OGM: “subito la clausola di salvaguardia”

Si chiama Task Force per un’Italia Libera da Ogm e mette insieme una serie di realtà contrarie alla diffusione del transgenico in Italia: un’ipotesi che non piace al 76% degli italiani e che dovrebbe tradursi, per i promotori della mobilitazione di giovedì scorso in piazza Montecitorio, nel ricorso alla clausola di salvaguardia da parte del Governo italiano. agricoltura2__3

Il 76% degli italiani è contrario agli OGM. Otto paesi europei – Austria, Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Polonia e Ungheria – hanno adottato la clausola di salvaguardia per vietare la messa a coltura nel proprio territorio di piante geneticamente modificate autorizzate a livello dell’Unione europea. L’Italia finora non l’ha fatto, nonostante il contesto di urgenza dettato da due sentenze della Corte di Giustizia europea che, in pochi mesi, hanno smantellato la strategia difensiva italiana, che all’ingresso degli Ogm oppone la mancanza di norme nazionali che ne regolino la coesistenza con l’agricoltura tradizionale. A settembre la Corte di Giustizia Ue, nella causa tra l’azienda biotech Pioneer Hl Bred Italia srl e il Ministero dell’Agricoltura, ha infatti affermato che semi autorizzati dalla Commissione europea possono automaticamente essere commercializzati in tutti gli stati membri e a maggio, intervenendo nella vicenda di un agricoltore che aveva piantato mais Mon810 in Friuli senza autorizzazione nazionale, ha ribadito che non occorre alcun via libera per la messa a coltura di semi iscritti nel catalogo comune. Il Ministero continua a sostenere il diritto dello Stato membro a condizionare la coltivazione degli organismi geneticamente modificati, ma nei fatti l’Italia ha solo due alternative: può rassegnarsi all’ingresso degli Ogm, e limitarsi a dettare delle regole sulla coesistenza con l’agricoltura bio e tradizionale, oppure può ricorrere alla clausola di salvaguardia e bloccare le piante biotech. Questa via, invocata dai cittadini attraverso un appello sul web, e indicata anche da una mozione sostenuta da tutti i gruppi parlamentari al Senato, è anche al centro della mobilitazione della Task Force per un’Italia Libera da Ogm, che la scorsa settimana ha protestato davanti a Montecitorio contro l’inattivismo del Governo italiano. A chiedere una soluzione definitiva alla vicenda degli Ogm, diverse realtà imprenditoriali e sociali: dalla Coldiretti, che ricorda che sette italiani su dieci sono contrari agli Ogm, alla Cia-Confederazione italiana agricoltori, secondo cui “l’omologazione a cui gli organismi geneticamente modificati conducono” è incompatibile con l’agricoltura italiana e metterebbe a rischio oltre 5mila prodotti tipici della nostra enogastronomia. E ancora, sul palco della manifestazione si sono alternati esponenti di Greenpeace, Federconsumatori, Legambiente, Slow Food, Univerde e Campagna Amica, insieme a rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari. Assente all’appello Confagricoltura che, con un comunicato del presidente Mario Guidi, ha bollato come ‘caccia alle streghe’ i tentativi di bloccare l’ingresso delle piante biotech: la protesta, secondo l’organizzazione, alimenterebbe “una guerra di religione” che “lega le mani a scienziati e agricoltori”. Ma l’opposizione agli Ogm non è uno scontro ideologico: in gioco ci sono questioni molto concrete, dalla tutela della nostra salute all’evitare che gli agricoltori siano costretti ad acquistare ogni anno semi brevettati, dalla minaccia di perdita di biodiversità a quella della diffusione della resistenza agli erbicidi. Non è una forma di rifiuto del progresso, nè della razionalità economica, perchè il no al transgenico non chiude le porte alla ricerca agricola in altri campi e la difesa dell’unicità dei prodotti italiani è anche una strategia di valorizzazione della nostra agricoltura nei mercati globali. Piuttosto, i caratteri della guerra di religione sembra averli la crociata dei fautori del transgenico: la conversione al geneticamente modificato, che impone l’omologazione a ciò che è funzionale al profitto di pochi; il dogma degli Ogm come soluzione alla fame nel mondo, che rifiuta le soluzioni possibili alle cause vere dell’insicurezza alimentare; la guerra alla biodiversità, che minaccia la sopravvivenza dell’altro, semi, tradizioni e specificità dei territori.

Il link per inviare un messaggio al Ministro della Salute Lorenzin

Fonte: il cambiamento

 

Gli OGM avanzano in Europa. L’Italia può ancora scegliere?

La partita sull’ingresso degli organismi geneticamente modificati in Europa si sta giocando nei tribunali, più che nelle sedi democratiche, con un’accelerazione che interessa anche paesi da sempre contrari al transgenico come l’Italia. Ma esistono ancora spazi di mobilitazione contro gli OGM.

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Quando il 6 settembre la Corte di Giustizia europea si è espressa a favore della Pioneer Hl Bred Italia srl., dando torto al Ministero delle Politiche agricole italiano – che tentava di impedire l’ingresso nel territorio nazionale di linee pure ed ibride del mais Mon 810, già ammesse a livello comunitario dal 1998 -, molti hanno parlato di una sentenza storica per il rapporto tra il nostro Paese e gli organismi geneticamente modificati. Il Ministero giustificava, infatti, il rifiuto di far entrare in Italia il mais transgenico sulla base del fatto le regole sulla coesistenza tra semi OGM e tradizionali, previste dal nostro ordinamento, non fossero ancora state approvate. Ma secondo i giudici di Lussemburgo, con l’autorizzazione alla commercializzazione, e poi con l’iscrizione delle varietà derivate nel catalogo comune della Commissione europea, la Pioneer aveva già acquisito il diritto alla distribuzione in tutti paesi dell’Unione, Italia compresa. Sulla scorta di questa sentenza, altri operatori del settore si stanno mobilitando per farsi spazio nel mercato italiano. Un nuovo procedimento è stato introdotto davanti alla Corte di Giustizia europea proprio in questi giorni e questa volta riguarda non la libera circolazione dei semi OGM, ma la loro messa in coltura. La causa riguarda infatti una persona tratta in giudizio nel 2012 per aver coltivato in Italia sementi di mais geneticamente modificato, senza avere ottenuto la debita autorizzazione. Secondo il Tribunale di Pordenone, infatti, il via libera di Bruxelles riguarda la sola commercializzazione, mentre per la messa in coltura è necessaria l’autorizzazione della competente autorità nazionale, cui la normativa europea assegna il compito di regolare la coesistenza tra colture Ogm e colture tradizionali. Dall’altra parte, invece, si fa riferimento al caso Pioneer sostenendo che la Corte Ue non si sarebbe pronunciata sulla necessità di avere anche l’autorizzazione dello Stato membro per la messa a coltura.

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Per uscire da questa incertezza, il Tribunale penale di Pordenone ha deciso chiedere alla Corte Ue se un Paese dell’Unione – in questo caso l’Italia, ma vale anche per gli altri – sia libero di subordinare le coltivazioni di OGM ad autorizzazione per tutelare il principio di coesistenza, anche nel caso di varietà già iscritte nel catalogo comune europeo. La posta in gioco è altissima: se la causa dovesse dare torto al Tribunale di Pordenone, sdoganata la commercializzazione, si aprirebbe anche alla coltivazione di tutte le varietà geneticamente modificate già approvate a livello comunitario, senza passare per l’approvazione da parte dei singoli Stati. In attesa di conoscere cosa deciderà la Corte di Giustizia europea, esistono almeno tre strade percorribili per mandare un messaggio in difesa dell’agricoltura convenzionale e biologica e per chiedere più autonomia per i Paesi Ue in materia di OGM. Uno: partecipare alla consultazione pubblica sull’agricoltura biologica lanciata dalla Commissione europea e aperta online fino al 15 aprile; il sondaggio è aperto a tutti i cittadini e rispondendo alle domande sulla coesistenza con il transgenico si ha l’occasione per far sentire la propria voce.

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Due: dopo la sentenza che ha tolto di divieto di coltivazione del mais Mon810, diversi Stati europei hanno adottato la “clausola di salvaguardia” per bloccare le semine OGM; l’Italia non lo ha fatto, ma alcuni cittadini hanno avviato una raccolta firme per chiedere ai ministri delle Politiche Agricole e della Salute di seguire l’esempio degli altri paesi. Tre, di maggiore impegno e guardando a più lungo termine: il nuovo commissario europeo alla Salute Tonio Borg ha annunciato che tra le priorità del suo mandato c’è la ripresa del negoziato sulla revisione della procedura comunitaria di autorizzazione degli OGM, bloccato ormai da mesi. Secondo quanto riportato dal suo portavoce, Borg avrebbe già avviato i colloqui con gli Stati membri contrari alla proposta della Commissione Ue, in particolare con Gran Bretagna, Francia e Germania, e punterebbe a riavviare la discussione tra i 27 già nel corso della presidenza irlandese dell’Unione, che ha iniziato il suo turno a gennaio e lo terminerà alla fine di giugno. L’Italia si era già espressa a favore della proposta della Commissione, perché lascia più autonomia ai singoli paesi nel limitare o vietare l’ingresso di organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale. Nei prossimi mesi è quindi importante fare sentire la propria voce – associazioni, produttori e singoli cittadini, ciascuno con i propri mezzi – perché il dibattito riparta effettivamente e perché l’autonomia dei paesi in questo campo venga riconosciuta.

Fonte: il cambiamento