La bottiglia di plastica commestibile: la ricetta per fare Ohoo in casa

Una invenzione, la plastica commestibile, applicata al packaging per liquidi scatena le fantasie dei media nostrani che rilanciano una notizia vecchia di giugno. Ecoblog.it però vi propone la ricetta per ottenere la plastica commestibile in casa

Tre studenti londinesi hanno inventato Ohoo una plastica edibile che potrebbe aprire nuovi scenari per il packaging delle bottiglie di acqua. Il contenitore è composto da una doppia membrana gelatinosa e quando viene sete basta forarla per bere, la membrana può essere poi mangiata o gettata via nel compost. Questa la semplice idea dietro Ohoo progetto messo a punto da tre giovani designer di Londra, Rodrigo Garcia Gonzalez, Pierre Paslier e Guillaume Couche che per questa invenzione hanno portato a casa anche il premio Lexus Design Award. Ovviamente tanto è bastato a scatenare i media nostrano con articoli nel merito. Ma Ecoblog va oltre e vi segnala la ricetta per realizzare in casa le “bottiglie” in plastica da mangiare.bolle-di-acqua-620x350

Scrive uno degli inventori Pierre Paslier:

Una bolla contiene circa 4cl di acqua, l’equivalente di un sorso. Crediamo che Ooho possa portare una soluzione radicale per un grave problema che abbiamo generato: la produzione di bottiglie di plastica. Investendo in ricerca e sviluppo si potrebbe progettare una membrana che possa assicurare l’igiene, trasportabilità e flessibilità. Ooho è attualmente sviluppato sotto licenza Creative Commons, perché tutti dovrebbero essere in grado di prepararlo in casa.

In pratica la materia gelatinosa è composta da una doppia membrana in alginato di sodio (E401) ricavato dalle alghe brune e da cloruro di calcio (E509) e nella ricetta che vi segnalo compare al posto del cloruro di calcio il lattato di calcio più facile da reperire. La materia gelatinosa viene modellata sotto forma di bolle e l’acqua viene incapsulata all’interno. I costi di questa tecnica sono molto bassi e peraltro riproducibili anche a casa procurandosi gli ingredienti giusti. Sotto la ricetta di Inhabitat.

La ricetta per le “bottiglie” di plastica edibile

1 g di alginato di sodio (una sostanza naturale derivata dalle alghe brune)

5 g di lattato di calcio alimentare (un tipo di sale)

Una ciotola piena di 1 tazza di acqua potabile

Un’altra ciotola riempita con 4 tazze di acqua

Un’altra ciotola piena di acqua per il risciacquo delle “bottiglie”

Un frullatore ad immersione (si può anche usare un frullatore normale)

Un cucchiaio profondo come un misurino

Passo 1: Aggiungere 1 g di alginato di sodio nella ciotola che contiene 1 tazza di acqua. Quindi utilizzare un frullatore ad immersione per sciogliere l’alginato di sodio per circa 3 minuti. Quindi far riposare la miscela per 15 minuti per eliminare eventuali bolle d’aria che possono essersi formate durante la miscelazione.

Passo 2: Aggiungere 5 g di lattato di calcio alla ciotola che contiene le 4 tazze di acqua e mescolare bene con un cucchiaio.

Passo 3: raccogliere il prodotto dalla soluzione alginato di sodio con un cucchiaio profondo e deporlo attentamente nel bagno di lattato di calcio. Ripetere la formazione delle bolle di alginato di sodio finché non sarà terminato.

Passo 4: Mescolare le bolle di alginato di sodio molto delicatamente per 3 minuti.

Passo 5: Dopo 3 minuti, togliere le bolle o “bottiglie” dal bagno di lattato di calcio con un mestolo forato e trasferirei in un bagno d’acqua per fermare la reazione.

Ecco pronte le vostre “bottiglie” in plastica.

Fonte:  Blue EconomyInhabitat
Foto | Designboom

 

Olio extravergine di oliva: quando può definirsi commestibile e salutare?

Negli ultimi 30 anni è radicalmente cambiato il modo di produrre l’olio extravergine di oliva, uno dei prodotti più rappresentativi dell’agricoltura italiana. Soltanto un olio extravergine di oliva biologico o biodinamico può essere considerato commestibile e assolutamente privo di tracce di insetticidi e altri veleni.olio9_

Insieme al vino e al frumento l’Olio extravergine di oliva è il prodotto più importante e più rappresentativo dell’agricoltura italiana. Poche sono le aziende agricole che non lo producono e moltissime sono le famiglie contadine che ne traggono un reddito indispensabile. Il modo di produrre Olio dalle olive è radicalmente cambiato negli ultimi 30 anni, con l’inserimento ormai generalizzato della macinatura meccanica, in sostituzione delle vecchie macine a pietra che avevano il difetto di ossidare eccessivamente il prodotto della spremitura naturale delle olive. Partiamo come al solito dal campo. Troviamo oliveti in pianura, sul mare, sui laghi, in collina, in alta collina e persino in montagna fino a 800 metri sul livello del mare. Il mantenimento della fertilità del suolo da osservare, per definire un prodotto genuino è delegato oltre che all’uso di letame maturo, anche al sovescio di leguminose o di opportuni miscugli di piante adatte ad essere incorporate nel terreno per apportare con l’aiuto di microrganismi ed insetti utili i 30 elementi chimici che compongono ogni singola oliva. Le concimazioni chimiche che mettono a disposizione delle piante solo azoto, fosforo e potassio servono invece a squilibrare e a rendere suscettibili alle più disparate malattie queste piante così longeve, favorendo solo l’uso di rimedi “curativi” altamente tossici per le varie patologie che di conseguenza si manifestano. Molto importanti risultano infine le consociazioni e le naturalizzazioni degli uliveti, si è visto infatti che all’interno di un contesto ricco di biodiversità naturale gli antagonisti delle avversità viventi sono molteplici e ben equilibrati, mentre nelle monocolture intensive e molto estese sono praticamente assenti. Di solito l’altitudine influisce notevolmente sugli attacchi del parassita più temuto: la mosca olearia che, deponendo un semplice uovo nella piccola oliva acerba, permette alla larva che ne fuoriesce di cibarsene (in simbiosi con un batterio) deturparla e sporcarla causando notevoli danni al prodotto finale.pesticidi9_

Salto a piè pari tutto lo scibile scontato dei danni provocati dagli oli di semi estratti con solventi chimici e dalle margarine proposte dagli anni 60 alle nostre massaie e ancora presenti come grassi deidrogenati in molteplici prodotti industriali, causa principale di obesità e disparate disfunzioni. Solo un Olio extravergine di oliva biologico o biodinamico risulta davvero commestibile e assolutamente privo di tracce e cocktail di insetticidi e anticrittogamici, mentre non è escluso che negli olii extravergini, anche IGP e DOP senza distinzione, possano ritrovarsi veleni, normalmente in tracce ammesse, ma comunque consistenti. Oggi sistemi collaudati basati sull’esperienza dell’agricoltore, la raccolta precoce, l’uso di trappole e prodotti che creano confusione sessuale consentono a questo prodotto di essere coltivato senza uso di veleni anche in pianura, rendendo l’olivicoltura convenzionale ormai obsoleta ed inutile. Per avere un prodotto perfetto servono comunque ancora tante attenzioni. Esistono aziende che portano in frangitura le olive il giorno stesso della raccolta. Esistono frantoi che non superano i 28 gradi di temperatura nelle operazioni di spremitura e non vanno oltre i 90 minuti nelle operazioni di separazione dell’olio dalla pasta ottenuta. Queste cure seguite: dall’evitare assolutamente il contatto con la plastica così detta “alimentare” spesso usata a bidoni e puntualmente corrosa e diluita da alcuni dei molteplici acidi presenti soprattutto nei primi giorni di olio nuovo, dal mantenimento dell’olio in bottiglie scure, dall’evitare il più possibile il contatto con l’aria, permettono di ottenere dei prodotti davvero speciali. Esistono infine olii monocultivar con sapori ben chiari e diversificati: favolosa Olivastra seggianese, olii saporiti di solo Olivo Frantoiano, olii indefinibili di Leccino o Moraiolo, Ogliarola barese o Cima di Bitonto, tutti adatti a restituire al nostro palato la capacità di sentire, degustare, osservatore con tutti i sensi quel condimento che previene le malattie, cura da sempre i più svariati squilibri e dona alle pietanze della nostra dieta un sapore che lo rendono insostituibile. Che non senso miscelarlo col falso, rettificarlo, contaminarlo chimicamente, squilibrarlo con fertilizzanti costosi ed inutili! Un prodotto così importante non può essere valutato in base al costo o alla semplice acidità che ne determina l’attuale classificazione in rancido, lampante (buono solo per le lampade ad olio) rettificato (manipolazione chimica e fisica), olio di sansa di oliva, olio d’oliva (un rettificato con 1% di vergine) , vergine (max 2% acidità libera) ed extravergine (max 0,8% acidità libera). Un buon olio si definisce in base agli aromi, ai profumi, alla presenza indispensabile di acidi grassi insaturi, di antiossidanti naturali, di clorofilla e di vitamina E, di enzimi e di vitamine B e C. Così come non ha senso valutarlo in base al costo unitario, molto più sensato calcolarne invece il costo giornaliero pro capite per rendersi conto che bastano pochi centesimi ben spesi per vigilare sulla salute di tutta la famiglia o sulla reale qualità della propria ristorazione. A voi questa volta il compito di riscoprirlo direttamente tra le aziende agricole bio più vicine, nelle molteplici individualità che lo producono, lo accarezzano, lo confezionano per non farlo mai mancare sulle tavole imbandite, dalle minestre dei bambini alle zuppe dei più anziani, dalle ricette dei grandi chef alle pietanze delle più anonime massaie, dai consigli dei nutrizionisti fino ai rimedi dei monaci camaldolesi, che da sempre in tutto il Mediterraneo non c’è miglior aiuto per far partire dalla cucina la salute di ognuno.

Fonte: il cambiamento