Italia leader nella lotta alle frodi alimentari

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In Italia, l’eterogeneità e l’alta qualità della produzione enogastronomica hanno fatto sì che maturasse, sin dagli anni Sessanta, un articolato e capillare sistema di controlli sul cibo che fa del nostro Paese un vero e proprio modello in termini di lotta alla contraffazione. Lo dimostra il convegno internazionale organizzato a Expo 2015 dal Ministero della Salute, da quello delle Politiche agricole e dall’Arma dei carabinieri, rappresentata dal comandante generale Tullio Del Sette. Proprio quest’ultimo spiega come sia aumentata, a livello globale, l’attenzione verso questo tipo di problematiche:

Sicuramente è un fenomeno in crescita di attenzione perché non è più attenzionato da alcuni Paesi come l’Italia, ma via via da un numero sempre maggiore di Paesi. Insieme ai Nas il sistema italiano prevede anche altre forze di polizia, altre specialità, che svolgono un lavoro molto importante in totale sinergia con questo modello di coordinamento che è il più sviluppato che si conosca. Molte delle frodi alimentari superano i confini nazionali, anzi sono tanto più efficaci quanto è maggiore la scarsa conoscenza del prodotto originale, ecco perché, per Giuseppe Ruocco, direttore generale della divisione per l’igiene e la sicurezza degli alimenti del ministero della Salute, è giunto il momento di pensare a una rete mondiale contro le frodi alimentari. Il modello operativo prevede la collaborazione fra tre tipologie di professionisti: 1) i veterinari, 2) i medici, 3) gli ispettori che si occupano della salute dei prodotti e della sicurezza alimentare nelle stesse strutture. All’incontro è intervenuto anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin che ha sottolineato come la leadership italiana sia favorita dalle “politiche di salute pubbliche che hanno permesso un’efficace azione di prevenzione”.

Fonte:  Askanews

Come vincere la guerra delle plastiche

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7 miliardi di euro e 110mila posti di lavoro bruciati a causa dei riciclo illegale di rifiuti e contraffazione. Sono i preoccupanti risultati che emergono da uno studio EurispesPolieco, il consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene. Il lavoro, che sarà presentato in occasione della quinta edizione del Forum internazionale sull’economia dei rifiuti, in programma a Ischia il 20 e 21 settembre, fotografa lo stato dell’arte della produzione di materie plastiche a livello mondiale e analizza le problematiche dovute al loro cattivo riciclo smaltimento. Con particolare attenzione sulle ricadute economiche sanitarie legate all’importazione di beni prodotti con rigenerato di dubbia origine. L’obiettivo è di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica a una cultura del riciclo legale, perché le plastiche possano trasformarsi da problema a risorsa. Ed essere utilizzate per dare linfa a una economia verde in grado di creare sviluppo occupazione nel pieno rispetto dell’ambiente. Ecco i dati. Da dieci anni a questa parte, evidenzia lo studio, la produzione di plastica è aumentata nel mondo (+3,7%) e in Europa (+1,7%). E, di conseguenza, sono cresciuti anche i rifiuti prodotti: “nel 2011”, dicono all’Eurispes, “di tutta la plastica richiesta dal mercato nell’Ue-27, è stato intercettato un quantitativo di rifiuti pari a 25,1 milioni di tonnellate, in aumento del 2,4% in più rispetto al 2010, più che doppio rispetto al tasso di crescita delle plastiche vergini”. Di tutta questa monnezza, poco meno della metà è finita nelle discariche. La quota residua è stata destinata a recupero di materia o produzione di energia. Purtroppo, i rifiuti plastici non sempre vengono smaltiti come dovrebbero. E a farne le spese sono i Paesi più poveri:“Il 25% delle spedizioni inviate dall’Ue ai Paesi in via di sviluppo di Africa Asia avviene in violazione alle normative internazionali”. Se evitassimo di esportare illecitamente questi materiali e adottassimo pratiche di riciclo sostenibile, fanno notare gli esperti, otterremmo “un risparmio notevole e un minor depauperamento di ambiente e risorse nell’ottica della sostenibilità e di un approccio etico all’attività umana”.

Ma c’è anche di peggio. Perché quello che esce (più o meno legalmente) dalle nostre dogane vi rientra poi sotto forma di beni contraffatti e/o pericolosi, con ingenti ricadute su salute, occupazione ed economie nazionali. Basti pensare che le stime sul mercato della contraffazione in Italia parlano di un giro d’affari di circa 7 miliardi di euro, che comporta minori entrate fiscali per 1,7 miliardi e una perdita di 110milaposti di lavoro. Tra i settori più colpiti quelli del made in Italy, cioè abbigliamento e accessori (2,5 miliardi di euro) e agroalimentare (1,1 miliardi di euro). Ma anche cd,dvd e prodotti informatici tarocchi: sette volte su dieci, i prodotti sequestrati vengono dalla Cina. Si tratta purtroppo di un meccanismo oramai collaudato e in costante aumento con il passare degli anni. Per affrontare e risolvere il problema, secondo gli esperti, è necessario “ripensare il concetto di rifiuti in termini di materiali, ossia valorizzando la risorsa da un punto di vista tecnico-economico”, e “concepire il territorio non solo come elemento di qualità ambientale, ma anche come punto di partenza per un rinnovato impulso del settore in chiave green”. E bisogna mettersi al lavoro subito, come mette in guardia Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes: “Non è azzardato ipotizzare che nel prossimo futuro assisteremo a una guerra delle plastiche, dalla quale uscirà vincente solo chi si sarà dotato degli strumenti idonei al recupero di materia, al riciclo dei rifiuti e al loro utilizzo”. La strada, dunque, sembra essere questa. Cerchiamo di non farci trovare, ancora una volta, impreparati.

fonte: Wired.it

Tratto: galileonet.it

Carboncheck porta a SANA 2013 la tracciabilità degli alimenti bio (e non solo)

Il progetto, tutto italiano, consente di individuare l’origine delle materie prime di cui è formato un prodotto, aspetto particolarmente caro ai consumatori che scelgono prodotti naturali o biologiciimage1-e1378840092968

“Fino a dieci anni fa nessuno avrebbe pensato di importare pomodoro dalla Cina per fare sugo, ma ora succede”. E’ questo il modo in cui questa mattina a Bologna, in occasione dell’ultima giornata di SANA 2013, Paolo Bartolomei, esperto dell’ENEA, ha introdotto il problema della tracciabilità degli alimenti in un mondo in cui gli scambi commerciali con Paesi terzi ha purtroppo creato nel consumatore il timore che ciò che giunge sulla sua tavola non corrisponda a quanto intendeva acquistare o consumare. Un problema, quello della contraffazione, che colpisce ancora di più chi, spinto dal desiderio di una maggiore attenzione nei confronti della propria alimentazione, sceglie di acquistare prodotti bio confidando nella loro maggiore sicurezza e salubrità. Per far fronte al problema oggi chi si occupa di tracciabilità degli alimenti ha a disposizione uno strumento che analizza i prodotti fin nei suoi atomi. Si tratta di Carboncheck, un progetto di U-Series srl, Nano4bio srl, MASSA Spin-off srl e ISTA srl grazie al quale è stato messo a punto un sistema che consente, fra le altre applicazioni, di analizzare gli isotopi radioattivi per distinguere le componenti bio presenti in un prodotto. Come ha spiegato Bartolomei, quelle sui cui si basa Carboncheck sono tecniche antiche ed affidabili che nel corso degli ultimi 10 anni hanno vissuto un’espansione nel settore della tracciabilità alimentare. Il fenomeno per cui l’isotopo radioattivo di un atomo decade con il passare del tempo è infatti sfruttato già a lungo per distinguere le componenti biologiche dai fossili. Oggi la sua applicazione può passare all’ambito della tracciabilità basandosi sul fatto che i rapporti tra gli isotopi di idrogeno, ossigeno, carbonio, azoto e zolfo sono tipici dell’area di provenienza della materia prima con cui l’alimento è stato prodotto. Ciò permette di stabilire da dove viene un alimento, se è conforme alle aspettative, come è stato processato, offrendo uno strumento utile per confermare le informazioni ottenibili con gli strumenti di tracciabilità tradizionali. Le applicazioni di Carboncheck nel settore del biologico non finiscono però qui. Nel corso dello stesso incontro Chiara Carducci, dottoranda direttamente coinvolta nel progetto presso i laboratori di U-Series, ha spiegato che dopo essersi formato nell’atmosfera per interazione con i raggi cosmici il carbonio radioattivo si distribuisce in tutti i comparti ambientali. Quando gli organismi muoiono ha inizio il suo decadimento, che cessa solo nei fossili. Ciò permette di distinguere il carbonio fossile (e quindi i derivati sintetici del petrolio e della petrolchimica) da quello biogenico, presente negli organismi viventi, una possibilità che trova applicazione sia nel mondo dei prodotti biobased, derivati completamente o in parte da materie prime biologiche, sia in quello dei biomateriali, come le bottiglie per l’acqua minerale prodotte per il 30% con materia prima di origine vegetale o i flaconi dei cosmetici utilizzati da aziende particolarmente devote al bio e alla naturalità. Il progetto Carboncheck ha mirato anche a ridurre la tossicità e aumentare la semplicita della metodologia, che, però, vede ancora un margine di miglioramento, su cui gli esperti sono già all’opera.

Fonte: ecoblog