Cop21, Italia ancora non ratifica: “È come se l’accordo di Parigi non ci fosse mai stato”

“Il ministro Galletti ha affermato di voler trasmettere in Parlamento la proposta entro il mese di settembre. In realtà quello che preoccupa è la mancanza di un vero piano di riduzione delle emissioni climalteranti”. L’intervento di Gianni Silvetrini per Eco dalle Città dopo la ratifica da parte di Cina e Usa dell’Accordo di Parigi386113_1

di Gianni Silvestrini (direttore scientifico di Kyoto Club)

La ratifica da parte della Cina e degli Usa è molto importante perché avvicina a una rapida entrata in vigore dell’Accordo sul Clima. Se questo avverrà prima del cambio di presidenza negli Stati Uniti, si eviterà tra l’altro il rischio di un loro defilarsi (degli Usa, ndr) per i prossimi quattro anni, anche in caso di vittoria di Trump. Ma queste novità evidenziano anche la debolezza e le divisioni dell’Europa la cui ratifica deve passare attraverso un’adesione da parte di tutti i paesi. Così se Francia e Ungheria hanno già ratificato, questo passaggio non è ancora stato avviato o concluso per gli altri paesi, Italia inclusa.386113_2

Il ministro Galletti ha affermato di voler trasmettere in Parlamento la proposta entro il mese di settembre. In realtà, aldilà della lentezza nell’attivazione delle procedure necessarie, quello che preoccupa è la mancanza di un vero piano di riduzione delle emissioni climalteranti e di un coordinamento delle politiche nei vari settori: un vuoto preoccupante, tanto più che nelle scorse settimane sono stati proposti gli obiettivi di riduzione al 2030 per i settori non ETS (escludendo cioè le industrie energivore) che per l’Italia sono del 33% rispetto alla media 2016-18. In realtà ci sono singole iniziative interessanti: pensiamo alla proposta di finanza innovativa per avviare la riqualificazione energetica “spinta” del patrimonio edilizio, all’avvio dell’incentivazione del biometano, alle riflessioni in atto sul lancio della mobilità elettrica… ma sono azioni scoordinate in assenza di un piano complessivo con obiettivi di riduzione verificabili. E manca un coordinamento che per l’ampiezza delle politiche deve essere gestito presso la presidenza del consiglio. Il governo, insomma, dovrebbe prendere sul serio la sfida climatica e, a partire da questa, dovrebbe indirizzare la ricerca sui filoni più promettenti, avviare una politica industriale innovativa, rilanciare l’occupazione.

Ma, purtroppo, pare che per l’Italia è come se l’accordo di Parigi non sia mai stato firmato. Ne parlano i principali leader mondiali, ma Renzi su questo tema è totalmente assente.

Fonte: ecodallecitta.it

Il clima è cambiato

Il clima è un campanello d’allarme di un intero sistema sull’orlo del collasso ambientale, energetico e sociale. Tuttavia, alcuni fattori ci indicano che un profondo mutamento è in atto e ci mostrano una realtà diversa, che tiene a freno i facili catastrofismi.

In quell’esplosivo garbuglio fatto di tensioni geopolitiche, povertà, disparità sociale che è la società globale, non ci sono molte certezze su quello che accadrà nei prossimi anni. Il clima, ahinoi, è una di queste: sappiamo con una certa sicurezza scientifica che il clima si modificherà nel prossimo futuro (in parte sta già accadendo) nella direzione del riscaldamento globale e dell’aumento dei fenomeni meteorologici estremi.Climate-Change

Sappiamo anche che il motivo di questo mutamento siamo noi, gli esseri umani, e il nostro impatto sugli ecosistemi terrestri. Sappiamo, infine, che dobbiamo agire subito per abbattere drasticamente le emissioni climalteranti e riuscire a mantenere l’innalzamento delle temperature attorno ai +2°C, e che se non ci riusciamo le conseguenze saranno davvero drammatiche, inclusa la probabile scomparsa dell’essere umano dal Pianeta. Eppure i grandi decisori politici sembrano ancora distanti dal considerare il clima una priorità nell’agenda internazionale. I motivi sono molteplici e non staremo qui ad approfondirli: resta il fatto che ci troviamo in una situazione di stallo in cui le conferenze e i summit mondiali si ripetono anno dopo anno senza che si riescano a prendere decisioni pratiche ed operative per evitare il disastro. Il summit di Parigi si chiama COP 21 perché è il ventunesimo incontro di questo tipo: prima c’è stato il COP 20 di Lima, il COP 19 di Varsavia, fino al COP 1 che si tenne a Berlino nel 1995, vent’anni fa.  Il fatto che nei venti incontri precedenti non si sia riusciti a raggiungere un accordo vincolante non lascia ben sperare per quello attuale ed i piani nazionali circolati prima della conferenza aumentano i timore degli scettici: le misure che ogni paese sembra disposto a prendere non sono sufficienti a mantenere l’innalzamento delle temperature entro i 2 gradi.cop21_gendarmes

Ma il clima è solo un campanello d’allarme di un intero sistema sull’orlo del collasso ambientale, energetico e sociale. L’idea di una crescita economica infinita, il consumismo, la delocalizzazione dei sistemi di produzione e smaltimento dei rifiuti, la finanziarizzazione dell’economia sono tutte facce diverse di quella matassa complessa che è la società contemporanea, che ha ormai mostrato tutti i suoi limiti endogeni. Tuttavia alcuni fattori ci indicano che un profondo mutamento è in atto e ci mostrano una realtà diversa, che tiene a freno i facili catastrofismi. Negli ultimi anni sono cambiate molte cose e oggi possiamo dire che esiste un’ampia gamma di soluzioni per tutti i problemi che dobbiamo affrontare. Approcci come quello della Decrescita  forniscono la cornice teorico-pratica di un’economia più locale, circolare, sostenibile, di stili di vita in armonia con il Pianeta. La Transizione  mette a disposizione un metodo per agire sui sistemi complessi e introdurre cambiamenti sistemici e duraturi. Esistono, anche solo in Italia, moltissimi strumenti utili e rivoluzionari, già pronti per l’uso: ad esempio i circuiti similmonetari come Arcipelago SCEC  o Sardex  (e i suoi figli Piemex, Liberex, ecc) che sono in grado si ribaltare il significato e le direzioni delle monete tradizionali. Questa abbondanza di strumenti va di pari passo con una crescita della consapevolezza.  Vi è un sentire più diffuso di quanto si è soliti pensare che abbraccia tutti gli aspetti della vita, dal cibo, alla salute, ai beni comuni, al consumo di risorse ed energia. Ne sono testimonianza le sempre più numerose battaglie vinte in difesa dei territori, lo storico risultato dei referendum sull’acqua pubblica del 2011, la crescita – in controtendenza rispetto al settore alimentare – del biologico (che ormai occupa il 60% del mercato agroalimentare – dati Nomisma) e del chilometro zero. E le centinaia, migliaia, di esperienze virtuose che come Italia che Cambia incontriamo ogni giorno in giro per il Paese. Insomma, quello meteorologico è non l’unico clima che sta cambiando, e le conseguenze iniziano a vedersi anche ad altri livelli.cloudy-sky

Questo cambiamento culturale in atto, infatti, sta facendo sentire i propri effetti anche a livello macroeconomico. Le grandi multinazionali hanno fiutato l’inversione di tendenza e cercano di intrufolarsi nei nuovi mercati, interessandosi improvvisamente all’etica dei prodotti, al biologico, adottando modelli di sharing economy. Non è un caso, giusto per citare un esempio emblematico, che circa un anno fa i Rockfeller, una delle famiglie simbolo del capitalismo americano da sempre legata al petrolio, abbia deciso di boicottare l’oro nero ed annunciare una improvvisa “svolta ambientalista”. Né che un Papa possa emettere un’enciclica come “Laudato si’”  (pubblicata da Papa Francesco nello scorso giugno) in cui si parla di decrescita, beni comuni, ecologia. Forse i tempi sono maturi perché si giunga ad accordo storico, una svolta epocale sul clima (e non solo).Parigi in questo senso sarebbe un luogo simbolico per due aspetti: da un lato perché dopo i tragici fatti recenti segnerebbe un nuovo inizio, dall’altro perché collegherebbe idealmente due fenomeni apparentemente distanti ma in realtà interconnessi come il terrorismo e i cambiamenti climatici. Riflettiamoci: quella mentalità innaturale che considera le persone alla stregua di merci e le fa schizzare da un lato all’altro del globo, che persino nel cuore della civile Europa crea sacche di povertà ed emarginazione potenzialmente esplosive, terreno fertile per estremismi e fanatismi, non è forse la stessa che ci ha condotto ad alterare la biosfera e far “ammalare” la Terra? L’inquietudine ed il senso di impotenza che proviamo di fronte ad attentati come quello che ha scosso Parigi non è simile a quella che proviamo di fronte ai cambiamento climatici? E non dimentichiamoci  che lo stesso riscaldamento globale sarà causa di flussi migratori sempre più consistenti per via del fenomeno dei cosiddetti “profughi ambientali”. Siamo sicuri che la società contemporanea sia in grado di affrontare queste sfide senza una profonda ridiscussione dei propri valori?7338227

Dunque Parigi potrebbe essere il teatro di una svolta epocale, ed è per questo che è importante far sentire la nostra voce alla classe politica in vista dell’incontro. In tutto il mondo si stanno mobilitando milioni e milioni di persone per organizzare, nella data del 29 novembre, oltre duemila colorate e rumorose marce per il clima (l’elenco di tutte le marce su http://350.org/global-climate-march/). Solo in Italia se ne contano quasi duecento, dal grande evento romano organizzato dalla Coalizione Clima, alle miriadi di piccole marce locali: la mobilitazione di persone è impressionante e non ha precedenti nella storia delle conferenze per il clima. Una svolta epocale, dicevamo. Oppure è possibile, persino probabile, che questa svolta non avverrà a Parigi e il summit si concluderà con qualche pacca sulle spalle e nessun accordo vincolante. In tal caso non abbattiamoci: i cambiamenti sociali e culturali in corso vanno ben oltre un accordo fra stati e, per quanto qualche freno imposto dall’alto sarebbe d’aiuto, non possiamo aspettarci che la soluzione arrivi dal sistema politico-economico attuale. Le soluzioni le costruiamo noi ogni giorno, scegliendo come ci spostiamo, come e cosa mangiamo, dove mettiamo e come spendiamo i nostri soldi, persino – o forse soprattutto – come ci relazioniamo con gli altri. Forse l’incontro parigino non sarà una novella “rivoluzione francese” ma sarà un’occasione importantissima per accendere i riflettori sulle alternative che abbiamo costruito e che giorno dopo giorno continuiamo a diffondere.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2015/11/clima-e-cambiato/

Clima e COP21: questa sì che è una guerra da vincere

Molto si sta scrivendo in questi giorni in merito all’imminente inizio della Conferenza ONU sul clima (COP21) che si terrà a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre. Per la prima volta (o forse la seconda, se andiamo con la memoria all’11 settembre 2001) ci si sta ponendo la domanda se vi siano comuni interessi tra gli attacchi terroristici accaduti pochi giorni fa e un malaugurato fallimento della COP21.

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Come ricorda l’acronimo, si tratta della 21esima Conferenza sul clima e se ci aggiungiamo anche tutti gli incontri preparatori di natura politica e tecnica, sono diverse centinaia gli incontri svolti ad oggi a livello internazionale (migliaia se ci aggiungiamo quelli a livello interregionale) per cercare di adottare una politica climatica che sia “compatibile” con la sopravvivenza della specie umana, almeno alle condizioni di cui una parte della popolazione terrestre beneficia già oggi e tenendo in mente i limiti che dobbiamo porre alla nostra impronta ecologica. Per la prima volta (o forse la seconda, se andiamo con la memoria all’11 settembre 2001) ci si sta ponendo la domanda se vi siano comuni interessi tra gli attacchi terroristici accaduti pochi giorni fa e un malaugurato fallimento della COP21 e, inoltre, se sia opportuno far riunire a Parigi oltre 10.000 delegati – numero che verosimilmente potrebbe raddoppiare se si considerano gli attivisti ed esponenti della società civile ed imprenditoriale che parteciperanno, a meno che non si introdurranno stringenti misure selettive – provenienti da tutto il mondo. Il primo aspetto viene ben descritto da Oliver Tickell su The Ecologist che mette in guardia i leader politici dai rischi di un fallimento della COP21, ipotizzando un introito di circa 500 milioni di dollari all’anno dalle vendite del petrolio che in parte è nella disponibilità dei terroristi di ISIS per finanziare le proprie attività criminali. Tickell sottolinea che un accordo a Parigi è sì una questione ambientale ma che adesso abbiamo un motivo in più per non fallire e ridurre la nostra dipendenza dal petrolio. Innegabile. Come innegabile è il fatto che non basta un accordo per limitare le emissioni di gas serra in atmosfera per togliere potenziali risorse ai terroristi, anche se la riduzione delle emissioni raggiungesse livelli “inaspettati”, come ad esempio quelli che da tanto tempo gli scienziati dell’IPCC ci indicano come la strada da seguire. Chi muove gli attacchi terroristici troverà altre risorse per finanziarsi, al di là di quelle che ad oggi sembrano provenire dalla vendita del petrolio. Sono profondamente convinto che se non si analizzano a fondo le condizioni che muovono tali attacchi non riusciremo mai a contrastarli e, soprattutto, a fare in modo che non accadano più. Su questo punto, faccio riferimento a quanto scritto da Marco Travaglio su l’Huffington Post e, nello specifico, le sue considerazioni di natura politico-economica a livello internazionale e da Paolo Ermani su Il Cambiamento. Quanto scritto da loro delinea chiaramente quali sono le azioni da intraprendere, certamente non quella di continuare a bombardare a spron battuto qua e là nella speranza di colpire qualche terrorista ed avere come “effetto collaterale” – giustificato da molti – centinaia di morti civili. E’ necessario intervenire, subito, ma con intelligenza ma soprattutto umiltà. Umiltà nel capire che le condizioni che scatenano questi attacchi terroristici nascono da come il mondo che si definisce civile si comporta nei riguardi di altri territori e persone.

Fonte: ilcambiamento.it

Stop alle centrali a Carbone: La risoluzione è in Parlamento

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Alla vigilia della Cop21 di Parigi, che si terrà il prossimo 11 dicembre, nel nostro paese si riaccende il dibattito sul percorso da seguire in relazione alle emissioni di CO2. A tale riguardo, è stata presentata una risoluzione in Parlamento da Stella Bianchi (Pd), presidente dell’intergruppo Globe Italia che mette insieme i parlamentari impegnati in materia ambientale. La risoluzione avanza l’esigenza di chiudere progressivamente le centrali a carbone e di porre nuovi limiti alle emissioni di gas serra delle stesse centrali. Il quotidiano Repubblica ha riportato alcuni passaggi del testo elaborato in Parlamento. Ivi, si legge che è necessario muoversi immediatamente perché “le emissioni di CO2 provenienti dalla combustione del carbone arrivano a essere del 30% superiori a quelle del petrolio e del 70% superiori a quelle del gas naturale […] La pericolosità del carbone è aggravata dal fatto che, oltre al biossido di carbonio, vengono dispersi nell’ambiente mercurio, piombo, arsenico, cadmio e altri metalli pesanti“.

Inoltre, sempre nella risoluzione si fa presente che l’Italia possiede un eccesso di produzione di elettricità, senza tenere in conto l’apporto delle rinnovabili. Per questo motivo, si precisa, un decremento dell’offerta di energia da centrali termoelettriche (con la chiusura di quelle a carbone) non inciderebbe sulla sicurezza del sistema energetico nazionale.

A corroborare la tesi dell’opportunità di chiudere le centrali a carbone c’è anche il parere dell’ UK Energy Research Centre. L’ente ritiene che andare nella direzione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica aumenterebbe i posti di lavoro. A parità di investimenti, le energie rinnovabili darebbero lavoro 10 volte tanto rispetto al settore termoelettrico. E, secondo uno studio di Legambiente, il settore delle rinnovabili, entro il 2020, potrebbe arrivare a creare 250mila posti di lavoro, più altri 600mila inerenti ad ambiti professionali connessi e all’indotto. Stella Bianchi ha aggiunto che “alla conferenza di Parigi si dovrà definire una road map per arrivare a un sistema produttivo carbon neutral […] E una delle prime mosse dovrà essere la messa al bando delle centrali a carbone […] L’Italia può essere capofila in Europa di questo processo virtuoso per sostituire un combustibile ad alto impatto ambientale con le rinnovabili e l’efficienza“.

Ricordiamo che il carbone non è solo pericoloso (per l’Università di Stoccarda ha prodotto 22300 decessi nel 2010), ma potrebbe diventare a breve anche un settore in cui non sarebbe più conveniente investire. Forti fenomeni di disinvestimento si registrano già oggi, come nel caso del Fondo sovrano norvegese che ha deciso di non puntare più sull’elettricità a carbone.

Fonte: ecoblog.it