Il deserto avanza anche in Italia, lo rivelano i dati del CNR

In Sicilia le aree che potrebbero essere interessate da desertificazione sono addirittura il 70%, in Puglia il 57%, nel Molise il 58%, in Basilicata il 55%.il-deserto-avanza-anche-in-italia-1

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Un quinto del territorio italiano è a rischio desertificazione. A rivelarlo è il Consiglio Nazionale delle Ricerche, che per domani ha in programma una conferenza dal titolo Siccità, degrado del territorio e desertificazione nel mondo alle 14.30 presso il Padiglione Italia di Expo, a Milano. Oggi, proprio per promuovere l’evento, è stato diramato un breve comunicato che fornisce una panoramica dei dati che verranno discussi domani. Le aree siccitose coprono oltre il 41% della superficie terrestre e vi vivono circa 2 miliardi di persone. Il 72% delle terre aride ricadono in paesi in via di sviluppo, la correlazione povertà-aridità è dunque chiara. Se si guarda all’Italia, gli ultimi rapporti ci dicono che è a rischio desertificazione quasi 21% del territorio nazionale, il 41% del quale si trova nel sud. Sono numeri impressionanti che raccontano di un problema drammatico di cui si parla pochissimo. A spiegarlo è Mauro Centritto, direttore dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche e coordinatore della conferenza in programma per domani. Tutti i dettagli nella fotostoria in apertura.

Fonte:  CNR

Black carbon, il primo studio italiano firmato CNR | Il caso di Milano

Le concentrazioni di black carbon nei siti trafficati sono più di cinquanta volte maggiori rispetto all’alta montagna. Ma i valori stagionali a Milano sono superiori del 30% anche a quelli misurati in una grande città come Roma e corrispondono a percentuali di sostanza carboniosa che arrivano al 47% della massa totale dell’aerosol380699

Il carbonio è presente in grande quantità nell’atmosfera ed è dannoso per la salute dell’uomo. Lo conferma uno studio condotto dal Cnr, il primo del suo genere a livello nazionale, che sarà pubblicato sulla rivista Atmospheric Environment. I risultati sono stati esposti in anteprima a Roma in occasione della XXXII Giornata dell’ambiente organizzata dall’Accademia dei Lincei. Nell’aria che respiriamo tutti i giorni è presente una sottile polvere nera, chiamata carbonio elementare (più noto con il termine inglese black carbon), che è oggetto di una ricerca, la prima in Italia, effettuata da un team di ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). “Questo inquinante, dannoso sia per l’ambiente che per la salute, assieme al carbonio organico costituisce la frazione carboniosa del particolato atmosferico, una componente importante di quest’ultimo, fino al 40% della massa”, spiega Sandro Fuzzi dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima di Bologna (Isac-Cnr). “In atmosfera il carbonio elementare e il carbonio organico si trovano sempre associati, poiché originati dalle stesse sorgenti: la combustione incompleta di una qualsiasi sostanza organica, sia combustibili fossili, sia biomasse (legna e residui agricoli), per autotrazione, riscaldamento e produzione di energia”.
I dati sono ancora limitati e non omogeneamente distribuiti sul territorio. “L’importante quadro di insieme a livello nazionale ha permesso di evidenziare che le concentrazioni di carbonio elementare nei siti trafficati sono più di cinquanta volte maggiori rispetto ai siti remoti di alta montagna. Per esempio, a Milano – una delle prime città ad aver lanciato i monitoraggi – in viale Sarca la media nel periodo invernale sfiora i 6 microgrammi per metro cubo (mgm-3), mentre è pari a 0.1 mgm-3 presso il sito ad alta quota di Monte Cimone, nell’Appennino Tosco-Emiliano. Un altro dato importante è che le concentrazioni di carbonio organico ed elementare nella Pianura Padana in inverno sono tre-quattro volte maggiori rispetto a quelle estive”, continua il ricercatore. “Questo a causa dell’intensità di alcune sorgenti quali il riscaldamento domestico durante la stagione fredda e delle frequenti condizioni di stabilità atmosferica, con scarso ricambio delle masse d’aria, che favoriscono l’accumulo degli inquinanti”. Sempre nel periodo invernale, “le concentrazioni di carbonio organico nei siti urbani della Pianura Padana, arrivano fino a 12 mgm-3 nella città di Milano, in via Pascal, risultando mediamente doppie rispetto a siti urbani della Puglia, dove raggiungono massimi di 8 mgm-3 nelle città di Lecce e Bari. Questi valori stagionali a Milano sono superiori del 30% anche a quelli misurati in una grande città come Roma e corrispondono a percentuali di sostanza carboniosa che arrivano al 47% della massa totale dell’aerosol” prosegue Fuzzi. Il lavoro, coordinato dalla Società italiana di aerosol presieduta da Roberta Vecchi(Università di Milano), è stato condotto da tre Istituti del Cnr, l’Isac di Bologna, l’Istituto sull’inquinamento atmosferico, l’Istituto di metodologia per l’analisi ambientale e da sette università italiane – Statale, Bicocca e Politecnico di Milano, atenei di Genova, Perugia, Bari e del Salento – dall’Arpa-Lombardia e dal Centro comune per la ricerca della commissione europea. “Il carbonio elementare nel particolato atmosferico sta assumendo una sempre maggiore rilevanza a livello ambientale, tant’è che la Commissione Europea ne raccomanda il monitoraggio. Recentemente, studi epidemiologici hanno fatto sì che l’Organizzazione mondiale della sanità puntasse gli occhi su questo inquinante emergente per i suoi effetti dannosi ai danni dei sistemi respiratorio e cardiovascolare, oltre che per i possibili effetti cancerogeni”, conclude il ricercatore.

Fonte: ecodallecitta.it

Olio di squalo addio, il CNR estrae lo squalene dalla canna da zucchero

Che vi sorprenda o no, l’olio di squalo e squalano è uno degli ingredienti più usati in moltissimi cosmetici e causa della decimazione del predatore dei mari, ma dal CNR di palermo arriva una nuova soluzione più economica

Creme idratanti, oli per bambini o detergenti per il viso hanno in comune un ingrediente usato per idratare e rendere la pelle più morbida: lo squalano da cui si ottiene lo squalene. L’industria cosmetica ricava lo squalene, nella maggior parte dei casi dal fegato degli squali, perché è più economico. Lo si può ricavare anche dall’olio di oliva, ma il procedimento è più costoso. Ebbene l’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati (Ismn) del Cnr di Palermo ha scoperto un nuovo processo per la sua produzione derivato dalla canna da zucchero. La ricerca è stata pubblicata su ChemCatChem e condotta dagli scienziati italiani coordinati da Mario Pagliaro e con la collaborazione dei ricercatori dell’Università di Laval del Québec, sotto la direzione di Serge Kaliaguine, uno dei maggiori chimici canadesi. Dicevamo dello squalene, un idrocarburo usato anche nei vaccini, ricavato dallo squalano e presente nel fegato degli squali cacciati proprio per ragioni industriali e che rischiano seriamente l’estinzione. Lo squalene si può anche ricavare dall’olio di oliva, ma questo procedimento è nettamente più costoso. Oggi però dagli scienziati italiani e canadesi arriva la novità dell’estrazione di squalene dalla canna da zucchero, procedimento già in atto nell’industria in Brasile.TO GO WITH AFP STORY, USA-SEA-ANIMALS-TO

Spiega il CNR il procedimento con cui avviene l’estrazione di squalene dalla canna da zucchero:

Con l’utilizzo del catalizzatore denominato SiliaCat, sviluppato dai chimici italiani e canadesi, l’emolliente può essere prodotto in alte rese in impianti piccoli e sicuri in cui la pressione dell’idrogeno impiegato non supera quella atmosferica. Inoltre, lo squalano prodotto è così puro da poter essere utilizzato direttamente, senza ulteriori purificazioni.

Spiegano Pagliaro e Kaliaguine:

La chimica verde e la nanochimica applicate alle sostanze rinnovabili come lo squalene offrono vari vantaggi. Rinnovando i processi produttivi non si previene solo l’inquinamento o i danni all’ecosistema, conseguenze della generazione dello squalano di origine animale, ma si riducono i costi rendendo così disponibili i prodotti che sono difficilmente accessibili a causa del prezzo elevato.

Nel 2008 l’Europa ha interdetto la pesca in profondità degli squali proprio per tutelare questi animali, ma la pesca di frodo è sempre attiva e molte aziende cosmetiche continuano a usare questo prodotto.

Fonte:  Comunicato stampa

© Foto Getty Images

Il grafene aumenta l’efficienza dei dispositivi fotovoltaici

Il grafene si conferma come il materiale delle meraviglie con applicazioni che possono rivoluzionare le rese dei materiali fotovoltaicigrafene-384x350

Per i ricercatori dell’Istituto nanoscienze (Nano-Cnr) e dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie (Ifn-Cnr) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) il grafene si conferma essere il materiale delle meraviglie grazie ad una proprietà recentemente scoperta. Infatti il grafene se sottoposto a impulsi luminosi brevissimi riesce a moltiplicare a cascata gli elettroni. Questo risultato è stato ottenuto grazie alla collaborazione con Politecnico di Milano, Scuola normale superiore e Università di Cambridge e Manchester e pubblicato su Nature Communications. Rispetto alla capacità del grafene di moltiplicare gli impulsi luminosi, precisa Giulio Cerullo di Ifn-Cnr e Politecnico di Milano:

La moltiplicazione di carica è estremamente difficile da rilevare poiché dura appena un centinaio di femtosecondi, meno di un milionesimo di milionesimo di secondo! Per studiare effetti fisici su scale temporali così brevi servono impulsi luminosi altrettanto brevi, che siamo stati in grado di ottenere con tecniche di spettroscopia ultra-veloce capaci di ‘comprimere’ la luce. Il nostro esperimento rappresenta al momento l’evidenza sperimentale più chiara del fenomeno nel grafene.

La proprietà scoperta, dunque, si presta a essere utilizzata in tutti quei dispositivi fotovoltaici per aumentarne l’efficienza. Il progetto sotto cui rienta questo ambito di studio è Graphene Flagship sostenuto da un maxi-finanziamento di un miliardo di euro per 10 anni anni e che vede la partecipazione di oltre 70 partner scientifici e industriali il cui obiettivo è usare il grafene in vasti settori di applicazione. Spiega Marco Polini di Nano-Cnr di Pisa:

Studiare il comportamento degli elettroni nel reticolo bidimensionale di questo materiale, che è costituito da un foglio monoatomico di atomi di carbonio, è la chiave per capirne e sfruttarne al meglio le eccezionali proprietà: conduzione di elettricità e calore migliore del rame, leggerezza e resistenza maggiori dell’acciaio. Un aspetto ancora poco noto, per esempio, è cosa accade agli elettroni dopo che un lampo intenso e ultra-breve di luce li ha fortemente perturbati: abbiamo pertanto indagato le primissime fasi successive alla foto-eccitazione, quando gli elettroni, riscaldati dalla luce a temperature di migliaia di gradi, si raffreddano in un tempo brevissimo.

In sostanza i fotoni che precipitano vanno a creare un processo noto come moltiplicazione a cascata, per cui spiega Polini:

Un fenomeno noto come ‘carrier multiplication’, grazie al quale, per ciascun fotone assorbito dal grafene, più elettroni si mettono in moto e incrementano la corrente elettrica. La possibilità di innescare questo fenomeno potrebbe migliorare le prestazioni delle tecnologie fotovoltaiche e dei dispositivi optoelettronici in termini di efficienza, robustezza, risparmio energetico.

Fonte:  Comunicato stampa Cnr

 

Giobbe Covatta porta a teatro i cambiamenti climatici con 6 gradi

Avevamo lasciato Giobbe Covatta nella versione Piero Angelo in un divertente ma anche serissimo dibattito con Piero Angela al CNR a Roma. Ora Covatta è in tournée con il suo spettacolo 6 gradi in cui fa divulgazione scientifica sui cambiamenti climatici, ma strappandoci un sorriso.

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Portare la divulgazione scientifica a teatro: il sogno di Giobbe Covatta è realtà e lo spettacolo ha il titolo di 6 gradi. Giobbe racconta dei cambiamenti climatici e di quei 6 gradi che ci separano dalla fine del Pianeta, almeno così come lo conosciamo. Perché se la temperatura globale inizia a salire e tocca quota + 6 gradi centigradi allora avremo un clima completamente diverso da come lo conosciamo e anche forme violente di stremi climatici: dal gelo alla siccità.
Sopravvivremo? Probabilmente questo per il Pianeta potrebbe non essere un problema, ma se invece intendiamo sopravvivere noi allora un qualche rimedio dobbiamo pur metterlo in campo e su scala globale.

Giobbe Covatta dunque delinea uno scenario dei prossimi 100 anni ossia come sarà il mondo nel 2112, tra cento anni, con la fine del porcellum fissata nel 2018 e con Belen Rodriguez presidente del consiglio e televoto dai programmi tv di Maria De Filippi. I cambiamenti climatici saranno avvenuti e ai sopravvissuti la responsabilità di creare un nuovo mondo meno egoista e più attento all’ambiente in cui vive.

Resta però la voglia di vedere Covatta in un programma tv a presentare in veste di Piero Angelo la sua divulgazione scientifica ma con il sorriso.

Le date degli spettacoli la trovate sul blog che raccoglie il calendario.

Fonte:  Almanacco del Cnr