Taranto, polveri dell’Ilva: Peacelink informa la Commissione europea sulle criticità ambientali e sanitarie

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L’associazione scrive a Karmenu Vella, Commissario europeo per l’ambiente: chiediamo alla Commissione di scendere in campo al fianco dei tarantini perché la situazione non migliora. Nel terzo giorno di vento forte che ha inondato la città di Taranto di polveri dell’Ilva, obbligando il sindaco a chiudere addirittura le scuole, l’associazione Peacelink scrive una lettera a Karmenu Vella, Commissario europeo per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca, per chiedere il sostegno della Commissione Europea in una situazione ambientale e sanitaria drammatica. Ecco il testo della lettera:

Karmenu Vella, 

Commissario europeo per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca 

CC: Margrethe Vestager, 

Commissario europeo per la concorrenza 

Pierre Moscovici, 

Commissario europeo per gli affari economici e monetari

Egregio Commissario Vella, nei giorni 24, 25 e 26 ottobre la città di Taranto è stata colpita da raffiche di vento che hanno sollevato le polveri dei parchi minerali dell’Ilva e dei diversi cumuli di rifiuti speciali stoccati nello stabilimento, stendendo sulla città un manto tossico impressionante, come si evince dalle foto in allegato. La copertura del parco minerali dell’Ilva doveva essere realizzata entro il 2015 ma ad oggi, come per diverse altre prescrizioni AIA di fondamentale importanza, i lavori non sono stati completati. Inoltre, i cumuli di rifiuti speciali, oggetto del Decreto del 14 marzo 2014 saranno smaltiti, secondo quanto richiesto dai nuovi acquirenti del Gruppo Ilva, soltanto entro il 2023. Ciò che è invece emerso dalla caratterizzazione dei terreni realizzata sotto i parchi minerali, è che vi è un inquinamento molto elevato del terreno profondo e della falda acquifera superficiale, con notevoli superamenti dei limiti di legge.

Nulla del ripristino dei terreni è stato fatto e pochi giorni fa il sindaco di Statte(Taranto) ha vietato le attività agricole nelle zone vicine all’Ilva.

Il sindaco di Taranto ha invece disposto che nei giorni di vento dall’area Ilva (i cosiddetti “Wind Days”), le attività scolastiche vengano sospese per non esporre gli studenti ad un inaccettabile rischio sanitario, in ciò confortato dalle linee guida della ASL emanate nel 2016. Nessun dato sanitario autorizza a considerare terminata l’emergenza sanitaria, caratterizzata da eccesso di mortalità e morbilità evidenziate dall’ISS e dagli studi epidemiologici realizzati dal dott. Forastiere, prima su incarico del Tribunale e poi della Regione Puglia. Come ha ricordato il Commissario Moscovici nella lettera inviata a Peacelink il 23 maggio scorso, la procedura di infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto della direttiva sulle emissioni industriali è ancora aperta. Peacelink chiede alla Commissione Europea di scendere in campo al fianco dei cittadini di Taranto, perché mesi ed anni passano e la situazione a Taranto non conosce nessun margine di miglioramento. Peacelink agisce con il fine del bene dei cittadini di Taranto e rimane sempre disponibile a supportare l’operato dell’Unione Europea e del Governo Italiano al fine di migliorare le condizioni di vita di operai e cittadini e a trovare la soluzione più consona per lo stabilimento Ilva.

Fonte: ecodallecitta.it

Sacchetti di plastica, la Commissione Europea avvisa l’Italia

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La Commissione europea ha inviato una richiesta di parere motivato all’Italia per mancato recepimento nel proprio ordinamento della direttiva sulle borse di plastica in materiale leggero (UE 2015/720). La Commissione europea ha inviato una richiesta di parere motivato all’Italia per mancato recepimento nel proprio ordinamento della direttiva sulle borse di plastica in materiale leggero (UE 2015/720). Insieme all’Italia anche Polonia, Cipro e Grecia hanno ricevuto lo stesso avviso. La Commissione europea ha già inviato a Roma una lettera di messa in mora lo scorso gennaio, aprendo la procedura di infrazione. Con la richiesta di parere motivato si passa alla seconda fase della procedura e l’Italia ha due mesi di tempo per notificare le misure adottate. In assenza di una risposta soddisfacente la Commissione potrà deferire gli Stati membri recalcitranti alla Corte di giustizia dell’UE. Pur essendo stato il primo paese comunitario ad aver introdotto limiti molto stringenti alla vendita di sacchetti monouso in plastica, tanto da rischiare la procedura di infrazione, oggi l’Italia riceve un sollecito da Bruxelles che sa tanto di tirata d’orecchie. C’era tempo fino al 27 novembre 2016 per recepire la direttiva europea che mira a ridurre il consumo di buste di plastica e dopo 7 mesi oltre le scadenze l’Italia non ha ancora detto a Bruxelles cosa ha fatto. La direttiva 2015/720 introduce misure per ridurre la circolazione di sacchetti monouso in plastica, tra cui strumenti economici, come ad esempio imposte o l’attribuzione di un prezzo. Un’altra possibilità è l’introduzione di obiettivi di riduzione a livello nazionale: gli Stati membri devono garantire che l’uso annuale non superi 90 borse di plastica pro capite entro la fine del 2019 e 40 borse entro la fine del 2025. Entrambe le opzioni possono essere conseguite mediante misure obbligatorie o accordi con i settori economici. È anche possibile vietare le borse di plastica – fa sapere la Commissione -, purché tali divieti non vadano al di là dei limiti stabiliti dalla direttiva al fine di preservare la libera circolazione delle merci all’interno del mercato unico europeo.

Fonte: ecodallecitta.it

Commissione europea adotta nuovo strumento per il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali

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La Commissione europea ha deciso di adottare un nuovo strumento per il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali. In allegato un estratto del documento con il focus sulla gestione dei rifiuti in Italia.

La piena attuazione della legislazione ambientale dell’UE potrebbe farci risparmiare ogni anno 50 miliardi di euro di costi sanitari e costi diretti per l’ambiente. Secondo l’Eurobarometro, tre cittadini su quattro ritengono che il diritto dell’Unione sia necessario alla protezione dell’ambiente nel loro paese, e quattro su cinque concordano sul fatto che le istituzioni europee dovrebbero essere in grado di verificare che le norme siano applicate correttamente.
E così la Commissione europea ha deciso di adottare un nuovo strumento per il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali per migliorare l’attuazione sia della politica ambientale dell’UE che delle norme stabilite di comune accordo. La Commissione, insieme agli Stati membri, affronterà le cause alla radice delle carenze di attuazione e troverà soluzioni, prima che i problemi diventino urgenti.

“Un’applicazione frammentaria e non uniforme delle norme ambientali – ha affermato Karmenu Vella, Commissario UE per l’Ambiente, gli affari marittimi e la pesca – non rende servizio a nessuno. Il miglioramento delle modalità di applicazione del diritto ambientale va a vantaggio dei cittadini, delle amministrazioni pubbliche e dell’economia. È qui che entra in gioco il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali. La Commissione europea si impegna ad aiutare gli Stati membri a garantire ai loro cittadini una qualità eccellente dell’aria, dell’acqua e della gestione dei rifiuti. Il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali fornisce le informazioni, gli strumenti e il calendario per raggiungere questo obiettivo.”

Il pacchetto comprende: 28 relazioni per paese che mappano – a livello nazionale – punti di forza, debolezze e opportunità; una comunicazione che riassume le conclusioni programmatiche delle relazioni per paese e prende in esame le tendenze comuni riguardanti la qualità dell’aria, la gestione dei rifiuti e l’economia circolare, la qualità dell’acqua e la salvaguardia della natura e della biodiversità; e raccomandazioni su come ottenere miglioramenti destinate a tutti gli Stati membri. La revisione evidenzia che nel settore della gestione dei rifiuti, la prevenzione resta una sfida importante per tutti gli Stati membri; sei di loro, inoltre, non sono riusciti a limitare la messa in discarica dei rifiuti urbani biodegradabili. La piena conformità con la politica dell’UE in materia di rifiuti entro il 2020 potrebbe creare 400 000 nuovi posti di lavoro. Nonostante le molte le storie positive a livello locale nel settore natura e biodiversità, è necessario intensificare gli sforzi per l’attuazione della legislazione ambientale dell’UE, come confermato dal controllo dell’adeguatezza delle direttive Uccelli e Habitat svolto dall’UE. In caso contrario, la perdita di biodiversità nell’UE continuerà, compromettendo la capacità degli ecosistemi di rispondere alle necessità umane in futuro. In 23 dei 28 Stati membri le norme sulla qualità dell’aria non sono ancora rispettate – in totale, si registra il superamento dei livelli in più di 130 città in tutta Europa. I trasporti sono una delle fonti principali dei problemi di qualità dell’aria. Anche le azioni finalizzate a ridurre il rumore ambientale, la seconda causa di problemi di salute legati a fattori ambientali, dovrebbero essere rafforzate. Nel settore della qualità e della gestione dell’acqua la maggior parte degli Stati membri ha difficoltà a raggiungere la piena conformità in materia di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane, e per tredici di loro si prospetta un’azione legale da parte dell’UE. Le concentrazioni di nitrati e i livelli di eutrofizzazione costituiscono ancora un grave problema in quasi tutti gli Stati membri.

Le cause profonde di questa situazione sono diverse e sono condivise da diversi Stati membri: un coordinamento inefficace tra i diversi livelli amministrativi, una capacità insufficiente, la mancanza di conoscenze e di dati. Il lancio del pacchetto sul riesame dell’attuazione delle politiche ambientali sarà seguito da discussioni con ciascuno Stato membro, dal lancio di uno strumento orizzontale peer-to-peer che consenta agli Stati membri di aiutarsi a vicenda scambiandosi conoscenze ed esperienze, e da dibattiti politici nell’ambito del Consiglio «Ambiente».

Documenti scaricabili:

Focus sulla gestione dei rifiuti in Italia – ESTRATTO DAL DOCUMENTO DI LAVORO DEI SERVIZI DELLA COMMISSIONE Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali dell’UE – Relazione per paese – ITALIA [0,42 MB]

Fonte: ecodallecitta.it

Sfalci e potature fuori dalla normativa rifiuti. Commissione europea ‘solleverà la questione con le autorità italiane competenti’

Il commissario europeo all’Ambiente, Karmenu Vella, risponde ad un’interrogazione dell’eurodeputato Dario Tamburrano (M5S) sull’esclusione di sfalci e potature dalla normativa rifiuti: “La Commissione solleverà la questione con le autorità italiane competenti”386789_1

C’è chi lo aveva previsto ampiamente: l’esclusione di sfalci e potature dalla disciplina dei rifiuti, contenuta nel recente Collegato Agricoltura, sarebbe andata in contrasto con la normativa europea dei rifiuti. E così è stato. “La definizione di rifiuto organico include i rifiuti biodegradabili di giardini e parchi. La Commissione ritiene che gli sfalci e le potature rientrino in tale definizione se provengono da giardini e parchi”. È quanto sottolinea il commissario europeo all’Ambiente, Karmenu Vella, in risposta ad un’interrogazione dell’eurodeputato Dario Tamburrano (Movimento Cinque Stelle). È stato lui a porre l’argomento all’attenzione della Commissione europea che a questo punto, come si legge nella risposta del Commissario, “solleverà la questione con le autorità italiane competenti”. Eco dalle Città pubblica di seguito il testo dell’interrogazione e la risposta del Commissario europeo.

Interrogazione presentata in data 11 novembre 2016 da Dario Tamburrano (Co-firmata da Evi, Borrelli e Castaldo)
Oggetto:  Trattamento rifiuti biodegradabili di giardini e parchi («sfalci e potature»)

La definizione di rifiuto organico figura nella direttiva 2008/98. All’articolo 3(4) i rifiuti biodegradabili di giardini e parchi («sfalci e potature») sono inclusi nella definizione e come prescrive l’articolo 7 non possono essere esclusi da tale ambito. In Italia, il decreto legislativo 205 del 3 dicembre 2010, che recepisce la direttiva, integra la normativa ambientale di riferimento (decreto legislativo 152/06) e include coerentemente «sfalci e potature» nella definizione di rifiuto organico. Lo scorso 28 luglio 2016 è stata adottata la legge 154, che modifica varie disposizioni normative esistenti tra cui anche il decreto legislativo 152/06. All’articolo 41 essa modifica lo status quo esistente e ricomprende anche «sfalci e potature» tra i materiali da escludere dalla definizione di rifiuto. Di conseguenza, a partire dal 25 agosto 2016 e solo in Italia, «sfalci e potature» potranno non essere più considerati rifiuti organici e quindi potranno essere destinati a usi che la direttiva 2008/98 proibirebbe. Considerato quanto sopra esposto, la Commissione, alla luce della direttiva, ritiene plausibile che rifiuti di parchi e giardini come sfalci e potature possano essere esclusi dall’ambito di applicazione delle norme sui rifiuti?

In caso di risposta negativa come intende essa intervenire per riportare coerenza normativa?
Risposta di Karmenu Vella a nome della Commissione (data 21 dicembre 2016)

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti  (di seguito “la direttiva”), la definizione di “rifiuto organico” include i rifiuti biodegradabili di giardini e parchi. La Commissione ritiene che gli sfalci e le potature rientrino in tale definizione se provengono da giardini e parchi e pertanto dovrebbero essere oggetto di una corretta gestione dei rifiuti, in linea con gli obiettivi di cui all’articolo 4 e all’articolo 13 della direttiva. L’assenza di un controllo adeguato ed efficace su questo tipo di rifiuti sarebbe in contrasto con le disposizioni della direttiva. La Commissione solleverà la questione con le autorità italiane competenti.

Fonte: ecodallecitta.it

La Commissione UE salva il carbone e affonda le rinnovabili

La Commissione europea ha pubblicato ieri un pacchetto di misure (“pacchetto d’inverno”) che minaccia di far fallire gli sforzi per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili, prolungando invece la dipendenza dal carbone. Insorgono le associazioni ambientaliste.9430-10168

«Le misure proposte ieri dalla Commissione Europea includono i cosiddetti capacity payments, cioè sussidi di cui beneficeranno carbone, gas e e nucleare, con il pretesto di tenere le centrali pronte per essere accese» spiega Tara Connolly, consulente politica di Greenpeace Europa. «Di qui al 2020 circa il 95% delle centrali a carbone avrebbe i requisiti per ricevere questo sussidio, stando alla proposta della Commissione che include un tetto massimo per la CO2 solo per le centrali a carbone di nuova costruzione. La Commissione ha anche proposto di far decadere una norma esistente che prevede che venga immessa in rete l’energia da fonti rinnovabili prima di quella da inquinanti centrali a carbone o nucleari. Questo porterà ad ancora più casi in cui gli impianti di rinnovabili verranno spenti, in particolare quando ci sarà eccesso di offerta, perché è più semplice ed economico spegnere l’energia del sole e del vento piuttosto che le centrali a carbone o nucleari, che sono estremamente poco flessibili. Queste misure avranno l’effetto di bloccare gli investimenti nel settore delle rinnovabili».

«Questo pacchetto di misure non fa altro che tirare il freno. Distribuisce soldi alle centrali a carbone e dà alle compagnie energetiche più potere di controllo sul sistema energetico, limitando il ruolo dei consumatori come produttori di energia rinnovabile» continua Connolly. Ma non è finita qui. La Commissione propone anche di limitare la grandezza delle cooperative mettendo ai progetti una soglia massima di 18 megawatts all’anno di media. «Le proposte della Commissione Ue non consentono all’Europa di accelerare la transizione verso un sistema energetico libero da fossili entro il 2050 e sono in piena contraddizione con gli impegni assunti a Parigi e ribaditi solo pochi giorni fa a Marrakech» spiega Legambiente. «Per poter contenere l’aumento della temperatura globale entro 1.5°C, secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi, serve un cambio di rotta per stare al passo con il resto del mondo accompagnato da obiettivi climatici ed energetici europei più ambiziosi, a partire da rinnovabili ed efficienza energetica, insieme a efficaci misure attuative a livello nazionale per dare fiducia a cittadini ed imprese sempre più interessati a investire nelle rinnovabili e nell’efficienza energetica», così Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente. Il testo passerà ora al Parlamento europeo e ai governi nazionali. «Per le rinnovabili la Commissione fissa il target comunitario ad appena il 27%. Obiettivo fortemente inadeguato, se si tiene conto che il suo trend attuale è del 24% – prosegue l’associazione ambientalista – Ma soprattutto viene eliminata la priorità di dispacciamento delle rinnovabili (ad eccezione dei piccoli impianti), architrave dell’attuale politica europea che consente la priorità di accesso alla rete rispetto all’elettricità prodotta da fonte fossili, consentendone di fatto un loro rilancio. Proprio quando la transizione globale verso un sistema energetico efficiente e 100% rinnovabile sta vivendo una forte accelerazione».

«L’Europa – aggiunge Zanchini – rischia così di perdere il treno verso il futuro, rinunciando a tutti quei benefici che l’abbandono delle fonti fossili può portare alla nostra economia, all’occupazione e alla salute dei cittadini. Non sono più ammessi ritardi, serve dunque un segnale forte È in gioco lo sviluppo di un’economia libera finalmente dalle fonti fossili. La sola in grado di farci vincere la triplice sfida climatica, economica e sociale, creando nuove opportunità per l’occupazione e la competitività delle imprese europee. Una sfida che l’Europa e l’Italia non possono fallire».

Molti governi hanno compreso che le fonti fossili non hanno futuro. A Marrakech 48 paesi in via di sviluppo, raggruppati nel Climate Vulnerable Forum, si sono impegnati a raggiungere il 100% di rinnovabili entro il 2050. «La Commissione Europea, invece, con queste proposte “strizza” ancora l’occhio ad alcuni governi che continuano a guardare al passato offrendo un salvagente ai dinosauri delle fonti fossili. E mentre nel resto del mondo gli investimenti nelle rinnovabili sono triplicati nel corso degli ultimi 10 anni, in Europa si sono ridotti per quattro anni di fila. Con queste proposte, l’Europa rischia di perdere la storica opportunità di invertire questo trend ed essere a capo della rivoluzione energetica dei prossimi anni, divenendo “numero uno al mondo” nelle rinnovabili, come promesso dal Presidente della Commissione Juncker al momento del suo insediamento».

Fonte: ilcambiamento.it

L’ultimo tranello dell’industria del biotech

L’ultima battaglia dell’industria degli ogm: fare pressione perchè la Commissione Europea deregolamenti le nuove tecniche di modificazione genetica, eliminando iter autorizzativi e lasciando mano libera senza rendiconti né studi, nè tantomeno etichettature.biotech_ogm

Ma la cosa è trapelata e l’associazione TestBiotech, insieme ad altri gruppi della società civile, ha annunciato mobilitazioni contro la possibilità che la UE ceda a queste pressioni. E’ stato anche pubblicato un dossier legale, di cui TestBiotech si fa forte, redatto dal professor Ludwig Kraemer (QUI il testo completo), che contesta i nuovi metodi richiesti che non prevederebbero autorizzazioni, né registrazioni per l’immissione in commercio e nemmeno informazioni in etichetta. Gli attivisti e la società civile chiedono invece che anche i prodotti ogm ottenuti con le nuove tecniche sottostiano a regole severe e iter autorizzativi, unici in grado di garantire almeno un minimo di trasparenza, sebbene a maglie molto larghe. Il professor Kraemer nel suo dossier sostiene come anche le nuove tecnologie della manipolazione genetica siano riconducibili pienamente ai criteri stabiliti dalla direttiva europea 2001/18. I nuovi metodi utilizzano sequenze corte di DNA sintetico per introdurre specifiche modifiche. «Siamo veramente a una svolta, le nuove tecniche, note come genome editing, hanno la capacità di stravolgere il genoma. Non ci sono prove per asserire che ciò possa essere sicuro. Se tali tecniche non saranno severamente regolamentate, non ci sarà trasparenza né diritto di scelta, nè garanzia alcuna per salute e ambiente» ha detto Christoph Then di Testbiotech. «E’ urgente che la Commissione Europea prenda una posizione chiara».

Il dossier è stato commissionato da Arbeitsgemeinschaft bäuerliche Landwirtschaft (AbL), Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland (BUND), Bund Ökologische Lebensmittelwirtschaft (BÖLW), Gen-ethisches Netzwerk, Greenpeace, Interessengemeinschaft für gentechnikfreie Saatgutarbeit (IG Saatgut), Testbiotech e Zukunftsstiftung Landwirtschaft (ZSL).

Fonte: ilcambiamento.it

Tav Torino-Caselle-Malpensa: la nuova utopia del neoliberismo

L’Ufficio europeo per la lotta antifrode annuncia un’inchiesta sulla realizzazione della Torino-Lione, ma la politica ha già pronto un piano B. L’Ufficio europeo per la lotta antifrode annuncia un’inchiesta sulla realizzazione della Torino-Lione in seguito all’esposto di due europarlamentari francesi, Michèle Rivasi e Karima Delli: secondo l’istanza presentata a Bruxelles, Ltf, la società francese che si occupa della realizzazione del tunnel franco-italiano, avrebbe compiuto alcune irregolarità, con un conflitto di interessi nell’assegnazione degli appalti. Nel caso venisse accertata l’esistenza di frodi, il dossier verrà trasmesso alla giustizia dei due Paesi e la Commissione Europea potrà decidere di sospendere i finanziamenti del progetto. Il progetto – che resta fortemente desiderato da un fronte politico bipartisan anche nel nostro Paese – prevede costi per 8,5 miliardi di euro che l’Ue potrebbe finanziare al 40%. A fine febbraio il premier Renzi e il presidente francese Hollande dovrebbero approvare una risoluzione per richiedere alla Commissione Europea di inserire l’opera nel piano di investimenti anti-crisi. Insomma mentre lo scrittore Erri De Luca si trova sul banco degli imputati per aver invitato a sabotare l’opera, ci pensa la politica stessa ad auto-sabotarsi infrangendo le regole. Inoltre, secondo quanto scritto da Maurizio Tropeano sulla Stampa di venerdì 6 febbraio, Palazzo Chigi sarebbe intenzionato a nominare Mario Virano, attuale commissario di governo per la Tav e presidente dell’Osservatorio tecnico, a direttore della società che dovrà realizzare il tunnel di base. In tal caso il controllato coinciderebbe con il controllore come sottolineato negli scorsi giorni dal senatore 5Stelle Marco Scibona.TO GO WITH AFP STORY BY JEAN-FRANCOIS LE

L’inchiesta dell’Olaf potrebbe rallentare ulteriormente l’opera, vanificando una delle (deboli) giustificazioni che venivano addotte dai sostenitori del dogma della Tav ovvero che fosse l’Ue a chiedere insistentemente la realizzazione del tunnel. Nello stesso giorno in cui viene resa nota l’apertura dell’inchiesta, l’utopia Tav è pronta a rinascere come l’Araba Fenice altrove, con un progetto faraonico che può trovare una spiegazione soltanto nella perpetuazione dei vecchi modelli di business che hanno come principio primo la cementificazione del territorio e la realizzazione di Grandi Opere. La Tav è a rischio, le opere connesse all’Expo 2015 sono ormai concluse? Bisogna rilanciare, dare sfogo alla fantasia più sfrenata, proporre nuovi grandi progetti con i quali nutrire il mercato delle grandi imprese dell’edilizia. E la nuova utopia del neoliberismo – che in Piemonte si incarna nel Pd “padrone” del capoluogo e della Regione – è la Tav Torino-Caselle-Malpensa ovverosia la linea ferroviaria che collegherebbe il capoluogo piemontese, lo scalo torinese e il principale scalo piemontese. L’idea è di creare un sistema unico con la possibilità di fare il check in a Torino e prendere l’aereo a Malpensa, a un centinaio abbondante di chilometri di distanza. Come si legge su La Stampa, nell’articolo di Luca Ferrua di venerdì 6 febbraio, il progetto

dovrebbe consentire a un torinese che parte per New York o per Mumbai di arrivare a Caselle, fare il check in e poi di essere trasferito a Malpensa nel modo più comodo possibile.

Ora inizierà, anzi è già iniziato, il battage pubblicitario della stampa, quella che dovrà far capire che un’opera in grado di far risparmiare 40-50 minuti ai viaggiatori intercontinentali e che costerà verosimilmente alcuni miliardi di euro (la Tav Torino-Milano costò 62 milioni di euro al chilometro…) è “utile e necessaria” e più importante della preservazione dell’ambiente e della tenuta delle casse statali e regionali allo stremo. Il tutto quando c’è già una linea Tav Torino-Milano in cui entrambi gli scali sono collegati con navette all’aeroporto. Il tutto con una linea di navette Torino-Malpensa che funziona benissimo e che impiega meno di due ore fra il capoluogo piemontese e lo scalo. Per legittimare il tutto l’aeroporto di Caselle diventerà “strategico”, aggettivo che mette i brividi visto ciò che è successo in Valsusa, dove lo si è usato con abbondanza in un contesto che non è mai stato strategico, ma solo e soltanto tattico. Ora, altrove, la politica è pronta ad apparecchiare una nuova tavola che ha tutta l’aria di un piano B a beneficio dell’industria del cemento e di tutto ciò che a essa è connesso. Però vogliamo mettere il piacere di poter fare il check in a Torino e poi spiccare il volo sopra i boschi del Ticino? Come dice un famoso spot “non ha prezzo”Movimento-NO-TAV-586x389

Fonte:   La Stampa

© Foto Getty Images

Antenne: task force per dire no all’aumento dei limiti

Vogliono alzare i limiti per i campi elettromagnetici e dunque peggiorare il livello di elettrosmog: è l’allarme lanciato dal dottor Giorgio Cinciripini, membro fondatore della Rete esmog free Italia. Il 21 febbraio a Ostia uno workshop per costituire a livello nazionale una Task Force “che contrasti questi progetti”antenne

Si riunirà sabato 21 febbraio ad Ostia il primo Workshop operativo per organizzare le strategie dirette ad arginare le iniziative governative di modificare, innalzandoli, i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, attualmente in vigore nel nostro Paese. L’appuntamento è dalle ore 10 alle ore 18, presso la Sala Congressi dell’hotel Sirenetta (Lungomare Toscanelli, Ostia, Roma). “L’allarme si è diffuso con la presentazione alla Commissione Europea di due documenti delineanti, rispettivamente, la “strategia per la banda ultralarga” e per la “crescita digitale” – spiega la Rete No Elettrosmog Italia –  in cui sono contenuti i propositi di adeguare il nostro Paese ai limiti elettromagnetici europei nonché di diffondere nei luoghi indoor, in particolare scuole, ospedali ed uffici pubblici, la tecnologia wi-fi. Si tratta di propositi che vanno nella direzione opposta ai valori che hanno ispirato il nostro Paese al tentativo di applicare il Principio di Precauzione e che, se adottati, rischiano di condannare l’Italia tra i paesi a più alto tasso di elettrosmog nel contesto europeo. Ciò in quanto tali provvedimenti avrebbero il duplice effetto di liberalizzare l’installazione di migliaia e migliaia di tralicci, torri ed antenne radio base per la diffusione del servizio radiomobile nonché di sanare il parco antenne più numeroso d’Europa, che il territorio nazionale sopporta da anni per gran parte in regime di abusivismo urbanistico ed ambientale. Ma con questo tentativo si rischia, inoltre, di vanificare tutto il lavoro del legislatore, culminato proprio 14 anni fa con la legge quadro 21 febbraio 2001, che ancora attende in larga parte di essere completata con una serie di decreti attuativi. Già i governi precedenti si sono distinti per aver varato provvedimenti diretti a semplificare le procedure autorizzative per gli impianti di telefonia mobile (Decreto Sviluppo, Crescita bis, Sblocca Italia); questa ulteriore iniziativa, senza dubbio la più sciagurata, porrebbe la pietra tombale ai propositi di rendere il nostro Paese tra i più cautelativi e, insieme, sensibili ai richiami della evoluzione tecnologica”. L’incontro di sabato 21 febbraio ad Ostia avrà tra gli obiettivi quello di creare una “Task Force sull’Elettrosmog”, in grado di contrastare questi incauti progetti e di intervenire per conservare e semmai migliorare in senso cautelativo gli attuali limiti. Hanno già confermato la partecipazione scienziati e ricercatori di ambito internazionale, rappresentanti delle istituzioni nazionali e locali, di associazioni e movimenti per la tutela della salute e dell’ambiente

Fonte: ilcambiamento.it

La Commissione Europea ritira la riforma del mercato delle sementi. Via Campesina: “Riprendiamoci la nostra sovranità alimentare”

La Commissione Europea ha annunciato la sua decisione di ritirare la riforma del mercato sementiero, da più parti invocata affinché potesse essere contenuto lo strapotere delle multinazionali e reso possibile lo scambio dei semi per affrancare i contadini dalla schiavitù delle royalties. Ora si tratta di vedere cosa accadrà. Intanto l’associazione internazionale contadina La Via Campesina lancia i suoi “5 passi” per nutrire veramente il pianeta (altro che Expo 2015!) e rivendica la sovranità alimentare dei popoli.via_campesina

La Commissione Europea ha annunciato al Parlamento europeo la sua decisione di ritirare la riforma della regolamentazione del mercato sementiero, cancellando di fatto le seppur timide aperture cui la Commissione precedente era stata costretta dalle pressioni dei movimenti per la sovranità alimentare e dai gruppi rappresentativi in agricoltura. Quelle aperture lasciavano sperare che finalmente la UE potesse prendere in considerazione norme e interventi a difesa della biodiversità e preservazione dei suoli, a difesa del diritto dei contadini allo scambio delle loro sementi, del diritto delle piccole aziende a commercializzare tutte le biodiversità disponibili senza dover essere costrette a registrarle nei cataloghi istituzionali e a difesa della possibilità di aprire quei cataloghi ai semi non “standardizzati”, sinonimo di maggiore ricchezza nutritiva dei cibi. Nulla di tutto ciò, tutto cancellato, la pressione delle lobby di interesse e delle multinazionali sementiere evidentemente è devastante. Intanto l’associazione internazionale di contadini La Via Campesina rimarca la sua critica al sistema industriale di produzione del cibo, «causa principale dei cambiamenti climatici e responsabile del 50% delle emissioni di gas serra in atmosfera». Eccoli i punti critici principali.

Deforestazione (15-18% delle emissioni). Prima che si cominci a coltivare in maniera intensiva, le ruspe e i bulldozer fanno il loro lavoro abbattendo le piante. Nel mondo, l’agricoltura industriale si sta spingendo nella savana, nelle foreste, nelle zone più vergini divorando una enorme quantità di terreno.

Agricolture e allevamento (11-15%). La maggior parte delle emissioni è conseguenza dell’uso di materie rime industriali, dai fertilizzanti chimici ai combustibili fossili per far funzionare i macchinari, oltre agli eccessi generati dagli allevamenti.

Trasporti (5-6%). L’industria alimentare è una sorta di agenzia di viaggi globale. I cereali per i mangimi animali magari vengono dall’Argentina e vanno ad alimentare i polli in Cile, che poi sono esportati in Cina per essere lavorati per poi andare negli Usa dove sono serviti da McDonald’s. La maggior arte del cibo prodotto a livello industriale percorre migliaia di chilometri prima di arrivare sulle nostre tavole. Il trasporto degli alimenti copre circa un quarto delle emissioni legate ai trasporti e il 5-6% delle emissioni globali.

Lavorazioni e packaging (8-10%). La trasformazione dei cibi in piatti pronti, alimenti confezionati, snack o bevande richiede un’enorme quantità di energia e genera gas serra.

Congelamento e vendita al dettaglio (2-4%). Dovunque arrivi il cibo industriale, là deve essere alimentata la catena del freddo e questo è responsabile del consumo del 15% di energia elettrica nel mondo. Inoltre i refrigeranti chimici sono responsabili di emissioni di gas serra.

Rifiuti (3-4%). L’industria alimentare scarta fino al 50% del cibo che produce durante tutta la catena di lavorazione e trasporto, i rifiuti vengono smaltiti in discariche o inceneritori.

La Via Campesina rivendica la sovranità alimentare dei popoli e indica 5 passi fondamentali per arrivarci. Eccoli.

  1. Prendersi cura della terra.

L’equazione cibo/clima ha radici nella terra. La diffusione delle pratiche agricole industriali nell’ultimo secolo ha portato alla distruzione del 30-75% della materia organica sul suolo arabile e del 50% della materia organica nei pascoli. Ciò è responsabile di circa il 25-40% dell’eccesso di CO2 in atmosfera. Questa CO2 potrebbe essere riportata al suolo ripristinando le pratiche dell’agricoltura su piccola scala, quella portata avanti dai contadini per generazioni. Se fossero messe in pratiche le giuste politiche e le giuste pratiche in tutto il mondo, la materia organica nei suoli potrebbe essere riportata ad un livello pre-industriale già in 50 anni.

  1. Agricoltura naturale, no alla chimica.

L’uso di sostanze chimiche nell’agricoltura industriale è aumentata in maniera esponenziale e continua ad aumentare. I suoli sono stati impoveriti e contaminati, sviluppando resistenza a pesticidi e insetticidi. Eppure ci sono contadini che mantengono le conoscenze di ciò che è giusto fare per evitare la chimica diversificando le colture, integrando coltivazioni e allevamenti animali, inserendo alberi, piante e vegetazione spontanea.

  1. Limitare il trasporto dei cibi e concentrarsi sui cibi freschi e locali.

Da una prospettiva ambientale non ha alcun senso far girare il cibo per il mondo, mentre ne ha solo ai fini del business. Non ha senso disboscare le foreste per coltivare il cibo che poi verrà congelato e venduto nei supermercati all’altro capo del mondo, alimentando un sistema altamente inquinante. Occorre dunque orientare il consumo sui mercati locali e sui cibi freschi, stando lontani dalle carni a buon mercato e dai cibi confezionati.

  1. Restituire la terra ai contadini e fermare le mega-piantagioni.

Negli ultimi 50 anni, 140 milioni di ettari sono stati utilizzati per quattro coltivazioni dominanti ed intensive: soia, olio di palma, olio di colza e zucchero di canna, con elevate emissioni di gas serra. I piccoli contadini oggi sono confinati in meno di un quarto delle terre coltivabili nel mondo eppure continuano a produrre la maggior parte del cibo (l’80% del cibo nei paesi non industrializzati). Perché l’agricoltura su piccola scala è più efficiente ed è la soluzione migliore per il pianeta.

  1. Dimenticate le false soluzioni, concentratevi su ciò che funziona

Ormai si ammette che la questione agricola è centrale per i cambiamenti climatici. Eppure non ci sono politiche che sfidino il modello dominante dell’agricoltura e della distribuzione industriali, anzi: governi e multinazionali spingono per far passare false soluzioni. Per esempio, i grandi rischi legati agli organismi geneticamente modificati, la produzione di “biocarburanti” che sta contribuendo ancor più alla deforestazione e all’impoverimento dei suoli, continuano ad essere utilizzati i combustibili fossili, si continua a devastare le foreste e a cacciare le popolazioni indigene. Tutto ciò va contro la soluzione vera che può essere solo il passaggio da un sistema industriale di produzione del cibo a un sistema nelle mani dei piccoli agricoltori.

Fonte: ilcambiamento.it

Mobilità europea, auto ancora mezzo più utilizzato ma crescono bici e tpl | Il sondaggio Eurobarometro

Pubblicato dalla Commissione Europea il sondaggio Eurobarometro 2014 sulla mobilità. Secondo le risposte ricevute, anche in Italia come in Europa aumenta l’uso del trasporto pubblico e della bicicletta,tuttavia nel nostro paese il 64% delle persone dichiara di usare la macchina tutti i giorni381367

La Commissione Europea ha pubblicato lo Special Eurobarometer 2014, un sondaggio svolto dalla società belga TNS Opinion & Social per conto della Direzione Generale per la Mobilità e i Trasporti che analizza i comportamenti quotidiani dei cittadini europei in tema di mobilità. Il lavoro ha coinvolto 27 milioni di persone di 28 stati membri.
Secondo le risposte ottenute, l’automobile è ancora il mezzo di trasporto più utilizzato dagli europei, ma l’uso di mezzi più sostenibili come il trasporto pubblico e la bicicletta attira sempre più gli utenti della strada. Non a caso l’inquinamento(20%), la sicurezza (30%), il traffico (60%) e la manutenzione delle strade (59%) sono le principali preoccupazioni dei cittadini europei. L’8% degli intervistati dichiara di utilizzare la bicicletta tutti i giorni (per gli italiani il 6%, in aumento rispetto allo scorso anno) ma quello che balza agli occhi è l’uso della due ruote tra i giovani, che raggiunge una percentuale del 13%. Gli olandesi continuano a mantenere il primato, infatti il 36% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare la bicicletta tutti i giorni. Sul fronte della sicurezza stradale, le priorità per incrementarla sono state individuate nell’alcol (49%) e nella manutenzione stradale (56%). Le ragioni che spingono gli europei nella scelta del mezzo con il quale muoversi quotidianamente sono l’economicità (61%) e la velocità (31%).
Se si osservano i dati italiani la mobilità è indubbiamente ancora auto-centrica: il 64% degli intervistati dichiara di utilizzare l’automobile tutti i giorni, conto l’8% che dichiara di utilizzare i mezzi pubblici. La media europea è del 20% e non stupisce come solo 6% degli intervistati si preoccupa del prezzo del biglietto o di eventuali sconti e abbonamenti.

Per visionare tutto lo Special Eurobarometer clicca qui

Fonte: ecodallecitta.it