Orti Generali: il bene comune rigenerato che diventa orto collettivo e impresa sociale.

Orti Generali è un progetto di rigenerazione urbana di un’area in stato di semi-abbandono nel quartiere Mirafiori, a Torino. Oggi è uno spazio che offre centosessanta orti con la possibilità di coltivare, in gruppo o in famiglia, come associazione o individualmente ed imparare, con corsi di formazione teorica e pratica, attività e laboratori, alcuni dei temi legati all’agricoltura biologica, all’orticoltura e ai lavori rurali. Abbiamo incontrati uno dei co-fondatori del progetto, Matteo Baldo, che ci ha raccontato tutti i dettagli del progetto. In questo preciso momento in cui vi scrivo, nella sede di Orti Generali in Strada Castello di Mirafiori a Torino, la temperatura è di -1°C, ma quella del terreno è di un 1°C. Non c’è bisogno di annaffiare, ma si potrebbe zappare. L’umidità del terreno è di circa il 21%. Va bene, lo ammetto: sto cercando un modo originale per iniziare il racconto della storia di Orti Generali, un progetto di rigenerazione urbana che ha permesso il recupero comunitario di un parco fluviale, sulle rive del torrente Sangone, precedentemente in stato di semi-abbandono. Oggi su questa superficie sono stati assegnati a persone e famiglie circa centosessanta orti, di diversa grandezza, destinati all’autoproduzione. All’interno di Orti generali esiste inoltre un orto collettivo, che viene coltivato insieme ai volontari del quartiere, i cosiddetti Ortolani Solidali.

Lo spazio non è riservato ai solo esperti di orticultura: lo staff di Orti Generali assiste e forma tutte e tutti coloro che vogliono cominciare ad autoprodursi il proprio cibo, senza l’utilizzo di sintesi chimica ed esclusivamente in biologico. È anche per questo che all’interno dell’area è presente un polo didattico dove seguire corsi di formazione, frequentati anche dalle scuole che visitano l’area, e dove vengono distribuiti materiali informativi di vario tipo per imparare tutte le conoscenze necessarie ad una buona coltivazione. Altro pilastro di Orti Generali, come avete letto all’inizio di questo pezzo, è l’innovazione tecnologica: a disposizione degli ortolani c’è una centralina che rileva diversi parametri come meteo, umidità, temperatura locali, e aziona all’occorrenza un impianto di irrigazione centralizzato per tutti gli orti. I dati sono pubblici e a disposizione di tutte e tutti: lo scopo è ridurre al minimo lo spreco di acqua per l’irrigazione.
Orti Generali è nato da un’idea dell’Associazione Coefficiente Clorofilla, oggi Orti Generale APS, ed è curato da Stefano Olivari e Matteo Baldo. È nato da un’idea di Isabella Devecchi e grazie al prezioso aiuto di Marco Bottignole.

Immagini di copertura di Umberto Costamagna e Federica Borgato

La rigenerazione: il recupero

Facciamo un passo indietro: siamo nel quartiere Mirafiori, periferia sud di Torino. Luogo simbolo del “boom economico” (dal 1951 al 1971 Mirafiori Nord passò da 18.700 a 141.000 abitanti), conosciuta perlopiù per la presenza degli stabilimenti Fiat, è attraversata dal Torrente Sangone e sta vivendo un graduale processo di trasformazione strutturale e sociale, proprio e soprattutto a causa dell’abbandono produttivo della casa automobilistica. Una costante di questo quartiere sono sempre stati gli orti spontanei: appezzamenti di terra che, più o meno legalmente, venivano coltivati dagli abitanti del quartiere. Orti Generali sorge infatti ispirandosi ad un precedente progetto di ricerca chiamato “Miraorti”, progetto di ricercazione e sperimentazione nato nell’Ottobre del 2010 allo scopo di “riflettere sulle future trasformazioni dell’area di Mirafiori sud, lungo il torrente Sangone, attraverso un percorso di progettazione partecipata del territorio” e nasce con l’obiettivo di costruire un modello di impresa sociale per la trasformazione e la gestione di aree agricole residuali cittadine. Il progetto di ricerca è così confluito in un modello più attuativo, quello di Orti Generali. La riflessione gira attorno ad un tema fondamentale e ce la spiega Matteo Baldo, uno dei co-fondatori di Orti Generali: «Molti degli orti di questa area erano abusivi e i terreni intorno versavano in condizioni di abbandono, con la presenza di numerosi rifiuti e oggetti abbandonati. Quando siamo arrivati qui, a Maggio del 2018, abbiamo avviato una bonifica perché erano presenti tonnellate di materiali impropri. Questo processo si è potuto attuare grazie al fondamentale aiuto dei volontari di quartiere, e questo processo ha poi favorito il dialogo con gli ortolani per l’utilizzo di materiali il più possibile naturali per la costruzione e la coltivazione degli orti».

La struttura: non solo orti

Oggi Orti Generali esiste anche grazie ad un bando di concessione della Città di Torino. I centosessanta orti sono stati assegnati a chiunque ne abbia fatto richiesta, ma una precedenza è stata data alle ragazze e ai ragazzi al di sotto dei trentacinque anni, «categoria che abbiamo protetto riservandogli trentacinque orti con un contributo agevolato, perché uno degli obiettivi di Orti Generali è diffondere alle nuove generazioni i principi dell’autoproduzione – spiega Matteo – ma non ci siamo dimenticati di quelle famiglie e le persone che sono in difficoltà economica, che noi chiamiamo gli Ortolani Solidali. A fronte di un contributo simbolico, queste persone sono il cuore pulsante di Orti generali perché diventano parte dello staff, gestendo insieme a noi il verde pubblico e tutte le necessità dello spazio. Aiutiamo e veniamo aiutati grazie al senso di responsabilità di ogni persona». 

Le assegnazioni degli orti sono state velocissime perché la partecipazione delle persone è stata sin da subito molto sentita, tanto che oggi Orti generali sta riflettendo per ampliare e adibire un’altra area del Parco per la costruzione di nuovi appezzamenti coltivabili. All’interno di Orti Generali, come potete vedere anche dal video sopra, è presente una vera e propria fattoria con pecore e galline, un orto collettivo le cui eccedenze vengono redistribuite grazie al progetto “Mirafiori Quartieri Solidali” alle famiglie in difficoltà. Inoltre possiamo trovare un bistrot con un chiosco per mangiare e un’area ludica: «Sono presenti alcune sdraio, nel quale le persone possono rilassarsi e godersi il paesaggio. Lo abbiamo voluto perché, nel passato, le persone che non potevano permettersi di partire per le vacanze al mare venivano qui, sul Torrente Sangone, a trascorrere alcune ore in relax. E’ un aspetto che non vogliamo perdere», racconta Matteo. 

La sostenibilità culturale e sociale

In Orti generali, oltre al tema dell’agricoltura sana e delle tecniche e tecnologie adatte a realizzarla, è centrale l’aspetto della comunità. Il primo orto nato dentro Orti Generali è un orto sinergico, nato dalla bonifica di un orto precedente. Spiega Matteo che «ciò è successo grazie alla collaborazione con il Servizio Dipendenze dell’Asl locale, che ha permesso l’arrivo qui di persone che sono state protagoniste di percorsi riabilitativi e di ortoterapia». Uno dei risultati è stato appunto “SOS Orto” (così chiamato dagli stessi partecipanti a questi percorsi), l’orto sinergico che è divenuto anche un’aula didattica per chi voglia capire come realizzarlo. «Siamo diventati anche un contenitore di tante iniziative e tanti progetti diversi – spiega Matteo – e con il Dipartimento di Biologia dell’Università di Torino abbiamo sviluppato un progetto sugli impollinatori, per divulgare la loro importanza e facilitare la convivenza fruttuosa tra insetti e uomini. Con il Dipartimento di Agraria abbiamo approfondito le tematiche legate agli Impollinatori e abbiamo inoltre sviluppato un filone di informazione legato all’inquinamento e al rapporto tra coltivazione e aree urbane. Abbiamo ottenuto dati scientifici per capire quali sono le barriere naturali per evitare che lo smog contamini le nostre colture».
All’interno di Orti Generali è presente anche un apiario, sviluppato insieme ad un’Associazione chiamata “Parco del Nobile”, che da anni fa didattica legata agli orti e che permette agli ortolani di Orti Generali di avvicinarsi al mondo dell’apicoltura e di produrre anche una piccola quantità di miele.

Ci allontaniamo e ci salutiamo con Matteo, dopo il nostro lungo incontro durato più di un’ora, con una riflessione generale sul senso del progetto: «Il minimo comune denominatore di tutte queste attività è poter partecipare ad un processo di costruzione e rigenerazione del bene comune, che metta al centro della propria azione la condivisione e la partecipazione. Tutti, indipendentemente dal livello di contributo, possono fare qualcosa per cambiare le sorti di un luogo».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/01/orti-generali-bene-comune-rigenerato-diventa-orto-collettivo-impresa-sociale/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Cosa succede se tre famiglie decidono di vivere insieme?

Tre coppie con figli hanno deciso di sperimentare la convivenza familiare. È nata così, nei pressi di Forlì, la Casa del Cuculo, oggi anche una cooperativa che porta avanti progetti virtuosi e produce artigianato culturale. Bambini, feste, incontri, progetti, orti, gruppi musicali, sogni terreni e sogni impossibili. Tutto questo è la Casa del Cuculo, un luogo nelle colline tra Meldola e Bertinoro, a venti minuti da Forlì. Decido di andarli a trovare e di raccontare la loro storia su Italia che Cambia, di cui faccio parte come Agente del Cambiamento. Incontro i ragazzi e le ragazze della Casa in una giornata umida e nebbiosa. In questo luogo rustico ma accogliente abitano al momento tre coppie e tre bambini. Marcello Di Camillo e Elena Salvucci che hanno due figli, Gianluca di 8 anni e Lara di 3. Sara Galeotti e Giulio Cantore con Greta di 2 e Roberto Cardinale e Valentina Cifarelli che aspettano un bambino (che nascerà pochi giorni dopo proprio in casa e che si chiama Remì).

È Roberto che mi accompagna ad esplorare l’abitazione e i dintorni. Mi racconta che non sono collegati alla rete idrica per cui hanno costruito dei canali e serbatoi di raccolta per utilizzare l’acqua piovana. Nello spazio adiacente c’è un forno autocostruito per la produzione di pane e pizza. Fanno parte della proprietà un ettaro di terra, in parte zona boschiva e in parte coltivabile (con le casette per le api) che stanno ri-progettando secondo l’approccio della permacultura.  In progetto c’è anche la realizzazione di una food forest per l’autoproduzione necessaria al gruppo. L’acquisto di una caldaia con accumulo ha permesso di ridurre la dipendenza dal costoso gpl e di scaldare sufficientemente la casa a legna. Entriamo nell’edificio principale che è composto da una grande sala da pranzo al piano terra, tre camere da letto e un laboratorio di liuteria (Giulio costruisce chitarre) al primo piano con annesso il bagno (uno per tutti!). La camera con soppalco di Sara e Giulio è accanto alla struttura più grande così come il salone con parquet per le attività d’insieme che potete vedere nel video.img_2203

Una volta conclusa la perlustrazione cerco di riassumere le vicende di questo posto con l’aiuto di Marcello, che ne è il fondatore. Compito non facile… scopro fin da subito che la Casa del Cuculo ha una lunga storia ed è sempre stata una scuola di convivenza. Dal 2002 Marcello ne è divenuto il proprietario. Essendo un pittore e animatore di iniziative sociali, la Casa subito è divenuta crocevia di persone ed eventi artistici. Marcello racconta che ogni tanto qualche persona di passaggio rimaneva misteriosamente risucchiata e restava ospite per mesi. Sara aggiunge che il suo matrimonio con Giulio che si è svolto in parte in questo luogo “scalcagnato” è stata un’esperienza magica per la presenza di tante persone care che hanno contribuito in modo poco convenzionale alla buona riuscita dell’evento. Nel 2011 si è costituita la cooperativa omonima che produce artigianato culturale, confezionando modelli unici di valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale della comunità. Fanno parte della cooperativa Marcello, Sara e Elena. Qualche esempio delle realizzazioni: nel 2016 “Visioni sedentarie, il mondo visto da una sedia”, un’opera d’arte pubblica che racconta un piccolo paese attraverso le sedie vuote; nel 2015 “Ecommunity Express”, un viaggio alla ricerca delle invenzioni nel lavoro di comunità in Emilia-Romagna; nel 2015 e 2016, sempre a Forlì, progettazione della Cittadella di pallet in occasione della Settimana del Buon Vivere. Scopro che un elemento comune di questa piccola comunità è la musica. Tutti sono appassionati e gran parte di loro suonano uno strumento e partecipano in gruppi musicali o hanno proprio progetti (come Giulio Cantore) e in genere si canta volentieri a Casa. D’altra parte si percepisce la diversità di ogni componente del gruppo e lo sforzo di incamminarsi in un tragitto comune.DSC_5071.jpg

L’altro progetto importante è scaturito nel 2011 dalla creatività di Valentina e Roberto. Si tratta dell’associazione Paradiso Ritrovato e del progetto “The HeART of Change”. L’associazione cerca, attraverso percorsi formativi, di costruire un nuovo paradigma educativo e la sperimentazione di stili di vita cooperativi e sostenibili. In questo contesto si sviluppa The HeART of Change, un corso di formazione inizialmente finanziato dal programma europeo Erasmus+ . Il corso si propone in modo originale di fornire strumenti concreti per facilitare l’orientamento dei giovani alla ricerca di una vocazione autentica. Un lavoro che parte dalla connessione interiore e si esprime in workshops esperienziali che si sono svolti per la prima volta in Italia nel 2016 proprio nella Casa. L’economia di gruppo per la gestione della quotidianità funziona da dieci anni semplicemente attraverso una cassa comune in cui confluiscono 50 euro a testa e che contribuisce a tutte le spese ordinarie, per i pranzi e le cene ci si organizza senza molte formalità o turni. La singolarità della loro esperienza sta proprio nel tentativo di costruire non solo la convivenza quotidiana ma anche la possibilità di lavorare insieme, collaborare e inserirsi in progetti di valore sociale.12002054_10153021039406401_3448073330097767211_n

In particolare mi ha colpito la proposta di insegnare come trovare la reale vocazione in un mondo così in cambiamento che centra non solo un bisogno dei giovani alla ricerca di un futuro possibile ma anche la necessità di adulti che non si riconoscono nei modelli lavorativi attuali e cominciano a guardarsi dentro per conoscere la propria strada. Va apprezzato lo sforzo, giorno per giorno, di adattare una struttura rustica alle esigenze di grandi e piccoli e divertendosi nel farlo. L’apertura alle visite e all’aiuto, all’organizzazione di corsi. Roberto mi dice che per lui il compromesso di vivere con altri è una precisa scelta di alzare la media matematica del tempo che trascorre con le persone che ama di più. Una scelta coerente.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/01/cosa-succede-tre-famiglie-decidono-vivere-insieme/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni