Mal’Aria edizione speciale: le città peggiori sono Torino, Roma, Palermo, Milano e Como

Nuovi dati raccolti da Legambiente nel report Mal’aria edizione speciale, in cui l’associazione stila una “pagella” sulla qualità dell’aria di 97 città italiane sulla base degli ultimi 5 anni – dal 2014 al 2018. Giorgio Zampetti: “Serve una politica diversa che non pensi solo ai blocchi del traffico e sporadiche misure”

Che aria si respira nelle città italiane e che rischi ci sono per la salute? Di certo non tira una buona aria e con l’autunno alle porte, unito alla difficile ripartenza dopo il lockdown in tempo di Covid, il problema dell’inquinamento atmosferico e dell’allarme smog rimangono un tema centrale da affrontare. A dimostrarlo sono i nuovi dati raccolti da Legambiente nel report Mal’aria edizione speciale nel quale l’associazione ambientalista ha stilato una “pagella” sulla qualità dell’aria di 97 città italiane sulla base degli ultimi 5 anni – dal 2014 al 2018 – confrontando le concentrazioni medie annue delle polveri sottili (Pm10, Pm2,5) e del biossido di azoto (NO2) con i rispettivi limiti medi annui suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): 20µg/mc per il Pm10; 10 µg/mc per il Pm2,5; 40 µg/mc per il NO2. Limiti quelli della OMS che hanno come target esclusivamente la salute delle persone e che sono di gran lunga più stringenti rispetto a quelli della legislazione europea (limite medio annuo 50 µg/mc per il Pm10, 25 µg/mc per il Pm2,5 e 40 µg/mc per il NO2) e il quadro che emerge dal confronto realizzato da Legambiente è preoccupante: solo il 15% delle città analizzate ha la sufficienza contro l’85% sotto la sufficienza. Delle 97 città di cui si hanno dati su tutto il quinquennio analizzato (2014 – 2018) solo l’15% (ossia 15) raggiungono un voto superiore alla sufficienza: Sassari (voto 9), Macerata (8), Enna, Campobasso, Catanzaro, Grosseto, Nuoro, Verbania e Viterbo (7), L’Aquila, Aosta, Belluno, Bolzano, Gorizia e Trapani (6). Sassari prima della classe con voto 9 in quanto dal 2014 al 2018 ha sempre rispettato i limiti previsti dall’OMS per le polveri sottili (Pm10 e Pm2,5) e per il biossido di azoto (NO2) ad eccezione degli ultimi 2 anni in cui solo per il Pm10 il valore medio annuo è stato di poco superiore al limite OMS; analoghe considerazioni con Macerata (voto 8), in quanto pur avendo sempre rispettato nei 5 anni i limiti, per il Pm2,5 non ci sono dati a supporto per gli anni 2014, 2015 e 2016 che quindi la penalizzano. Le altre città sopra la sufficienza, pur avendo spesso rispettato i limiti suggeriti dall’OMS mancano di alcuni dati in alcuni anni, a dimostrazione che per tutelare la salute dei cittadini bisognerebbe comunque garantire il monitoraggio ufficiale in tutte le città di tutti quegli inquinanti previsti dalla normativa e potenzialmente dannosi per la salute.

La maggior parte delle città – l’85% del totale – sono sotto la sufficienza e scontano il mancato rispetto negli anni soprattutto del limite suggerito per il Pm2,5 e in molti casi anche per il Pm10. Fanalini di coda le città di Torino, Roma, Palermo, Milano e Como (voto 0) perché nei cinque anni considerati non hanno mai rispettato nemmeno per uno solo dei parametri il limite di tutela della salute previsto dall’OMS. Dati che Legambiente lancia oggi alla vigilia del 1 ottobre, data in cui prenderanno il via le misure e le limitazioni antismog previste dall’«Accordo di bacino padano» in diversi territori del Paese per cercare di ridurre l’inquinamento atmosferico, una piaga dei nostri tempi al pari della pandemia e che ogni anno, solo per l’Italia, causa 60mila morti premature e ingenti costi sanitari. Il Paese detiene insieme alla Germania il triste primato a livello europeo. Per questo con Mal’aria edizione speciale Legambiente chiede anche al Governo e alle Regioni più coraggio e impegno sul fronte delle politiche e delle misure da mettere in campo per avere dei risultati di medio e lungo periodo. Un coraggio che per Legambiente è mancato alle quattro regioni dell’area padana (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto) che, ad esempio, hanno preferito rimandare all’anno nuovo il blocco alla circolazione dei mezzi più vecchi e inquinanti Euro4 che sarebbe dovuto scattare questo 1 ottobre nelle città sopra i 30 mila abitanti. Una mancanza di coraggio basata sulla scusa della sicurezza degli spostamenti con i mezzi privati e non pubblici in tempi di Covid, o sulla base della compensazione delle emissioni inquinanti grazie alla strutturazione dello smart working per i dipendenti pubblici.

“Per tutelare la salute delle persone – dichiara Giorgio Zampetti, Direttore Generale di Legambiente – bisogna avere coraggio e coerenza definendo le priorità da affrontare e finanziare. Le città sono al centro di questa sfida, servono interventi infrastrutturali da mettere in campo per aumentare la qualità della vita di milioni di pendolari e migliorare la qualità dell’aria, puntando sempre di più su una mobilità sostenibile e dando un’alternativa al trasporto privato. Inoltre serve una politica diversa che non pensi solo ai blocchi del traffico e alle deboli e sporadiche misure anti-smog che sono solo interventi palliativi. Il governo italiano, grazie al Recovery Fund, ha un’occasione irripetibile per modernizzare davvero il Paese, scegliendo la strada della lotta alla crisi climatica e della riconversione ecologica dell’economia italiana. Non perda questa importante occasione e riparta dalle città incentivando l’utilizzo dei mezzi pubblici, potenziando la rete dello sharing mobility e raddoppiando le piste ciclopedonali. Siamo convinti, infatti, che la mobilità elettrica, condivisa, ciclopedonale e multimodale sia l’unica vera e concreta possibilità per tornare a muoverci più liberi e sicuri dopo la crisi Covid-19, senza trascurare il rilancio economico del Paese”.

“L’inquinamento atmosferico nelle città – aggiunge Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente –  è un fenomeno complesso poiché dipende da diversi fattori: dalle concentrazioni degli inquinanti analizzati alle condizioni meteo climatiche, passando per le caratteristiche urbane, industriali e agricole che caratterizzano ogni singola città e il suo hinterland. Nonostante le procedure di infrazione a carico del nostro Paese, nonostante gli accordi che negli anni sono stati stipulati tra le Regioni e il Ministero dell’Ambiente per ridurre l’inquinamento atmosferico a cominciare dall’area padana, nonostante le risorse destinate in passato e che arriveranno nei prossimi mesi/anni con il Recovery fund, in Italia manca ancora la convinzione di trasformare concretamente il problema in una opportunità. Opportunità che prevede inevitabilmente dei sacrifici e dei cambi di abitudini da parte dei cittadini, ma che potrebbero restituire città più vivibili, efficienti, salutari e a misura di uomo”.

Focus Mal’aria: Tornando ai dati del report Mal’aria edizione straordinariai giudizi che ne seguono per le 97 città analizzate sono il frutto quindi del “rispetto” o “mancato rispetto” del limite previsto per ciascun parametro (inteso come concentrazione media annuale) rispetto a quanto suggerito dall’OMS per ogni anno analizzato. Tra gli altri dati che emergono: per le polveri sottili la stragrande maggioranza delle città abbia difficoltà a rispettare i valori limite per la salute: infatti per il Pm10 mediamente solo il 20% delle 97 città analizzate nei cinque anni ha avuto una concentrazione media annua inferiore a quanto suggerito dall’OMSpercentuale che scende drasticamente al 6% per il Pm2,5 ovvero le frazioni ancora più fini e maggiormente pericolose per la facilità con le quali possono essere inalate dagli apparati respiratori delle persone. Più elevata la percentuale delle città (86%) che è riuscita a rispettare il limite previsto dall’OMS[1] per il biossido di azoto (NO2). Il non rispetto dei limiti normativi imposti comporta l’apertura da parte dell’Unione europea di procedure di infrazione a carico degli Stati membri con delle conseguenze economiche per gli stessi.

Focus auto: Nel report Legambiente, inoltre, dedica un focus sulle auto come fonte principale di inquinamento in città e ricorda che le emissioni fuorilegge delle auto diesel continuano a causare un aumento della mortalità, come è emerso anche da un recente studio condotto da un consorzio italiano che comprende consulenti (Arianet, modellistica), medici ed epidemiologi (ISDE Italia, Medici per l’Ambiente) e Legambiente, nonché la piattaforma MobileReporter. Lo studio in questione stima per la prima volta in assoluto la quota di inquinamento a Milano imputabile alle emissioni delle auto dieselche superano, nell’uso reale, i limiti fissati nelle prove di laboratorio alla commercializzazione.  Se tutti i veicoli diesel a Milano emettessero non più di quanto previsto dalle norme nell’uso reale, l’inquinamento da NO2 (media annuale) rientrerebbe nei limiti di qualità dell’aria europei (già nel 2018). Invece il mancato rispetto ha portato alla stima di 568 decessi in più per la sola città di Milano, a causa dell’esposizione “fuorilegge” agli NO2 per un solo anno. Quindi per Legambiente si dovrebbero bloccare tutti i veicoli diesel troppo inquinanti, persino gli euro6C venduti sino ad agosto 2019. Lo studio si inquadra nella più ampia iniziativa transfrontaliera sull’inquinamento del traffico urbano Clean Air For Health (https://cleanair4health.eu/), progetto lanciato dall’Associazione europea sulla salute pubblica (EPHA) che coinvolge healthcare partner in diversi Stati Membri.

Proposte: Per aggredire davvero l’inquinamento atmosferico e affrontare in maniera concreta il tema della sfida climatica, servono misure preventive, efficaci, strutturate e durature. Tutto quello che non sta avvenendo in Italia. Per questo Legambiente torna a ribadire l’urgenza di puntare su una mobilità urbana sempre più condivisa e sostenibile, di potenziare lo sharing mobility e raddoppiare i chilometri delle piste ciclabili, un intervento, quest’ultimo, già previsto nei PUMS, i Piani urbani per la mobilità sostenibile, che i Comuni devono mettere in campo al più presto. Legambiente ricorda che la Legge di Bilancio 2019, che ha visto stanziare i primi bonus destinati ai veicoli elettrici (auto e moto), ha permesso di sperimentare la micromobilità elettrica, mentre con la Legge di Bilancio 2020 è stato possibile equiparare i monopattini con la ciclabilità urbana a cui si è aggiunto il bonus mobilità senz’auto. Tutte misure convergenti e allineate che sono proseguite, anche in tempo emergenziale attraverso i “decreti Covid-19”, con la definizione di nuovi percorsi ciclabili urbani, la precedenza per le bici e le cosiddette “stazioni avanzate”.

Fonte: Legambiente

Agricoltura e lavoro cambiano la vita dei giovani con autismo

In occasione della Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo raccontiamo le storie di due realtà della rete di Agricoltura Sociale Lombardia che hanno vinto la scommessa dell’inclusione superando luoghi comuni e timori. Ecco le testimonianze dirette di alcuni ragazzi con autismo, esempi in carne ed ossa di impegno e voglia di imparare. “Il ricordo più bello di questa esperienza è stato iniziarla” racconta Luca. Coltivare opportunità concrete di inclusione per dare valore alle capacità che esistono in ognuno di noi. Questa la missione di Agricoltura Sociale Lombardia che fin dalla sua nascita ha dimostrato un’attenzione particolare alla condizione dell’autismo e della disabilità intellettiva sviluppando percorsi in grado di dare riscatto sociale e formazione alle persone che con questa condizione complessa ci convivono ogni giorno. Tutto ciò con un obiettivo preciso: far germogliare la bellezza e le competenze che esistono oltre ogni fragilità. In occasione della giornata mondiale dedicata alla consapevolezza sull’autismo, la rete regionale dà così voce ad alcune storie capaci di sgretolare quei luoghi comuni che vedono inconciliabile un’attività lavorativa e formativa con questo tipo di disturbo. L’ultimo report parla di ben 1.967 persone con svantaggio che hanno trovato un’opportunità di riscatto grazie ad Agricoltura Sociale Lombardia. Di questi si registrano 1.096 disabili e 871 soggetti in condizione di difficoltà coinvolti a vario titolo nelle attività della rete. Ma sono soprattutto i riscontri dei diretti protagonisti delle esperienze a far brillare questo traguardo.

elilu: a Pavia l’inclusione è la ricetta vincente, come ci dimostra Luca

Un titolo che ha il sapore di una fiaba e che agisce ogni giorno all’insegna della concretezza. La storia dell’azienda agricola elilu – Agricultura Familiare (rete Agricoltura Sociale Pavia) scaturisce dal nome dei suoi fondatori: Elisa Gastaldi e Luca Benicchi, coppia nel lavoro così come nella vita. “elilu, scritto per nostro volere con la minuscola, è il luogo nato il 21 dicembre 2015 dal nostro incontro – spiegano – Fare agricoltura sociale significa realizzare oggi l’autenticità del mondo rurale di ieri: mutualità, crescita personale e interpersonale, solidarietà, valorizzazione dei singoli e della comunità, in tutte le mille sfumature della biodiversità, vegetale, animale, umana”. elilu intreccia così la coltivazione di un modello lavorativo e insieme relazionale che coinvolge la gestione di diverse attività tra cui coltivazione, allevamento, trasformazioni agricole (mulino a pietra, caseificio e laboratorio multifunzionale), vendita diretta e mercati, agriturismo e ristorazione, fattoria sociale e didattica, agricampeggio. Un ventaglio di iniziative dove l’agricoltura sociale detiene un posto d’onore per rendere forti le basi di tutto il resto. E proprio qui germoglia la storia di Luca: sguardo profondo e limpido, poco più di 20 anni sulle spalle e tanta voglia di fare oltre che di imparare. Luca convive da anni con la condizione autistica e tutte le difficoltà che la riguardano, riuscendo però a cogliere diverse soddisfazioni oltre la tempesta e diventando un esempio di riscatto in carne ed ossa. Fondamentale per il suo percorso inclusivo la sinergia tra elilu e “Una mano per…”, associazione fondata nel 2015 da genitori di bambini diversamente abili. Genitori che dopo aver preso coscienza del difficile percorso di vita che stavano affrontando, hanno deciso di mettere a disposizione la loro esperienza a favore di altre famiglie che si trovavano nelle stesse condizioni. Nel 2016 inizia così per Luca un’esperienza didattica all’interno del ciclo produttivo, con attività pienamente concordate con la famiglia al fine di rendere ogni tappa consona alle sue attitudini. “Inizialmente il progetto ha coinvolto Luca nella cura dell’intera filiera di raccolta della materia prima che riguardava alberi da frutto, ortaggi, oltre alla semina stessa – racconta Elisa Gastaldi – Il percorso si è poi sviluppato con diverse attività come quella di accudimento degli animali: Luca ha scelto in particolare i cavalli occupandosi della pulizia dei box e della strigliatura”. Un’attività che poi ha incrementato ulteriori competenze. I traguardi sono stati impreziositi anche da un lavoro speciale rappresentato da un vero e proprio ricettario di quotidianità.

Luca a lavoro presso l’azienda agricola elilu – Agricultura Familiare

“Luca si occupa della pulizia e del nutrimento degli animali come cavalli, mucche, maiali: settore in cui si è specializzato e che gestisce molto bene – sottolinea Elisa – Da tempo sta realizzando un manuale redatto in prima persona in cui esplicita i compiti che esegue ogni giorno e di cui è responsabile in prima persona. Si tratta di un’attività molto importante dal punto di vista del potenziamento dell’autonomia e della responsabilizzazione. Fare esperienze inclusive di agricoltura sociale non significa, infatti, parcheggiare una persona in attività ripetitive ma coinvolgerla in un progetto in cui essa stessa diventa utile e indispensabile. Luca sa che se non riesce a venire a lavorare deve avvisarci perché la sua presenza è per noi preziosa e fondamentale, così come accade per ogni persona che lavora e che diventa utile agli altri. E lui lo è”. 

“Avere un figlio con un disturbo dello spettro autistico ti costringe a fare un viaggio importante: dentro di te e attraverso una nuova vita – racconta Barbara, tenace mamma di Luca che da anni si impegna per dare al proprio figlio un futuro migliore – Quando Luca ha finito le scuole superiori, come spesso accade, ci siamo trovati di fronte al vuoto. Ci siamo chiesti: e ora che cosa possiamo fare? La grande opportunità è arrivata grazie a questo percorso che ha migliorato tantissimo Luca. Certo, non sono mancate le difficoltà, come in ogni esperienza, ma i risultati positivi superano tutto il resto e hanno dato una grande spinta di crescita e responsabilizzazione a Luca oltre che positività e formazione. Elisa e Luca di elilu sono davvero straordinari nel gestire questo progetto: gli hanno insegnato un mestiere”. 

Luca è di poche parole, almeno a voce, di lui raccontano i fatti e l’impegno che ci mette ogni giorno innaffiando di luce e bellezza le attività che compie. Eppure con le parole ci sa fare molto e per noi ha rilasciato questa intervista – in esclusiva – tramite lo scritto che sa comprendere e gestire molto bene. 

Luca, qual è il tuo ricordo più bello in questi 3 anni di esperienza?

“Il ricordo più bello è sicuramente essere entrato a far parte di questa esperienza e lavorare”.

Le tue attività preferite?

“Le attività che mi piacciono di più sono pulire le mucche”.

So che stai scrivendo un manuale dedicato al tuo lavoro quotidiano: ti piacerebbe farlo leggere ad altri?

“Se posso sì, mi piacerebbe e sono contento di scrivere il manuale perciò devo dire che tutto sta funzionando alla perfezione”.
Poi Luca si rende disponibile per l’estate a insegnare ai bambini come accudire i cavalli regalandoci un sorriso finale che guarda al futuro e dimostrando che al di là di ogni disturbo respira un mondo intero.

Green Smiles fattoria “La Cavallina”: a Como l’autonomia vien lavorando

Da anni sul territorio comasco si distingue una realtà impegnata nel costruire occasioni di formazione e inclusione per ragazzi e ragazze con fragilità. Parliamo della fattoria sociale “La Cavallina” (rete Agricoltura Sociale Como) che concretizza tirocini finalizzati all’apprendimento delle mansioni di allevamento degli animali e della gestione del verde e dell’orto. “Gli sbocchi possono essere nel settore agricolo e in quello del florovivaismo, ma anche dei servizi di agricoltura didattica – racconta Ambrogio Alberio, titolare e operatore della fattoria sociale – L’agricoltura sociale dà benessere sia psicologico che fisico rappresentando un supporto al terzo settore per gli obiettivi di inclusione e per i progetti mirati all’autostima e all’autonomia”. 

Nel 2015 la cooperativa “Il Granello – Don Luigi Monza”, in collaborazione con “La Cavallina”, ha dato vita ad un Centro Socio Educativo diverso dagli altri: il CSE Green Smile in fattoria. Il Centro è un servizio per persone adulte con disabilità medio grave che mira al mantenimento delle competenze acquisite durante l’arco della vita. “La particolarità di questo servizio è dato dal fatto che, oltre i tradizionali laboratori in un CSE, le attività svolte principalmente sono il lavoro in fattoria e nell’orto e la cura del giardino e degli spazi verdi – spiegano i referenti del progetto – In fattoria sociale sono previsti due operatori con funzione educativa”. 

Nell’ambito di Green Smiles hanno trovato occasione di crescita anche ragazzi con autismo come Davide e Vladimir che svolgono attività di gestione dell’orto, del giardino e degli animali. “Con queste esperienze sfatiamo davvero tanti luoghi comuni dimostrando che questi ragazzi possiedono delle abilità importanti che emergono proprio se offri loro la possibilità di coltivarle, con fiducia e giusta formazione – evidenzia Ambrogio Alberio – Così come accade in agricoltura sociale ogni progetto lavorativo dovrebbe indirizzarsi sulle attitudini individuali: un discorso che vale per tutti noi, al di là della disabilità che possiamo avere o meno”. 

Visto il successo della collaborazione tra i due enti, a gennaio è stato inoltre aperto anche SFArm, un Servizio di Formazione all’Autonomia rivolto a persone con disabilità lieve e che mira allo sviluppo di competenze nell’ambito delle autonomie personali e della sfera lavorativa. “Prendersi cura degli animali, pulire i loro box, dare loro da mangiare e bere, coltivare ortaggi e piccoli frutti e utilizzarli nel laboratorio di cucina o regalarli ai propri genitori, arrivare al mattino trovando il giardino ordinato e pieno di colori permette alla persona di toccare con mano il frutto del proprio lavoro”, sottolineano gli educatori.

“L’essere a contatto con la natura ed essere soddisfatti del risultato aumenta il livello di benessere e di autostima. In particolare i ragazzi con disturbo dello spettro autistico traggono giovamento dalla routine su cui si basa il lavoro in fattoria: lavori ben precisi e conosciuti, che possono essere svolti in piena autonomia. La collaborazione con i compagni è necessaria per portare a termine correttamente il lavoro, allenando e affinando quotidianamente le proprie capacità relazionali. Infine l’avvicinamento agli animali, soprattutto per chi ha difficoltà comunicative, permette di sfruttare il canale non verbale”.  

A testimoniare la positività dell’esperienza vissuta ecco alcuni resoconti dei ragazzi con autismo coinvolti nelle attività, uno di questi è Davide, 24 anni: “Riesco a gestire gli animali e a pulire i loro box e gli spazi. Preferisco dividere i compiti di gestione dell’orto così da poter lavorare bene. A volte faccio fatica a farmi ascoltare dai compagni”. Non mancano esperienze di ippoterapia che preparano al contatto con gli animali: “Faccio equitazione e partecipo a diverse gare”, racconta soddisfatto Vladimir. La cooperativa “Il Granello – Don Luigi Monza” ha inoltre un alloggio per l’autonomia nel comune di Turate: “Questa è una casa dove con altri ragazzi svolgo numerose attività come cucinare, pulire la casa, preparare il letto e i miei vestiti” spiega Davide.  Green Smiles sta organizzando con il Comune di Guanzate un evento dove i ragazzi con autismo avranno un ruolo importante in veste di arbitri nell’ambito di giochi didattici. Inoltre saranno presto coinvolti in lavori di manutenzione conservativa sul territorio comasco, al di là dei confini della fattoria sociale: un’ulteriore conferma di inclusione sociale e lavorativa.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/04/agricoltura-lavoro-cambiano-vita-giovani-con-autismo/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

A Como il primo Liceo Artigianale d’Italia

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Artigianale di Como

Offrire agli studenti concrete opportunità occupazionali e riconquistare il grande patrimonio della tradizione artigiana italiana. Con questi obiettivi è nato a Como per iniziativa dell’associazione Cometa il primo Liceo Artigianale d’Italia che da tre anni propone ai ragazzi un percorso liceale innovativo, basato sulla sapienza artigianale e sul principio dell’”imparare facendo”. Per saperne di più abbiamo intervistato Giovanni Figini, coordinatore della scuola Oliver Twist che ospita il liceo.

Da dove nasce l’idea di dar vita ad un Liceo artigianale?

Oggi più che mai si avverte la necessità di un cambiamento della pedagogia dell’insegnamento a scuola, che non può essere più solo un posto dove si trasmettono informazioni attraverso le lezioni frontali ma deve divenire un luogo in cui si sviluppano competenze partendo dall’esperienza. Il progetto è nato proprio per soddisfare un’esigenza comune emersa dal dialogo con le famiglie, con i ragazzi, con il mondo del lavoro e con le università. Questi interlocutori manifestavano il bisogno di un percorso che coniugasse la tradizione liceale italiana – in particolare quella del liceo scientifico – con la tradizione artigianale e manifatturiera che caratterizza l’Italia e per cui siamo famosi in tutto il mondo. Siamo il Paese della moda, del design, del buon vino, del buon cibo. Potremmo dire che siamo la bottega artigiana del mondo. Una sapienza che rischia però di andare perduta perché le generazioni degli artigiani stanno finendo e, tendenzialmente, non ci sono eredi che possano rivitalizzare questo tessuto. Ecco, noi abbiamo raccolto questa sfida, animati dal desiderio di avviare nuovi percorsi di formazione professionale rivolti a quei ragazzi che un domani potrebbero diventare imprenditori o innovatori del settore dell’artigianato, tesoro prezioso del nostro Paese.

Come si svolge una giornata tipo all’interno delle vostre classi? Cosa caratterizza questo percorso di studi?

Il nostro liceo prevede, oltre all’insegnamento delle materie tradizionali, un potenziamento delle attività di laboratorio e dell’alternanza scuola-lavoro. I nostri studenti arrivano a scuola verso le 8.15. Vengono accolti nelle aule dai docenti che pongono loro una domanda introduttiva alla quale i ragazzi provano a rispondere: questo è l’avvio della giornata. Dopo iniziano le varie attività che, in parte, consistono in lezioni curricolari inerenti le discipline tipiche di un liceo scientifico delle scienze applicate. Queste materie vengono però proposte con un metodo alternativo: noi lavoriamo suddividendo il percorso di studi in periodi definiti da un progetto o problema guida da affrontare. Una delle domande guida è ad esempio: cosa succede all’uomo quando osserva il mondo? Facciamo così per riportare l’attenzione sul significato, l’essenzialità e l’origine di quella disciplina. Più che esporre lezioni teoriche partiamo dunque da un caso concreto o da un problema attuale da risolvere in un bimestre al termine del quale i ragazzi realizzano dei prodotti culturali (video, cortometraggi, esperimenti, ricerche). Gli studenti vengono quindi chiamati a creare con ciò che hanno imparato. Anche il metodo che seguiamo, dunque, può essere definito “artigianale”.

Sono poi previste delle ore settimanali di laboratorio artigianale. Quest’anno il tema scelto per il laboratorio è il verde quindi i ragazzi svilupperanno un percorso turistico all’interno del bosco del parco di Cometa volto da una parte a mappare il bosco da punto di vista geologico e naturalistico e dall’altra a costruire un percorso guidato per il pubblico al quale verrà aperto il parco. Inoltre, in un’ottica di alternanza scuola-lavoro, a partire dal secondo anno i nostri ragazzi vengono mandati per alcuni periodi presso imprese artigiane, in Italia o all’estero, scelte anche in base agli interessi degli studenti. Il nostro desiderio è infatti quello di far conoscere ai ragazzi realtà artigianali alle quali possano in qualche modo affezionarsi e che possano in futuro rappresentare il fulcro delle loro attività e del loro impegno, che potrebbe essere incentrato nel ridar vita e innovare quella determinata tradizione. Il tirocinio ha la durata di cinque settimane continuative con un rientro settimanale a scuola. Questa esperienza rappresenta così una palestra di vita e di consapevolezza, oltreché che un’occasione di apprendimento di determinate competenze.

Quali sono gli sbocchi professionali offerti da questo percorso di studi?

Innanzitutto, trattandosi di un liceo, il percorso di uscita che si immagina è quello universitario, anche se chiaramente non è un percorso obbligato. Tuttavia, qualsiasi strada i nostri ragazzi decideranno di percorrere, avranno già alle spalle un’esperienza pratica, determinate competenze acquisite ed una conoscenza delle realtà imprenditoriali esistenti. Tutto ciò potrà aiutarli ad orientarsi nel mondo del lavoro.

Recenti studi sul trend dell’occupazione nei paesi ad alto reddito concordano nell’affermare che l’artigianato e tutti i lavori basati sul “saper fare con le mani” saranno tra le professioni più ricercate nei prossimi 10 anni. Cosa ne pensa di questa attenzione verso il settore artigianale?

Siamo in un periodo storico in cui anche diversi filosofi stanno scrivendo su questo tema. Penso ad esempio a “L’uomo artigiano” di Richard Sennet. Stanno fiorendo insomma molte pubblicazioni su questo argomento. Per quanto ci riguarda ci auguriamo di non restare gli unici a proporre questo percorso formativo. Noi siamo stati i primi ma il nostro augurio è che vengano avviate altre esperienze liceali di questo tipo. D’altra parte anche le aziende dovrebbero farsi carico di un compito educativo e formativo.  Questa è un’altra sfida che purtroppo al momento non tutte le aziende colgono.

In altre parole, se da una parte la scuola deve andare incontro alle aziende, dall’altra le aziende devono incontrare la scuola, aprendo le proprie porte e insegnando ai ragazzi i segreti del mestiere.

 

Alessandra Profilio

Fonte: http://www.conmagazine.it/2018/11/12/a-como-il-primo-liceo-artigianale-ditalia/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Bici elettriche che salvano la vita: a Como il primo Bicisoccorso elettrico

Primo intervento di soccorso effettuato a Como a bordo di una bici elettrica dai volontari della Croce Azzurra.http _media.ecoblog.it_c_ccf_bici-elettriche-che-salvano-la-vita-a-como-il-primo-bicisoccorso-elettrico

Il bicisoccorso è una modalità di intervento veloce del personale parasanitario in caso di urgenza. Ed è una modalità intelligente ed efficace, perché la bici riesce ad arrivare velocemente in luoghi che auto mediche e ambulanze, a volte, hanno difficoltà a raggiungere. Lo sanno bene molte associazioni di volontariato che prestano servizio convenzionato con il 118 in giro per l’Italia. E lo sanno bene anche i ragazzi della Croce Azzurra di Como che non solo effettuano il bicisoccorso, ma lo fanno anche elettrico. Grazie alla generosità del locale Rotary Club di Como Baradello, infatti, la Croce Azzurra si è dotata di due biciclette elettriche fornite di defibrillatore, kit di primo soccorso e sistema di ventilazione portatile. I volontari, al momento, sono disponibili per il bicisoccorso elettrico dalle 14 alle 18 tutti i sabati e le domeniche. Magari, in futuro, il servizio potrà essere esteso. Anche perché funziona ed è utile: il primo intervento del bicisoccorso elettrico della Croce Azzurra di Como è avvenuto, come riporta QuiComo, sabato scorso. Una donna era caduta in Piazza Verdi e l’intervento in bici elettrica si è rivelato il più celere possibile: la signora aveva chiamato il 118, che a sua volta aveva girato la richiesta di intervento anche ai soccorritori in bici. Mentre l’ambulanza ancora doveva arrivare i volontari della Croce Azzurra erano già in Piazza Verdi a fornire i primi soccorsi alla paziente.

Credit Foto: Rotary Club Como Baradello

Fonte: ecoblog.it

Car pooling scolastico: il progetto BePooler

Car pooling scolastico, ecco come funziona il nuovo progetto BePoole a Como.bepooler

Nasce il nuovo progetto di car pooling scolastico supportato da BePooler. Partirà a Como nel quadro del programma internazionale Eco Schools e si chiamerà “Quanti elefanti ci stanno in una 500?”. L’iniziativa pilota è stata lanciata con il supporto di BePooler, dall’ufficio scolastico e da tre istituti superiori di Como, coordinati dalla Dottoressa Elisabetta Patelli. L’obiettivo è di incentivare l’utilizzo del car pooling nel tragitto casa-scuola-casa e di ridurre il traffico e le emissioni di CO2. L’iniziativa punta a togliere dalla strada circa un migliaio di veicoli al giorno. Sono 88 gli studenti dei tre istituti di Como, Caio Plinio, Pessina e Setificio, che hanno aderito al programma: si muoveranno 22 auto per il loro tragitto giornaliero con l’intento di formare, attraverso l’App su smartphone, degli equipaggi composti da almeno quattro persone. L’esperimento, una “prima” per la città di Como e le vicine Province pedemontane, durerà, in forma sperimentale, sino al 15 luglio 2017, ma l’obiettivo è riprendere a settembre con l’inizio del calendario scolastico, coinvolgendo tutte le 2.500 persone che frequentano i 3 istituti superiori. BePooler, leader nel car pooling già operante nel Ticino e in alcune città italiane, mira anche ad aziende e istituzioni. Spero che gli studenti, quindi, riescano a mobilitare tutta la città: possiamo arrivare alle scuole, alle imprese, agli ospedali, ai grandi centri che attraggono i più grandi flussi di pendolari» Esiste la possibilità di fornire un piccolo sostegno economico alla flotta pilota. Il meccanismo di condivisione prevede infatti che ogni passeggero possa avere una disponibilità di credito su un proprio borsellino virtuale, da utilizzare per chiedere passaggi ai conducenti. A fine viaggio viene calcolata la somma da trasferire, in base al numero di passeggeri nel viaggio e al numero di km percorsi in condivisione. Grazie a una speciale ordinanza della Polizia municipale le auto impegnate nel car pooling potranno percorrere le corsie preferenziali. BePooler auspica entro settembre di coinvolgere tutti gli otto grandi istituti superiori pubblici di Como per un totale di quasi 10.000 studenti. A questi vanno sommati quasi un migliaio tra docenti e bidelli, di cu almeno il 12% attualmente utilizza la macchina ogni giorno, in nove casi su dieci, mai condivisa con nessuno.

Fonte. ecoblog.it

Michel, da Como al Perù per salvare l’Amazzonia

Michel, a poco più di vent’anni, ha lasciato l’Italia per trasferirsi in Sud America e combattere contro la deforestazione e la monocoltura. Oggi ha 33 anni; in Perù ha fondato una Ong con cui porta avanti il suo progetto e ha dato corpo e voce a ciò in cui crede. E ci racconta la sua storia.4

Michel, classe ‘82, nato a Cantù, una laurea in Ingegneria Ambientale al Politecnico di Milano, da 10 anni vive in Sud America per inseguire un sogno: attuare un modello di sviluppo sostenibile nella regione amazzonica, per permettere alle comunità presenti di coesistere con l’ecosistema forestale senza trasformarlo in una vasta monocoltura agricola. Oggi, dopo aver viaggiato, studiato e lavorato in Costa Rica, Nicaragua e Perù, vive a Madre de Dios, nell’amazzonia peruviana, dove ha fondato una Ong locale – ArBio – con cui porta avanti il suo progetto di preservazione dell’ecosistema forestale.

Michel come è iniziato il tuo viaggio in America Latina?

«Tutto è cominciato con il corso di studi in Ingegnieria Ambientale e dalla possibilità di partecipare a un programma di cooperazione internazionale tra atenei, che mi ha permesso di studiare un semestre Ingegneria Forestale a Santiago del Cile. Avevo 21 anni, non sapevo lo spagnolo, ma ho pensato che non poteva essere così difficile e mi sono tuffato. In Cile ho scoperto la differenza tra l’insegnamento accademico italiano, molto teorico, e quello latinoamericano, dove gli esami si fanno camminando nella foresta con il prof che ti chiede i nomi di flora e fauna che si presentano lungo il cammino. Questo mi ha permesso di trasformare la teoria in pratica, di trasformare lo studio nella mia vita e nel mio lavoro».

Cos’è successo da lì in poi?

«Finita l’università partii subito per la Costa Rica, un’eccellenza a livello mondiale sulle politiche ambientali. Un Paese che dal 1946 ha abolito l’esercito per destinare i fondi militari all’educazione e alla sanità pubblica e che già oggi, grazie alle sue politiche ambientali, si può definire a “emissioni zero”. E’ il primo e unico Paese al mondo a non contribuire all’effetto serra. Questa esperienza mi ha insegnato tanto sulla gestione delle politiche ambientali a livello internazionale e su come funzionino le grandi Ong. E a questo punto non sono più riuscito a tornare indietro. La decisione è stata ovvia sia dal punto di vista etico che lavorativo: sono un ingegnere senza lavoro, con maestria in gestione e conservazione della foresta tropicale, e con una foresta amazzonica a fianco, che faccio? Così, insieme alla mia compagna di allora, Tatiana, anche lei ingegnere ambientale, e a Rocio, un’ingegnere dell’industria alimentare, abbiamo deciso di creare qualcosa di nostro, e così è nato ArBio».

Di cosa si tratta?

«ArBio è una Ong che vuole opporsi alla monocoltura intensiva proponendo e sviluppando un modello di Conservazione Produttiva: un metodo che permette di conservare e valorizzare l’ecosistema, mantenendo l’architettura della foresta e, al contempo, generare benessere per le comunità che vi vivono, coltivando specie produttive. Questo modello si chiama Forestería Analoga: un sistema di agricoltura che promuove la resilienza, rispetta l’ecosistema forestale e garantisce reddito e sostentamento alle comunità che vi abitano».

Perché proprio nella regione di Madre de Dios?

«Perché in questa regione è stata da poco terminata una superstrada: la Superstrada Interoceanica che parte dalla costa pacifica del Perù e scende nella regione amazzonica fino alle coste atlantiche del Brasile. Questa strada ha sicuramente aiutato a migliorare la qualità della vita della popolazione locale ma al tempo stesso ha portato con sé il classico sistema di sviluppo e uso del territorio che prevede deforestazione, incendi massivi, monocolture e allevamenti bovini estensivi. Oggi in Brasile guidando lungo la stessa superstrada, la foresta non si vede più: in soli venti anni sono stati rasi al suolo 50 km di foresta a destra e 50 km a sinistra dalla superstrada. Questo mi ha fatto scattare l’idea: in Perù la superstrada è ancora nuova e quindi è ancora possibile intervenire per fermare la deforestazione. Madre de Dios inoltre è una delle uniche zone al mondo che ancora possiede comunità indigene pristine. La metà della regione è sotto l’egida di parco nazionale, riserva territoriale delle comunità indigene destinata alla conservazione assoluta. Ma cosa fare con l’altra metà? Un territorio grande come la Svizzera, che non è protetto in nessun modo e che, se lasciato a se stesso, si trasformerà in monocoltura o terra di allevamento, cosa inammissibile per moltissime ragioni: la quantità di CO2 che attualmente è immagazzinata in forma solida e che verrebbe bruciata, la quantità di biodiversità che si perderebbe, l’importanza che ha il manto forestale nella preservazione del suolo e della sua fertilità».

Come si svolgono le tue giornate?

«In genere per tre settimane al mese vivo in città a Puerto Maldonado, dove svolgo più o meno lavoro d’ufficio, autogestito. Per una settimana poi mi trasferisco nella foresta e qui il mio lavoro varia dal pattugliare ad aprire sentieri, dal costruire o installare fototrappole al coltivare l’orto dal pulire al sistemare il campo e molto altro ancora. Si tratta comunque di uno stile di vita molto diverso da quello cui si è abituati».

Cosa intendi?

«La nostra è una vita sobria, molto diversa da quella “tradizionale”. Cambia la maniera di vedere le cose, qui una cosa mezza rotta non è ancora rotta e quindi si continua a usare e poi si cerca di aggiustarla e, soprattutto, cambia il modo di relazionarsi con le persone, qui le relazioni, la comunità, i rapporti anche con gli sconosciuti hanno un immenso valore. Sicuramente ho molte libertà e molto tempo. Dal 2006 non ho neanche la televisione e adesso non sopporto nemmeno i 4 secondi di pubblicità di youtube. A volte però mi sento fuori dalla società, intesa sia come possibilità di andare al cinema, al teatro, al centro sociale, in discoteca, in libreria, a un concerto o via dicendo, sia come presenza di infrastrutture, trasporto pubblico, rete fognaria, eccetera».

Com’è vivere dedicando il proprio tempo alle proprie passioni, ai propri sogni, alla natura?

«È bello. Sono orgoglioso di quello che faccio, e non è sempre facile esserlo. Certo, vorrei che il mio lavoro mi permettesse una vita più decorosa in termini di guadagni e più gratificante in termini di riscontri, ma sono sicuro che prima o poi la gente capirà l’importanza di quello che facciamo».

Come si può dare una mano?

«Adottando un pezzo di foresta! Diecimila metri quadri si possono proteggere con 30 euro all’anno, 2,5 euro al mese. E’ il costo stimato per coprire le spese per il custode forestale, la manutenzione basica delle stazioni di vigilanza (cucina e acqua potabile), il monitoraggio e gli investimenti in ricerca. Oppure si può donare a ArBio il 5 per mille. O ancora, decidere di proteggere una foresta come azienda, associazione o ente. E infine, nel caso delle aziende, si può decidere di fare un Life Cycle Assessment (valutazione del ciclo di vita, conosciuto anche con la sigla LCA, ndr) dei propri prodotti con Demetra. Oppure potete sempre venire a trovarci! Chi ha adottato un ettaro di foresta può venire a vederlo quando vuole: l’alloggio al campo base è gratuito, viaggio e vitto no. Per chi invece volesse venire a darci una mano o a imparare il mestiere il momento migliore è da ottobre in poi. L’inizio della stagione delle piogge è, infatti, il periodo in cui si pianta, prima non c’è tanto da fare. Dall’anno prossimo invece le possibilità aumenteranno: stiamo mettendo in piedi una fattoria didattica per la popolazione regionale e stiamo pensando a una casetta dove far alloggiare i volontari».

Come vedi l’Italia da laggiù?

«Una tartaruga gigante che si muove a rilento, con un sacco di molecole che stanno ribollendo di attività interna ma con un guscio duro di vecchie e corrotte abitudini che ancora oggi non si riesce a spezzare».

Cosa consigli a chi vorrebbe molare tutto e cambiare vita?

«Cambiatela. Come paracadute, potete sempre tornare a quella vecchia, che non sarà ovviamente la stessa, ma meno male. Per questo volete cambiare, no?».

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Web: http://www.italiano.arbioperu.org/

Fonte: ilcambiamento,it