Cos’è COP 21, la conferenza sul clima di Parigi

Tutte le informazioni sulla XXI Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite (UNFCCC) sui cambiamenti climatici che si terrà a Parigi dal 30 novembre al 11 dicembre del 2015Cina-Emissioni-di-CO2-21

La COP21, la XXI Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite (UNFCCC) sui cambiamenti climatici si riunirà a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre 2015. Di questo appuntamento storico, al quale parteciperanno 195 Paesi, 50mila persone e 25mila delegati ufficiali, si parla da molto tempo e alcuni cambi di passo dei leader dei più importanti Paesi energivori del mondo fanno si che si possa guardare all’appuntamento parigino con ottimismo. Obiettivo della UNFCCC è riuscire ad arrivare, per la prima volta in vent’anni, a un accordo vincolante e universale sul clima, un accordo che sia più solido e più esteso di quello di Kyoto, mai ratificato dagli Stati Uniti. La COP21 si concluderà significativamente l’11 dicembre 2015, a diciott’anni esatti da quel 11 dicembre 1997 in cui, durante la COP3, il trattato venne redatto.

COP21: gli obiettivi

Qualche giorno fa l’Onu ha reso note le linee guida delle questioni che andranno affrontate a Parigi e preventivamente esaminate a Bonn, dove fra il 19 e il 23 ottobre si terranno alcuni colloqui preliminari. I dodici giorni di negoziazioni dovranno portare alla redazione di un documento vincolante, al quale i Paesi aderenti dovranno attenersi secondo le regole fissate dal documento stesso. I singoli governi dovranno presentare dei piani per il raggiungimento degli obiettivi prefissati e il rispetto dei parametri verrà monitorato con cadenza quinquennale.

COP21: i Paesi partecipanti

Ovviamente esiste un notevole gap fra i diversi Paesi che prenderanno parte alla COP21: circa un quarto dei partecipanti (49 su 195) non hanno presentato i loro piani entro la deadline del 1° ottobre. Si va dai Paesi più sensibili, quelli scandinavi, a quelli maggiormente disinteressati come quelli del mondo arabo (per ovvie ragioni economiche…). E mentre l’Italia – a detta del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – è da annoverarsi fra i Paesi maggiormente collaborativi, nella capitale francese Stati Uniti Cina arriveranno portando in dote l’accordo bilaterale del 2014 sulla riduzione delle emissioni per il periodo successivo agli obiettivi del 2020. Alla COP21, naturalmente, parteciperanno anche piccoli Paesi che contribuiscono all’inquinamento con una quota minima di emissioni, ma ne subiscono in maniera pesante le conseguenze. Una delle questioni sarà lo stanziamento di 100 miliardi di dollari annui per risarcire i Paesi più poveri colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici.

COP21: i rischi

Un accordo sul clima deve essere preso e le emissioni devono essere ridotte, questo è un dato di fatto. Ma occorrerà analizzare nel dettaglio l’accordo, per capire, per esempio, se a pagare il conto dei provvedimenti che verranno presi saranno i cittadini o le aziende e gli Stati. Visto che sulle modalità per il raggiungimento degli standard che verranno decisi alla COP21 legifereranno i singoli Paesi, bisognerà capire se i singoli cittadini verranno sfavoriti nei confronti delle aziende. In parole povere: i cittadini dovranno rottamare le caldaie e le automobili inquinanti, ma le industrie che hanno contribuito in maniera determinante alla crescita incontrollata delle emissioni, di quali responsabilità dovranno farsi carico? Uno Stato, quello italiano, che ha favorito per oltre un secolo il trasporto su gomma, con quale credibilità potrà chiedere ora ai cittadini di pagare di tasca propria la riconversione a uno stile di vita all’insegna di un maggiore risparmio energetico? A pensar male si fa peccato, certo, ma l’esempio delle caldaie a condensazione è un interessante laboratorio per comprendere quanta ingiustizia e iniquità vi siano anche nei provvedimenti palesemente benefici e positivi.

Fonte:  COP21 Paris

Conferenza Onu sul Clima: a Lima approvato il documento finale

L’accordo sulla lotta al riscaldamento globale dovrà essere firmato a Parigi nel 2015. C’è voluta una nottata di negoziati, ma alla fine la conferenza Onu sul clima che si è tenuta a Lima, in Perù, ha portato a un documento finale che è stato approvato dalle 145 delegazioni di paesi presenti all’incontro. L’accordo è stato annunciato dal ministro dell’Ambiente del Perù, Manuel Pulgar Vidal, che era presidente della conferenza di turno. Il testo partorito dovrebbe chiamarsi “Appello di Lima per l’azione per il Clima”. Quali sono quindi gli impegni che i vari paesi si sono assunti per continuare (o iniziare) la lotta contro i cambiamenti climatici? I paesi dovranno presentare all’Onu entro il primo ottobre 2015 degli impegni quantificabili ed equi per la riduzione delle emissioni, assieme a una dettagliata informativa di quali saranno le azioni da seguire. Fondamentalmente, quindi, i paesi si impegnano a far sapere nell’ottobre dell’anno prossimo cosa intendono fare per mantenere gli impegni che sono stati precedentemente presi riguardo, soprattutto, l’abbassamento delle emissioni di gas serra. L’obiettivo ultimo è evitare che la temperatura media mondiale si alzi di altri due gradi centigradi, il che potrebbe provocare una vera e propria catastrofe. Ma la strada per far sì che la lotta inizi davvero a prendere quota è ancora parecchio lunga: la conferenza di ieri era di fatto solo propedeutica a quella che si terrà a Parigi l’anno prossimo, dalla quale uscirà un documento che dal 2020 andrà a sostituire il protocollo di Kyoto. Come sempre, in questi casi, non solo gli impegni che sono stati presi vengono giudicati da tutti insufficienti, ma si è registrata la solita spaccatura tra i paesi industrializzati e i paesi ancora considerati in via d’industrializzazione, capitanati dalla Cina. La spaccatura tra le due “correnti” è sempre la stessa, le nazioni in via di sviluppo non intendono sobbarcarsi gli stessi impegni dei paesi industrializzati, essendo stati questi ultimi a provocare, di fatto, l’inquinamento di cui oggi paghiamo le conseguenze. Quindi, secondo queste nazioni, sono Stati Uniti ed Europa, oggi, a dover fare fronte ai danni che hanno causato, dando la possibilità ai paesi in via di sviluppo di proseguire tranquillamente nella loro industrializzazione, così come hanno potuto fare per secoli i paesi del “primo mondo”.PERU-COP20-CMP10-KYOTO-PROTOCOL

Fonte: ecoblog.it

OMS: “A causa dello smog 7 milioni di morti nel 2012” | La Conferenza Clima e Salute di Ginevra

 

L’allarme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dalla Conferenza Salute e Clima di Ginevra: inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici provocano milioni di decessi l’anno, influendo negativamente anche sulla diffusione di malattie infettive mortali come il colera e la malaria380093

Ginevra, in chiusura la prima Conferenza mondiale sulla Salute e sul Clima, in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fatto il punto sulle gravissime conseguenze dell’inquinamento sulla popolazione mondiale. Inquinamento atmosferico prima di tutto: nonostante l’ingente mole di studi e documentazioni, e la crescita di consapevolezza fra i cittadini, lo smog resta il killer perfetto, la cui responsabilità nei decessi è tanto certa quanto invisibile. “L’inquinamento atmosferico nel 2012 è stato responsabile per 7 milioni di morti – ha denunciato la Direttrice del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Oms Maria Neira – 1 su 8 di tutti i decessi a livello mondiale”. E tuttavia, ancora si fatica ad attribuire alla questione smog l’urgenza e l’importanza che merita. Le soglie massime di concentrazione per gli inquinanti vengono superate incessantemente all’interno della sola Unione Europea senza che si riesca a mettere in atto misure di contenimento obbligatorie e condivise da tutti gli Stati membri. Una situazione che peggiora ancora volgendo lo sguardo al di fuori dell’UE, e in particolare ai giganti asiatici, India e Cina, dove l’industrializzazione pesante e il boom di motorizzazione hanno portato con sé concentrazioni di inquinanti in atmosfera assolutamente insostenibili per la salute umana. E non si tratta solo delle conseguenze dirette: come è noto, le emissioni inquinanti causate da industria e trasporti sono responsabili dei cambiamenti climatici, che a loro volta influiscono pesantemente sull’andamento di alcune delle più gravi malattie infettive al mondo. Il colera, la malaria e la dengue sono malattie infettive molto sensibili alle mutazioni del clima. Eventi come le ondate di calore e le inondazioni – in gran parte effetti delle trasformazioni dell’ambiente dovute all’impatto industriale – causano ogni anno decine di migliaia di morti”.  Secondo le stime diffuse dall’OMS le trasformazioni del clima stanno causando infatti oltre 60 mila morti ogni anno per via dei disastri naturali legati al clima, più che triplicati dal 1960. Come ha ricordato Flavia Bustreo, Direttrice generale del settore Famiglia dell’Oms “I poveri, le persone svantaggiate e i bambini sono tra coloro che soffrono il peso maggiore degli impatti legati al clima e le malattie conseguenti, come malaria, diarrea e malnutrizione”. Se non verranno messe in atto azioni concrete per limitare la produzione di emissioni inquinanti, avverte l’OMS, tra il 2030 e il 2050 il conto dei morti salirà di 250.000 vittime ogni anno.

I documenti della Conferenza: WHO Workplan on climate change and health

Climate change and health: key facts

Fonte: ecodallecitta.it

Lotta al riscaldamento globale, i governi si impegnano a presentare una bozza dell’accordo alla Cop 20

Si è conclusa a Bonn la sessione di lavori sui cambiamenti climatici a cui hanno partecipato i 195 Paesi della Convenzione dell’Onu. L’obiettivo importante raggiunto è la presentazione di una bozza dell’accordo entro un mese. Accordo che che verrà discusso a Lima per la Conferenza mondiale (Cop 20)379519

La lotta al riscaldamento del Pianeta ha copiuto passi in avanti. Si sono conclusi i lavori a Bonn a cui hanno partecipato i 195 Paesi della Convenzione dell’Onu: Importanti obiettivo è stato raggiunto: la volontà di puntare ad un contenuto forte dell’accordo atteso a Parigi nel 2015 e di preparare una bozza entro un meseche sarà portata a Lima in dicembre per la Conferenza mondiale (Cop 20).  Il Climate Action Network (Can) – la rete mondiale di oltre 900 Organizzazioni non governative (Ong) – ha espresso un cauto ottimismo. I lavori a Bonn, infatti, sono stati “costruttivi” anche se “non c’e’ ancora molto sul tavolo”. Più di 60 paesi hanno espresso sostegno per una riduzione graduale dell’inquinamento da carbonio e fra i ‘grandi inquinatori’ Stati Uniti e Cina hanno dato forti segnali politici di azioni per il clima, annunciando l’intenzione di ridurre le emissioni e nuovi piani per aumentare l’energia rinnovabile.
L’accordo che dovrà essere siglato a Parigi l’anno prossimo ed entrare in vigore nel 2020 punta all’impegno a limitare entro due gradi centigradi il riscaldamento globale dimezzando le emissioni di gas a effetto serra entro il 2050. Nel comunicato conclusivo dell’Unfccc (United nation framework convention on climate change) si rileva che crescono le iniziative da parte delle città e che c’è una migliore gestione del territorio, elementi che mostrano un percorso verso un futuro senza carbone. Martin Kaiser, responsabile internazionale delle politiche sul clima di Greenpeace ha commentato che “è una vera e propria rivoluzione che quasi un terzo dei governi mondiali riconosca che dobbiamo passare dai combustibili fossili all’energia pulita nell’arco di una generazione. I governi possono e devono agire ora a livello nazionale e internazionale per la grande trasformazione, per passare all’energia pulita”.  Secondo la rete di Ong, “tocca ai capi di governo intervenire e fare quelle scelte difficili che i negoziatori non possono fare. Al vertice sul clima convocato dal Segretario generale dell’Onu in settembre, i capi di governo possono implementare nuovi piani per le energie rinnovabili e bloccare i contributi per il finanziamento del carbone”. Un ulteriore impegno per costruire l’accordo di Parigi si vedrà se i leader dei Paesi più ricchi manterranno la promessa di mettere più soldi sul tavolo per aiutare i Paesi più poveri nell’azione sul clima, presentando i propri contributi all’accordo di Parigi entro il prossimo marzo.
Tasneem Essop, responsabile della delegazione del Wwf all’Unfccc, ha ricordato che Nelson Mandela una volta ha detto, “sembra sempre impossibile, finché non è fatto”. Dobbiamo mantenere l’attenzione sul periodo pre-2020 e colmare il divario crescente tra le azioni già messe in campo dai Paesi e quello di cui abbiamo bisogno. Sullo slancio che abbiamo visto qui a Bonn, dobbiamo costruire per avere un esito positivo a Lima”.

(foto rinnovabili.it)

Fonte: ecodallecittà.it

Conferenza nazionale sulla biodiversità: “In Italia a rischio una specie su due”

Presentato il Terzo Rapporto Direttiva Habitat dell’Ispra: a rischio più della metà della ricchezza ambientale italiana

Ispra ha presentato il suo Terzo Rapporto Direttiva Habitat in occasione della Conferenza nazionale che si tiene a Roma oggi 27 e domani 28 febbraio, presso l’Acquario Romano. Il rapporto, che è stato realizzato con il supporto delle Regioni e Provincie Autonome, degli Osservatori regionali Biodiversità e delle principali società scientifiche nazionali, contiene 572 schede di sintesi sullo stato di conservazione delle specie e 262 degli habitat e raccoglie dati aggiornati su distribuzione, stato di conservazione, pressioni, minacce e i trend relativi a tutte le specie animali e vegetali e agli habitat di interesse comunitario presenti in Italia. Un lavoro che riporta esattamente lo stato di salute di buona parte della biodiversità italiana, ma che non traccia proprio un quadro clinico rassicurante: oltre ai pericoli derivanti da cause naturali infatti è sopratutto la mano dell’uomo a mettere a rischio più della metà della ricchezza ambientale italiana: il 50% delle piante, il 51% degli animali e il 67% degli habitat. Un’occasione per fare il punto sullo stato di salute, le minacce e le pressioni a cui sono sottoposte le 113 specie vegetali, 225 animali e 132 habitat oggetto dello studio, molte delle quali in cattivo stato di conservazione: nonostante la ricchezza della biodiversità sul territorio italiano gli interventi insostenibili nell’agricoltura e nella pesca, nell’edilizia e nel turismo, stanno letteralmente distruggendo il patrimonio italiano di biodiversità. Il rapporto Ispra riporta interessanti e benauguranti prospettive future per la maggioranza delle specie animali, che appaiono abbastanza positive, così come per la metà delle specie vegetali e degli habitat; ciò nonostante specie come l’orso marsicano, ne sono rimasti solo 50 esemplari, e varie specie di pipistrelli rischiano l’estinzione a causa dell’alterazione delle aree agricole e dell’uso dei pesticidi, che li stanno letteralmente avvelenando e, alla meglio, sterilizzando. Il 40% degli anfibi, come il rospo e la salamandra, è in uno stato sfavorevole per la sopravvivenza della specie e così anche le tartarughe palustri e i vari pesci e la vegetazione dei laghi e dei fiumi, che subiscono fortemente l’invasione di specie aliene. Sul fronte vegetale invece le piante endemiche della Sardegna (l’eufrasia e il cardo del Gennargentu ad esempio) scontano fortemente il degrado della qualità dell’habitat. Habitat che, proprio in Sardegna, risente fortemente dell’eccessiva cementificazione del territorio e dell’impatto del turismo di massa.boschiitaliani

Alla conferenza partecipano i maggiori esperti italiani di biodiversità, appartenenti a enti di ricerca, società scientifiche e associazioni. Interverranno, tra gli altri, Maria Carmela Giarratano, Dirigente del Ministero dell’Ambiente, Stefano Laporta, Direttore Generale dell’ISPRA, Fabio Stoch, del Comitato Scientifico Fauna d’Italia e Graziano Rossi della Società Botanica Italiana.

Fonte: ecoblog