché, secondo lei.

Perché più che camere di protezione quelle diventerebbero camere di cottura. E non solo.

Cosa?
Il virus per diffondersi ha bisogno di spazi chiusi, scarsa ventilazione o sistemi di aria condizionata, temperature basse o umide. Il mare e la spiaggia sono l’esatto contrario di questo microclima propizio.

E pensa che questo passo si possa fare anche prima che arrivi il vaccino?

Va fatto subito. Anche qui c’è un grave problema di analisi. Noi accademici in questo momento siamo tutti in attesa di questo benedetto vaccino.

E non è giusto?

Bisogna farsi un’altra domanda. Ma il vaccino che cos’è? È un anticorpo. E noi abbiamo già un vaccino naturale negli anticorpi di chi non si è ammalato, malgrado il virus, e di chi ha contratto il virus, ma è guarito.

Lei sta dicendo anche come cura?

Certo! Tutti a chiedersi quando arriveranno i vaccini, ma gli anticorpi dei guariti già ci sono! Bisogna usare il plasma dei guariti.

Con chi sta male?

L’infusione di 200 millilitri di plasma è un aiuto enorme per qualsiasi malato. Si chiama plasmaferesi, e non l’ho certo inventata io.

Quindi quella è la prima terapia?

I guariti andrebbero salassati, perché diventino donatori di anticorpi. Non trattati come appestati.

È una eresia?

Ma per chi? Ho sentito dire che in via sperimentale questo tipo di cure sono già in applicazione a Pavia, a Mantova, a Salerno.

Non solo ventilazione, dunque.

Ma ovvio. Tutti i medici stanno sperimentando. Non è normale – ad esempio – che si usi l’Eparina? A me pare una cosa scontata. È perfetto accompagnare queste terapie farmacologiche nelle terapie intensive.

Cosa ha capito di questa malattia?

Ho capito che una malattia relativamente grave controllabile è fuggita dalla stalla.

Chi ha affrontato meglio di tutti il Covid?

Non mi piace dare giudizi frettolosi con una epidemia in corso. Ma non c’è dubbio che senza troppa enfasi, il modello isreaeliano abbia prodotto ottimi risultati.

Ovvero?
Tracciare il più possibili gli infetti, isolare gli anziani e far circolare il virus tra i più giovani.

Ma i britannici e i danesi avevano provato qualcosa di simile, però non lo hanno portato fino in fondo.
Lì credo che ci sia stato un grande errore di comunicazione: è una linea che si può sostenere senza enfasi e senza cinismo. Dire “preparatevi a salutare i vostri cari” non ha portato fortuna a Boris Johnson, ma soprattutto era un messaggio del tutto sbagliato.

Lei cosa avrebbe detto?

“Preparatevi a difendere i vostri cari. Soprattutto gli anziani”.

Quale è secondo lei la prima misura per fermare il contagio?

Lavarsi le mani. Indossare mascherine e guanti: quando sono venuti in Lombardia i cinesi sono rimasti stupiti che così pochi cittadini indossassero le mascherine. Si presta poca attenzione ai guanti. Ed è sbagliatissimo: il Coronavirus ha la sua porta di ingresso nella nostra bocca e nelle parti inferiori delle vie respiratorie.

Quindi?
Quindi tenere le mani protette. Disinfettare la bocca con un collutorio ma anche con ingredienti naturali come il bergamotto e i chiodi di garofano.

E poi?

Vedo che in tutto il mondo – a partire dalla Cina – si provvede a igienizzare gli spazi pubblici. Da noi non si fa.

I numeri del contagio la spaventano?

Io guardo con molta attenzione i numeri e cerco di interpretarli alla luce degli studi che sono già disponibili.

Ad esempio?

L’Istituto Superiore di Sanità ha studiato 909 casi di decesso, stabilendo che solo 19 morti sono ascrivibili unicamente al Covid. Quindi il primo problema sono le patologie concorrenti.

E i dati cinesi?

Sono stati controllati anche da Fauci, il superesperto della sanità americana.

E questa percentuale torna?

Su 1.092 pazienti, l’1 per cento è morto“solo” per il Covid. Questo non significa che dobbiamo ignorare le tantissime vittime italiane, ma che molti dei nostri dati devono essere letti meglio per circoscrivere le reali proporzioni dell’epidemia.

Ad esempio?

Nelle statistiche cinesi il 14 per cento dei deceduti avevamo malattie cardiovascolari, il 7 per cento erano diabetici, eccetera…

La colpisce la differenza con altri paesi?

Non è possibile che in Germania siamo al 3 per cento di mortalità e in Lombardia al 18,7 per cento. È matematicamente impossibile.

E quale spiegazione immagina?

Da noi i contagiati reali sono molti di più di quello che non dicano i tamponi. Solo che non li monitoriamo, per via del modo in cui facciamo i tamponi.

È un dato falsato?

È un dato parziale: bisognerebbe parlare di numero di contagiati per tamponi effettuati.

Lo dice in modo induttivo?

No, esiste uno studio su un caso particolare che però può essere preso a misura. Sul Corriere della Sera due ricercatori, Foresti e Cancelli, hanno usato come modello la Diamond Princess, la nave da crociera dove lo screening ha investito il 100 per cento della popolazione censibile.

La Diamond, infatti figura come un paese nella classifica mondiale dei contagi.

Quello è l’unico luogo al mondo dove le percentuali di contagio sono “giuste” perché tutti sono stati monitorati uno ad uno con i tamponi. Il classico caso di scuola.

E cosa ne esce fuori?

Se si proiettasse quel dato, a marzo nel periodo coevo, avremmo già in Italia 11 milioni e 200mila contagiati. Una enormità. Questo dato “reale” farebbe calare la percentuale di mortalità italiana. Perché se questa è la proporzione significa che il tasso di reale mortalità è più basso di quello apparente.

Quindi lei dice: fine del lockdown subito?

Il virus può essere controllato con le normali misure igieniche e con la diffusione degli anticorpi: la dimensione del contagio verrà abbattuta dal cambio di clima indotto dalla stagione estiva, anche al nord.

Lo dice in via ipotetica?

Il fattore climatico è senza dubbio fortissimo nella diffusione di questa epidemia.

Lo spieghi.

Come si fa a non vedere che i numeri del contagio scendono drasticamente al sud? Il mare, il sole hanno difeso una parte d’Italia dal contagio. Ma non solo dai noi, anche all’estero. L’Africa – tocchiamo ferro – per ora risulta pressoché indenne. Poi ci sono gli altri fattori.

Quali?
Il Coronavirus sembra aver colpito di più quelli che avevano fatto il vaccino anti-influenzale.

Lei ha posizioni No-vax?

Ma si figuri. Io ho scritto un libro sui vaccini! Io ho combattuto il colera, e ho vaccinato migliaia di persone, come le racconterò. Parlo di un vaccino, non dei vaccini.

Da cosa trae la connessione?

Questo che le cito è un dato che si reperisce facilmente in rete, non perché lo dica qualche complottista, ma uno studio dell’esercito americano.

E come lo interpreta?

La scienza deve essere basata sul metodo scientifico sperimentale: se un dato documentato emerge, deve essere considerato un valore per i dati che lo sostengono, non per i problemi che eventualmente crea.

Perché secondo lei il mare avrebbe un effetto positivo?

Lei hai mai visto gente con la sciarpa e il fazzoletto in spiaggia? No. Ecco: questo perché i virus influenzali con il mare soffrono. Il Covid, pur con la sua specificità e la sua virulenza appartiene a quella famiglia. E soffre. Perché fatica a diffondersi. Il virus si replica a temperature basse e umide. Accade per il rinovirus, e spero che accada anche per il Coronavirus.

Lei crede all’idea di vaccinare per poter dare un accesso alle spiagge?

Mi pare una follia. Ma non avendo il vaccino in tempi così brevi il tema non si potrà porre.

Cosa ci insegnò l’epidemia di colera?

L’errore di valutazione, anche lì. Inizialmente i pazienti non venivano idratati a sufficienza e morivano disidratati.

E poi?

Poi iniziammo a farlo, per fortuna, e la percentuale di mortalità crollò.

E poi?

La popolazione si mise in fila per le vaccinazioni, che furono effettuate, prevalentemente, con le pistole a siringa. Noi non le avevamo, ce le diedero gli americani.

Ci sono altre analogie?

All’inizio non avevamo il vaccino per tutti. Poi arrivarono e il contagio finì.

Il contenimento funzionò?

Dal 430 avanti Cristo con la peste di Atene, è il primo rimedio. Ma, come dice la parola stessa, è una misura contenitiva, che non può essere scambiata come una formula risolutiva di una epidemia.

Come si trovò in quell’emergenza?

Ero primario di virologia in America, lessi la notizia sul Corriere della Sera. Presi il primo aereo utile per tornare ad aiutare.

Sapeva di rischiare?

Arrivai a Fiumicino e chiesi di essere vaccinato appena messo piede a terra.

E lo fecero?

Sì, come avrebbero dovuto fare d’ufficio con tutti. Invece accettarono perché ero medico e mi raccomandarono: “Non lo dica a nessuno!”. Buffo no?

E a Napoli?

Ero l’unico che poteva entrare ed uscire dall’ospedale perché non ero nei registri al momento in cui l’epidemia esplose.

E il paziente zero?

Scoprimmo che il colera era sbarcato a Napoli con una partita di cozze tunisine. Ma quando si ritrovò il vibrione il paziente zero era già uno dei tanti morti nei nostri reparti.

Era il 1973: riusciste a domare l’epidemia e diventaste eroi nazionali.

Fecero mettere la mascherina al presidente Leone che ci venne a visitare al Cotugno. Una scelta grottesca, perché tutto il mondo sapeva che il colera non si trasmette per via respiratoria.

Ma lei voleva fare il virologo da bambino?

Io sono figlio di un anatomopatologo. Volevo fare il medico ma sono finito in laboratorio perché avevo un professore che aveva il pallino dei virus.

E cosa fece?

Fu lui che mi mandò da Sabin, cambiando, per fortuna, la mia vita. Ma ho fatto tante altre cose, compreso il medico di guardia in neurochirurgia.

Quale è stata la prima lezione che ha imparato dal suo maestro, Albert Sabin?

Massimo rigore in quello che si fa. Scrivere tutto. Soprattutto quello che ci pare irrilevante.

E cosa si imparava?

Che quando rileggi le note scritte, sistematicamente, trovi sempre qualcosa che nell’immediato non avevi capito. Non è facile.

Perché?
È una lezione di umiltà e sarà utile con il Coronavirus: non possiamo farci inibire dalle nostre convinzioni di partenza.

Traduciamola in una massima.

Da quello che scrivi, con il senno del poi, spesso capisci quello che hai fatto, e magari non avevi capito.

Ha paura delle stroncature dell’Accademia?

Ah ah ah. Francamente non me ne frega nulla. Mi hanno chiamato a curare Giovanni Paolo II, non mi posso certo far spaventare per i custodi del verbo.

Quindi Fase 2?

Bisogna aprire. Ma con intelligenza, con attenzione. Con buonsenso. Ma aprire.

Cosa è cambiato rispetto a due mesi fa?

Tutto. Prima non avevamo le mascherine: ma ormai siamo diventati produttori di mascherine.

Anche in Lombardia?

Con più vincoli, più limitazioni, più accortezze: ad esempio con l’avvertenza di non saturare i mezzi pubblici. Il problema non è il virus, ma le opportunità di contatto, che vanno abbattute con protezioni e sanificazioni.

Servono regole eccezionali?

Bisogna introdurre l’obbligo di guanti e mascherine, potremmo aprire anche lì.

E poi?

Bisogna stare all’aperto e non negli spazi chiusi. Questa potrebbe essere una soluzione vitale, ad esempio per la scuola. Sanificare le aule, ma non chiudere le scuole.

E i suoi colleghi secondo cui sarebbe un rischio drammatico perché allentando il lockdown aumentano i contagi?
Non so che dire di loro. Lo stanno facendo in tutto il mondo. Non chiedetevi perché da noi si faccia. Chiedetevi perché noi non lo facciamo mentre in tutto il resto del mondo si fa.

Giulio Tarro, infettivologo di fama, napoletano, allievo prediletto di Albert Sabin (il padre del vaccino contro la poliomielite), virologo e primario emerito dell’ospedale Cotugno di Napoli. I suoi interventi in questi giorni sono diventati controcorrente rispetto alla linea scelta dal comitato medico-scientifico.

Si ringraziano Tpi.it e Luca Telese

Fonte: ilcambiamento.it

Sardex: nuovi passi concreti per aiutare l’economia in tempi di Coronavirus

Sardex, la community delle PMI Italiane, con oltre 10.000 aderenti e 600.000 transazioni nel solo 2019, lancia l’iniziativa #IostoinSardex: sarà possibile l’accesso al Circuito immediato e senza costi per tre mesi, ottenendo da subito liquidità aggiuntiva e la possibilità di incontrare nuovi clienti e fornitori. Inoltre, piani di rientro congelati per tre mesi e l’abbonamento gratuito per i dipendenti dei neo iscritti. L’AD Marco De Guzzis: “Un contributo concreto, per sostenere da subito le PMI del Paese”.

Torniamo a parlare di Sardex, la moneta complementare che sta cambiando l’economia di molte regioni italiane. I lettori di Italia che Cambia conoscono bene questa realtà. Ne abbiamo parlato più volte e io ci ho persino scritto un libro. Parole come fiducia, credito, economia reale, amore, sono per la prima volta nella mia esperienza associate concretamente ad uno strumento misterioso e arido come il denaro. Certo tecnicamente non possiamo definire sardex denaro, ma camera di compensazione, circuito di credito/debito e così via, ma per approfondire vi rimando ai tanti articoli sul tema.

L’utilità del sardex, nelle sue varie varianti piemontesi, emiliane, venete ecc, diventa quanto mai lampante nei momenti di crisi. Mi sono quindi chiesto come si stessero muovendo in tempi di Coronavirus e ancora una volta le risposte sono state pienamente convincenti. È infatti appena stata lanciata l’iniziativa #IostoinSardex: in via straordinaria, i nuovi iscritti potranno accedere al Circuito gratuitamente iniziando da subito a scambiare beni e servizi nella rete e a godere di una linea di credito senza interessi, versando la quota di partecipazione solo fra tre mesi con dilazioni agevolate. Potranno, in forma del tutto gratuita, iscrivere alla rete i propri dipendenti, estendendo anche a loro i vantaggi della moneta complementare, e infine, potranno scegliere di attivare la linea di credito aggiuntiva Sardex – Efficio +, con tempi di rientro a tre mesi dall’attivazione: a fronte di una richiesta di crediti, i nuovi iscritti, così come le imprese già aderenti, inizieranno a pagare le rate, senza interessi, dopo 90 giorni dall’attivazione.

Un’opportunità per continuare ad investire grazie ad un cuscinetto temporale che nelle prossime settimane potrebbe giocare un ruolo importante: nella ripresa delle attività di migliaia di imprese, e nell’avvio di investimenti aziendali e progetti personali, circolo virtuoso che rimette in moto l’economia del Paese.

«Con #IostoinSardex – ha dichiarato Marco De Guzzis, Amministratore Delegato di Sardex – vogliamo consentire alle imprese di tutta Italia di accedere a credito e ricavi aggiuntivi che possano dare un contributo positivo nell’affrontare la crisi attuale. Supereremo questo momento di difficoltà, ma ora è fondamentale dare un sostegno fattivo a tutte quelle realtà aziendali e associative che hanno bisogno di superare la contingenza riducendo i danni» .

Nel Circuito gli aderenti hanno accesso a credito aggiuntivo senza pagare interessi, riducendo la necessità di disponibilità in euro senza rinunciare ad investire nella propria attività, far crescere progetti personali, far fronte alla liquidità di cassa e promuoversi in una rete di imprese dove collaborazione e fiducia del singolo si trasformano in ricavi e benefici per tutti. Per approfondire ho interpellato direttamente i fondatori di Sardex rivolgendo loro alcune domande.

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/03/sardex1-1030x688-1-1024x684.jpeg

Cosa sta avvenendo in questi giorni presso i vostri circuiti?

C’è fermento, soprattutto comunicativo: nelle piattaforme del Circuito gli iscritti hanno trovato canali già pronti e aperti per condividere informazioni, trasmettere le comunicazioni di apertura e chiusura, trovare idee per supportarsi, istituire servizi temporanei per servire i propri clienti anche a distanza. Un rallentamento fisiologico delle transazioni è normale che ci stia stato, ma gli scambi continuano in modo grintoso, forse anche più che nel mondo euro. È una comunità economica che ha gli anticorpi giusti e che possiamo potenziare: è viva, ed è solo l’inizio.

In che modo Sardex (e figli) stanno sostenendo le aziende?

In questo difficile e inatteso momento, che ha investito la nostra quotidianità e modificato i nostri ritmi personali e quelli delle nostre attività d’impresa, il Circuito si conferma un alleato prezioso: una comunità unita nei valori e negli intenti, una rete che è sostegno vitale e che può supportare, fin da subito, il benessere delle nostre piccole e medie imprese, vero motore dell’economia locale e nazionale. Gli strumenti e le risorse che in questi anni il Circuito ha messo a disposizione di tutti gli aderenti non possono che confermarsi indispensabili in queste settimane di contrazione economica. Pensiamo solo al servizio broker: un customer care attivo che supporta gli scambi, in momenti come questi, avvicina le aziende, le mette in relazione, trova con loro soluzioni per mantenere vive le transazioni. Come gestore, ci sentiamo in dovere di potenziare tutti questi strumenti, a beneficio degli iscritti, dell’intera comunità Sardex e delle aziende che vorranno avvicinarsi al Circuito durante il periodo di emergenza. Lo faremo in modo fattivo, da subito, con l’iniziativa #iostoinsardex: accesso al network immediato e gratuito per chi si iscriverà al Circuito ora, con inizio di pagamento della quota di iscrizione tra tre mesi; adesione gratuita per i dipendenti delle PMI neo iscritte; piani di rientro sospesi per 90 giorni per tutte le linee di credito aggiuntive e senza interessi come Efficio+: le aziende ora hanno urgente necessità di mettere in pausa le spese, e continuare invece a far correre obiettivi e progetti.

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/03/venetex-1030x635-1-1024x631.jpeg

Voi state risentendo del blocco delle attività?

Come gestore ci siamo organizzati tempestivamente: abbiamo trasferito gli uffici nelle nostre case per tutelare staff e community, siamo operativi e con forza, ora più che mai. Lo smart working non è una novità per la gestione Sardex, lavoriamo da sempre distanti ma interconnessi e in sinergia con i Circuiti e le imprese di tutta Italia: in queste settimane lo facciamo con un’energia diversa, consapevoli di un contributo che sarà importante in particolar modo durante la ripresa. Anche gli appuntamenti commerciali non si fermano: ogni giorno il nostro staff è in videoconferenza con imprenditori del territorio che desiderano conoscere il Circuito e iscriversi. Non possiamo fermarci: prepariamo la strada per supportare le imprese anche e soprattutto quando l’emergenza sarà finita e l’economia dovrà circolare veloce, possibilmente più veloce dell’euro (e il sardex lo sa fare bene).

In Sardegna ci sono stati sinora pochissimi casi di coronavirus. Come vivete questa emergenza?
Con speranza e grande senso di responsabilità. Cittadini, istituzioni, personale ospedaliero, imprese e terzo settore stanno collaborando intensamente. Nell’apprensione generale, sta però succedendo qualcosa di importante, di bello, sull’isola come in tutta Italia. Stiamo riscoprendo un sistema di valori che fa rima con un concetto importante: la riscoperta di poter essere, ancora una volta, corpo collettivo.

Ci sono differenze, nei vostri Circuiti, su quanto sta avvenendo in Sardegna e in altre regioni come Veneto, Piemonte o Emilia?

Non ci sono differenze sostanziali, se non nei tempi anticipati in cui i Circuiti della Penisola hanno dovuto iniziare a far fronte all’emergenza: lì le difficoltà sono arrivate prima e con più intensità. Ogni Circuito regionale anche in questo frangente ha la sua specificità, ma strumenti e risorse a disposizione delle imprese iscritte sono gli stessi, e ovunque, in tutto lo Stivale, siamo attivi per rimettere in moto l’economia locale: sarà l’unico, benefico contagio da impresa a impresa che vogliamo con forza.

Per saperne di più leggi il libro Una moneta chiamata fiducia . Oltre il denaro. L’esperienza vincente di Sardex

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/03/sardex-nuovi-passi-concreti-aiutare-economia-tempi-coronavirus/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il Coronavirus e la fragilità della globalizzazione

È bastato un virus per creare il panico mondiale, con tanto di crisi economiche, perdite di punti del PIL, turismo in pericolo, merci e container fermi, fabbriche vuote, personale a spasso. Tutto questo è un poco simpatico regalo della globalizzazione.

Il Coronavirus e la fragilità della globalizzazione

È bastato un virus per creare il panico mondiale, con tanto di crisi economiche, perdite di punti del PIL, turismo in pericolo, merci e container fermi, fabbriche vuote, personale a spasso. Tutto questo è un poco simpatico regalo della globalizzazione, che poi è il nome più gentile di mercantilizzazione. Nel mondo dove tutto è mercato e le merci devono attraversare continenti in meno di un attimo, ci si è accorti che chi dipende da questo sistema va in tilt in poco tempo. Non sembrerebbe una bella cosa, infatti è il cappio che ci siamo messi al collo da soli.

Se la Cina è il supermercato mondiale, quindi anche il nostro, e se per qualche motivo si ferma, cosa succede? Grandissimi problemi. 

La mercantilizzazione infatti significa la dipendenza totale. Siamo dipendenti  dai combustibili fossili, dagli alimenti chimici e dal supermercato cinese che grazie al suo esercito di schiavi ci rifornisce di tutto a prezzi irrisori. E così la nostra società è un gigante dai piedi di argilla che va in crisi velocemente proprio a causa delle sue dimensioni, della sua rigidità e della sua incapacità di reagire a eventi improvvisi. E’ chiaro che i fautori di quello che erroneamente si considera progresso, della tecnologia lanciata a tutta velocità al solo servizio del profitto, non possono che percorrere la strada della dipendenza perché è quella che gli garantisce i maggiori profitti. E quindi ci siamo cacciati in questa situazione estremamente pericolosa dove basta un niente per metterci nei guai. Ma quando suonano questi campanelli d’allarme, si spera che passi la nottata e poi si continua tutto come prima, senza avere imparato nulla e soprattutto senza fare nulla per evitare nuove possibili crisi. Perché la mercantilizzazione  non può aspettare, non si può fermare e chi primo arriva, vince. Quale è la soluzione per non rimanere incastrati in questo gioco perverso? Innanzitutto diventare il meno dipendenti possibile nei due aspetti fondamentali per la sopravvivenza: il cibo e l’energia. Poi si dovrebbero progressivamente diminuire i consumi superflui e la conseguente dipendenza dai supermercati cinesi o di chiunque sia, che sfornano cianfrusaglie a getto continuo.  Contare il più possibile sulle nostre forze, riscoprire i tanti talenti e risorse che abbiamo, senza doverle fare arrivare da chissà dove. Abbiamo troppo abbandonato la nostra eccezionale creatività e capacità di saper fare, abbiamo importato cibo spazzatura che è un insulto alla nostra tradizione di cibo sublime e cosa ci ha portato tutto questo? Le case piene di merci di scarsissima qualità, poco durevoli e i nostri corpi avvelenati da alimenti che non meritano questo nome. Per non parlare poi dell’inquinamento e delle montagne di rifiuti che sono il fardello immancabile della mercantilizzazione. Di fronte ad una presa di coscienza in cui si iniziasse ad emanciparsi, gli apprendisti stregoni della crescita e del falso progresso, grideranno allo scandalo, al ritorno indietro, all’autarchia, senza tenere presente che indietro ci torniamo di sicuro se si prosegue nella strada della dipendenza totale e sarà un indietro doloroso dalle tinte assai fosche. Meglio quindi andare avanti e progredire nella giusta direzione, quella della riscoperta di quanto di bello, efficace, utile e importante abbiamo già qui da noi in Italia senza dover dipendere dal vero virus che è quello della mercantilizzazione di tutto e tutti

Fonte: ilcambiamento.it

Il coronavirus chiude le scuole? Le maestre leggono le fiabe a distanza

Nella scuola dell’Infanzia “Villaggio Sportivo” di Biella il coronavirus non spaventa le insegnanti che hanno deciso di leggere a distanza una fiaba al mattino e una al pomeriggio fino alla riapertura della scuola, per tenere compagnia ai bambini e trasformare quest’emergenza in una divertente opportunità. La cultura sopravvive sempre, qualsiasi emergenza o epidemia contagiosa possa presentarsi. Ce lo dimostrano le insegnanti della scuola dell’infanzia del quartiere Villaggio Sportivo di Biella che non si sono arrese al coronavirus e hanno ideato un modo divertente e creativo per prendersi cura dei bambini tenendogli compagnia a distanza e abbattendo le barriere obbligate dallo stato di emergenza. Come ci racconta Grazia Flessibile, insegnante e ideatrice dell’iniziativa, «in questi giorni di chiusura delle scuole abbiamo avuto modo di confrontarci con diversi genitori dei bambini a proposito della sospensione e molti di loro ci hanno fatto notare che ai loro figli mancava il momento della lettura con le maestre. Allora, insieme alle colleghe, ci siamo dette: Perchè non continuare a raccontare le storie come abbiamo sempre fatto, ma questa volta a distanza sfruttando la tecnologia? Per noi è stato un primo esperimento ma ci siamo dette “proviamo e vediamo come va”!».

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/03/Favole1-1024x681.jpg

Tramite due videostorie al giorno, una al mattino e una al pomeriggio, le maestre hanno così deciso di leggere in diretta i racconti, condividendoli sulla pagina Facebook dell’istituto. «Questa è per noi un’occasione per avvicinarci ai bambini anche quando non siamo vicine a loro. E continueremo fino alla riapertura della scuola» ci spiega Grazia. E dalla prima storia pubblicata, ovvero il racconto di Cappuccetto Verde, numerosi sono i genitori che hanno apprezzato l’iniziativa e stimolato le insegnanti a proseguire. «Quelle che raccontiamo sono principalmente storie che abbiamo a casa e che selezioniamo dalle nostre librerie pubblicandole sulla pagina Facebook della scuola che normalmente utilizziamo per condividere le foto delle attività e dei lavori che svolgiamo e che è stata creata per condividere dei begli attimi coi genitori che si perdono tanto della vita dei piccoli, perché, come ben sappiamo, il tempo trascorso a scuola rappresenta una bella fetta della loro crescita».

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/03/Favole-1024x681.jpg

Come ci racconta Grazia, la lettura è per i bambini il pane quotidiano e, se accompagnate dalla voce delle loro insegnanti, diventa un piatto ancora più appetitoso.

«In quest’iniziativa la nostra dirigente Emanuela Verzella ci ha fin da subito sostenuto e quindi stiamo andando in questa direzione aspettando che la “normalità” arrivi al più presto. Questa è stata però un’occasione positiva per metterci in gioco dimostrandoci che è possibile reagire a un’emergenza inaspettata come la diffusione del coronavirus in modo semplice e divertente, proponendo qualcosa di nuovo e costruttivo a cui diversamente non avremmo mai pensato. E visto il successo dell’iniziativa, il prossimo passo è quello di proseguire con il racconto delle storie, magari una volta al mese, portando avanti questo piccolo ma efficace progetto». Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/03/coronavirus-chiude-scuole-maestre-leggono-bambini-fiabe-distanza/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Nuova Sars dai dromedari all’uomo: uno studio prova la trasmissibilità

Secondo uno studio dell’olandese National Institute for Public Health and the Environment l’animale allevato nella penisola Arabica sarebbe il responsabile del nuovo corona virus noto come Mers, evoluzione della Sars150094635-586x366

Potrebbero essere i dromedari i colpevoli della trasmissione all’uomo della nuova Sars, il coronavirus che da quasi un anno si è affacciato in Medio Oriente facendo vittime sia fra i residenti che fra i viaggiatori provenienti da altri contenuti. A sostenerlo è uno studio coordinato da Chantale Reusken del National Institute for Public Health and the Environment a Bilthoven, nei Paesi Bassi, ricerca che è stata pubblicata sulla rivista The Lancet. Per giungere a queste conclusioni i ricercatori hanno raccolto 349 campioni di sangue da dromedari, mucche, pecore e capre provenienti da diversi paesi tra cui Oman, Paesi Bassi, Spagna e Cile. Come accade per il virus dell’aviaria (H7N9), la trasmissibilità tra gli esseri umani sembra essere molto rara, per cui è verosimile che esista una specie animale che faccia da veicolo nel trasmettere il virus all’uomo. Gli anticorpi specifici della Mers sono stati trovati in tutti i campioni di siero prelevati da cinquanta dromedari in Oman, elemento che fa supporre che il virus circoli fra gli esemplari del Paese. Secondo Marion Koopmans dell’Istituto Bilthoven

la scoperta è stata una sorpresa perché finora erano stati i pipistrelli i primi sospettati del contagio. Tuttavia, considerato che la maggior parte delle persone difficilmente entra a contatto con i pipistrelli, è probabile che il virus raggiunga l’uomo attraverso un ospite intermedio.

Nella penisola arabica il dromedario viene allevato in maniera diffusa ed è plausibile che sia all’origine del contagio.

Fonte:  Agi