La storia della “mela musona” e di Sarah, che ha cambiato vita per dedicarsi alle api

Una piccola azienda agricola nello spezzino che racchiude una grande storia d’amore e di cambio vita. Si chiama La Mela Musona e si trova a Colli di Maissana; qui Sarah, Gabriele e i loro due bambini vivono producendo miele e coltivando verdure solo con acqua e sole.

La Spezia – Siamo a Colli di Maissana, in Val di Vara, a 760 metri di altitudine. Qui Sarah e Gabriele vivono insieme ai loro figli, circondati da orti e alberi da frutto. Sarah è inglese e nel suo CV non c’è una formazione agraria, ma un passato nel mondo della danza: «Prima di venire a vivere in Italia lavoravo come ballerina, ho studiato alla scuola di danza di Londra». Nel frattempo conosce Gabriele, originario di Casarza Ligure, sulla nave da crociera su cui era imbarcata. «Dopo qualche anno di avanti e indietro, nel 2005, ho deciso di cambiare vita e trasferirmi in Liguria. All’inizio ho lavorato in palestra, come insegnante, e con i cavalli, mio grande amore dall’infanzia».

Dopo la nascita dei figli però, Sarah sente l’esigenza di fermarsi e coltivare la sua passione per le api: «Sin da quando ero piccola, mi è sempre piaciuto andarle a cercare, osservarle, sedermi in un campo di fiori per scattar loro delle foto. Così, dopo aver seguito diversi corsi di apicoltura e potendo contare anche sui terreni di famiglia, è stato abbastanza naturale per noi virare sulla dimensione agricola».

Nel 2017 apre ufficialmente l’azienda agricola La Mela Musona, con una ventina di alveari e 2000 metri quadrati di orto e frutteto. «Certo, non è stato semplicissimo, occorrono tanti lavori piccoli per poter iniziare, ma dopo un po’ di anni di fatica, ora stiamo riuscendo ad ampliarci».

Sarah – La Mela Musona

LE ARNIE NOMADI

Adesso i ragazzi della Mela Musona hanno 50 alveari che non sono stanziali, ma “traslocano” a seconda della stagione per agevolare il processo di impollinazione. «Con le api seguiamo un approccio votato al nomadismo: in inverno vivono a Castiglione Chiavarese e producono il miele di erika, il nostro punto forte».

D’estate gli insetti si spostano a Sesta Godano, in un bel bosco di acacie: «Poi ancora le trasferiamo a Velva, dove c’è un mix di castagno e tiglio, mentre l’altra metà da noi a Colli di Maissana per il miele di castagno». Movimentare le arnie è una tecnica molto diffusa per la produzione di diverse varietà di miele, che valorizza le fioriture stagionali.

IL NOME

La “mela musona” è una una varietà autoctona di queste vallate ed è il simbolo del paese dove vivono Sarah e la sua famiglia: «La prima cosa che vedi quando giri la curva ed entri a Colli di Maissana è un bell’albero di mela musona. Proprio per questo l’abbiamo scelta come mascotte della nostra azienda agricola: è una varietà locale antica e dalla forma particolare, un po’ allungata, di piccole dimensioni e molto saporita».

Il frutteto è ancora giovane, di recente piantumazione, ma inizia a dare i primi frutti: qui le mele fanno compagnia a prugne, ciliegie, amarene e albicocche.

L’ORTO

Nei campi della Mela Musona si segue un approccio naturale e si coltivano ortaggi di stagione, tra cui le cipolle di Pignona: «Cresciamo le nostre verdure solo con acqua e sole. Seguiamo tutte le tecniche del biologico e anche se non siamo certificati; siamo dell’idea che la cosa importante sia dire sempre la verità al cliente, con cui si deve instaurare un rapporto basato sulla fiducia».

Chi acquista le verdure da loro sa con quali modalità si coltiva e può visitare i terreni dell’azienda. «D’altronde, non utilizzando sostanze, ci ritroviamo qualche cavolo con le foglie “bucate” dalle lumache, segnale però che di chimica sopra non c’è traccia. Meglio un cavolo perfetto, ma trattato, o uno con qualche imperfezione naturale?».

L’APPROCCIO SOCIALE

A breve La Mela Musona diventerà una fattoria didattica. L’intento è quello di poter offrire alle scuole già dalla prossima primavera un “pacchetto” per visitare l’azienda e conoscere più da vicino il mondo delle api: «Ho già fatto qualche piccolo laboratorio nelle scuole, ho notato che molti bambini hanno il terrore degli insetti e soprattutto delle api. Per questo più se ne insegna l’importanza, meglio è».

L’azienda agricola esprime la sua vocazione sociale e sostenibile aderendo all’associazione BbaKY, che sta creando sul territorio una rete di consumatori, aziende agricole, G.A.S. e associazioni che promuovano occasioni di un agire collettivo votato a pratiche di sostenibilità: «Ospiteremo presto un gruppo di ragazzi per condividere con loro i segreti del mestiere dell’apicoltore. Spiegheremo come preparare un alveare, faremo pratica in apiario e produrremo il miele. Ma mostreremo loro anche come funziona un banco del mercato, affinché imparino anche a gestire il processo di vendita».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/sarah-mela-musona/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La nuova vita di una famiglia in una Casetta Ben Nascosta nel bosco

Stanchi dello stress causato dal lavoro, Jyothi e Daniele hanno deciso di cambiare radicalmente e di andare a vivere con i figli sulle pendici del Monte Cimino in un casale di campagna che hanno ristrutturato e ribattezzato La Casetta ben Nascosta del Bosco. Qui sperimentano un vivere sostenibile fatto di autoproduzione, riciclo creativo, contemplazione e riscoperta delle relazioni e della comunità.

 “Dimmi, piccolina, se ne usciamo vivi, che cosa ti farebbe veramente piacere?

“Ritrovare Ernest – disse subito Celestine. – E tornare con lui nella casetta ben nascosta nel bosco”

Da questo passo del libro Ernest e Celestine, scritto da Pennac, Jyothi e Daniele hanno preso spunto per battezzare la loro casa-laboratorio per una vita sostenibile con il nome La Casetta ben Nascosta nel Bosco. La coppia fino a qualche anno fa conduceva insieme ai tre figli una delle tipiche vite che comunemente si ritengono essere di successo. Dagli Stati Uniti, dove allora abitavano, hanno iniziato tuttavia ad osservare ciò che oggi è diventato evidente anche in Europa, ovvero “come la società ci fa correre, non ci consente di essere presenti e di coltivare le relazioni per poi riempirci di stupidaggini così da sopperire al fatto di essere come un criceto sulla ruota”.

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La Casetta ben Nascosta nel Bosco

«I bambini – ci ha raccontato Daniele – vengono sempre più spesso cresciuti da dispositivi elettronici, mentre gli algoritmi decidono sempre di più le nostre vite».

Lasciato il lavoro nel settore hi-tech, dunque, Daniele e la sua famiglia, hanno deciso di tornare in Europa e, successivamente, in Italia. Visti una decina di casali in campagna fra Lazio, Umbria e Toscana, Jyothi e Daniele hanno trovato “in uno di quei posti che ci arrivi solo se lo sai, o se ti perdi” quella che sarebbe diventata La Casetta ben Nascosta nel Bosco, a Soriano nel Cimino. La casetta anni ‘50 è circondata da ulivi e noccioli, qualche castagno e noce, meli, ciliegie e fichi. I primi mesi nella nuova casa sono stati dedicati a rendere agibili un paio di stanze, mentre oggi la vecchia stalla è diventata un bagno. Poco lontano c’è una yurta e tutt’intorno alla casetta che è stata ristrutturata ci sono i pannelli solari, un orto, una piccola serra e un pollaio.

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Nella casa-laboratorio per una vita sostenibile, Jyothi e Daniele coltivano e producono il proprio cibo: un atto rivoluzionario in un mondo che spinge le persone a mangiare cibo sempre più scadente e alterato. Gli oggetti di scarto, invece, diventano lavori artistici e divertenti, come i vecchi copertoni diventati un gioco per bambini o le lattine e le vecchie scatole di alluminio che diventano strumenti musicali. Questa scelta di vita ha consentito a Jyothi e Daniele di avere più tempo da dedicare a loro stessi, alle relazioni o anche, più semplicemente, alla contemplazione. «Il bombardamento di informazioni e di stimoli cui siamo sottoposti quotidianamente – osserva Daniele – non ci consente né di riflettere né di metabolizzare esperienze ed emozioni, e questo contribuisce a farci ammalare».
Jyothi e Daniele, dunque, intendono continuare a «lavorare il giusto per ottenere il giusto, senza strafare» e si augurano che sempre più persone prendano una decisione simile. «C’è tanta campagna che sta andando in malora, in un’incuria totale. In Olanda – paese da cui proviene Jyothi – le piccole botteghe di stampo familiare sono già state smantellate 25 anni fa senza che neppure le persone se ne accorgessero. In Italia, invece, questo smantellamento è più recente e la società civile inserita in un contesto di borghi e di paesi può essere ancora salvaguardata e ricostruita».

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Dal tornare ad abitare le campagne al fare comunità il passo è breve: ne è un esempio la Comunità Rurale Diffusa nata dalla collaborazione fra i piccoli coltivatori e le famiglie – compresa quella di Jyothi e Daniele – prossimi alla Casetta ben Nascosta nel bosco. Non solo ecovillaggi dunque: secondo Daniele se le persone ripopolassero borghi e paesi le comunità si creerebbero spontaneamente. Si potrebbe ricominciare ad andare a piedi, incontrarsi sulla piazza e raccontarsi quello che succede.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/12/nuova-famiglia-casetta-ben-nascosta-bosco/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

L’agricoltore che coltiva senza acqua

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Federico Felli ha abbandonato la città nel 1998 ed è tornato alle sue radici, nella Cascina Nuova appartenete a suo nonno, fra Valenza e Casale Monferrato. La sua è una scelta di ritorno alla terra che in tanti hanno fatto e stanno facendo. Ma in questa storia c’è qualcosa in più. Felli, infatti, coltiva senza acqua grazie a un progetto realizzato dal Rodale Institute e messo a disposizione gratuitamente ai coltivatori di tutto il mondo. Alla base di questo metodo innovativo che consente di coltivare senza l’acqua, c’è il roller crimper, un rullo piegatore che viene attaccato al trattore e aiuta a concimare il terreno schiacciando le piante da sovescio, vale a dire quelle utilizzate tra una coltura e l’altra per arricchire il terreno. Nei periodi di pausa – per esempio fra il taglio del grano di luglio e la semina del mais in primavera – Felli pianta un mix di 36 erbe che vengono successivamente schiacciate dal rullo diventando una speciale pacciamatura e una concimazione naturale. E l’irrigazione? Con questo metodo non serve più. È sufficiente l’acqua che scende dal cielo. Niente acqua, niente concimi chimici, nessun intervento invasivo, tutto quello che serve è naturale. Felli, utilizzando i progetti del Rodale Institute e modificandoli grazie alla propria esperienza e all’aiuto dell’agronomo Cristiano Concaro, si è fatto costruire un rullo da un fabbro della Lomellina. Ora sta sperimentando questa metodologia su 14 ettari di terreno fra Lombardia e Piemonte. Una vera e propria “magia” che potrebbe trovare nuovi adepti fra gli agricoltori più illuminati.

Fonte:  La Stampa

Quando in Italia si coltivava la canapa

L’Italia è stata per secoli, fino alle prime decadi del ‘900, il secondo produttore mondiale di canapa dopo l’Unione Sovietica. Nelle dieci fotografie che seguono è possibile apprezzare quelle che erano le fasi ed i processi di lavorazione tradizionale della canapa tessile. Si ringrazia la rivista Dolce Vita Online – Alternative Lifestyle Magazine. Oggi sembra strano pensarlo, ma l’Italia è stata per secoli, fino alle prime decadi del ‘900, il secondo produttore mondiale di canapa dopo l’Unione Sovietica. In tutta la penisola, ancora nel 1910, si coltivavano a canapa oltre 80mila ettari di terreni, oltre la metà dei quali in Emilia-Romagna. Oltre a Ferrara il maggior centro di produzione e lavorazione della canapa era Carmagnola(nel torinese), località che diede il nome anche ad una varietà particolarmente pregiata di canapa tessile (la carmagnola appunto) che era ritenuta la migliore per qualità e resistenza delle sue fibre. Carmagnola fu non solo un rigoglioso centro di coltivazione, ma l’attività era fervente anche per quanto riguardava le fasi di lavorazione e commercio, che spingevano la sua pregiata canapa verso la Liguria ed il sud della Francia, in particolare Marsiglia. Nelle dieci fotografie che seguono, la cui pubblicazione ci è stata gentilmente concessa dalla Biblioteca Storica Nazionale dell’Agricoltura, è possibile apprezzare quelle che erano le fasi ed i processi di lavorazione tradizionale della canapa tessile. Attività che tra agosto e novembre coinvolgevano migliaia di contadini, donne e uomini che con grande fatica selezionavano e maceravano la canapa fino ad estrarne la fibra che sarebbe andata a costituire la materia prima con la quale per secoli si sono costruite corde, carta, vele per le navi, tovaglie e tanto altro.01

  1. Il trasporto dei fasci di canapa. La raccolta degli steli, alti fino a 4-5 metri, veniva fatta ai primi di agosto. Gli steli, una volta essiccati, venivano battuti per terra, in modo da far cadere le foglie, e successivamente raccolti in fasci conici del diametro di due metri, successivamente il contadino tagliava gli steli col falcetto recidendoli alla base, e li riordinava sul campo incrociati a “X”, quindi venivano trasportati verso il macero.02
  1. Scarico della canapa. I fasci incrociati, detti “mannelli”, vengono scaricati ed avviati al macero.03
  1. Collocazione al macero. I mannelli venivano immersi nell’acqua stagnante in due o piú strati per circa otto giorni. Questa operazione permetteva lo scioglimento delle sostanze collanti che tengono uniti fibra tessile e stelo.04
  1. Macerazione.Per macerare, la canapa doveva restare continuamente immersa nell’acqua. Per evitare il galleggiamento, uno dei sistemi era l’appesantimento dei fasci con pietre.05
  1. Stigliatura o scavezzatura. Dopo la macerazione e l’asciugatura i fasci di canapa vengono avviati alla scavezzatrice, macchina che frantumava gli steli per facilitarne la separazione.06

6.Strigliatura o scavezzatura. Questo passaggio, una tempo effettuato a mano e da fine ‘800 attraverso un apposito macchinario, consentiva di frantumare gli steli al fine di ricavarne la fibra.07

  1. Gramolatura. Procedura che consentiva di spezzare gli steli della canapa mediante l’uso di uno specifico utensile: la gramola, uno strumento a leva di legno, lungo e ingombrante che, a causa della sua pesantezza, era piuttosto faticoso da manovrare. Per questa fase della lavorazione si ricorreva spesso ad una manodopera specializzata, i cosiddetti “garzuler”.08
  1. La filaccia. Al termine del processo di gramolatura si aveva la filaccia, cioè la fibra di canapa pronta per la lavorazione. Questa veniva ulteriormente pulita e battuta per toglierne le residue impurità.09
  1. Dettaglio. Ogni passaggio della lavorazione della canapa coinvolgeva anche la manodopera femminile. Alle donne era riservato il lavoro di meticolosa pulizia della fibra, anche se ciò non le esentava di certo dagli altri processi ben più faticosi della lavorazione.010
  1. Accatastamento della filaccia. La fibra di canapa ottenuta, una volta completato il processo di pulitura, veniva accatastata pronta per essere inviata alla lavorazione o esportata ancora grezza.

Fonte: ilcambiamento.it

Tornare alla terra: si può vivere coltivando in modo naturale?

Complice la crisi economica, negli ultimi anni si è assistito ad un ‘ritorno alla terra’ da parte di molti giovani che hanno deciso di dedicarsi all’attività agricola. Roberta Perrone durante la stesura della sua tesi di laurea sull’ecologia e il sociale (nella quale approfondisce in particolare il tema della meccanizzazione in agricoltura e gli effetti sulle sementi) ha intervistato tra gli altri Antonio Cangialosi, agrumicoltore siciliano di ventotto anni che ha deciso di trasformare un hobby in un vero e proprio lavoro. Con lui ha parlato di agricoltura industriale e alternative naturali, tutela del suolo, OGM e dei problemi derivanti dall’uso dei pesticidi.

Ciao Antonio, raccontaci prima di tutto chi sei e di cosa ti occupi?

Mi chiamo Antonio Cangialosi, ho ventotto anni e sono un agrumicoltore. Insieme a mio fratello gestisco un agrumeto di tre ettari e un uliveto altrettanto grande. L’azienda si trova in Sicilia a circa trenta chilometri da Palermo. Burocraticamente è nata 5 anni fa, ma in realtà calpestiamo quel suolo da sempre. Quella terra è un dono che ci è stato ereditato. Sin da piccoli alternavamo piacevoli ore di lavoro in campagna con impegni di studio. Ci siamo ritrovati grandi e col desiderio maturato negli anni di fare del nostro hobby un vero e proprio lavoro.

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Nel 2010 abbiamo cercato di mettere in piedi un’attività agricola di collina a conduzione familiare. Principalmente siamo io e mio fratello che ci lavoriamo, ma in alcuni momenti anche mio padre, parenti e amici. Loro ci danno una mano soprattutto nella fase della raccolta. Questa attività è nata pezzo dopo pezzo attraverso piccoli tentativi, esperimenti, grazie soprattutto alla curiosità di provare a capire come si può vivere coltivando la terra. Non nego che la prima fase ha riservato alcune difficoltà (passare dai libri alla terra, inghippi burocratici, difficoltà nell’avvicinare la gente al buon cibo). In questo momento, nonostante i problemi siano sempre presenti, possiamo dire che stiamo riuscendo nei nostri intenti ed è pure divertente. E’ un lavoro duro. Si torna a casa stanchi e si dedicano altre ore alla vendita a km0 nel nostro piccolo punto vendita in paese. Altre ore vengono destinate alla comunicazione (e-mail, social, pubblicità, etc). Altre vengono impiegate per la sistemazione dei pacchi da spedire, dando così la possibilità a chiunque di acquistare prodotti genuini – dall’albero alla tavola. Quindi il lavoro c’è ed è anche tanto, ma cerco di ridurre il più possibile il livello di alienazione. E posso dire che è una cosa che mi appaga. È un processo in continuo divenire.

Perché è importante tornare alla terra?

Noto che dalle nostre parti, da alcuni anni, c’è per fortuna una piccola realtà di giovani che vorrebbe impegnarsi in questo settore e che sembra voglia espandersi sempre più. Si sta riscoprendo il valore della terra. Di certo è una realtà che stenta a decollare, ma comunque è già importante che si stia facendo spazio nel sociale. Il ritorno alla terra non è da sottovalutare, anzi. L’attività agricola può rappresentare un modello alternativo. La terra è una risorsa importante perchè è lei che ricuce i rapporti tra territorio e comunità, le relazioni, le conoscenze, il recupero di saperi, le tradizioni. Oggi la gente inizia a pensare che la strada sia in progetti come il nostro. Ciò ci inorgoglisce.

Perché occuparsi della difesa del suolo è divenuta oggi una priorità?

Oggi le policolture tradizionali sono minacciate dalle monocolture industriali. Le colture intensive avvengono a ritmi spaventosi. La negatività delle colture intensive sta principalmente nel trarre profitto ad ogni costo. Non a caso, pur di lucrare, le grandi aziende tendono a sfruttare al massimo il suolo, i mezzi, il personale e tutto ciò di cui necessita una coltivazione intensiva. Le conseguenze sono: cattive paghe, usi sproporzionati di carburante, uso massivo di pesticidi, anticrittogamici, fitofarmaci, insetticidi. Purtroppo è la chimica che fa il gioco, col suo malefico ausilio si può annualmente ottenere una produzione standard. Ma sopperire le mancanze con la chimica porterà la natura a depauperarsi.

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Riproponendo questi metodi anno dopo anno il suolo, le piante e i prodotti stessi verranno denaturati. Perderanno le loro fisiologiche proprietà. ISDE Italia ha reso pubblica la sua posizione (vedi Position Paper) sui rischi ambientali e sanitari generati dall’uso di pesticidi. Nel documento vengono presentate numerose informazioni che evidenziano le criticità delle pratiche agroindustriali dannose per la salute dell’uomo, degli animali e degli ecosistemi. Mi riferisco alla contaminazione chimica del suolo, dell’acqua, dell’aria e degli alimenti. E’ un documento che a mio avviso dovrebbero leggere tutti. Essendo stato scout non posso dimenticare le parole di Baden-Powell: “Lascia il mondo un po’ migliore di come l’hai trovato”. La difesa del suolo è una priorità perchè se tratti bene la terra lei ricambierà nel migliore dei modi. Coltivare con metodi biologici, prendersi cura della salute del terreno è un po’ come difendere l’equilibrio del cosmo.

Come fate quindi a difendere i vostri raccolti da possibili attacchi?

Gli agrumi sono dei frutti resistenti. La buccia, spessa e grezza, consente di proteggere al meglio il frutto dagli attacchi. Di conseguenza il produttore, se vuole, non è costretto a far uso della chimica. Capita però che l’agrumeto venga infestato dalla presenza di un numero massiccio di afidi e cocciniglie, insetti visibili anche ad occhio nudo che si raggruppano solitamente sulla pagina inferiore delle giovani foglie. Succhiano la linfa delle piante provocandone un generale deperimento. Per affrontare questo problema utilizziamo l’olio extra vergine d’oliva (metodo naturale). L’olio, distribuito nelle foglie, riesce a soffocare gli insetti sopprimendoli. Per altri casi utilizziamo anche rame e zolfo (fungicidi naturali che, se utilizzati in giuste dosi, sono consentiti in agricoltura biologica).

Quale potrebbe essere a tuo avviso un sistema di produzione e di distribuzione ideale?

Mi piace pensare che un giorno si potrà tornare ad una produzione e ad una distribuzione locale, il famoso km0. E mi piace pensare che un giorno le produzioni industriali cesseranno di esistere. Una piccola azienda non ti obbliga ai ritmi frenetici di cui necessita una mega azienda. Si sa, le grandi aziende sono spesso strozzate dai costi e da un’organizzazione troppo macchinosa, con tempi e ritmi rigidissimi dettati dalle dure leggi di mercato, per non parlare dell’uso sproporzionato di concimi chimici e gli effetti sulla biodiversità. Invece, tante piccole aziende possono agire nel rispetto della terra e dell’uomo: giuste ore di lavoro, adeguate tecniche di potatura, di concimazione, di irrigazione e di raccolta.planta

Sarebbe bello vedere un giorno il contadino entrare nuovamente in città attraverso i mercati di vendita diretta, mettendo così in evidenza la trasparenza del prezzo, il valore del lavoro e la qualità del prodotto. Quella della vendita diretta (negli spacci, nei mercatini, attraverso i GAS) non è solo un’alternativa critica alla grande distribuzione, ma resta prima di tutto un modo diverso per creare e difendere le relazioni tra persone. Bisogna ripensare l’agricoltura e il nostro rapporto con il cibo. Le dinamiche commerciali odierne obbligano, in un certo senso, ad attivare anche dei metodi di distribuzione ad ampio raggio. Noi ad esempio diamo l’opportunità al consumatore di acquistare i nostri prodotti da ogni parte d’Italia e farseli recapitare a casa in breve tempo. Unici aspetti positivi di questo sistema di distribuzione: a. diamo la possibilità a chiunque di mangiare prodotti sani e sicuri; b. eliminiamo i vari passaggi degli intermediari, i quali non fanno altro che far lievitare i prezzi e la tempistica tra raccolta e consumazione.

È possibile secondo te un’agricoltura differente che preservi l’agricoltura tradizionale, l’uso delle sementi antiche e che rispetti i ritmi naturali considerando l’aumento della popolazione e, di conseguenza, l’aumento della richiesta di cibo?

Ecco. Per quanto riguarda la questione dei semi posso parlarti della mia esperienza. Parte dell’azienda è destinata ad un piccolo orto per il fabbisogno familiare. Grazie alla passione per la campagna di mio nonno e di mio padre, oggi, io e mio fratello, disponiamo di sementi antiche di varietà non più esistenti in commercio: pomodoro, zucchina siciliana, fava, cetriolo, cipolla, aglio. Ho ereditato una grande ricchezza. Purtroppo alcuni semi di altri ortaggi sono andati persi nel tempo. Ciò ci obbliga ad acquistare sementi o piantine direttamente dai vivaisti che, però, commercializzano semi ibridi.  Qui si apre un capitolo immenso sull’origine dei semi, le modifiche apportate, le certificazioni, i brevetti, le multinazionali. Argomenti che non possono essere riassunti o trattati superficialmente. Aggiungo solo che oggi i circuiti di scambio delle sementi hanno a mio avviso un’importanza fondamentale, perchè offrono l’opportunità di scambiare varietà di semi poco conosciute. I semi sono un patrimonio dell’umanità. Difendere i semi significa difendere la biodiversità, ecco perchè dobbiamo conservarli con cura e scambiarli. La libertà di scambiare le sementi antiche, cosa oggi minacciata dalla Comunità Europea, è un diritto naturale. La terra ci offre doni che dobbiamo condividere con gli altri.GMO-Corn

Ci era stato detto che gli OGM avrebbero salvato il mondo dalla fame facendo aumentare i raccolti, diminuendo l’uso dei pesticidi, mettendo in circolo piante in grado di resistere alle condizioni climatiche, e invece? Cosa ne pensi dell’inquinamento genetico che ne deriva?

Le promesse fatte sono inganni. Solo e semplicemente inganni. Interessi di multinazionali impavide pronte a tutto pur di lucrare. Quella degli OGM è una macchina formidabile e in continua espansione che promette di nutrire il pianeta mentre nella realtà riproduce una struttura di spreco e di ingiustizia. Si sa, le multinazionali sono divenute così potenti da condizionare persino le scelte istituzionali, a discapito di piccoli e medi agricoltori, dei consumatori e persino dell’ambiente. L’uomo è riuscito a brevettare il bene comune più prezioso, il seme. E’ riuscito a modificarne la genetica, a renderlo proprio al fine di commercializzarlo, mettendo a rischio la fertilità del suolo, della falde idriche, dell’atmosfera e della salute umana. Non si può pensare di modificare la terra all’infinito, scavare montagne in eterno, cementificare tutto. Sulla terra non si può lucrare per sempre. Tutto questo un giorno si rivolterà contro.

Io cosa posso fare, come posso contribuire per tutelare il futuro del suolo e per limitare il più possibile il collasso ambientale che si è già innescato?

Bisogna credere nella buona agricoltura e cercare di avvicinare quanta più gente possibile al rispetto dell’ambiente. Siete voi consumatori ad avere potere decisionale. Bisognerebbe ridurre o ancor meglio eliminare la cultura dell’usa e getta e del consumo senza qualità e consapevolezza. Quella del consumismo è una logica che si è imposta nel tempo e che ha influenzato negativamente la salute dei consumatori. Ricordiamo sempre che noi siamo quel che mangiamo.

Fonte : italiachecambia.org

Agriscuole: gli orti didattici per i più piccoli

Tutti gli indirizzi delle agriscuole e degli agrinidi dove i bambini possono recuperare un rapporto diretto con la terra

Coltivare un orto, recuperare un rapporto diretto con la terra e con i suoi frutti, educare le nuove generazioni al cibo buono e sano e a un consumo critico, adatto alle nostre esigenze e non a quelle del mercato, sono questi gli obiettivi degli orti didattici che si stanno sviluppando in tutta Italia dando la possibilità ai bambini di seminare, curare, veder crescere, raccogliere e poi mangiare gli alimenti che hanno coltivato. Per i bambini dai 3 mesi ai 3 anni gli agrinido sono spazi nei quali prendere contatto con la natura, imparando a contemplare i frutti dell’orto e gli animali. Le agriscuole riservate ai bimbi fra i 3 e i 6 anni permettono di compiere i primi esperimenti: dalla semina alla cura, dal raccolto all’alimentazione degli animali che popolano l’agriscuola. Ai bimbi viene insegnato a riconoscere le piante e i fiori e a conservare frutta e verdura nel migliore dei modi.

Ecco alcune scuole in giro per l’Italia.

Lazio – Il girotondo a Fiumicino (Rm)

Lombardia – Piccoli Frutti a Cremona

Marche – Arca di Noè a Fermo e La Quercia della Memoria a San Ginesio (Mc)

Piemonte – Azienda Agricola La Piemontesina a Chivasso (To)

Toscana – Lo spaventapasseri a Castelnuovo Garfagnana (Lu)

Trentino – Il Cavallo a dondolo a Mezzocorona (Tn)

Veneto – Fattoria casa mia a Ospedaletto di Pescantina (Vr)4d1_ortocasalingo-586x392

© Foto Getty Images

Fonte: ecoblog.it

Orticoltura urbana, il 20 febbraio parte il corso del Bioparco di Roma

Il Bioparco di Roma organizza un corso teorico-pratico per insegnare a realizzare in modo semplice ed economico un orto in casa e per coltivare piante da frutto, orticole e ornamentali. Iscrizioni entro il 23 gennaio. Tutti i dettagli381622

Parte il 20 febbraio il nuovo corso teorico-pratico di orticoltura e giardinaggio organizzato dalla Fondazione Bioparco di Roma. Il corso, rivolto a tutti gli appassionati di giardinaggio, intende fornire le conoscenze per realizzare in modo semplice ed economico un orto in casa e per coltivare piante da frutto, orticole e ornamentali. Il corso, che si svolgerà dal 20 febbraio fino al 12 giugno 2015, è articolato in 8 lezioni a cadenza mensile (il venerdì pomeriggio dalle 14.30 alle 16.30) con esercitazioni di gruppo, lezioni teoriche e simulazioni pratiche presso il Bioparco di Roma (Piazzale del Giardino Zoologico)

Calendario e argomenti delle lezioni

20/02/2015 Il frutteto e l’orto familiare in terrazzo e in giardino: il terreno e la nutrizione delle piante
27/02/2015 Potatura delle piante da frutto e ornamentali (sul campo)

20/03/2015 Riproduzione e moltiplicazione delle piante

27/03/2015 Orticoltura urbana e sistemi idroponici semplificati

17/04/2015 Principi per la difesa delle colture orticole ed ornamentali

08/05/2015 Le conserve fatte in casa

22/05/2015 Non solo orti: la coltivazione delle piante ornamentali ed il giardino sostenibile

12/06/2015 Le piante aromatiche: dalla dieta mediterranea all’evidenza scientifica
La quota di partecipazione al corso è di € 240,00 (iva inclusa) e comprende tutti i materiali e le attività pratiche. A tutti i partecipanti verrà consegnato un kit di lavoro contenente guanti, cesoie, coltello per innesti ed un blocco per appunti. Ad ogni lezione saranno fornite le dispense cartacee sugli argomenti trattati. Al termine del corso verrà rilasciato un attestato di frequenza.
Per l’iscrizione al corso: Inviare una mail a orti.urbani@bioparco.it, entro e non oltre il 23 gennaio 2015
Altre info sul sito del Bioparco di Roma

Fonte: ecodallecitta.it

Come coltivare le fragole a casa in balcone

Che sia per risparmiare sull’acquisto di frutta e verdura, per convinzione ecologista o per sperimentare il proprio pollice verde, cresce la voglia di coltivare piante alimentari in giardino o in terrazzo oppure sul balcone. Chi vuole cimentarsi in questa attività può provare con le fragole: sono piantine poco esigenti, si accontentano di un vaso e danno frutti ricchi di vitamine e sali minerali.fragole-1-e1310195248877-400x250

E’ davvero facile coltivare le fragole sul balcone, ecco come fare:

I più ambiziosi possono partire dalla semina: spargete in un vaso di terriccio e innaffiateli a pioggia. Se preferite, potete accelerare la germinazione col metodo dello Sprout Box, collocando i semi in una scatola da tenere per due giorni in condizioni di temperatura e umidità ideali. Appena compaiono le prime foglioline, diradate le piante lasciando le più robuste nel vaso e togliendo le altre, oppure al contrario estraete le piante migliori per interrarle alla distanza di 20 cm o di una spanna l’una dall’altra. Se cercate la via più semplice, acquistate in un vivaio le piantine di fragola già radicate. Sia la semina che la piantumazione devono essere eseguite in piena estate, tra luglio e agosto. Le piante di fragola hanno bisogno di essere innaffiate spesso, in particolare nel periodo immediatamente successivo alla messa a dimora e durante la fruttificazione. L’innaffiatura non deve essere a pioggia ma alla base della pianta, senza bagnare le foglie. Per avere risultati migliori, concimate il terreno con stallatico maturo, con cenere di legna o con del concime liquido a base di potassio e fosforo. D’inverno le fragole devono essere protette dal freddo: lo si può fare coprendole con un telo di plastica traforato, oppure cospargendo il terreno intorno alla pianta con una spessa pacciamatura di foglie secche o di paglia. La prima raccolta avviene nella primavera successiva alla semina. Nel mese di marzo vedrete comparire i piccoli fiori bianchi e alla fine della primavera potrete gustare i primi frutti. Le piante di fragola producono frutti per alcuni anni consecutivi, e se hanno un vaso sufficientemente grande, prima di arrivare alla fine del loro ciclo produttivo generano altre piante pronte a sostituirle. I rami più lunghi, infatti, si piegano fino a terra e formano delle piccole radici, dando vita a nuove piante che potranno essere separate dalla pianta madre e interrate in un altro vaso.

E allora… chi fermerà più gli aspiranti orticoltori?!

Fonte: tuttogreen.it

Biomasse? Una brutta faccenda…

Coltivare consumando suolo, acqua, energia e risorse per poi…usare ciò che si è coltivato come combustibile: una faccenda che, fin dall’inizio, seppur sbandierata come la nuova frontiera dell’energia rinnovabile e sostenibile, lasciava dubbi enormi, poneva contraddizioni irrisolvibili. Una scelta che oggi sta mostrando tutti i suoi limiti.biomasse_biogas

Dopo il rapporto choc di Nomisma , secondo cui le biomasse risultano più inquinanti del gasolio, oltre che del gpl e del metano, restano pochi dubbi sulle contraddizioni che questa scelta di politica energetica si porta dietro. Anche le commissioni europee lo hanno ammesso: le biomasse di origine alimentare favoriscono la deforestazione, quindi ora vorrebbero indirizzare gli incentivi verso le biomasse di origine non alimentare (in sostanza i rifiuti e qui si potrebbe aprire un altro capitolo). Eppure si continuano a prevedere incentivi e si ha quasi la sensazione che la crisi del settore agricolo europeo possa trovare nelle agroenergie un nuovo sbocco produttivo. Finanziamenti pubblici in questo senso sono previsti anche dalla nuova Politica  Agricola Comunitari(PAC) 2014-2020 per colture da “energia” quali: mais, barbietola, che possono essere trasformate in alcool, e colza, girasole, soia che possono essere trasformate in olio combustibile.

E’ bene analizzare con senso critico la questione.

Non ci sono solo il rapporto Nomisma e il parere delle commissione UE a mettere in allerta. Analisi energetiche di “sistema”, che considerano cioè tutta la filiera produttiva, dal costo energetico per la produzione di fertilizzanti e dei pesticidi al processo di trasformazione, forniscono risultati critici circa la sostenibilità di questo sistema produttivo. Da queste ricerche, svolte da specialisti del settore, la trasformazione di biomassa in bio-combustibili liquidi (bioalcol o biodisel) risulta essere inefficiente dal punto di vista energetico. Ad esempio, per produrre 100 unità  energetiche di bioalcol da mais, il processo ne richiede circa il 30% in più; così come per ottenere 100 unità energetiche di biodisel da girasole ne servono 200 (il 100% in più). In laboratorio la trasformazione dell’amido di mais in alcol è un processo fattibile ed efficiente. Quando però si passa dal laboratorio alla realtà, dobbiamo tener presente che le cose si complicano. Molti altri criteri ed indicatori devono  essere introdotti, per esempio tutti i costi energetici relativi alla produzione del mais e allo smaltimento dei residui, l’impatto ambientale di questa coltura, gli effetti sul sistema agroalimentare della trasformazione di grandi quantità di mais in combustibili.

Ci sono però anche studi secondo cui se gli impianti a biomassa sono piccoli e utilizzano scarti o comunque si basano su una filiera corta, potrebbero avere qualche chance in più.

Un altro aspetto è dato dal fatto che la produzione di agroenergia porta necessariamente all’adozione della monocoltura intensiva, quindi, con un grande uso di fertilizzanti e pesticidi e con un relativo impatto sul territorio che contrasta con gli stessi obiettivi della PAC in merito alla conservazione della qualità dell’ambiente, della biodiversità e della salute del suolo. Il rapporto indica che la conversione di colture alimentari in colture energetiche sta accelerando, e se questo processo rimane incontrollato, oltre che ad un notevole aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, avrà un impatto negativo anche sulla biodiversità e potrebbe causare un aumento netto delle emissioni di gas serra invece che una riduzione di queste (Gallagher, 2008).

Il terzo elemento da considerare è che la produzione di agroenergie ha pesanti ricadute sociali poiché la trasformazione di queste colture di sussistenza in carburanti sta causando l’aumento dei prezzi degli alimenti con gravi ripercussioni sulla sicurezza alimentare delle popolazioni dei paesi poveri. Un rapporto riservato della Banca Mondiale scoperto e reso pubblico dal quotidiano britannico The Guardian (Chakrabortty, 2008), attesta che il 75% del rincaro dei prezzi degli alimenti di questi ultimi tempi (i prezzi sotto esame sono cresciuti del 120% tra il 2002 e il febbraio 2008) può essere imputato all’effetto delle politiche nazionali e internazionali sui biocarburanti. Fatte queste premesse, non si può non considerare nella definizione di una politica agroenergetica nazionale e globale, questioni come la sicurezza alimentare o l’impatto ambientale che queste produzioni hanno sugli ecosistemi. Infine, si dovrebbe anche rivedere la domanda di energia e quindi il sistema di consumi, cercando allo stesso tempo di investire in differenti energie alternative, quale il solare termico, soprattutto in quei paesi dove il sole abbonda, l’eolico, e il fotovoltaico, quest’ultimo ancora poco efficiente ma con possibili prospettive di miglioramento.

Fonte: il cambiamento.it

Coltivare l’economia solidale. La Terra e il cielo, agricoltura biologica dal 1980

Senza esperienza e senza soldi ma motivate dalla volontà di stare in campagna e vivere dei prodotti della terra, nel 1980 un gruppo di persone ha dato vita a quella che nel tempo è divenuta una delle più importanti cooperative agricole biologiche italiane, in una regione contadina per eccellenza: le Marche.

In un periodo in cui imperava l’agricoltura convenzionale ed il biologico rappresentava un settore di nicchia, “La Terra e il cielo” è nata grazie alla coraggiosa iniziativa dei soci fondatori che hanno deciso di adottare un nuovo approccio più sostenibile alla coltivazione, riscoprendo, al contempo, un rapporto più equilibrato con la natura e con se stessi.

Il marchio della cooperativa, l’uomo vitruviano con i piedi piantati a terra e la testa in cielo, rispecchia proprio la filosofia che anima i fondatori ed i lavoratori de “La Terra e il cielo”: l’importanza dell’equilibrio Uomo-Natura, non soltanto per la salvaguardia dell’ambiente ma anche, come si legge nel sito della cooperativa, “perché l’uomo riacquisti la dignità della propria essenza, possibile solo nel pieno rispetto del Mondo, sia esso un campo da coltivare, una pianta da crescere, un animale da allevare o l’essere umano che incontriamo durante il nostro cammino”.8528872425_b194375c1e_b

La sede operativa de “La Terra e il cielo” sorge ai piedi del castello di Piticchio, frazione di Arcevia, nelle campagne della provincia di Ancona, a metà strada tra l’Appennino marchigiano ed il mare Adriatico. In linea con i principi di sostenibilità ed ecologia che guidano la cooperativa, la struttura (uffici e magazzino) è stata costruita seguendo i principi della bioarchitettura e del feng-shui al fine di garantire un ambiente salutare a chi vi lavora ed al contempo una condizione di salubrità ai prodotti. “Da subito – racconta il presidente Bruno Sebastianelli, che è stato anche tra i soci fondatori della cooperativa – anche se erano concetti praticamente sconosciuti in Italia, abbiamo deciso di coltivare biologico e biodinamico, e ci siamo concentrati sulla produzione di cereali”. La riscoperta ed il rilancio di antiche varietà di cereali e legumi rappresenta infatti da sempre uno dei punti cardine dell’attività della cooperativa che, quindi, si è specializzata nel mercato della pasta biologica con l’intento di “promuovere la cultura della salute e del rispetto dell’ambiente attraverso la qualità, la tracciabilità e la tipicità dei prodotti alimentari, e quindi, delle metodologie produttive”. Nell’ottica di coltivazioni e quindi alimentazione il più possibile diversificata, nel tempo si è allargato il ventaglio di prodotti, tutti caratterizzati da una tracciabilità, quasi completamente locale e regionale.8529983000_5070e99024_b

Oggi la cooperativa rappresenta circa 110 aziende agricole biologiche e movimenta 15.000 quintali di cereali all’anno. “La Terra e il cielo” lavora e commercializza esclusivamente materia prima biologica italiana, in prevalenza marchigiana, proveniente dai produttori agricoli soci, ai quali è garantito un prezzo equo. La tutela della piccole aziende e l’impegno per migliorare le condizioni degli agricoltori costituiscono infatti i pilastri della cooperativa, che collabora anche con i Gas. Proprio da questa collaborazione è nata l’idea del prezzo giusto e anche quella del prezzo trasparente. “Adesso Pasta” è un importante patto sottoscritto dalla nostra cooperativa con i consumatori organizzati in Gruppi di Acquisto Solidale (leggi box a destra), nella linea dei principi dell’Economia solidale. Oltre che di un patto di fornitura dei prodotti della cooperativa ad un prezzo equo per il produttore e per il consumatore, si tratta anche di un progetto che è volto a coinvolgere i GAS italiani in una filosofia di piena trasparenza e conoscenza dei processi produttivi e di formazione dei prezzi. “Acquistando i nostri prodotti – si legge sul sito della cooperativa – non solo si difende l’agricoltura biologica italiana dei piccoli produttori che tutelano l’ambiente e la biodiversità ma si contribuisce alla affermazione di un modello economico e sociale più equo, che chiamiamo ‘economia solidale‘ che si sta sviluppando dal basso. Questo nuovo, urgente approccio va contro una certa globalizzazione finanziaria che sta sostanzialmente minando alla base l’economia locale a vantaggio soltanto di progetti speculativi di imprenditori singoli o della grande finanza internazionale”.8529983246_ea5c9970c8_b

Bruno Sebastianelli, presidente e tra i soci fondatori de La Terra e il cielo

Peraltro, come molte realtà legate all’economia solidale, “La Terra e il cielo” non ha avvertito la crisi: “nel 2012 – afferma Bruno Sebastianelli – il nostro fatturato è aumentato del 10%”. Negli anni “La Terra e il cielo” ha interrotto i rapporti con le banche tradizionali ed ora si rivolge solo a Banca Etica. In trent’anni la cooperativa è cresciuta sino a diventare una solida realtà italiana del biologico, preservando nel tempo i valori della solidarietà, dell’equità e del rispetto della natura. Sono stati tra i primi ad ottenere la certificazione bio, di cui oggi però il presidente della cooperativa mette in dubbio il valore effettivo: “quando l’abbiamo ottenuta eravamo orgogliosi. Adesso, invece, pensiamo che sia più che altro un ente burocratico. I controlli, infatti, sono pochi. La vera garanzia, per i cittadini, potrebbe venire dalla conoscenza diretta dei produttori. Un motivo in più per incentivare i consumi locali”.

Alessandra Profilio

Il sito de La Terra e il cielo 

Fonte: italiachecambia.org