Il consumo di carne da allevamenti intensivi è insostenibile per il pianeta

Dal 1961 al 2010 la popolazione globale di animali macellati è passata da circa 8 a 64 miliardi, cifra che raddoppierà a 120 miliardi entro il 2050 se prosegue l’attuale ritmo di crescita. Il consumo di carne a questi livelli NON è sostenibile.

Nel 1961, poco più di tre miliardi di persone mangiavano una media di 23 kg di carne all’anno. Nel 2011, sette miliardi di persone mangiavano 43 kg di carne. Dal 1961 al 2010 la popolazione globale di animali macellati è passata da circa 8 a 64 miliardi, cifra che raddoppierà a 120 miliardi entro il 2050 se prosegue l’attuale ritmo di crescita.

Tony Weis  – The ecological Hoofprint

Basterebbero questi pochi  dati per capire che il consumo di carne è insostenibile. Ci sono ormai letterature sterminate, studi di ogni tipo che lo dimostrano. Insostenibile dal punto di vista ambientale, energetico, agricolo, sanitario e per chi ha a cuore la questione, anche dal punto di vista della sofferenza degli animali. Ma parlare di alimentazione è sempre difficile perché è un aspetto molto personale. Si creano fazioni irriducibili fra onnivori, vegetariani, vegani con lotte di religione dalle varie parti. Ci sono però alcuni fatti innegabili a prescindere dalla propria convinzione, cultura o usanza alimentare. E’ infatti impensabile che la produzione e consumo di carne possa continuare a livelli esponenziali. Già ora l’impronta ecologica degli allevamenti è pesantissima e per il futuro non ci sono semplicemente abbastanza terre e cibo per sfamare gli eserciti di miliardi di animali che verranno e i danni all’ambiente derivanti, se si pensa anche solo alle emissioni climalteranti dei bovini derivanti dalla loro digestione. Il saldo dal punto di vista energetico è sempre negativo per quello che riguarda la carne. Il cibo che alimenta gli animali con cui si alimentano le persone, infatti potrebbe essere direttamente dato alle persone e saltare un passaggio. Già solo agendo in questo modo si risolverebbero tutti i problemi di fame nel mondo all’istante e si smetterebbero di sentire queste assurde teorie che dicono che la gente muore di fame perché siamo troppi. Non siamo troppi, bensì siamo in pochi ad avere troppo e tanti ad avere poco o niente.  Si potrebbe fare un esempio emblematico su tutti: le piantagioni di soia del Brasile, che vanno in gran parte ad alimentare gli animali degli allevamenti intensivi, si creano continuando a distruggere la foresta amazzonica e facendo danni incalcolabili, sia perché si distrugge per sempre una preziosa e inestimabile biodiversità, sia perché si diminuisce la capacità di assorbimento di CO2.  E quella soia è destinata anche al consumo di carne di maiale in Cina che ne mangia la metà a livello mondiale, con un aumento vertiginoso. Già ora siamo al collasso, cosa potrà succedere se anche i paesi cosiddetti emergenti volessero mangiare carne al nostro ritmo e quantità? Considerando che stiamo parlando di miliardi di persone.  Migliaia di animali stipati in lager producono un inquinamento da deiezioni pesantissimo e poi hanno bisogno di vari trattamenti medicinali, con conseguente ulteriore grave inquinamento delle falde.  Questi animali, che vivono in maniera aberrante, sono in condizioni igieniche pessime e ad ogni momento è in agguato qualche epidemia che può trasmettersi alle persone come purtroppo già verificatosi. Torturare e uccidere milioni di animali non è qualcosa di cui andare fieri, per non parlare poi dell’aspetto della salute dove la carne non è certo un toccasana per il nostro organismo e molte malattie dipendono proprio da un consumo eccessivo. Non si tratta quindi di lotte di religione o simili; il consumo di carne, soprattutto da allevamenti intensivi, è insostenibile da ogni lato lo si guardi. Volenti o nolenti, non per motivazioni spirituali o etiche ma per la mera sopravvivenza delle persone e del pianeta stesso, si dovrà arrestare e invertire la rotta su di una produzione e consumo di carne che già ora è un problema drammatico.

Fonte:ilcambiamento.it

Consumo di carne, la ricetta di Slow Meat

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Terra Madre Salone del Gusto, conclusosi a Torino il 26 settembre, il tema della produzione e del consumo di carne ha assunto una dimensione centrale nei dibattiti, negli incontri, tra il pubblico che ha visitato il percorso interattivo Slow Meat. Negli ultimi settanta anni, il consumo mondiale di carne è aumentato di sei volte, da 45 milioni di tonnellate all’anno del 1950 agli attuali 300 milioni di tonnellate, e nel 2050 il fabbisogno previsto di carne sarà di 500 milioni di tonnellate, decuplicato rispetto al 1950 e doppio dell’attuale. Cosa significa oggi consumare carne in modo responsabile e sostenibile? Come salvaguardare il vasto e prezioso patrimonio di razze animali addomesticate dall’uomo nei millenni, elemento essenziale delle civiltà rurali di tante popolazioni nel mondo? Qual è l’impatto ambientale e sanitario dell’allevamento industriale di carne?

Sono queste le principali domande alle quali la campagna Slow Meat cerca di rispondere, analizzando il costo reale della bistecca che arriva sulla nostra tavola, mettendo a confronto due modi di produzione – quello della carne industriale e della carne sostenibile – per conoscere le diverse possibilità di scelta. “Continuare a mangiare carne con i livelli di consumo a cui si è abituato l’Occidente è insostenibile. Allevamenti sempre più grandi e affollati, condizioni di vita innaturali, stress e sofferenze, mangimi di bassa qualità, monocolture, deforestazione ed enormi quantitativi di acqua: è il prezzo dell’industrializzazione della zootecnia. Tutto questo ha gravi conseguenze per l’ambiente, la salute umana, il benessere animale e l’equità sociale. Scegliendo meglio, si possono cambiare le cose”, ha spiegato Serena Milano, Segretario Generale della Fondazione Slow Food per la Biodiversità. Lo slogan Slow Meat – “meno carne, di migliore qualità” – propone una soluzione alternativa alla scelta vegana e vegetariana. Quella “reducetariana” è una scelta obbligata non solo per la salute umana ma anche per quella delle risorse naturali che per la sua produzione vengono utilizzate. Per Slow Food è necessaria una campagna di educazione dei consumatori perché imparino a non acquistare carne il cui prezzo è troppo basso. I prezzi troppo bassi sono indice di scarsa qualità. Dietro, ci sono allevamenti che non rispettano il benessere animale, c’è un’alimentazione scadente somministrata agli animali, ci sono costi nascosti che ricadono sull’ambiente. Al contrario, diminuire l’incidenza delle cosiddette malattie del benessere significa preservare i sistemi sanitari pubblici che hanno di fronte prospettive di spesa insostenibili. Terra Madre Salone del Gusto ha dedicato uno spazio alla rete Slow Beans, informando sulle moltissime proprietà nutrizionali dei legumi, un’alternativa valida alla carne. Sono stati oltre 40 gli espositori di legumi a Terra Madre Salone del Gusto e 188 le varietà di legumi a rischio di estinzione salvaguardate dall’Arca del Gusto di Slow Food nel mondo. Richard McCarthy, direttore esecutivo di Slow Food USA ha presentato il Manifesto di Slow Meat:

“Il modello di allevamento industriale ci ha separato dalla ricchezza della biodiversità, isolandoci e limitandoci. Gli animali sono sottoposti a condizioni di tortura, i soldi sono concentrati nelle mani di pochi, e i consumatori sono costretti a fare scelte non etiche. È giunto il momento di rompere questo isolamento”

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Fonte: Ufficio Stampa Slow Food

Visione 2040 – Ambiente: uscire dalla cultura antropocentrica, verso il consumo di suolo zero

Combustibili fossili, consumo di carne, cementificazione. Sebbene la situazione ambientale in Italia e nel mondo non sia delle più rassicuranti, sono molteplici le azioni possibili per uscire dalla cultura antropocentrica oggi dominante e raggiungere una reale tutela del nostro Pianeta. Ne hanno discusso i partecipanti al tavolo Ambiente di #Visione 2040 che si sono confrontati sulle criticità attuali e sulle proposte per un cambiamento concreto.

Quando parliamo di ambiente, di terra, di ecosistemi, stiamo parlando dell’aria che respiriamo, dell’acqua che beviamo e con cui ci laviamo, innaffiamo i terreni, del cibo che mangiamo. La retorica che vede l’ambientalista come colui che si preoccupa di salvare gli orsi polari, o il pappagallo della foresta amazzonica ha segnato il suo tempo. Non è in corso nessuna battaglia per salvare la natura, piuttosto l’obiettivo è garantire a noi esseri umani la possibilità di continuare a vivere in condizioni buone su questo pianeta.piant

LA SITUAZIONE ATTUALE

Vista da questa prospettiva la situazione ambientale in Italia e nel mondo non è delle più rassicuranti.
Come prima riflessione possiamo affermare che molti degli squilibri e degli scompensi che l’uomo ha causato all’interno degli ecosistemi nascono da una filosofia antropocentrica che vede l’uomo come una figura che sta al di sopra o al di fuori dei cicli naturali. A causa della storia urbanistica italiana le città sono cresciute privilegiando l’automobile ai mezzi pubblici e la crescita del settore delle costruzioni alla tutela dell’ambiente e della qualità spaziale. Oggi ci troviamo di fronte a città in forti difficoltà in termini di qualità dell’aria, di consumi energetici, di gestione dei rifiuti, ma anche e soprattutto di gestione dell’ambiente urbano e delle risorse pubbliche per migliorarlo. Il consumo di combustibili fossili (soprattutto petrolio e gas naturale) è elevatissimo. Molta energia finisce inoltre sprecata per via della mancata efficientazione degli edifici: le perdite di calore attraverso i tetti, le pareti e le aperture sono enormi, rispetto alle possibilità di contenimento reali. Per quanto riguarda l’alimentazione, anche in Italia si rileva un consumo di carne troppo elevato. Un concetto come quello di rifiuto, inesistente in natura, è diventato per l’uomo contemporaneo uno dei più grossi problemi da risolvere. Nel nostro Paese solo il 30% dei rifiuti viene raccolto e avviato al riciclo, infrangendo le prime tre R e allontanandoci dagli obiettivi fissati a livello comunitario. In Italia le discariche costituiscono ancora la via principale per smaltire i rifiuti, modalità che alimenta affari illeciti e impedisce lo sviluppo di un ciclo virtuoso fondato su riciclaggio e prevenzione oltre ad essere una pericolosa fonte di inquinamento. Il consumo di suolo (soil sealing) in Italia ha avuto accelerazioni molto significative, portando il nostro paese a percentuali di occupazione del suolo superiori al tasso medio europeo. Secondo Ispra nel 2015 vengono cementificati 7mq al secondo, 50/60 ettari al giorno. Nel 2015 il 7% della superficie italiana (pari a circa 21 mila chilometri quadrati) è cementificato, asfaltato, impermeabilizzato per la costruzione di edifici e di infrastrutture e non risulta più disponibile per l’agricoltura o per la crescita dell’erba e degli alberi. Negli anni ’50 era il 2,7%, nel 1998 il 5,8%. Si tratta di un percentuale addirittura quasi doppia rispetto alla media europea. L’Italia è il primo produttore di cemento e il primo cementificatore d’Europa. Il fenomeno dell’abusivismo edilizio dal 1948 ad oggi ha ferito il territorio con 4,5 milioni di abusi edilizi (75 mila l’anno, 207 al giorno), favoriti da sciagurati condoni edilizi che hanno fatto incassare allo Stato l’equivalente di 15 miliardi di euro d’oggi per poi doverne spenderne 45 in oneri d’urbanizzazione. Il mar Mediterraneo è un mare ricco di biodiversità, ma al tempo stesso fragile. Una prima problematica è rappresentata dalla pesca eccessiva: circa 1.500 tonnellate l’anno (trend in calo), con una gestione decisamente scadente: circa l’80% delle specie ittiche di interesse commerciale non ha una valutazione adeguata della sua popolazione e dove tale valutazione esiste risulta che il 60% della delle popolazioni è pescata al di là dei limiti di sicurezza. Un altro gravissimo fattore di rischio per il Mediterraneo è rappresentato dall’estrazione e il trasporto del petrolio. In ogni momento circolano sul Mediterraneo circa 2000 navi, 300 delle quali sono petroliere o trasportano idrocarburi. Questo traffico è alla base dell’elevato numero di incidenti che secondo l’UNEP hanno causato lo sversamento di 55.000 tonnellate di idrocarburi nel Mediterraneo negli ultimi 15 anni.
In generale l’inquinamento da attività industriali, agricole e dagli insediamenti abitati è uno dei principali problemi. L’isolamento del mediterraneo amplifica questi fenomeni e alle fonti di inquinamento lungo le coste si aggiungono quelle dell’entroterra che comunque scaricano nei fiumi che si versano nel mediterraneo. Anche il turismo ha avuto un ruolo notevole nel degrado delle zone costiere, per via di uno sviluppo urbano rapido e incontrollato e la stagionalità dei flussi turistici che produce picchi di produzione di rifiuti; inoltre il turismo si concentra in zone di interesse paesaggistico causando una seria minaccia per l’habitat delle specie a rischio (es. foca monaca e tartarughe marine).

COSA POSSO FARE IO?

CITTADINE E CITTADINI – E’ importante privilegiare lo spostamento con i mezzi pubblici o con la bicicletta, rispetto all’auto privata, quando è possibile. Per quanto riguarda l’efficienza energetica, una buona pratica possibile è rendere il più possibile efficienti le proprie abitazioni. Per quanto riguarda il consumo di suolo, votare programmi politici in cui c’è riscontro sullo stop al consumo di suolo. E poi fare pressione ai politici, chiedere riscontro ai sindaci. In generale, cercare di far circolare il più possibile le informazioni: la rete oggi consente la circolarità delle buone pratiche, delle utopie concrete, delle azioni dei comuni virtuosi.

PROFESSIONISTA/IMPRENDITORE – Fare l’imprenditore oggi significa lavorare con grande generosità sociale e reinvestire una parte di quello che si accumula non solo nell’impresa personale (o men che mai in finanza) ma nel territorio. Dunque un imprenditore potrebbe investire nella riqualificazione e nel recupero dei centri storici e non in nuove costruzioni in aree agricole, così come consociarsi con altre imprese e sperimentare modelli di blue economy e economia circolare.

POLITICHE E POLITICI – Per quanto riguarda l’ambito politico, una buona azione iniziale sarebbe la pianificazione di orti e coltivazioni urbani, più in generale istituire “laboratori urbani” dove venga garantita l’informazione e la partecipazione della cittadinanza e che consentano di gestire le strategie di trasformazione. Fondamentale è non far prevalere l’interesse di partito sul bene comune, approvando piani regolatori a crescita zero. Introdurre inoltre campagne di sensibilizzazione nelle aree affette da variazioni del ciclo idrologico (eventi estremi di precipitazione, siccità, variabilità degli afflussi, ecc.) e disseminare informazioni sull’esistenza di buone pratiche in campo agricolo e industriale.

GLI ESEMPI

Sono numerose le Associazioni e le organizzazioni che da anni, in Italia, si occupano di divulgare la cultura del vivere secondo natura, di riunire i comuni virtuosi nell’ambito delle buone pratiche e nella salvaguardia del Paesaggio. L’associazione AnimaTerrae  si prefigge di divulgare la cultura del vivere secondo natura, creando il minor impatto possibile, autoproducendo e riciclando materiali, impegnandosi nel continuo studio e approfondimento di stili di vita alternativi e socialmente accettabili, attuabili anche in piccolo, in campagna come nelle proprie abitazioni in città, per affrontare piccole-grandi questioni, dall’aspetto ludico per grandi e piccoli, al giardinaggio, alla cosmesi, al mangiar sano.

La rete dell’Associazione Comuni Virtuosi  riunisce le amministrazioni locali che in Italia portano avanti politiche virtuose nei campi della gestione dei rifiuti, dell’efficienza energetica della sostenibilità ambientale. Il Forum Nazionale “Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori”  è un aggregato di associazioni e cittadini di tutta Italia (sul modello del Forum per l’acqua pubblica), che, mantenendo le peculiarità di ciascun soggetto, intende perseguire un unico obiettivo: salvare il paesaggio e il territorio italiano dalla deregulation e dal cemento selvaggio.

Grazie a…

I partecipanti del Tavolo Ambiente:  Guido Della Casa  – Ecologia Profonda | Domenico Finiguerra – Salviamo il Paesaggio | Serena Maso – Greenpeace | Paolo Pileri – Politecnico di Milano e Progetto VENTO | Chiara Pirovano – WWF.

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Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/07/visione-2040-ambiente-uscire-cultura-antropocentrica-consumo-suolo-zero/